Basta esserci

“Io sono stanco di compiti, facciamo qualcosa al computer?”

“No, andiamo fuori” risponde Alice.

È vero, io mi annoio presto, anche se sono “grande”, ma in realtà ho percepito in lei qualche segno di stanchezza dopo mezz’ora di “alfabetiamo: i suoni dell’italiano”, ottimo materiale didattico trovato in rete (Italiano Lingua Due), su cui lavorare con lapis e gomma. Del resto, in mezzo secolo di vita, il mio tempo di attenzione reale – dico reale – non ha mai superato il quarto d’ora, se impegnato in qualcosa imposto dall’esterno. Questo non ha niente a che vedere con la concentrazione che deriva da una forte motivazione interiore, che è tutta un’altra cosa.

Non ho quindi difficoltà a percepire la stanchezza di Alice, e insistere ulteriormente vorrebbe dire sprecare tempo. Le ho allora chiesto se volesse fare qualcosa al computer, pensando magari di elaborare insieme un piccolo video che avevamo girato i giorni scorsi. Ma la proposta, che così formulata avrebbe potuto significare anche qualche video gioco, è stata rifiutata. Allora mi sono venute in mente le preoccupazioni discusse non tanti giorni fa con i genitori. Preoccupazioni del resto condivise da un’intera generazione di genitori, direi. Questa nostra generazione che si trova a disagio di fronte alla confidenza che i propri figli, sin dalla più giovane età, mostrano di avere con strumenti e mondi ritenuti alienanti se non addirittura pericolosi.

Si potrebbe discutere molto sul bene e sul male delle tecnologie e su come trasformare il male in bene, ma il fatto interessante qui è la controproposta di Alice, che abbatte in un sol colpo tutti i timori sulla sua potenziale dipendenza da giochi computerizzati più o meno stupidi. È evidente che lei ha passato molto tempo al computer, nella sua vita precedente. Ho più volte constatato che è a pieno titolo una “nativa digitale”, con le competenze e le ignoranze che ciò comporta. Di primo acchito quindi la reazione di Alice mi sorprende ma poi rifletto, piacevolmente, su come abbiamo passato il tempo in questi giorni; diciamo mediamente un paio d’ore al giorno da circa una settimana, così suddivise: una mezz’ora al giorno di lavoro “scolastico”, al tavolo con lapis e gomma, talvolta un esercizio online, sempre Google Translate in soccorso – a proposito, abbiamo scoperto che c’è l’icona di una tastiera che diventa una tastiera nella lingua da cui tradurre, il problema degli accenti ungheresi è quindi scomparso. Il resto del tempo è stato passato alla Tom Sawyer, a giro per il giardino e per i campi: cogliere fichi – ormai un rituale quotidiano – esplorare il tetto della stalla, stare in mezzo alle capre, arrampicarsi in vetta al querciolo per gettare le frasche alle capre, soffermarsi dietro ogni insetto strano, quello che buca, quello che puzza, quello che salta, quello che è bello, quello che non s’era mai visto, cogliere more per portarle a casa, finirle prima di arrivare a casa, sostituirle con ghiande che andranno ad arricchire un misterioso tesoro che va accumulandosi a casa, disseppellire un vecchio cartello stradale arrugginito, come fosse un reperto archeologico – “Un dipinto egiziano!” ha dichiarato eccitatissimo Vladimiro – bambino polacco che è qui dal alcuni mesi e che spesso si unisce alla combriccola – pulendo il cartello con una ciocca di pino come fosse uno spazzolino da archeologo – confrontare i graffi dei rovi …

E che fa il “grande” in questo bailamme? Quasi niente, segue e ascolta. Ascolta. Risponde alle domande, quando capitano, suggerisce incidentalmente, soccorre se necessario, media se necessario. Viene naturale. Intanto il lessico si irrobustisce da solo, esercitando l’equilibrio sul querciolo – aspetta … passo io …vieni pure – imparando a camminare sul tegolo scansando il coppo, sul tetto della stalla, chiamando, rispondendo, esclamando, ritrovando – la “schiena studiata” in “Alfabetiamo … è ricomparsa guardando la pelle del serpente: le squame della pancia son diverse da quelle della schiena, e da quelle della testa – ah la vipera le ha diverse! – ah guarda ci sono i fori degli occhi!

Questo ha preferito Alice ai videogiochi, che pur conosce assai bene. E credo che tutti i bambini preferiscano questo, purché si assicuri loro lo spazio vitale nel quale i cuccioli d’uomo e anche tutti gli altri cuccioli sono cresciuti in decine di migliaia di anni. Basta esserci. Giusto esserci, ma per davvero e no per finta.

8 pensieri riguardo “Basta esserci”

  1. oggi mi sono persa nel bosco… è ho pensato che forse lì avrei potuto condurre del gruppetto di bambini del doposcuola che della scuole-chi-se-ne-infischia. Già scuola fatto di muri, scale, banchi, sedie (state seduti e zitti!) ed occhi…che cercano la fuga oltre quel vetro della finestra che guarda sul bosco… Mi viene sempre da sorridere quando penso a Newton: ma quante serendipiche mele sono cadute prima che quella mela “tentasse” la sua intelligenza e divenisse, quindi, sapienza della legge di gravità? e in questa storia la scuola, per fortuna, non c’entra. 🙂

  2. A me sembra di no. Far crescere una bambino sereno è come dargli una chiave di lettura della realtà. La realtà (compiti compresi) è intorno a noi, non deve essere necessariamente dentro di noi. Se un bambino imparasse che quello che lui vale (e dunque anche il suo sentire, pensare, essere) dipende dal giudizio di qualcuno io penso ne faremmo una persona che vive a pugni stretti in perpetuo conflitto.
    Dico anche che a me è, almeno in parte, accaduto: ma erano altri tempi e c’era anche tanto spazio per i sentimenti, per l’affetto e il comunicare. Ma non è stato facile recuperare.
    Alice, alla peggio, potrebbe perdere qualche punto, nei confronti di questa scuola sussiegosa che vive e respira un ridicolo rigore (e vorrei dire anche di peggio, ma sorvolo) e si vanta di bocciare. Ma se gli altri adulti che le sono vicino le infondono serenità qualche punto perso ora sarà recuperato con abbondanza in seguito.
    Non si impara solo dalla scuola, grazie al cielo.

  3. codesti passaggi allietano il cuore

    mi trovo impelagato in un lavoro che fatico a finire per la scadenza del 24, quando dovrebbe iniziare un corso, ma avrei da dire delle cose sul proseguio delle vicende di Alice

    giusto ieri sera mi è stata mostrata una pagina del suo diario, piena zeppa delle stesse assegnazioni fatte ai suoi compagni

    queste masse di compiti vengono poi in larga parte supportate dai genitori, causando un’ulteriore sperequazione fra chi può e chi non può, ma soprattutto lasciano i bambini dove si trovano, che anzi si diseducano a fare le cose per davvero

    per non parlare di quelli come Alice, che non hanno alcuna possibilità di capire alcunché in questa massa di testi, scritti non poco spesso, fra l’altro, con un linguaggio del tutto inadeguato all’età dei lettori

    i genitori di Alice mi chiedono lumi sconfortati – che fare?

    dico io – badate, badiamo, a far sì che continui a crescere così serena, aiutandola a imparare ciò che può imparare; su questa base di serenità, successivamente potranno essere recuperati tutti i ritardi possibili; e non sono solo i ritardi, perché avere affrontato un situazione in più vuole dire essere cresciuti di più

    sbaglio?

  4. Ripenso a questo post ogni volta che il web viene proposto come metodo e non come strumento di didattica.
    E mi piace da morire quel “resto del tempo è stato passato alla Tom Sawyer”. Lo auguro a tutti i ragazzini, sono loro che potrebbero salvare questo mondo.

  5. L’esserci, ed “esserci, ma per davvero e no per finta” è, io penso, proprio il senso più giusto dell’insegnare. Insegnare, non indottrinare o sovrapporsi, ancor meno esibirsi (sciocco vizio troppo comune). I veri maestri sono sempre in modalità di attesa. Naturalmente qui si ci sarebbe tanto da raccontarsi. Ma, per l’appunto, ci siamo e attendiamo.

  6. Bellissimo post professore!IE poi il gusto di raccogliere un fico con le proprie mani direttamente da un albero o di giocare con l’immaginazione anche per le “scoperte” più stupide e banali correndo in mezzo alla natura sono piaceri difficilmente sostituibili da un videogame…:)

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