C’è un post interessante sul tema dell’ascolto, di Alessandra, al quale volevo fare un commento per avvalorarne e ampliarne delle parti e replicare ad altre, anche in susseguenti commenti. Tuttavia, pare che il blog rifiuti commenti oltre una certa lunghezza. Lo scrivo quindi qui, perché è un tema che mi ossessiona e sul quale ho scritto diverse volte, come per esempio qui.
L’ascolto mi pare raro, ben prima e al di fuori di internet.
Erano ascolto i nocchini dolorosi che ci somministrava la maestra, a detta di tutto il paese eccellente, quando nel 1962 non capivamo le sue spiegazioni urlate della divisione?
Era espressione di ascolto la raccomandazione alla medesima maestra, fatta dalla mamma di un mio compagno – La lo picchi se non capisce perché gli è zuccone!
Era ascolto quello del proposto che ci faceva dottrina e ci spiegava che noi eravamo creature che tendevano sempre al male, per propria natura?
Era ascolto quello del prete della mia parrocchia che, quando mi sorprese seduto da solo su una panca in chiesa, un giorno strano ove chissà perché avevo colto un qualcosa di magico in quel silenzio che pareva mi parlasse un lingua dolce e affascinante, mi fece severo – Che fai lì? Se preghi da solo hai sicuramente fatto qualcosa di male!
Era ascolto quello delle famiglie in pieno boom economico, tutte tese a lavorare a testa bassa per mettersi il frigorifero in casa, ognuno chiuso nel proprio bugigattolo?
Era ascolto quello della maggior parte degli insegnanti che s’accontentavano di due bischerate buttate giù a memoria?
Era ascolto quello di quegli insegnanti che furono, una decina di anni fa, incapaci di capire il prodotto di un ragazzo di genio, che se ne tornò avvilito a casa? Un prodotto che riportato in un corso del primo anno di matematica, fu dichiarato degno di una tesi di laurea? Un ricordo che mi ferisce ancora il cuore.
È ascolto quello di quei due ingegneri con i quali mi son trovato in un’occasione istituzionale l’altro giorno, professionisti anziani, con una vita di successi professionali alle spalle, che conversando essendosi appena conosciuti, parlavano su due binari indipendenti sfoggiando rispettivi ruoli e conoscenze importanti?
È ascolto quel cicaleccio vuoto e evanescente che satura miriadi di locali nelle happy hour, ormai estese a tutte le ore, come le partite di calcio nella settimana?
È ascolto quel vuoto di comunicazione che è oggi un ateneo? Vuoto di comunicazione con gli studenti, vuoto di comunicazione fra i docenti? Eccetto le trame sotterranee e gli eventi istituzionali che tali trame celano.
È ascolto quello di coloro che non rispondono alle email? Deprecabilissima abitudine che massimamente affligge persone di rango elevato, per esempio tantissimi miei colleghi che hanno scambiato internet per un luogo dove si può fare quello che si vuole, sbagliando di grosso?
Il problema dell’assenza di ascolto c’è, è vero, ma è un male cronico, di origine antica e a che vedere con la caligine di una falsa cultura, autoreferenziale e nata morta.
Internet non è altro che lo specchio di Dorian Gray: riflette come sei dentro. Le persone di valore, che sanno spremere positività dalla realtà che le circonda, che sono realmente curiose del mondo, che lo ascoltano, che amano veramente mettersi in gioco, come fanno i bambini prima che vengano sciupati, ebbene queste persone riescono a trovare valore in ogni spazio, che sia cyber o meno. Conosco ottanteni che usano la rete in modo strepitoso. Conoscono tanti ventenni e tanti cinquantenni che non cavano un ragno da un buco, di là e di qua dallo schermo. Molte parole dette, zero comunicazione.
P.S. Dello scrivere.
Com’è che quando gli umani godono di una vera libertà quasi ne sono intimoriti, disorientati, se non addirittura infastiditi? E quando invece non ne godono, se ne crucciano un po’, sì, ma molto più spesso quasi quasi ci si annidano tranquilli?
Ma allora, per anni ho sentito la gente lamentarsi che nessuno scriveva più. E in effetti il nostro è un popolo che chiacchera parecchio ma legge poco, scrive pochissimo e spesso conclude ancora meno. Ora, che c’è qualcosa che facilita la scrittura, e che talvolta induce alla scrittura, no, non va bene nemmeno questo. Troppe parole. Scusate, ma non è meglio che un po’ di gente passi il tempo a comporre periodi, anziché stare a guardare un numero inverecondo di ore le sciocchezze vomitate dalla televisione? Attività questa che è stata assolutamente predominante nella mia pessima e vuotamente saccente generazione! Certo, non saranno tutti scritti di gran livello, ma allora, possono scrivere solo gli eletti? No, non sono d’accordo. Dobbiamo lavorare molto sulla capacità di cogliere il positivo e lavorare per sviluppare quello.
*** 🙂 ***
ASCOLTATE… la sentite la mia emozione?
è proprio come quella di una bambina, essìa…
ho installato il mio primo programma editor per scrivere in HTML, per chi lo sa fare è una sciocchezza, per chi ha la fobia da HTML è una grande carica.
Mi sento proprio come una bambinetta che ha capito … magari anche solo cos’è l’addizione, di fronte alla conoscenza datata di un professorone non è niente, ma per una bambina è un grande traguardo. Prendetemi per quel poco che sono… ma prendetevi tutta la mia stima, perchè se non era a causa vostra io non sarei qui a gioire. Sorridete con me 😉
Meno male che non vale per tutti gli insegnati. Anzi, fortunatamente, la maggior parte dedica del tempo all’ascolto tanto che una mamma al termine di un incontro, in cui i genitori avevano potuto confronarsi su un progetto che aveva coinvolto i loro figli ,aveva concluso:
“Siamo abituati a pensare alla scuola come un’agenzia che elargisce sapere. Se l’esperienza che hanno vissuto i nostri figli è stata come la nostra, sicuramente li ha arricchiti perché li ha trasformati da semplici ascoltatori passivi in persona che nel futuro si porranno interrogativi e non si adegueranno al pensiero dominante”.
E’ ascolto quello che chiedono i genitori agli insegnanti. Questa riflessione mi nasce da una conversazione avuta con mio figlio che si occupa dei bambini durante il post orario e che tutti i giorni incontra i genitori che si fermano, chiedono , conversano e si confrontano con lui su problemi che dovrebbero a mio avviso affrontare con i docenti. Ma i docenti dove sono?
Il dialogo nasce in molti modi Alessandra, come diceva Marvi a lei pareva che nessuno seguisse il suo blog ma i contenuti sono passati tanto è vero che ha avuto molte adesioni per il suo corso. Il dialogo nasce se uno comunica cose interessanti se no non nasce nulla. Almeno io la penso cosi.
Monica, allora se non nasce un dialogo la colpa è di chi non è capace di generare ascolto? Allora, il problema dell’ascolto è un falso problema… Tutti ci ascoltano? “Interessante” è una categoria universale?
Marvi, domanda legittima: anch’io ti ascolto e mi piace ascoltarti! Per quanto mi riguarda, è banale mancanza di tempo e, grazie a questo dibattito, son qui a dirtelo e a cercare di riparare.
Benedetta, bello questo mettere a confronto i dizionari! Allora, data la discrepanza, qualcosa non funziona, effettivamente…
vi saprò dire…
Dopo che ho cominciato a pensare e costruire il mio blog, abitato da pochi, mi sono detta qualcosa non funziona, perché nessuno mi risponde, e vero che non pubblico tante cose, ma perché vorrei uno stimolo….
è arrivata invece una risposta, 50 persone stanno partecipando al mio corso sulla lim, allora mi hanno sentito, ma perché non rispondono.
Vi saprà dire….
La preoccupazione di Alessandra è più che lecita; anche io intravvedo una certa solitudine nella blogosfera, pure intrecciata di appetibili Blog. Forse, ho imparato in questo corso ad approcciarmi diversamente al mezzo tecnologico e al luogo dove si può (virtualmente) stare insieme agli altri. E’ chiaro che non avverto quel “calore” tangibile che mi deriva da un reale scambio umano, ma sento il “colore” che i fruitori di Blog mi aiutano a percepire.
Se prima vedevo il mio Blog appassito, ora lo vedo rinvigorire di giorno in giorno; non mi aspetto che tutti commentino, ma so che mi “ascoltano” leggendomi e io li “ascolto” leggendoli, intreccio i miei post con quelli degli altri.
Insomma, è cambiato il modo di comunicare ed è un dato di fatto irreversibile.
Mi basta, non mi basta, meglio prima, peggio ora.
Non credo che la questione vada portata in questa sterile direzione.
Piuttosto, penso che questi sono gli attuali sistemi “comunicAtTivi” ed io ho deciso di adeguarmi, di imparare a fare per esserci virtualmente, cercando di trovare il meglio, senza farmi trascinare nel vortice dell’onda tecnologica.
*Il contributo sull’ascolto, che trovate nel mio Blog, va in questa direzione. Parlo di ascolto e dico la mia sul mio Blog; può darsi che qualcuno abbia voglia di ascoltarmi, forse no, forse qualcuno mi risponderà, non so, ma questo è fare comunicazione ad ampio raggio; ciò mi elettrizza o meglio scalda la pseudo-solitudine della Blogosfera.
*Contributo:
http://risorsemaestra.blogspot.com/2012/01/io-ascolto-tu-ascolti-egli-ascolta-noi.html
@Andreas, “Il problema dell’assenza di ascolto c’è, è vero, ma è un male cronico, di origine antica e a che vedere con la caligine di una falsa cultura, autoreferenziale e nata morta”.
Io penso che il problema non sia l’ascolto, ma chi ha dei messaggi da comunicare deve saperli proporre. Se ciò che si cumunica è interessante, tutti ci ascoltano, ma se è una cosa noiosa, o detta in malo modo, non si ascolta più. E’ quello che stiamo facendo qui, ci sono tante cose nuove, interessanti, utili e spendibili nel nostro lavoro, allora ascoltiamo(certo non con la funzionione uditiva, perchè questo è un blog, ma sempre ascolto è). Insomma qualcuno diceva che il mezzo è il messaggio, ma questo non basta bisogna vedere che tipo di messaggio è…
Andreas, la risposta alle tue domande è no, ovviamente. In ognuna delle dimensioni che efficacemente descrivi, non c’è ombra d’ascolto. Analogamente, riguardo al “Dello scrivere”, credo sia indubbio che quel che ha la capacità di fare il web 2.0, ossia declamare la condivisione, sia intrigante e foriero di preziose opportunità anche emozionali, di là dalla qualità di quanto è scritto. La mia riflessione nasceva dal timore che anche in questo caso [direi soprattutto (purtroppo) giacché si tratta pur sempre di una comunicazione mediata da una tecnologia] si possa non sviluppare dialogo ma “monologhi che s’intrecciano”, come dicevi nel post precedente. L’esempio dato da un social network come Facebook è paradossale: qual è l’intento comunicativo alla base di un post con cui s’informano gli “amici” (?) che alle 15,10 s’è bevuto un caffè d’orzo in San Babila? A chi interessa? Come cambia la vita dopo quest’informazione? E’ paradossale, l’ho detto, ma spostiamo per un attimo il nostro centro d’interesse nella blogosfera: non corriamo il rischio di fare la stessa cosa? Lo scrivere fine a se stesso e che non s’interroga sugli interessi dei propri interlocutori produce dialogo? Non è anche questa una forma di competizione, per certi versi, come quella di cui parlavi nel tuo precedente post sull’ascolto? E se non nasce un dialogo, è colpa di chi non è capace di generare ascolto, di chi non ascolta, di entrambi… Sono domande che mi son fatta nel momento in cui m’è capitato di notare che i cerchi concentrici di cui parlavo si sviluppano per nulla in alcuni casi, molto in altri, un po’ sì e un po’ no in altri ancora e non credo sia legato alla qualità dei temi proposti, tutti interessanti, senza dubbio. E poi c’è un problema non trascurabile: il mezzo tecnologico modifica la prossemica della comunicazione e isola gli individui, in qualche misura, dai linguaggi paraverbali e da quelli non verbali. Con il mezzo tecnologico a far da barriera, non c’è che un modo per rendere attivo l’ascolto: scrivere. Se un post non genera dialogo con la produzione di commenti scritti, non si ha mai la certezza di essere stati ascoltati, anche se chi ha letto ha sorriso, annuito, deplorato scuotendo la testa, riflettuto… Di questo mi son trovata a ragionare: del senso di solitudine, reale o contrabbandato, che anche in una dimensione tanto rivoluzionaria da modificare lo spazio e il tempo, come dice Levy, può accadere di avvertire. D’altra parte, per formazione o per via di ciò che il mio professore di filosofia chiamava “fondamento che natura pone”, ognuno di noi è vocato, in misura diversa, all’espressione di sé o all’ascolto e questo, probabilmente, fa anche sì che ognuno di noi abbia una percezione diversa di questa possibile solitudine. Certo, siamo alla presenza di una rivoluzione autentica e su questo concordo con Luca Sofri, ma proprio per questo non credo sia peregrino dibattere anche di questi aspetti emozionali soprattutto pensando all’uso che fanno gli adolescenti di questi strumenti. Mi viene sempre in mente la simpatica domanda di Jeremy Wagstaff: “Un giorno i vostri nipoti vi salteranno in braccio e chiederanno ‘Nonno, nonna, generica figura di avo, cosa facevi durante la Grande Rivoluzione dei Blogs?'”. Già, che facciamo? Scrivere va bene, ma poi “dobbiamo lavorare molto sulla capacità di cogliere il positivo e lavorare per sviluppare quello”, come molto giustamente affermi, Andreas. Vedo la seconda cosa un po’ più complicata della prima.
🙂
Ho avuto modo di partecipare ad un interessantissimo incontro presso un insolito Caffè-cultura: qui si posono prendere a prestito libri, leggiucchiarli e sfogliarli lì e portarli a casa. E’ implicita la lealtà di chi si accinge a fare questa operazione di prestito non registrato: riportare il libro letto. In questa occasione ho assistito al commento pubblico di molti attorno ad un libro scritto e da un ragazzo di 18 anni di nome Romeo. Interessante il libro (mi sono fidata di C’Era l’H…) e interessante il fatto che un giovane abbia scritto. Le sorprese non sono terminate, perchè quella stessa sera mi hanno presentato Martina al secondo anno di liceo: ha pubblicato un libro fantasy scritto mentre frequentava le scuole medie. Da subito mi è venuta un’idea: portare questi due giovani testimoni a raccontare sè e farsi intervistare dai ragazzi delle scuole medie del mio paese. Chi lo ha detto che solo i grandi fanno cose da grandi? chi lo ha detto che bisogna prima diventare grandi? chi lo ha detto che i giovani non sono più capaci di…? CHI lo ha detto non vale proprio la pena di ascoltarlo. Tacciamo le parole inutilie vuote, largo CHI ha talento, ma per sentire dobbiamo ASCOLTARE