Già da qualche tempo avevo riunito gli elementi necessari per scrivere questo post e, come spesso succede, il caos generatore della blogoclasse mi regala l’assist per concluderlo. Questa volta ci ha pensato Gabriele con il post su PubMed e sull’inutile settarismo delle riviste scientifiche . Gabriele espone una perplessità importante:
Certo, è ovvio che non tutti si occupano di tutto, pertanto ogni ricercatore leggerà con attenzione soprattutto le pubblicazioni relative al proprio ambito. Tuttavia, precludere a ciascuno la possibilità di accedere a ciò che non è strettamente specifico del suo campo di ricerca, impedire la visione di gran parte dei documenti presenti su PubMed a chi, per interesse o per semplice curiosità, vuole leggere qualcosa di avulso dagli studi che abitualmente svolge vuol dire coltivare una visione settaria del sapere medico-scientifico, mirare ad una sua iperspecializzazione. Tuttavia, l’oggetto della ricerca, l’uomo, resta un organismo unico, in cui tutto è strettamente interconnesso.
Proviamo a vedere, con qualche dettaglio, cosa significhi in pratica produrre un lavoro scientifico e quale sia l’impatto della sua accessibilità.

Qui a sinistra è raffigurata la prima pagina di un paper che descrive un lavoro che ho seguito personalmente in tutte le fasi: intuizione, formulazione di un’ipotesi, progettazione e esecuzione dell’esperimento, discussione risultati, pubblicazione. Il fatto di essere l’unico autore di questo lavoro, mi consente di quantificare con precisione l’impegno di lavoro di e di tempo.
Ho evidenziato nella pagina due informazioni che sono uno standard nei paper scientifici: numero rivista e data di pubblicazione in alto, storia della pubblicazione in basso. Da quest’ultima si evince che il paper è stato ricevuto dall’editore del periodico IEEE Transactions on Medical Imaging (IEEE: Institute of Electrical & Electronics Engineers, Inc., un istituto americano che è editore di numerosi periodici scientifici di argomento tecnologico) il 18 novembre 1991. Io so che ho iniziato a lavorare su questo argomento circa all’inizio del 1990, quindi quasi due anni per presentare un manoscritto a un editore.
Dalla medesima scritta risulta che il lavoro è stato ricevuto in una successiva revisione il 26 maggio 1992. Questo significa che io ho ricevuto il parere dei due revisori anonimi dopo circa uno-due mesi e mi ci sono voluti altri quattro mesi per aggiornare il lavoro come richiesto. Dalla scritta in alto vediamo invece che il lavoro è stato pubblicato il primo di marzo del 1993. In questo ulteriore anno di lavoro sono successe le seguenti cose: ulteriori richieste da parte dei referi, circa altri sei mesi di lavoro, revisione dell’inglese con l’aiuto di una persona di madre lingua, revisione finale delle bozze e infine pubblicazione sul primo numero in uscita – in quel caso escono quattro numeri l’anno.
Risultato: il tempo uomo richiesto per la pubblicazione di un’idea originale, tutto compreso, è di circa tre anni. Nel frattempo, l’idea inizia a circolare ben prima, per almeno due motivi. In primo luogo la prassi accademica richiede che uno se ne vada a giro per i congressi nel mondo a presentare i vari risultati preliminari e, in secondo luogo, i referi sono anonimi ma sono anche persone che vivono in un contesto estremamente competitivo e sono forzatamente persone che lavorano sugli stessi argomenti – non potrebbe essere altrimenti dato l’elevatissimo grado della specializzazione. Nasce così una notevole psicosi della “fuga dell’idea” e finisce che i ricercatori si precipitano a vedere i nuovi numeri delle riviste del settore per vedere se non sia uscito nel frattempo un articolo che attenui l’impatto sperato del proprio lavoro, ancora in fase di gestazione.
Se ci rammentiamo dell’osservazione di Martina che si è accorta che in 13 giorni le pubblicazioni inerenti alla sola voce “liver tissue” sono aumentate di 1585, capite quale possa essere la pressione imposta al singolo ricercatore: per porre un punto fermo nella letteratura scientifica occorre una gran mole di lavoro che spesso deve essere svolto in condizioni di stress per la competitività schiacciante e la sovraproduzione mondiale.
Ma non è finita qui: l’autore del lavoro ne perde anche la proprietà! Vale a dire che quel lavoro che io ho firmato e sul quale ho speso tre anni della mia esistenza (lavorativa), e che ho fatto per contribuire alla conoscenza, è diventato proprietà dell’Institute of Electrical & Electronics Engineers, come si evince dalla scritta in fondo, sotto al testo della prima pagina: 0278~0062/93$03.000 © 1993 IEEE. Non credo di essere in possesso di una stampa di quel lavoro perché ho distribuito le copie in mio possesso, a suo tempo. Quindi, se per esempio non fossi più un dipendente dell’università e volessi stamparne una copia, me la dovrei ricomprare!
Incontriamo così un nuovo concetto, nel nostro percorso: il copyright. E entra proprio a proposito della linfa vitale del mondo che ci interessa: la letteratura scientifica. Se qualcuno di voi ha voglia e pazienza può vedersi il video della conferenza fatta da Lawrence Lessig presso il CERN di Ginevra il 18 aprile scorso. Lessig sta facendo un gran lavoro teso ad adeguare la legislazione sui diritti d’autore alla realtà odierna che è già radicalmente diversa rispetto al secolo scorso – molto sinteticamente è l’ideatore delle licenze Creative Commons, di cui potete vedere un esempio anche in questo blog, alla voce Licenza nella colonna di destra. La presentazione che ha fatto al CERN concerne proprio la questione della letteratura scientifica.
Qui trovate il video della lezione, sottotitolato da Claude che ha anche partecipato alla conferenza, e che è stato già tradotto in varie lingue fra cui anche l’italiano. Il video dura 50 minuti ma può valer la pena di guardarlo perché si imparano molte cose e Lessig è uno che fa respirare bene.
Per chi non ha tempo, riassumo brevissimamente qui. Il copyright è stato introdotto, lodevolmente, per proteggere coloro che si dedicano ad attività creative, delle quali la società intera beneficia, ma che non sono di per se immediatamente remunerative. La società si fa carico della sussistenza di coloro che contribuiscono a tutti gli aspetti della cultura, che è un elemento fondamentale per la sua salute. Decisamente un’ottima idea.
Tuttavia, nel corso degli anni, la faccenda si è complicata perché, per la produzione di molte tipologie di opere, occorre un intermediario. Per esempio, per stampare un libro occorre un editore, che si fa carico del lavoro di stampa e distribuzione. Qui è sorta una questione: i diritti di autore riguardano di più l’autore o l’editore, o solo uno di questi?
Come ben sappiamo, in questo nostro mondo, chi ha più potere ha il coltello dalla parte del manico. Nel caso della letteratura scientifica succede che l’autore cede integralmente i diritti all’editore, come abbiamo visto nel mio piccolo esempio. Io sono pagato dall’università per fare questo lavoro e mi può anche stare bene così, immaginando che i proventi da tali diritti vadano a finanziare lodevoli attività scientifiche e comunque a diffondere la conoscenza. La cosa si guasta un po’ se si pensa che il mio lavoro in quel caso contribuisce a finanziare la IEEE, che è una società specifica e non la comunità intera. Peggio ancora se si pensa che quel lavoro è in realtà accessibile solo ad una élite di accademici. Un fatto questo che abbiamo toccato con mano nei tutorial, dove siamo riusciti ad avere una copia del lavoro unicamente perché siamo immatricolati presso l’università di Firenze che ha contratto un abbonamento con quel periodico.
Già da diversi anni la questione ha generato non poche preoccupazioni, e un diffuso sentimento di insofferenza ben motivato da questo grafico che Lessig ha mostrato nella sua conferenza (visibile a 16:52 del video).
Il grafico mostra uno studio condotto dall’American Research Libraries relativo ai costi dei periodici nel periodo 1986-2004. Lessig ha evidenziato l’andamento dei costi dei periodici, più ripido, e quello dell’inflazione, molto più lento. È evidente che qui il mercato è partito per la tangente, producendo profitti per attori specifici senza il beneficio sociale per il quale il concetto di copyright era stato ideato.
La dimensione e la gravità del problema è ben presente a chi può guardare alla ricerca in una prospettiva abbastanza ampia, tant’è che il 9 settembre 2008, 33 premi Nobel hanno firmato una lettera aperta, indirizzata al Congresso Americano, sull’importanza del’accesso libero alla letteratura scientifica. La traduco dall’originale (qui trovate il documento originale con i nomi dei firmatari – pdf):
9 settembre 2008
Illustri Membri del Congresso:
Quali scienziati e premi Nobel scriviamo oggi per supportare la Politica di Accesso Pubblico del National Institutes of Health che è stata istituita all’inizio di quest’anno con un mandato del Congresso. Questa è una delle più importanti iniziative che siano state mai prese in materia di accesso pubblico. Finalmente, scienziati, medici, operatori di sanità, biblioteche, ricercatori e migliaia di istituzioni accademiche e di aziende avranno accesso al lavoro pubblicato da scienziati con il supporto dell’NIH.
Per gli scienziati che lavorano alla frontiera della conoscenza, è essenziale accedere alla letteratura scientifica senza ostacoli di sorta. Sono sempre maggiori le difficoltà che scienziati e ricercatori di tutte le università, eccetto quelle finanziate più generosamente, incontrano per sostenere i costi crescenti degli abbonamenti alle riviste che forniscono la linfa vitale al loro lavoro. Un risultato fondamentale dell’iniziative di accesso pubblico dell’NIH è che così una quantità crescente di conoscenza scientifica si rende liberamente disponibile per coloro che ne hanno bisogno: oggi, attraverso Internet la disseminazione della conoscenza è facile.
La clientela di tale conoscenza non è costituita solo da un gruppo esoterico di scienziati e ricercatori che ampliano le frontiere della conoscenza. Un numero crescente di studenti accede a questi materiali per le competizioni scientifiche, sperimentando così dal vero il brivido della ricerca. Anche gli insegnanti che preparano i corsi necessitano di informazioni scientifiche aggiornate per complementare i libri di testo, inevitabilmente sorpassati. E soprattutto, il grande pubblico oggi vuole essere al corrente dei risultati scientifici che potrebbero interessare le proprie diagnosi e le proprie terapie.
La letteratura scientifica è la nostra eredità comune. È frutto del faticoso lavoro di centinaia di migliaia di ricercatori e i risultati che documenta sono essenziali per il progresso della scienza. Gli avanzamenti scientifici che possono condurre alla realizzazione di nuove terapie, diagnosi migliori o a applicazioni industriali innovative dipendono completamente non solo dalla letteratura specializzata, ma anche da letteratura riferita a discipline diverse. Una piccola scoperta in un campo, combinata con una seconda scoperta in qualche altro campo, completamente scollegato dal primo, spesso scatena quel’”Eureka” che dà vita a un clamoroso avanzamento. L’accesso pubblico rende questo possibile.
La tendenza attuale degli editori è sbagliata. L’iniziativa dell’NIH introduce una politica illuminata che risponde nel miglior modo alle necessità della scienza, degli scienziati che la praticano, degli studenti che la leggono e dei cittadini che la pagano. I legislatori che si sono attenuti a questa politica devono essere applauditi e ogni tentativo di indebolirla o invertirne la tendenza dovrebbe essere ostacolato.
Aggiungo un solo commento a ulteriore supporto di questo importante testo: Albert Einstein era un comune cittadino, impiegato presso l’ufficio brevetti di Zurigo, quando nel 1905 pubblicò l’articolo sulla teoria della relatività ristretta, forse il più rivoluzionario nella storia della scienza.
Questa lettera è un bel segnale che viene dalla sommità della piramide, ma la base si muove ben prima, sempre. E la base trova nel cyberspazio l’elemento naturale nel quale muoversi. In questo caso la base è costituita dai ricercatori, cioè da coloro che lavorano in concreto.
Nel 1991 Paul Ginsparg crea un repositorio per bozze di paper di fisica e lo mette in rete in modo che possa essere utilizzato da chiunque: ArXiv. Ginsparg è un mio coetaneo e ha avuto questa pensata esattamente mentre io stavo lavorando all’articolo di cui dicevo prima, cioè a 36 anni, un’età nella quale si sta ancora prevalentemente in laboratorio. Questo per chiarire cosa intendo per iniziativa che sorge nella base: sono i singoli, visionari e un po’ arditi, che vedono lontano, non i direttori dei grandi progetti e delle grandi organizzazioni.
Verso la fine del 2008 ArXiv ha superato mezzo milione di articoli scientifici in vari campi: astronomia, matematica, informatica, scienza nonlineare (questioni attinenti alla teoria del caos), biologia quantitativa e statistica.
La contribuzione all’archivio non è sottoposta a peer-reviewing ma solo ad una verifica di accredibilità, della quale l’autore non si accorge nemmeno se è affiliato ad un’organizzazione nota.
Sorge spontanea la domanda su quanto sia affidabile l’informazione reperibile in ArXiv, in assenza dell’usuale filtro di peer-reviewing. Si verifica in questo caso un fenomeno analogo a quello di Wikipedia: chi lo usa ci crede. Questo non toglie che non vi siano articoli di scarso valore ma pare che ve ne siano sorprendentemente pochi. Sono invece molti gli articoli di ottima qualità. Ci sono addirittura autori di grande prestigio che non si prendono nemmeno più la briga di pubblicare su giornali peer-reviewed. È famoso il caso di un grande matematico, Grigori Perelman: If anybody is interested in my way of solving the problem, it’s all there [on the arXiv] – let them go and read about it. (Se qualcuno è interessato al mio modo di risolvere il problema, è tutto là [s ArXiv] – che ci vadano e leggano).
Sulla base di tutti questi fatti, circa dieci anni fa è emersa una nuova modalità di accesso alla letteratura scientifica, denominata Open Access, con la quale si assume che tutta la letteratura scientifica debba essere a disposizione di chiunque, e non solo ad una ristretta cerchia di specialisti.
Nel 2003, con la dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla letteratura scientifica, è nato ufficialmente il movimento Open Access.
A questo punto lascio esplorare liberamente i curiosi, mi sono dilungato anche troppo. Concludo fornendo un po’ di riferimenti.
- Repositorio di risorse relative all’Open Access
- Directory di periodici Open Access, ricerca e liste
- Periodici Open Access segnalati dalla Biblioteca Biomedica di Firenze
Con l’occasione, segnalo anche il fatto che la Biblioteca Biomedica organizza dei corsi per l’impiego di PubMed, che potrete frequentare gli anni successivi per approfondire i tutorial che avete visto negli assignment precedenti.
un corso su pubmed farebbe bene a tutti…:D
un corso su Pubmed non mi farebbe altro che bene !!! 🙂
La mia preoccupazione sulla versione in italiano non era dovuta alla presunta figuraccia di mostrare gli strafalcioni di Google Translate attribuiti al mio nome (tra l’altro, con tutti i nick diversi che ho usato in rete credo che nessuno sappia chi sono, cosa che spesso mi chiedo io stessa LOL), quanto al dubbio che potesse venir travisato o peggio, fatto passare in modo superficiale e quindi sminuito il messaggio importante del video.
Succede serendipiticamente poi che cogliendo il cicaleccio sulla magnificenza delle banche dati mediche da queste parti :), si venga a sapere (nel chiedere un parere sul dubbio di tradurre copyright con “diritto d’autore – che in italiano ovviamente sono concetti con sfumature molto differenti – al proprio ex-docente di Diritto dell’informazione e della comunicazione – Nicola Lucchi di Unife) che esiste una banca dati giuridica nella quale qualcuno ha pubblicato un paper che remixa lo stesso Lessig Remixing Lessig.
Non sono riuscita a capire sotto quale licenza siano pubblicati questi paper, mi pare che siano scaricabili liberamente.
@gs
Molto bene, ognuno di noi può quindi provvedere a diffondere le informazioni e soprattutto la sensibilità riguardo a questo problema. Che ognuno di noi diventi un punto di diffrazione …
@roberta notanative
A me piace che questo guaio ci sia. Mi piace quando si vede il lavoro in divenire. A me piace il divenire. Non piace il finito, il firmato, il confezionato, il salotto, il morto.
Preferisco che le persone vedano il difettoso in divenire piuttosto che vedere il “perfetto” calato da chissà quale alto – è proprio questa la consapevolezza che va conquistata oggi – il risveglio de(a)ll’istruzione …
E questo episodio è S-T-R-E-P-I-T-O-S-O:
1) Mentre raccolgo materiali vari per introdurre gli studenti alla letteratura scientifica, mi piove fra capo e collo la lezione al CERN di Lawrence Lessig, la persona più quotata al mondo per parlare di copyright, altro argomento che dovrò proporre; e lo fa proprio a proposito della letteratura scientifica.
2) Per l’appunto lo fa nei pressi di dove si trova Claude, creatura poliglotta, letterata e ardita smanettona che ho conosciuto un anno fa per caso in rete.
3) Claude si mette trascrivere il video e a curare il coordinamento della traduzione in un wiki.
4) Roberta notatative, altra ardita smanettona, si mette a fare la traduzione in italiano.
Io raccolgo frutti …
@Davide
… raccolgo frutti da tutte le parti, come questo, dove mi viene rammentata la Public Library of Science, che avevo dimenticato!
Tre anni sono pochi. Sì, se consideri la modalità tipica di lavorare, dove in realtà il lavoro di un ricercatore si distribuisce fra un certo numero di attività; inoltre, il fatto di lavorare quasi sempre in gruppo, tende a dilatare ulteriormente i tempi. Ho portato proprio quell’esempio perché è un caso particolare, nel quale io mi sono occupato quasi esclusivamente di quello. È un lavoro fatto solo di matematica e simulazione al computer, che non ha richiesto nessun problema di accesso a strumentazioni o laboratori. La stima esprime quindi abbastanza fedelmente il tempo netto di impegno dell’uomo. Quello stesso impegno, trasferito in una qualsiasi altra situazione – usuale – si diluirebbe tranquillamente in un tempo anche doppio.
Grazie per aver alimentato ulteriormente il fuoco …
Segnalo, alla voce pubblicazioni scientifiche “open”, la Public Library of Science
http://www.plos.org/
che pubblica un certo numero di riviste open in ambito scientifico e biomedico.
Ed alle osservazioni sui tempi dell’editoria tradizionale (tre anni sono pochi – ho visto lavori palleggiati anche per tempi più lunghi, fortunatamente non in ambito medico), vorrei aggiungere la questione dei costi, tanto per buttar benzina sul fuoco.
Poiché l’editore, per pubblicare sulla sua rivista scientifica il mio articolo, mi richiede una partecipazione alle spese di pubblicazione (e non parliamo di un paio di banconote da venti), e allo stesso tempo richiede una salata quota di abbonamento per garantirmi l’accesso alla rivista.
E considerando che i referee non sono pagati, diventa interessante domandarsi dove vadano a finire i quattrini così ramazzati, visto che spesso anche riviste di primissimo livello pubblicano bufale tra il tragico ed il comico (l’uomo geneticamente affine ai cetacei; risultati basati su grfici statistici stampati capovolti; petrolio in Tibet sulla base di fossili mai visti…), e mostrano in alcuni casi una qualità grafica e testuale infime, o sono stampate su carta da pizza.
Lo so, parlar di quattrini è poco elegante, ma io sono stato ricercatore indipendente (= non posso permettermi di pubblicare, non posso permettermi di abbonarmi) per molti lunghi anni.
C’è poi la storia della circolazione delle idee, ma su quella, magari, ci faccio un post sul mio blog.
Aiut, aiut, sono io che sto editando la versione italiana dei sottotitoli del video di Lessig traducendoli dall’originale che Claude ha messo a disposizione. Ho (purtroppo) voluto provare Google Translate, perciò la sottotitolazione risulta terminata ed è fruibile così com’è (ovvero una mezza sciatteria a tratti incomprensibile). La sto praticamente rifacendo daccapo e sono arrivata circa al 20′. Il guaio, e cercheremo di farlo presente a Universal Subs, è che non è possibile salvare il lavoro come bozza e pubblicarlo quando è effettivamente finito e revisionato, specialmente per video abbastanza lunghi e di un certo impegno nelle tematiche come questo, che richiederebbe delle cognizioni legali e scientifiche in mancanza delle quali serve un po’ di tempo in più per assicurarsi di non travisare il senso. Se a qualcuno interessa, Claude ha anche un Wiki sull’andamento delle sottotitolazioni nelle varie lingue http://etcjournal.wikispaces.com/Lessig_Architecture_A2K
Devo dire che il video di Lessig mi ha in parte tranquillizzato circa le possibilità di giungere, in futuro, a un mondo della conoscenza interamente Open Access. Tuttavia, mi ha anche molto inquietato circa lo stato attuale delle cose. Sapere di siti divulgativi che impediscono l’accesso a un grafico(un semplice grafico!) perchè “il titolare dei diritti non ha concesso le autorizzazioni per riprodurre questo elemento nei media elettronici” non mette certo di buonumore, così come apprendere che solo una ristretta élite ha libero accesso a tutte le pubblicazioni mentre la ‘gente comune’ dovrebbe spendere, per fare lo stesso, un bel po’ di quattrini mi ha provocato una certa indignazione.
Comunque, sono contento di essere stato sensibilizzato su un problema che fino ad ora conoscevo solo in parte.