Mercantia

Amici, mercoledì inizia Mercantia!

Mercantia

Ricordo di Mercantia

N: Oh chi si rivede! Ciao Andrea! Sono proprio contento di incontrarti …

A: Ciao, tutto bene? La scuola, gli studenti? Sempre ossessionato dalla scuola che non funziona?

N: Inutile che tu mi prenda in giro … così mi stuzzichi a ricominciare con una filippica delle solite …

A: Noo per carità …

N: Ah! Mi viene invece in mente un’altra cosa che mi piacerebbe raccontarti, vorrà dire che questa volta ti risparmierò la tiritera sulla scuola … oddio, forse forse non proprio …

A: Come? Fermo là, non scherziamo eh …

N: No no, tranquillo. Ti volevo raccontare di Mercantia, sai quella manifestazione che c’è in luglio a Certaldo? Dove saltimbanchi, giocolieri e musicanti si impadroniscono del borgo in un delirio che dura fino a notte fonda?

A: Mmm, sì mi ricordo, ci sono stato una volta qualche anno fa …

N: Non mi sembri molto entusiasta … insomma gli è successo che ieri sera stavo appunto girovagando per le stradine di Certaldo, quando mi sento acchiappare per un braccio. Mi volto e ti vedo una specie di fatina, bellina, sì parecchio bellina, che mi fa: “Che la vole sentire una favolina?”. Naturalmente parte subito l’effetto stoccafisso-adulto-maturo-che-si-controlla e resto lì come uno scemo senza riuscire a spiccicar parola …

A: Sghignazza

N: Perché ridi?

A: Altro che effetto stoccafisso-adulto-eccetera! E ti s’è ma bloccato il respiro perché t’ha imbroccato una ragazzina, vecchio rincoglionito!

N: O vai: ecco l’uomo di mondo, colui che sa che sotto sotto le cose della vita che contano son sempre le solite. E invece, te pensa quello che ti pare, mi son sentito esattamente come quando tutti ballano e te rimani incollato alla seggiola e maledici ciò che ti ci incolla.

A: Sarà …

N: Te sghignazza quanto ti pare, io vo avanti lo stesso. Insomma, ero lì inebetito ma lei invece di mollare la presa mi ha condotto ad una specie di casina di legno, appoggiata al muro del vicolo, una casina fatta un po’ come un confessionale, con due porticine, una a sinistra chiusa da una tenda, come quella dove entra il prete, e quella a destra aperta con un seggiolina e dei forellini nella parete a dividere i due vani, per lasciar comunicare i due abitanti. E lì, quando ti rendi conto di avere superato un momento di non ritorno, ti prende il panico …

A: Oh povero stoccafisso! È stato isolato dal suo branchetto …

N: Ah certo! Tu ci stai benissimo a fare lo stoccafisso fra gli stoccafissi. Anzi, anche il branco è a forma di stoccafisso, a formare un branco di branchi di stoccafissi, a sua volta della stessa forma. Così, all’infinito. Te lo lascio volentieri, l’Universo dello Stoccafisso! Cristallizzato come nella stampa “Depth” di Esher, con tutti quei pesci congelati in un reticolo illimitato.

A: Eh falla finita! Ma non si può proprio scherzare con te! dimmi un po’ invece com’è andata questa confessione …

N: Spiritoso! Allora, una volta sistemati, la fatina, chiamiamola così ormai, nel posto del prete ed io in quello del penitente, attraverso la grata mi ha detto di scegliere uno di alcuni rotolini di carta colorata appesi alla parete. Ne ho scelto uno ed allora mi ha spiegato che così facendo avevo scelto la favola che mi avrebbe raccontato. Ma sai come s’è svolto poi il racconto?

A: Che domanda! T’avrà parlato attraverso la grata!

N: Eh no! Cioè sì, ma non solo! Prima di iniziare a narrare, m’ha chiesto di introdurre una mano in un pertugio che c’è all’altezza della mensola dove si appoggiano le braccia e lei me l’ha afferrata. Quindi ha iniziato a narrare, prendendo a ciancicarmi la mano e sottolineando le fasi del racconto con varie sevizie, pizzicotti, freddo, caldo, bagnato …

A: Ride a crepapelle

N: Non reagisco nemmeno più, povero prosaico!

A: Ridendo ancora oddio oddio mi fai morire …

N: Eh crepa!

A: Ma insomma, di che parlava questa favola?

N: Non lo so.

A: Come non lo sai?

N: Non lo so, mi ero mezzo assopito perché mi piaceva parecchio …

A: Ma roba da pazzi! È vero che non siamo più proprio giovani ma mi sembra un po’ presto per rincitrullire a codesta maniera!

N: Ma mica è importante che mi ricordi la favola …

A: Sì, buona! L’atmosfera …

N: Grazie al cielo non siamo a scuola e io mi accontento proprio dell’atmosfera, delle sensazioni, guarda un po’!

A: Sarei curioso di sapere com’è finita, perché se ti eri assopito allora qualcuno t’ha anche svegliato?

N: Infatti! Mi sono svegliato perché mi stava suotendo la mano dicendomi: “Ehi ma è finita!”

A: Ma ti rendi conto di avere cinquant’anni? Non sei più un bambino, diamine!

N: Non so che dirti. Bah, più che vo avanti negli anni e meno mi è chiara codesta distinzione.

A: Mamma mia, come siamo ridotti! E poi che hai fatto?

N: Avrei voluto che mi raccontasse un’altra favola.

A: E lei che ha fatto?

N: No, non me ne ha raccontata un’altra, perché vedi, il fatto è che non ho avuto il coraggio di chiederglielo e allora ho ringraziato, mi sono alzato e sono andato via un po’ svanito.

A: E sai, ci vuole di molto, te svanito lo sei ventiquattr’ore su ventiquattro!

N: Non so che dirti, sarò svanito, mi sono trovato impacciato ma al tempo stesso mi sono divertito, mi è piaciuto, davvero!

A: A me pare che in quel posto vi sia una bolgia tale che diventano tutti un po’ rintronati. Figuriamoci poi uno come te, che a cinquant’anni non ha capito ancora se è un adulto o se è rimasto ancora bambino!

N: Non mi sembra che questa incertezza sia poi un fatto così negativo. Ma lasciamo stare ora, s’andrebbe troppo lontano su questo discorso. Piuttosto, quello che tu descrivi con l’essere rintronati può anche essere pensato come uno stato d’animo, come dire, un po’ rilassato …

A: Macché rilassato! Quello è un casino infernale! Troppa gente, non si capisce nulla, le musiche si confondono l’una nell’altra, gli spettacoli si sovrappongono, la calca … un caos. No, non fa per me.

N: Mamma mia come sei negativo. Ma l’atmosfera …

A: L’atmosfera del casino! Io quando assisto ad uno spettacolo o ascolto una musica voglio seguire, capire, inquadrare l’atmosfera, appunto, di quel preciso evento, insomma voglio avere il controllo!

N: Eccoci, lo sapevo. La mania di avere il controllo. È la condanna dell’uomo occidentale. Guarda che una gran quantità di idee, intuizioni, illuminazioni non sono venute affatto dal controllo, come dici te, sono scaturite da una situazione, da uno stato d’animo. Ho detto una gran quantità, forse la maggioranza? Forse tutte? Non è detto che si debba ricondurre tutto al dominio, apparente dominio, della ragione. L’arte parla anche al resto della tua mente. Anzi, forse soprattutto a quella parte. Sì anche nella tua mente prepondera quella parte non razionale che ti fa tanta paura, zuccone che non sei altro, sempre la solita storia …

A: Eccolo lui, lo svolazzatore, il navigatore delle atmosfere indefinite. Se non ti conoscessi bene direi che te, tu ti finisci dalle canne, altro che …

N: Bravo! Io le canne non me le fo ma forse sarebbe meglio rincitrullire per le canne che per il controllo. Perché caro mio, si rincitrullisce anche con la fissazione del controllo, eccome!. Il c-o-n-t-r-o-l-l-o. Puah! Controlla controlla e alla fine ti troverai a controllare un pugno di mosche! Era meglio se un ti raccontavo nulla guarda! Di molto meglio! Come dare i confetti ai somari!

A: Non fare l’esagerato. Lo so che non ti fai le canne. E tu sai che mi diverto a stuzzicarti. Parlando più seriamente, non riesco a liberarmi dalla sensazione che coloro che fanno codesto tipo di discorsi in realtà siano influenzati da un atteggiamento che va, come dire … che va di moda.

N: Inizia a diventare rosso …

A: Aspetta! Non esplodere subito! Con questo non voglio assolutamente dire che tu sia un superficiale, vittima delle mode. Tutt’altro. Il fatto è che nel nostro mondo dove la società è cosi complessa, fortemente strutturata e connessa, nascono fenomeni sottili, pervasivi ai quali è difficile sottrarsi, e che finiscono con l’influenzarti senza che tu ne sia molto consapevole. Non sto parlando di te. Penso di essere io stesso vittima di influenze del genere, forse molto più di quanto io stesso non possa immaginare.

N: Su questo concordo pienamente con te. Nessuno sfugge a codesto rischio. D’altro canto non si può nemmeno vivere ingessati per la paura di essere coinvolti da un qualche fenomeno di massa perché così, per ridurre il rischio del coinvolgimento inconsapevole, aumenta il rischio di perdere ogni spontaneità. Voglio dire che se, per essere sicuro di non farmi fregare da nessuna moda o tendenza mi riduco all’immobilità forse non ho ottenuto un grande risultato.

A: No certo, non sarebbe un buon risultato. Il fatto è che, guardandomi intorno, vedo così tanti comportamenti che sembrano più l’orchestrazione di un grande fratello anziché la libera espressione di un insieme di individui. E questo francamente mi disturba molto. Forse perdo delle occasioni col mio atteggiamente sospettoso, non lo nego.

N: Sì non è facile. Diciamo che non esiste una ricetta per vivere al sicuro dai condizionamenti senza rinunciare all’espressività. La nostra vita è piena di problemi irrisolubili. Diciamo pure che tutti i grandi problemi della vita sono irrisolubili. Per lo meno nel senso scolastico. Da giovani, la scuola ci propone quasi eslusivamente problemi risolvibili, problemi deterministici, con una sola soluzione. Ci abitua, in altre parole all’esistenza della verità. È buffo, la vita reale invece ci propone quasi esclusivamente problemi ambigui, che ammettono tante soluzioni possibili. Spesso, la scelta della soluzione dipende da noi. Risolviamo i problemi operando scelte soggettive. Dobbiamo riconoscere l’ambiguità della maggior parte dei problemi. Potremmo forse accettare questo fatto con maggior serenità. Forse è un’ossessione di origine scolastica quella di voler dicotomizzare i problemi ambigui, forzando così la complessità della realtà in un astrazione fatta solo di vero o falso.

A: Ha senso ciò che dici. Ma come tradurre in pratica codeste considerazioni, pur condivisibili?

N: Io penso che potremmo modificare il nostro atteggiamento. Rilassarsi, in un certo senso. Intendo dire che potremmo accettare con maggior serenità la possibilità di sbagliare, di poter fare un passo un indietro. Accettare l’errore non significa abdicare a qualcosa, significa accettare l’ineluttabile complessità del mondo. Se vogliamo, accettare di adeguare il proprio comportamento alla complessità. In pratica, qualcosa ti attira, ti trasporta, e tu lasciati andare e stai a vedere che succede! Riservati tuttavia sempre la possibilità di fare il passo indietro: no mi rendo conto che questa cosa non è quella che credevo.

A: Un atteggiamento flessibile …

N: Ben non è una questione di opportunismo. È accettazione della realtà, insisti e ti adegui fino a quando le circostanze ti forniscono una nuova prospettiva, una prospettiva che magari ti può far cambiare idea. Possiamo forse negare che tutta l’evoluzione proceda per tentativi ed errori?

A: Sì sì … mah, non sono completamente convinto ma mi hai fatto venir voglia di pensarci un po’ …

N: Senti, perché non vieni anche te l’anno prossimo a Mercantia? Hai tutto il tempo di pensarci e anche se, giunto il momento, avrai ancora da riflettere, potrai nel frattempo provare a rilassarti un po’ con me. Non firmi un contratto, sai. Puoi sempre recedere!

A: Ma che furbacchione … però tutto sommato, non posso negare che tu mi abbia fatto venire un po’ di curiosità. Ma sì, fammi sapere quando ci sarà …

N: Alè! Sono davvero contento e ti pagherò volentieri il biglietto!

2 pensieri riguardo “Mercantia”

  1. Al Mercantia, come in tutte le situazioni di tal genere vi sono due possibilità: rimanere incredulo con la propria birra in mano ad osservare il mondo intorno che caoticamente si dimena, si diverte, si abbraccia, oppure entrare nel magma infernale, venendone, così, risucchiato e perdendo qualsiasi consapevolezza del motivo per il quale quella fantasiosa promiscuità sia assolutamente divertente. La scelta si compie nei primi minuti della serata e non è dettata dall’ uso di alcolici o altro, ma semplicemente da una disposizione intima legata al coraggio di perdere almeno per qualche ora il controllo sul proprio sé e sul giudizio che gli altri danno di questo.
    Si tratta di un atto che per funzionare deve partire dal profondo, non può essere imposto né dalla propria coscienza razionale, né da una attraente quanto misteriosa figura: è un salto senza spinta dalle conseguenze sconosciute.

  2. Caro Andreas, è una consolazione trovare in te pensieri che io stesso ho pensato, che avrei sicuramente espresso in altro modo, ma l’essenza è fatta della stessa sostanza e presume percorsi simili. Affinità? Come le intendeva Goethe?
    Ne riporto un paio tra i tanti:

    ” (…) Il fatto è che, guardandomi intorno, vedo così tanti comportamenti che sembrano più l’orchestrazione di un grande fratello anziché la libera espressione di un insieme di individui. E questo francamente mi disturba molto. Forse perdo delle occasioni col mio atteggiamente sospettoso, non lo nego (…)”.

    “(…) Accettare l’errore non significa abdicare a qualcosa, significa accettare l’ineluttabile complessità del mondo. Se vogliamo, accettare di adeguare il proprio comportamento alla complessità. In pratica, qualcosa ti attira, ti trasporta, e tu lasciati andare e stai a vedere che succede! Riservati tuttavia sempre la possibilità di fare il passo indietro (…)”

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