Sono nel mio studio, dopo cena, dove conduco una sessione online mediante il servizio web WiZiQ. Alle 21 si apre la sessione e sono già quasi tutti presenti in “aula”, mi accorgo di essere in ritardo e allora metto nel computer un CD facendo partire Mustang Sally (versione di Joe Cocker), così gli studenti mi vedono intento ad armeggiare al computer ma intanto sentono qualcosa … pare una buona idea ma mi viene un dubbio: e i diritti d’autore?
È chiaro che ascoltando un CD (comprato regolarmente) a casa non infrango alcuna legge. Tuttavia le note vengono distribuite attraverso il microfono del computer in una sessione pubblica alla quale partecipano persone in varie parti d’Italia, oltre a qualche straniero di passaggio che chiede “What’s going on here?”. Sono in regola con le leggi sui diritti di autore?
Le problematiche relative ai diritti d’autore già sono emerse, qua e là nel (per)corso. L’ultima che ricordo è la segnalazione fatta da Laura nel suo blog del libro Abolire la proprietà intellettuale. Il suggerimento di Laura viene come il cacio sui maccheroni, perché non sono mai riuscito a liberarmi dal dubbio che, seppur nato con un intendimento condivisibile, il concetto di diritto d’autore sia servito molto più a tutta una serie di intermediari che non agli autori veri e propri. Gli amici che di arte vivono, ma che non sono ai vertici delle classifiche, mi assicurano che il regime di protezione che dovrebbe derivare dall’esercizio dei diritti d’autore, ha procurato loro maggiori spese che non profitti. Come dire: la protrezione dei diritti d’autore funziona per gli artisti al top e tutto il grande indotto commerciale che gravita loro intorno, funziona invece molto meno, se non all’incontrario, per la prevalente massa degli artisti che non sono al top, ma la cui funzione creativa è sicuramente assai più rilevante dal punto di vista culturale e sociale. Giova, dicevo, al grande indotto commerciale ma anche ai carrozzoni burocratici che si sono arroccati in comode posizioni di privilegio nutrendosi materialmente della creatività altrui, e arrivando a perpretare delle pratiche abominevoli, come quella del blitz della Siae ad una festicciola informale dove sono stati multati dei bambini di Cernobyl che volevano ringraziare per l’ospitalità con delle canzoni popolari bielorusse emesse da un paio di casse collegate a un computer. Un episodio che fa andare il sangue alla testa. Il parassitismo praticato da tante organizzazioni che per un verso o per l’altro riescono a lucrare sulla creatività altrui, procurando un valore aggiunto nullo, se non negativo, alla società, si presenta in varie forme, quale per esempio, in un altro contesto, quella dell’editoria scientifica accademica, che avevo descritto nel post I signori della scarsità.
Laura fornisce due link che consentono di farsi un’idea del contenuto del libro: un post di Laterza e uno di post di LAVOCE. Gli autori distribuiscono liberamente la versione digitale dell’originale in inglese. Come in tanti altri casi, lo leggerò e poi ne acquisterò una copia.
È importante che noi tutti ci rendiamo più consapevoli delle questioni inerenti ai diritti d’autore, e non solo nella veste di consumatori, ma soprattutto di autori, quali tutti oggi siamo, grazie al supporto delle tecnologie di rete. E non è facile, perché la materia è intricata e si è evoluta in maniera complessa nel tempo e non uniformemente nei vari paesi. Basti pensare che le espressioni, sovente considerate una la traduzione dell’altra, copyright e diritto d’autore, sono di fatto piuttosto diverse, restringendosi la prima ai diritti di riprodurre un’opera, ed estendosi l’altra anche al concetto di diritti morali degli autori.
Nei riferimenti che vi darò potrete anche approfondire questo, se volete, ma prima delineiamo la materia con il minor numero possibile di parole, al fine di fissare un paio di concetti che spesso vengono fraintesi.
In tutte le legislazioni attuali, il diritto d’autore è assegnato automaticamente a chiunque crei un opera che sia fissata su di un supporto stabile. In altre parole, i diritti in questione nascono insieme all’opera stessa, senza il bisogno che l’autore faccia o dichiari alcunché a chicchessia. Per esempio senza che apponga diciture del tipo ©PincoPallino. Con l’avvento massificato delle tecnologie di rete, che azzerano o quasi i tempi e i costi delle comunicazioni, una simile concezione “assoluta” dei diritti d’autore, rischia di risolversi in un grave impedimento alla creatività e alla innovazione, perché viene meno un delicato e importante equilibrio fra l’esercizio dei diritti sulle proprie opere e la libertà di fruizione delle opere altrui, necessarie a creare le proprie. Ecco che così sono comparsi strumenti come le licenze Creative Commons (o altre similari) mediante le quali, qualsiasi autore, ognuno di voi, può decidere esattamente a quali diritti rinunciare per facilitare la fruizione della propria opera da parte della comunità. È importante rendersi conto che le licenze del tipo Creative Commons non asseriscono quali siano i diritti di proprietà, perché questo lo fanno le leggi vigenti in materia, ma forniscono uno strumento agli autori per modulare i propri diritti, a seconda dei propri ideali e delle proprie esigenze.


Questi sono i fatti essenziali. Quasi certamente molti di voi sentiranno la necessità di approfondire. Vi propongo due principali riferimenti. Il primo è Bound by Law, un fumetto creato da Keith Aoki, cartoonist e professore della Oregon School of Law, James Boyle, giornalista del Financial Times online e professore alla Duke Law School, Jennifer Jenkins, documentarista e direttrice del Duke’s Center for the Study of the Public Domain.
Ho conosciuto questo fumetto come testo da studiare per un corso online che ho frequentato come studente nell’autunno 2007: Introduction to Open Education, tenuto dal prof. David Wiley (ora alla Brigham Young University) presso la Utah State University. È un’opera interessante sia per il contenuto, volto a far capire concetti poco commestibili – per me lo sono pochissimo – ad un pubblico non preparato in materie giuridiche, ma anche per il metodo, con il quale dei professori universitari affidano il loro messaggio ad un fumetto. Un’avvertenza è tuttavia doverosa, prima che affrontiate questa lettura: non fate molto caso ai dettagli, come potrebbero essere le date di entrata in vigore delle leggi, perché queste si riferiscono al contesto statunitense, ma focalizzatevi sui concetti generali, che sono esposti molto efficacemente nel fumetto.
Se la lettura di Bound by Law può essere un ottimo modo per introdursi all’argomento, per un maggiore approfondimento, nonché per un riferimento specifico al contesto italiano, è ottimo Capire il Copyright di Simone Aliprandi.
Ambedue i testi sono scaricabili da Internet in formato pdf e ambedue possono essere acquistati in formato originale per cifre modeste. A suo tempo, io li ho letti nella versione digitale free e poi li ho acquistati, per prestarli in qua e là a amici poco avvezzi o poco formati alle frequentazioni del cyberspazio. Qui di seguito scrivo due righe per coloro che sul momento non hanno il tempo di andarsi a leggere i suddetti riferimenti.
La storia del diritto d’autore è relativamente recente. Un tempo, artisti, autori e scienziati vivevano in buona parte grazie al fenomeno del mecenatismo. Negli ultimi due secoli, in modo progressivo e di concerto con lo sviluppo dell’economia moderna, sono comparsi strumenti giuridici in grado di assicurare a queste figure i proventi necessari per vivere. Il diritto d’autore quindi, sebbene oggi da molti visto come un impedimento per il libero fiorire della creatività, è stato concepito come una tutela del potenziale creativo della comunità.
Oggi il diritto d’autore è “automatico”: Chiunque crei un’opera originale di qualsiasi tipo acquisisce automaticamente i diritti d’autore. Questo sembra essere un meccanismo lodevole ma l’applicazione estrema e sistematica del meccanismo di protezione crea un grosso problema. Infatti, in varie forme di espressione artistica, è inevitabile utilizzare parti di opere preesistenti. Del resto questo è un tratto essenziale della creatività umana: nessuno crea dal niente o, come scrive Nelson Goodman, il fare è un rifare.
Il concetto è illustrato molto bene nel fumetto Bound by Law, dove la protagonista Akiko vorrebbe realizzare un documentario sulla vita di New York ma presto si rende conto che è praticamente impossibile evitare di includere immagini e brani sottoposti a diritti di autore, pena lo svuotamento di significato della stessa opera che vorrebbe realizzare.
La questione critica oggi è trovare il compromesso ottimale fra la tutela dei diritti sulle opere ed il libero accesso alle medesime. In altre parole, ogni autore da un lato ha bisogno che i diritti sulle proprie opere siano salvaguardati ma dall’altro ha anche bisogno di accedere alle opere altrui liberamente oppure a fronte di costi sopportabili.
In realtà, proprio a causa di questo problema, le legislazioni dei vari paesi prevedono degli strumenti che sono concepiti proprio con il fine di aggiustare un compromesso del genere. Nella legislazione statunitense, il Copyright Act prevede lo strumento del Fair use che esime gli utilizzatori dall’assolvimento degli obblighi previsti dai diritti d’autore, per scopi di discussione, critica, giornalismo, ricerca, insegnamento o studio. Il regime di Fair use dipende dalla valutazione congiunta di quattro elementi: oggetto e natura dell’uso, natura dell’opera protetta, quantità e rilevanza della parte utilizzata, conseguenze dell’uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera protetta. La storia raccontata in Bound by Law riporta un certo numero di esempi famosi di Fair use negli Stati Uniti.
In Italia la materia in questione è regolata dalla legge n. 633 del 22 aprile 1941 sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. In particolare è nell’articolo 1, comma1, che si determinano le eccezioni agli obblighi derivanti dai diritti d’autore:
1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.
Questo comma, presente già nella stesura del 1941, nella pratica è stato interpretato sempre in modo molto restrittivo. Nel 2007, a fronte di un’interrogazione del senatore Bulgarelli sull’opportunità di dotarsi di uno strumento analogo al Fair Use statunitense, il governo ha risposto sostenendo che l’articolo 70 della legge n. 633
riproduce nella sostanza la disciplina statunitense sul fair use. Infatti, i quattro elementi che caratterizzano tale disciplina, come rinvenienti nella Section 107 del Copyright Act, e cioè: – finalità e caratteristiche dell’uso (natura non commerciale, finalità educative senza fini di lucro); – natura dell’opera tutelata; – ampiezza ed importanza della parte utilizzata in rapporto all’intera opera tutelata; – effetto anche potenzialmente concorrenziale dell’utilizzazione ricorrono a ben vedere anche nell’articolo 70 della legge sul diritto d’autore.
Pertanto, a giudizio di questa amministrazione l’ordinamento civile italiano in materia del diritto d’autore risulta oggi conforme, negli assetti fondamentali, non solo a quello degli altri paesi dell’Europa continentale ma anche a quello dei Paesi dell’area del copyright anglosassone.
Successivamente il Parlamento ha approvato una modifica dell’articolo 70 della suddetta legge per tenere conto dell’impiego di Internet nelle pratiche didattiche e scientifiche. La modifica è stata apportata con la legge n. 2 del 9 gennaio 200 che, nell’articolo 2, recita
(Usi liberi didattici e scientifici)
1. Dopo il comma 1 dell’articolo 70 della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, è inserito il seguente:
«1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma».
Ora, malgrado il fatto che questo nuovo comma 1-bis, nel secondo capoverso, stabilisca chi debba definire i “limiti all’uso didattico e scientifico di cui al presente comma”, in realtà non è stato fatto più nulla, generando così una grande confusione su cosa si debba intendere per “immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate”. Per esempio: quand’è che un’immagine inizia ad essere sufficientemente degradata per rientrare nell’applicazione di questo comma?
In altre parole, abbiamo la legge che stabilisce il concetto ma manca il regolamento attuativo che consenta di calare il medesimo nella realtà. Ho provato a vedere se nel frattempo la situazione si fosse evoluta ma non mi pare che sia successo un granché. Ricapitolo.
Nel mese di gennaio 2008 il giurista Guido Scorza lancia l’iniziativa per una bozza di Decreto Ministeriale per definire le disposizioni del comma 1 bis dell’art. 70. In marzo si aggrega e collabora il giornalista Luca Spinelli. Potete leggere la bozza in questo documento (pdf). In tale bozza, oltre a chiarire cosa si possa intendere per immagini e musiche, nell’articolo 3 si precisano i concetti di bassa risoluzione e di degrado:
Art. 3. Formati di pubblicazione.
g
- Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per immagine in bassa risoluzione:
- Per le opere delle arti figurative di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: qualsiasi riproduzione non eccedente i 72 punti per pollice (dpi).
- Per le opere della cinematografia di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: qualsiasi riproduzione non eccedente i 384 kbit/s.
- Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per immagine degradata ogni opera di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto che, rispetto all’originale, presenti elementi di alterazione significativi, ivi compresa l’apposizione di marchi o scritte, ovvero effetti di alterazione della qualità visiva percepibile o dei colori e di distorsione.
- Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per musica in bassa risoluzione o degradata qualsiasi riproduzione non eccedente i 96 kbit/s.
- Il Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, aggiorna annualmente tramite decreto ministeriale i criteri e parametri di cui al presente articolo, tenendo in considerazione lo sviluppo tecnologico.
Il fatto più rilevante da registrare, successivamente, è costituito dalla presentazione di uno schema di un regolamento (pdf) approvato il 6 luglio 2011 dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom), presieduta da Corrado Calabrò, in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica – Qui (pdf) trovate il testo della consultazione pubblica su tale regolamento, dell’8 luglio 2011. Stiamo quindi ancora discutendo su di uno schema, quindi non un documento preciso e esaustivo della materia, che è ciò che occorrerebbe, né più né meno. In sostanza un modo per protrarre la fumosità della questione, o peggio per fumosamente portare avanti posizioni restrittive, come ha scritto Guido Scorza sul sito dell’espresso l’8 luglio 2011. Dopodiché, per quanto io sappia, non è accaduto più niente, a parte il fatto che ogni tanto qualcuno ci riprova, come nel caso dell’emendamento Fava, presentato e bocciato recentemente.
Per chiosare la situazione di confusione nella quale ci troviamo, riporto qui di seguito alcune osservazioni che Claude mi ha gentilmente inviato, a seguito delle mia richiesta di revisionare la prima bozza di questo post, considerato che mi sembra più preparata di me e che io faccio fatica a scriverne perché è una materia che mi fa venire il nervoso. Allora, scrive Claude:
Scopo di lucro: purtroppo sembra prevalere nei paesi europei distinzione pubblico/privato: vedi Blitz della Siae alla festa multati i bimbi di Cernobyl e l’intervista di Roger Lévy a Poto Wegener della Suisa.
Ora è vero come dici tu che in Italia c’è la modifica 1-bis che parla di immagini e musiche a bassa risoluzione per uso scientifico e didattico ma come aggiungi, quell’uso non è gratuito.
E ancora su “senza scopo di lucro”, non basta che il TUO uso non abbia scopo di lucro: se ci lucra YouTube tramite pubblicità a lato ad es, è un problema.
Infine che un uso sia autorizzato dalla legge non significa che sia autorizzato gratuitamente. Ad es la legge stipula anche disposizioni sui diritti da pagare alle società di riscossione dei diritti come la SIAE.
Conclusione?
E cosa possiamo concludere allora? In particolare, che deve fare un educatore, che sia maestro, professore, professore d’università o altro, e che voglia utilizzare testi, immagini, musiche o video riprodotti a fini didattici?
Per avere un criterio mi rifaccio all’interessante descrizione delle fonti del diritto proposta da Simone Aliprandi in Capire il copyright ad uso dei non addetti, quali molti dei lettori ed io siamo. Orbene, le fonti del diritto sono quattro:
- la legge, composta da testi normativi emanati da apposite istituzioni politiche, quali lo Stato o le Regioni;
- la giurisprudenza, determinata dalle pronunce dei giudici su questioni specifiche;
- la dottrina, formata dalle opinioni autorevoli più o meno condivise degli studiosi del diritto;
- gli usi e le consuetudini che sono generalmente riconosciute nella realtà sociale.
Aliprandi spiega che i problemi di rilevanza giuridica vengono risolti attingendo alle quattro fonti secondo questa gerarchia.
Per quanto tale quadro possa apparire articolato e flessibile non è facile trovare riferimenti in un contesto che vive una così rapida espansione; come spesso si verifica, la complessità della realtà mette a dura prova i nostri costrutti.
In una situazione del genere e nel contesto che qui ci interessa, io credo che si debba considerare un altro elemento: la coscienza. Vi sono attività, come per esempio quella del medico e quella dell’insegnante, che hanno l’uomo come soggetto, la sua salute in un caso, la sua formazione nell’altro.
Ricordo che, in una situazione estremamente difficile e dolorosa, un medico che ricordo con affetto mi confortò dicendomi: “Non si preoccupi, ci sono i protocolli ma prima c’è l’uomo”.
Ecco, la professione dell’insegnante non presenterà le criticità che può incontrare un medico ma la posta in gioco è altrettanto importante. Credo che un insegnante, qualsiasi insegnante, possa tranquillamente determinare cosa sia giusto fare in quelle circostanze dove la normativa non è ancora esplicita; ovvero, credo che per un insegnante non sia così difficile determinare ragionevolmente e secondo coscienza che
- la riproduzione di un’opera di cui intende servirsi abbia finalità non commerciali, educative e non abbia fini di lucro
- la natura dell’opera riprodotta sia appropriata per la propria azione didattica
- l’ampiezza ed importanza della parte utilizzata in rapporto all’intera opera tutelata sia adeguata e non ridondante
- con la riproduzione non si causino effetti anche potenzialmente concorrenziali dell’utilizzazione.
Non possiamo immaginare che se un simile atteggiamento costituisse pratica corrente per la maggioranza degli insegnanti e pratica condivisa e supportata dai vari organi di dirigenza scolastica e universitaria, allora si finirebbe per contribuire a formare, nell’ambito della vita scolastica, quegli usi e consuetudini della realtà sociale che costituiscono una delle fonti del diritto?
Io credo di sì e, in modo più generale, penso che le regole che le comunità si danno derivino da un’articolata dialettica fra la loro espressione formale e la realtà complessa e sempre mutevole alla quale esse devono alfine attagliarsi. Il legislatore non potrà non tenere conto di usi e consuetudini palesemente volti a fini formativi, che in concreto non intaccano gli interessi dei detentori dei diritti sulle opere utilizzate ma anzi, forse rappresentano anche una promozione delle opere medesime.
- Episodio effettivamente occorso in un incontro virtuale nella classe IUL di due annni fa.
- Laura è una studentessa che ha seguito il corso di Editing multimediale nel semestre scorso.
- Abolire la proprietà intellettuale, Boldrin – Levine, Laterza, 2012
Professore*
Grazie mile Proffessore 😀
che posso fare? come faccio a leggerlo? grazie mille 😀
Salve professore, non mi riesce leggere il libro on line Capire il Copyright perché mi dà errore quando mi dice di iscrivermi!! che faccio?
Qui:
http://www.copyleft-italia.it/libri/capire-copyright
@Claude Almansi
Il caso di Cammarata su Interlex è solo il caso più eclatante di quanto, anche con le migliori intenzioni, sia difficile consultare le leggi (passo necessario per seguirle, o, perché no, per criticarle in modo consapevole). Si tratta di una ragnatela intricatissima in cui anche l’utente più volenteroso, credo, troverebbe discrete difficoltà nell’orientarsi. E una tessitura così intricata non riesce neppure ad essere precisa. Che vuole dire “bassa risoluzione”? E soprattutto, ha senso andare ad inficiare la qualità di un prodotto per renderlo fruibile? Mi riferisco soprattutto allo scopo didattico: degradare un’immagine, non si sa bene di quanto, per “liberarla” da vincoli, fa abbastanza sorridere. E spesso, per sfinimento, la pennina finisce per vincere sulla possibilità dell’intranet.
Quando la ragionevolezza sopravanza di così tanto la “ratio” giuridica, si finisce per diventare anarcoidi senza volerlo 😀
Bene, vediamo di allargare un po’ la prospettiva. Viviamo in un paese dominato dai piccoli opportunismi, a tutti i livelli. Finisce così che ci sembra normale vivere in modo gramo.
Il legislatore emana volentieri leggi quadro ma molto meno volentieri i regolamenti attuativi. Atteggiamento volpino che consente di vedere un po’ quel che butta il convento senza compromettersi, intanto i furbi potenti avvallano, ingrassando nel frattempo tutte le rendite di posizione possibili immaginabili.
Questo è il caso della legge sul diritto d’autore, per l’appunto.
Noi docenti siamo operatori di cultura, o no? Mi parrebbe un’attribuzione dignitosa, non vi pare? Diciamo di sì. Allora, bisogna però precisare che, operatore di cultura non significa solo frequentare o organizzare “luoghi e eventi culturali”. Eh no, per quello basta essere sufficientemente diligenti e sapere tenere un po’ di contatti. Se permettete, operatore di cultura è qualcosa di un po’ più impegnativo, se volete, anche un tantino più pericoloso, talvolta. Un operatore di cultura è uno che la cultura la trasforma in atti compiuti, prima di tutto, e poi è uno che si prende delle responsabilità, eventualmente che infrange anche qualche regolamento, se occorre, e in certi casi estremi – tipo minaccia dittatoriale – è disposto anche a maneggiare la “spada”, se è la libertà d’espressione ad essere messa in pericolo, ad esempio.
Allora, c’è il vuoto normativo sulla questione dei materiali da girare agli studenti, sostanziato dalla fumosità furbesca del paragrafo 1-bis dell’art. 70 della legge sul diritto d’autore. Benissimo. Ma allora, invece di lasciare che lavorino solo le grandi lobby, difendendo i propri interessi privati d’alto bordo, vediamo di lavorare anche noi, operatori di cultura che siamo in trincea. Vediamo di contribuire anche noi alla definizione di una giurisprudenza che sia ispirata a valori etici alti.
Operatori di cultura dalla schiena dritta o impiegati opportunisti?
L’I care di Don Milani non riguarda solo gli eroi. Troppo comodo…
O, per chi non conoscesse Don Milani, vogliamo stare fra gli uomini o fra i caporali?
@Anonimo Re il tuo commento 6 sulle slide: può darsi che la docente abbia ragione.
Vero, c’è il paragrafo 1-bis dell’art. 70 della legge sul diritto d’autore, citato da Andreas nel post, che consentirebbe addirittura la pubblicazione libera purché non a scopo di lucro sull’internet. Però parla di “immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate” e come dice Andreas, non ci sono state precisazioni. Quindi se la docente non è sicura di aver degradato abbastanza le immagini, oppure se ha scelto per maggior efficacia di mostrare in aula immagini protette in alta risoluzione, non può avvalersi di quel paragrafo 1-bis per condividere le slide. Forse le potrebbe condividere tramite un intranet per il corso dove i partecipanti devono accettare condizioni di utilizzo che dovrebbero stipolare cosa possono e non possono fare con i materiali messi a disposizione, Però non lo può fare informalmente, lasciandovele copiare su una chiavetta USB alla fine della lezione.
Sui problemi di quel paragrafo 1-bis dell’art. 70 della legge sul diritto d’autore, cfr. la 2a parte di Una norma “degradata” nella forma e nella sostanza di Manlio Cammarata (Interlex, 07.01.08). Altro paradosso: a quanto mi risulta, la sola versione online completa della legge italiana sul diritto d’autore rimane quella pubblicata dallo stesso Manlio Cammarata su Interlex, che Andreas ha usato per i link di riferimento. Ora Manlio Cammarata è certo un ottimo giornalista, attentissimo alle questioni di diritto e rete, però uö, non sarebbe il caso che lo stato italiano la pubblicasse lui online, questa **** legge, anziché lo debba fare un privato cittadino?
@Anonimo: chiedo scusa per il volo pindarico 🙂
Il problema di alcune riviste scientifiche è legato al fatto che si danno ad una divulgazione fin troppo spiccia (Focus & co). Ma se è vero che alcune riviste vivono di questo, è altrettanto vero che non ci vuole troppo a evitare la trappola.
La questione più delicata riguarda però, secondo me, il fatto che quei materiali specialistici, utili ad uno studio approfondito più che a una mezz’ora sotto l’ombrellone, spesso sono reperibili solo a carissimo prezzo. Basta dare un’occhiata su PubMed per rendersi conto di quanto possa costare la lettura di un articolo scientifico. Questo riporta al problema del materiale didattico e dei documenti (spesso digitali) che spesso integrano lo studio. Sarei curioso anch’io di sapere qualcosa di più sulla questione “slides”, anche se credo che la ragionevolezza dovrebbe consentire anche ai docenti più implacabilmente pignoli di aggirare il problema: la possibilità di accedere a una formazione più completa dovrebbe essere un buon movente per ogni insegnante che tenga alle “sorti” dei suoi studenti.
E per riportare la conversazione al punto in cui l’ho interrotta Schopenhauer accusava Hegel di ”non vivere per la filosofia, ma di filosofia…”
E’ questo che sta avvenendo ora: le riviste scientifiche (come scritto in https://iamarf.org/2011/09/22/i-signori-della-scarsita/ ) non esistono più per la conoscenza, per diffonderla (le prime riviste sono nate per rendere tutti meno ignoranti) ma vivono di essa…come parassiti!
Trovo assolutamente corretto tutto ciò che è stato detto in precedenza, ma vista la mia concretezza congenita 😉 non posso che riportare la conversazione su un piano meno filosofico (non che essa sia noiosa ma solo un pò troppo ”vasta”, e tenderei a tratterne con più scioltezza faccia a faccia)…ovvero: da quel che posso capire ora come ora il materiale didattico non è oggetto di un copyright così rigoroso vista la sua natura ”non a scopo di lucro” perciò la domanda sorge spontanea: i nostri professori conoscono la legge o sono semplicemente terrorizzati di infrangerla?? Ci tengo a dire che una certa prof di biologia era consapevole di violale, a suo dire, la legge pur di darci il materiale oggetto delle sue lezioni,facendo finta di ”dimenticarlo” savato sul pc dell’aula, ma resta cmq il fatto che: ”non posso darvi le slides perchè sono protette da copyright!!” ecco cosa mi sento dire da taluni(e sottolineo solo taluni) professori!!
Allora è nostro diritto pretendere le slides o sottostare a ciò che ci viene detto perchè hanno ragione loro?????
Ha particolarmente colpito e fatto riflettere anche me quel “o si…?”, e lo condivido pienamente. Spiego anche il perche dal mio punto di vista.
Faccio un esempio, che condivide piu aspetti, ma che non ne esclude altri. Da un certo punto di vista la retribuzione e il riconoscimento aiutano ad autovalutarsi ( non per forza in meglio o in peggio… ), ma comunque permettono di riconoscersi in qualcuno. Qui pero sorge il problema, chi è questo qualcuno? Colui che ha ottenuto tutto cio grazie all impegno e alla passione che lo ha spinto a ” ricreare ” (e non ” inventare” come giustamente sottolinea il prof), colui che è arrivato ad una determinata tappa perché trascinato e aiutato dal treno emotivo che piu di ogni altra cosa è in grado di motivare, oppure di riconoscersi per la prima volta in un soggetto diverso da quello cui credeva di essere? E se veramente dall inizio lo avesse fatto per riconoscimenti e non per passione? Bhe questo è il triste paradosso in cui una società del genere ti costringe a vivere. La persona in questione non sarà piu la stessa, qualora fosse cambiata non penserà di averlo fatto e quando pian piano se ne rendera conto sara forse tardi. Il suo diverra un lavoro, che non rispecchia piu la sua passione. Il famoso treno emotivo che lo aveva trasportato nel suo percorso, si e spento e non lo aiutera piu nelle sue creazioni.
Questo per affermare come forse sia proprio il non agire per qualcosa che rende dei migliori ” accostatori di idee ed elementi ” , mentre forse lo è l’agire per ” qualcuno” , l uomo, e perche no anche se stessi.
Cio non esclude come detto all’ inizio la meritocrazia e il giusto riconoscimento del proprio lavoro.
Purtroppo questo è forse uno dei temi che saranno oggetti di discussione sino a che l uomo abbia l intelligenza tale di affrontarli.
“1. la legge, composta da testi normativi emanati da apposite istituzioni politiche, quali lo Stato o le Regioni;
2. la giurisprudenza, determinata dalle pronunce dei giudici su questioni specifiche;
3. la dottrina, formata dalle opinioni autorevoli più o meno condivise degli studiosi del diritto;
4. gli usi e le consuetudini che sono generalmente riconosciute nella realtà sociale.
Aliprandi spiega che i problemi di rilevanza giuridica vengono risolti attingendo alle quattro fonti secondo questa gerarchia”
Leggendo una cosa simile la prima cosa che mi passa per la testa è che… va tutto alla rovescia! O meglio: per come è fatto il Web – ad oggi lo strumento più potente per diffondere prodotti culturali – esso non può che entrare in conflitto con una simile scala di proprietà. Questo perché se con il Web abbiamo tutti l’occasione di essere creatori, utenti e consumatori, non possiamo, su una questione delicata come la “proprietà intellettuale” arenarci dietro a una “autorevole autorità” o peggio ancora a un corpo giuridico pachidermico e infinite volte più lento, nella sua evoluzione, della cultura (e dei mezzi che abbiamo per diffonderla)…
Già il sistema giuridico anglosassone, ben più snello del nostro, rincorre a fatica… Sono proprio “gli usi e le consuetudini” il punto di partenza. E se proprio bisogna partire dal punto 1, la legge non può permettersi una struttura così ampollosa e di difficile consultazione/comprensione per l’utente quotidiano.
Di sicuro se si porta avanti un progetto con passione, dedizione, coscienza e senza nessun tipo di pressioni o costrizioni (che possono essere di moltissimi aspetti, dalle più banali alle più limitanti) la soddisfazione a livello personale non può essere che tanta, al di là dei risultati..e se i risultati poi arrivano non può che essere un trionfo assicurato dalla qualità del lavoro svolto.
Mi piace quel
Per esempio, Einstein sosteneva che non si deve vivere del proprio lavoro creativo affinché questo sia genuino. Lui la risolse così: viveva con un impiego presso l’ufficio brevetti di Zurigo che lo impegnava al mattino, e fra il pomeriggio e la sera attendeva al lavoro con il quale in pochi anni rovesciò letteralmente la visione umana del mondo fisico.
Probabilmente il mio sarà un commento che va al di là, forse troppo, del post sul copyright in particolare, ma non ho potuto fare a meno di riflettere istantaneamente su ciò che è creato dall’uomo e che l’uomo sembra voler custodire gelosamente/ossessivamente come suo. Ogni cosa a cui mi capita di pensare (un quadro, la mia canzone preferita, il film visto due sere fa, il libro che sta leggendo la ragazza seduta accanto a me sul treno), tutto sembra dire: “se mi vuoi usare/guardare/studiare devi ricordarti che ci sono 250.000 leggi che ti limitano a farlo!”….mi chiedo allora: “che senso hanno le cose belle create dall’uomo se non sono messe a libera disposizione dell’uomo stesso?” o meglio, “perché devono essere limitate e, a volte, limitanti?”. Dove saremmo se tutti i grandi uomini, e le grandi donne, si fossero tenuti stretti scoperte, opere, pensieri e quant’ altro e se le fossero tutti portati nella tomba? Perché la cultura deve essere una cosa che si deve pagare, comprare, trattare…vendere?! Si, so bene che la gente che “crea” deve anche vivere in qualche modo, perché se mancasse loro il denaro per comprarsi da mangiare non arriverebbero a “creare” un bel niente…o si..? In ogni caso oggi non si riesce a mettersi d’accordo su cosa si può e cosa non si può e i contorni che delinea la legge non sono per niente definiti e lasciano spazio ai dubbi. Eppure non posso fare a meno di pensare che in fondo la cultura, l’originale, la creazione, il lampo di genio, sono cose che abitano dentro di noi..e ognuno ha modi diversi di esprimerle; ma senza la condivisione dei propri pensieri, delle proprie idee, del proprio “bello”, nessuno di noi sarebbe un uomo più creativo, più curioso, più attento, un uomo migliore ogni giorno. Senza la condivisione di queste cose ognuno di noi rimarrebbe chiuso nel proprio guscio, senza arricchirsi mai del “bello” degli altri, o forse ancora di più, grazie al “brutto” degli altri. Perciò mi chiedo: “perché devono esserci così tanti ostacoli di fronte al “bello” dell’intera umanità?”.