
No, non nel senso che questo (per)corso sia una cosa speciale. Nel senso più semplice: può un corso essere considerato una forma di arte? Un corso nel suo insieme, con tutto quello che ci succede dentro, con tutte le relazioni umane che vi si creano, con gli artefatti che genera …
Questa domanda, forse balzana, mi frulla nella mente da qualche tempo. Ma andiamo con disordine – forse stasera ho aperto troppe finestre su questi tre computer – seguo le associazioni a ruota libera …
È andata così.
Leggo il post di Matteo su la tirannia della scelta. La questione concerne la tirannia esercitata dall’ossessione di tirar fuori il meglio dall’illimitata libertà di scelta di cui godiamo – nel nostro quarto fortunato di umanità, s’intende. Tema interessante. Potrebbe valer la pena di leggere sia il libro scritto dallo stesso Matteo, Come diventare malati di mente (Alpes, 2011), sia quello che lui stesso segnala nel post, La tirannia della scelta di Renata Salecl, (Laterza, 2011), e del quale riporta l’introduzione. Alla fine di questa leggo:
Mentre siamo ossessionati dalle nostre scelte individuali, non riusciamo a notare che, lungi dall’essere individuali, in realtà le scelte sono di frequente soggette all’influsso decisivo della società in cui viviamo.
Varie volte sono rimasto turbato da questo influsso, non tanto nel senso più evidente di cui si parla in quell’introduzione, ma da una sua natura più sommersa e conturbante.
Quando, negli anni ’80, estraevo nottetempo dal computer dell’ospedale il codice software che poi avrei manipolato per fornire ai miei amici medici nucleari funzionalità superiori, ero completamente ignaro del fatto che Richard Stallman, stesse dando vita in quegli anni a un movimento tecnologico e culturale, del quale ho capito di far parte solo molti anni dopo.
Riconobbi, più precisamente, che il mio comportamento, che era poi il mio modo di lavorare, era quello di un hacker e che quella che i miei amici consideravano una sbarazzina e talvolta proficua inclinazione robinhoodiana, era ispirata da un’etica che poi ho visto definirsi nell’etica hacker.
Da qui mi viene improvvisamente in mente un’altra associazione simile. Quando all’inizio del corso – 8 di marzo – mi sono reso conto che forse potevo usare quotidianamente il software con il quale sto producendo i sociogrammi – non era ovvio ci avevo messo le mani troppo tardi – ho provato una strana soddisfazione, che è andata crescendo nei giorni, via via che il sociogramma descriveva pittoricamente l’evoluzione di questa comunità. Ecco, pittoricamente.
Forse complice un bicchierozzo di più, ebbi la fantasia di essere un artista pazzo e furfante, per nulla interessato alla formazione degli studenti e tanto meno al proprio ruolo accademico, ma teso solo a produrre quelle immagini: la macchina accademica lo studio del pittore, mera infrastruttura, le menti di voi studenti i colori, ogni anno una tavolozza diversa, Ruby e R i pennelli. Ma non la mera immagine bidimensionale è l’opera d’arte. Ciascuna immagine della blogoclasse è solo un fugace riflesso di un multidimensionale intrico di pensieri, connessioni e artefatti. Una cosa che non si può vedere ma si può “sentire” o di cui si possono intravedere le tracce, un po’ come faceva Poincaré con le sue sezioni per cercare di visualizzare le soluzioni del problema dei tre corpi.
Tre corpi, per noi piccoli uomini, fanno già un sistema mostruosamente complesso. Ed è fra altri tre corpi che mi ritrovo sballottato il 3 aprile scorso, capitato per caso e per curiosità all’ultimo brandello di AHAcktitute ’11 hacking: Activism-Hacking-Art[ivism] – le quadre son mie. Tre corpi, e che corpi! Mi impiglio, qualcosa subodoro, parecchio annaspo. Ma non può non venirmi in mente quella balzana fantasia. C’entra niente dico, ma mi piace.
Oggi mi metto a cercare meglio, mi perdo in molti rivoli. Poi trovo che Tommaso Tozzi scrive in Hacker Art:
Ma in che cosa si concretizza dunque un’opera di hacker art?
La domanda è posta male, in quanto opera d’arte non è solo la realizzazione concreta di qualcosa, un oggetto così come un obiettivo. Opera d’arte è tutto quell’insieme di situazioni, cose e persone, pensieri e azioni, che partecipano alla realizzazione di un qualcosa che migliora lo stato delle cose.
[…]
Pur perseguendo strategie e modalità molto differenti tra loro, negli ambiti disciplinari più differenti sono stati condivisi, spesso in modo inconsapevole, valori ed obiettivi:
- il rifiuto dei modelli di legittimazione del potere elaborati dall’industria culturale e dai media.
- Un forte antiautoritarismo ed il rifiuto dei modelli istituzionali
- Il tentativo di restituire voce ai senza voce.
- Il rifiuto di delegare ad altri la propria creatività.
- La ricerca di modelli di “opera aperta” e di forme di cooperazione.
- La volontà di realizzare pratiche di impegno sociale.
Come la sensazione che diversi tasselli vadano a posto, immagine che riprendo dal post di Davide Mana (cyber-punto-blu di questa blogoclasse) su Strategie Evolutive, apparso ora nel mio reader. Davide è un altro punto di diffrazione, forse è meglio tornarci domani …
Non so bene perchè ma la prima cosa che mi viene in mente quando sento la parola “arte” sono dei dipinti bellissimi, famosi, che tanto mi piacciono, e Oscar Wilde con un fumetto accanto alla testa che dice” Tutta l’arte è di per sè inutile”.
E quindi di getto m’è venuto da pensare “che c’entra l’arte con il blog che ho costruito?”(a parte che non so quanta utilità pratica possano avere i contenuti che ci ho messo… 🙂 )
Dopo quel mezzo secondo ho cliccato ” continua a leggere”, incuriosita dal titolo.
In effetti il paragone con quei quadri appesi a prendere polvere e flash nei musei non è molto calzante, credo sia perchè l’arte che sviluppiamo è interattiva, in evoluzione, non è un quadro statico, è pianoforte a quattro mani, è più simile alla danza che alla scultura.
mi sono quindi ricreduta, l’arte non è solo nei musei…
secondo me c’entra
Avevo pensato che la risposta potesse essere “sì!” immaginando la parola arte nel senso di opera di artigianato, o meglio dell’artigiano che replica, ma non riesce a far due volte un opera identica nonostante usi la medesima tecnica. L’ho pensato perché i nodini colorati saltellano qua e là, e perché ogni parola detta nel momento in cui si interrela con chi ascolta si va modificando.
Ma forse non c’entra e poi si sa, sono specializzata in commenti che vanno da un’altra parte. 🙂
e la domanda si trasforma immediatamente in viaggio … Networking – La rete come arte …
😀 ottima idea Matteo!
Alla domanda se un corso – il nostro corso – potrebbe essere arte, mi viene da rispondere istintivamente di sì, ma soprattutto potrebbe essere una bella opera d’arte – nella fattispecie, arte visiva – se noi tutti membri della blogoclasse un giorno, magari alla fine del corso, ci trovassimo tutti in un ampio spazio e ci disponessimo come siamo disposti nell’ultimo sociogramma che il prof ci proporrà, con il dovuto rispetto delle distanze, ovvero riproducendole con le stesse proporzioni del grafico. Magnifico! Tutti fermi in piedi a guardarci per un quarto d’ora, come delle statuine. Aperte iscrizioni. Qualcuno si propone per il servizio fotografico? 🙂