Risorse utilizzate nell’incontro di Marsciano del 29 maggio 2014 – #loptis

Questa pagina è rivolta a coloro che hanno partecipato all’incontro che si è svolto nella scuola di Marsciano  il 29 maggio scorso. Non è una trascrizione completa ma solo una raccolta dei riferimenti alle risorse utilizzate. Mi dilungo in qualche commento laddove le risorse sono disponibili solo in inglese.

Gli incontri come quello che abbiamo fatto a Marsciano si inquadrano nelle attività del Laboratorio Online di Tecnologie Internet per la Scuola (etichetta Twitter: #loptis) che fa capo a questo medesimo blog: http://iamarf.org.

Abbiamo iniziato fabbricando il laboratorio:

  • attivando la lavagna con il telecomando Wiimote, per usarla successivamente
  • facendo partire la stampa di un mattoncino Lego
  • facendo un po’ di close-up con la webcam

 

Commentando qua e là azioni e oggetti sono emersi riferimenti e idee. Siamo quindi partiti dal fare per poi descrivere. Qui sintetizziamo in maniera ordinata il tutto.

 

Perché…

Qualche riferimento a supporto delle motivazioni che ci hanno indotto a dar vita a questo laboratorio, sia nella versione virtuale che in quella itinerante.

Da un letterato del nostro 900

giovanni papini 1891-1956
Giovanni Papini 1891-1956

 

Giovanni Papini è un autore controverso. Nel corso della sua vita ha preso anche posizioni estreme, forse discutibili per i più. Ma è un grande autore, schietto, coraggioso, severo, innanzitutto con se stesso. Qui ci riferiamo ad un suo scritto sulla scuola che va preso come una provocazione, caustica ma feconda, volendo. Questo testo contiene elementi che ritroviamo nelle citazioni successive, riconducibili a personaggi diversi per epoca e per estrazione culturale. Nella nota ho estratto qualche passo.

Chiudiamo-le-scuole (Vallecchi, 1914) (pdf)

Tratto da

Libera Cultura, Libera Conoscenza

in formato libero con licenza Creative Commons

Attribution-Non-Commercial-Share Alike 2.5 Italy Licence:

Creative Commons License

 

Un esperto di formazione e pensiero creativo

Sir Kenneth Robinson è un esperto di formazione di fama internazionale, famoso per le sue presentazioni. Per esempio il video “Do schools kill creativity?”

Noi ci siamo soffermati su un’altra presentazione: “Changing paradigm”

e in particolare sulla sezione dove espone il concetto di pensiero divergente (divergent thinking)

Se volete vedere direttamente quella sezione, che inizia a 6 minuti e 36 secondi, potete seguire questo link: https://www.youtube.com/watch?v=xNDuCGZoc5M&t=6m36s

Nella sezione in questione si cita uno studio famoso, iniziato negli anni 60 e descritto in Breakpoint and Beyond, (George Land e Beth Jarman, Leadership 2000 Inc, 1998). Si tratta di uno studio longitudinale con il quale una batteria di test destinati a valutare le capacità di pensiero divergente sono stati proposti a una coorte di 1600 bambini all’età di 3-5 anni, poi nuovamente 5 anni dopo e ancora una volta dopo altri 5 anni. I test sono quelli che utilizzava la NASA per selezionare scienziati e ingegneri in base alle loro capacità creative.

I risultati hanno mostrato che se prima di 5 anni, il 98% dei bambini ottiene risultati di eccellenza (categoria definita di genialità). Il test, riproposto alla stessa coorte di bambini 5 anni dopo, ha dato il risultato eccellente solo nel 32% dei casi, e dopo altri 5 anni il 10%. Lo stesso test, applicato a 200000 adulti di età maggiore di 25 anni, è risultato eccellente nel 2% dei casi. Una disfatta…

Uno studioso di teorie dell’apprendimento

Yriö Engeström è un rinomato studioso di scienze sociali, famoso per la sua teoria dell’apprendimento Activity Theory (dispiace: manca la versione italiana in Wikipedia).

Nel suo libro Learning by expanding  (Orienta-Konsultit, Helsinki, 1987 – è esaurito ma l’autore mi ha scritto che dovrebbe apparire una riedizione nel 2014) commenta l’incidente nucleare del 1979 che ebbe luogo nella Three Miles Island, rilevando come quell’evento fosse in buona parte aggravato dalla carenza di pensiero divergente degli operatori preposti al controllo della centrale. Il problema di questi impianti è quello di controllare l’immensa quantità di calore prodotta dal processo di fissione nucleare. Sono sistemi intrinsecamente instabili, inclini alla degenerazione esplosiva, che deve essere tenuta a bada da congegni idraulici molto complessi.

Con la complessità dei sistemi tecnologici moderni la sicurezza del 100% è irrealizzabile. L’imprevedibile può essere reso poco probabile ma non impossibile. E quando si verifica l’imprevedibile il pensiero lineare diviene inservibile. Nell’incidente nucleare di Three Miles Island un primo inconveniente – una valvola bloccata – causò una catena imprevedibile di problemi e nel giro di pochi minuti la squadra di turno nella sala di controllo si trovò nell’impossibilità di agire consapevolmente di fronte a oltre un centinaio di spie accese, ciascuna delle quali segnalava un’emergenza diversa. In breve si accumulò un lista di messaggi informativi che richiesero 3 ore per essere stampati e resi disponibili per l’analisi di quell’intrico di problemi. Ad un certo punto lo stesso sistema computerizzato andò a pallino, mettendosi a stampare un’ininterrotta sequela di punti interrogativi. Gli ingegneri compulsavano freneticamente i manuali delle procedure di emergenza ma era inutile: quel tipo di emergenza non era stata contemplata. Tutto questo mentre il nocciolo del reattore rischiava di fondere: una sorta di bomba nucleare. Alla fine, prima che il nocciolo fondesse completamente, riuscirono a fermare la reazione a catena ma quell’incidente dette la stura a un consistente ripensamento dell’ingegnerizzazione e del controllo di apparati così complessi.

Una delle conclusioni a cui gli analisti incaricati giunsero fu che una preparazione insufficiente e troppo mnemonica aveva messo il personale nelle condizioni di non poter affrontare un’emergenza del genere:

 

.. in presenza di sistemi automatizzati complessi, gli operatori non possono più comportarsi come sorveglianti passivi che frugano nei manuali per risolvere i problemi. Questo evento suggerisce una ridefinizione fondamentale del lavoro nel contesto post-industriale. Le competenze non possono più consistere in sequenze predeterminate di azioni, ma devono includere la capacità di capire il funzionamento dei sistemi e devono essere abituati a pensare flessibilmente quando devono risolvere i problemi.  Nella Three Miles Island gli operatori misero in atto un approccio concettuale rigido alla risoluzione dei problemi perché erano stati addestrati a comportarsi così.   

Un manager italiano

Il 9 aprile scorso a Radio 3, la trasmissione Fahrenheit ha offerto un’intervista a Pier Luigi Celli, noto per avere avuto incarichi ai massimi livelli di numerose aziende e organizzazioni, fra cui quello di direttoreQuello che avete visto usare sul primo computer e con il quale ho mostrato generale della Luiss. Pier Luigi Celli è un manager ma anche un uomo di cultura, con una spiccata sensibilità per i temi della formazione. In questa intervista dice molto cose interessanti, con particolare enfasi sulla necessità di dedicare molta più attenzione alla pratica e alle attività manuali, persino all’università. Concordiamo.

Chi vuole può scaricare il file audio dell’intervista in questo link, oppure attivare direttamente il lettore audio qui sotto. Nella nota ho trascritto alcuni passi dell’intervista.

 

Dalle neuroscienze… John Medina

John Medina è un neuroscienziato con una spiccata attitudine alla divulgazione scientifica. E una missione: diffondere le più recenti acquisizioni sul funzionamento del cervello in modo da usarlo meglio. Medina dice in sostanza questo: è vero che le neuroscienze sono ancora ben lontane da risolvere la dicotomia mente-cervello ma, grazie alle ricerche degli ultimi anni, se ne sa anche molto di più, e alcuni fatti sono ormai assodati al punto da poter essere utilizzati proficuamente in molti campi.

Fra le varie raccomandazioni esposte in “Brain rules” (Istruzioni per l’uso) Medina pone al primo posto quella dell’attività fisica. In un post di qualche tempo fa, Fatti non foste a viver seduti, avevamo approfondito questo aspetto. Qui limitiamoci alla lapidaria conclusione di Medina:

Se avessimo voluto progettare un ambiente adatto a deprimere le funzioni cerebrali, quello sarebbe stato la classe scolastica.

In estrema sintesi, Medina mostra come l’apprendimento, così come viene concepito un po’ in tutti i sistemi di istruzione, sia qualcosa di molto semplicistico e molto lontano da quella che invece è una fondamentale modalità di adattamento all’ambiente che si è evoluta nel corso di un paio di milioni di anni.

La mente ritiene tanto meglio le informazioni quanto queste sono sostenute da una rete di connessioni con altre informazioni e dalle percezioni di tutti i sensi. La mera memoria testuale è estremamente fragile. Già lo psicologo Hermann Ebbinghaus (1850), mediante una ricerca sistematica di trent’anni (condotta su stesso) sulla persistenza mnemonica di parole prive di senso, aveva appurato che nel giro di pochi giorni la grande maggioranza delle informazioni viene persa. Riassume Medina: dopo un mese le persone dimenticano il 90 % di quello che hanno imparato in una lezione.

Per ovviare alla carenza di connessioni e esperienze significative che accompagnano il fiume scolastico di nozioni, si ricorre allo studio e all’esercizio meccanico, sufficiente a migliorare le performance fisiologiche documentate da Ebbinghaus – ampiamente confermate dagli studi successivi – quel tanto che basta per superare la prossima interrogazione o esame. Non vero apprendimento quindi, di quello che poi serve sul campo, nella vita o nel lavoro.

Célestine Freinet

Abbiamo poi citato l’opera di Célestin_Freinet (la voce francese di Wikipedia è molto più ricca) per rammentare il grande assente di quasi tutta l’istruzione, eccezion fatta della scuola primaria, forse: il lavoro in collaborazione. Non c’è praticamente attività umana nella quale la capacità di collaborazione non sia un fattore determinante, oggi più che mai. E chiunque sia coinvolto nell’assunzione di nuovi collaboratori, e sia realmente interessato alle loro effettive capacità, si preoccupa in primo luogo della loro capacità di lavorare in squadra. Ma in tutto il percorso scolastico e universitario, a parte qualche episodio nei primi anni, di tutto ciò non v’è traccia: schiere di solisti e grami competitori invadono il mondo del lavoro.

Eppure vi sono stati grandi educatori che la strada da seguire l’hanno indicata, spesso con straordinarie esperienze di vita. In questo solco abbiamo citato le esperienze di lavoro collaborativo portate avanti da Célestine Freinet negli anni 20 in una scuola di montagna con la tipografia realizzata in classe. Strada seguita da altri grandi educatori, anche con riferimento esplicito all’esperienza di Freinet, come nel caso del Movimento di Cooperazione Educativa, di cui ha fatto parte anche Mario Lodi, scomparso recentemente.

 

Software libero

Seguono alcuni riferimenti che abbiamo utilizzato per capire le potenzialità positive della rete, largamente ignorate ma che rappresentano un straordinaria occasione sia per il mondo produttivo che per la formazione.

Linux

Il sistema operativo Linux, liberamente scaricabile in una grande varietà di versioni. Ricordiamo che è stato adottato e integrato nelle strategie di una gran numero di realtà industriali internazionali: IBM lo ha sostituito alla maggior parte dei propri sistemi operativi dal 2001 in poi, in molti smartphone gira il sistema operativo Android, che è una variante di Linux, il Nasdaq a Wall Street utilizza server Linux, lo stesso Amazon e così via. Le pubbliche amministrazioni in Italia no, si continua a sperperare qualcosa che si aggira intorno a svariate centinaia di milioni di euro in licenze software…

https://it.wikipedia.org/wiki/Linux

Genealogia di Linux

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1b/Linux_Distribution_Timeline.svg

Ory Okolloh

La storia di una giovane africana che, anziché dar corso alla prospettiva di una brillante carriera in un famoso ufficio legale americano, ha deciso di lavorare alla realizzazione di progetti umanitari in Kenya, suo paese di origine. È da una sua idea che è nato il progetto Ushaidi, divenuto un servizio di localizzazione geografica da usare in situazioni di emergenza: chiunque, mediante un semplice SMS (in Africa una persona su due ha il cellulare), può inviare un messaggio per segnalare una situazione critica attraverso un servizio web che aggiorna in tempo reale una mappa utile per i servizi di controllo, il tutto realizzato con software libero. Fu concepito per affrontare l’escalation di violenza che ebbe luogo in Kenya dopo le elezioni del 2007. La giovane donna a cui si deve questa brillante realizzazione si chiama Ory Okolloh.

http://en.wikipedia.org/wiki/Ory_Okolloh

Il sistema in questione si chiama Ushaidi, che in lingua keniana significa testimonianza. Dal sito seguente chiunque può scaricare il software da installare su un proprio server.

Ushahidi

http://ushahidi.com/

Haiti

Il sistema è oggi largamente utilizzato in tutto il mondo. Ad esempio, è stato di importanza fondamentale in occasione del terremoto di Haiti – praticamente l’unico mezzo in grado di supportare efficacemente le squadre di soccorso. Qui viene descritta l’organizzazione che fu improvvisata in quell’occasione. L’articolo è in inglese, ma le immagini consentono di tratteggiare la situazione: nella prima foto un gruppo di studenti di dottorato sono riuniti in un appartamento di Boston per ricevere informazioni da Haiti e recuperare le coordinate dei siti critici utilizzando mappe satellitari e social network di vario tipo. Nell’immagine successiva, si vede il gazebo localizzato presso l’aeroporto di Haiti, dove gli operatori ricevono notizie da persone che vengono a segnalarle dalla città. Nelle figure successive sono rappresentate varie fasi attraverso le quali la task force localizzata a Boston riesce a recuperare informazioni sulla precisa localizzazione di un sito attraverso il sistema Ushahidi e Twitter.

http://blog.ushahidi.com/2012/01/12/haiti-and-the-power-of-crowdsourcing/

 

Crowdmap

Per situazioni importanti Ushahidi è un software da scaricare, ma per applicazioni più leggere viene offerto sotto forma di servizio di “crowdmapping” – “mappatura di massa” si potrebbe dire. È così per esempio che è stata fatta la mappa delle scuole italiane nelle quali viene utililizzato software libero, a vario titolo.

https://wiild.crowdmap.com/

Chiunque lavori in un ambiente scolastico e sia a conoscenza di qualche impiego di software libero nel proprio istituto, può aggiungere i dati in questa mappa.

Glocalizzazione

Ma il software libero non è solo qualcosa che possiamo utilizzare ma è anche qualcosa che facciamo noi, anzi che fanno tanti nostri giovani! È quello che si chiama fenomeno di glocalizzazione: una sorta di onda di rientro con la quale ad un’onda di globalizzazione generalizzata fa seguito un reflusso di localizzazione. Tutti gli esempi che seguono ricadono in questo ambito – importante ambito.

Pietro Pilolli – Distribuzione Wiildos

Pietro Pilolli (https://www.facebook.com/pietro.pilolli) è un giovane ingegnere principale artefice di una versione di Linux adatta alla scuola italiana: WiildOs. Un sistema ottimizzato anche per il funzionamento della lavagna digitale a basso costo che si può fare con il telecomando Wiimote e che abbiamo usato insieme. Questa è la pagina dove c’è scritto tutto su questo sistema operativo e varie altre risorse didattiche utili nella scuola:

http://wiildos.wikispaces.com/Pagina+iniziale

Applicazioni

Libreoffice

Libreoffice è una “suite di software per ufficio” sul modello del ben noto Microsoft Office. Funziona altrettanto bene per la stragrande maggioranza delle necessità ed è libero.

Il Bambara

In questo sito di giornalismo partecipativo internazionale qualche tempo fa è stata pubblicata una notizia che è perfetta per commentare un aspetto etico fondamentale del software libero. Si narra che un gruppo di abitanti dell’Africa centro-occidentale – Ghana e paesi limitrofi – hanno messo a punto una versione del correttore ortografico per Libreoffice nella loro lingua: il Bambara, parlato da una comunità di sole 3 milioni di persone in Africa. Questa adattabilità alle comunità locali è un aspetto di grande interesse, anche perché può essere utilizzato come motore di promozione sociale e economica. In altri paesi sono state intraprese delle azioni molto vaste di diffusione del software libero nelle amministrazioni pubbliche e nelle scuole per alleviare le condizioni di certe zone depresse. In Spagna iniziative del genere sono state prese per le regioni confinanti con il Portogallo, notoriamente depresse.

http://globalvoicesonline.org/2013/12/22/innovation-a-spell-checker-for-bambara-language/

Hardware libero

Il concetto di software libero è facile da capire, in fin dei conti il software è immateriale essendo composto solo da sequenze di bit. Ma l’hardware? La riposta da un grande giovane innovatore italiano:

Massimo Banzi

http://video-subtitle.tedcdn.com/talk/podcast/2012G/None/MassimoBanzi_2012G-480p-it.mp4

 

Reprap

La stampante 3D, a cui allude Massimo banzi all’inizio del video precedente, è quella che abbiamo visto funzionare insieme. Ricordo che si chiama RepRap, ovvero: replicating rapid prototyper. Rapide prototyper perché è concepita per realizzare velocemente prototipi di oggetti, ovvero versioni a basso costo di parti che possono essere industrializzate successivamente. Replicating perchè è concepita in maniera che la macchina possa produrre le sue stesse parti, a parte alcuni componenti strutturali banali.

https://en.wikipedia.org/wiki/RepRap

Questa è la prima replica che è stata realizzata:
https://en.wikipedia.org/wiki/File:First_replication.jpg

Chi legge l’inglese, può scaricare questo articolo (pdf 5.2 MB) ampio e suggestivo scritto dagli autori stessi del progetto.

Ma cosa si può fare con la stampa 3D?

la mano artificiale…
http://www.linkiesta.it/la-nuova-mano-di-shea-e-stampata-3d
crescita di organi…
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-02-12/organi-

https://www.ted.com/talks/anthony_atala_growing_organs_engineering_tissue#t-691228
(11:28 parla di stampante)

La famiglia Cantini – Kentstrapper

Ecco in altro bell’esempio di glocalizzazione: una famiglia fiorentina che si mette a fabbricare stampanti 3D. In realtà nell’area di Firenze stanno comparendo almeno altre due iniziative del genere.
http://www.kentstrapper.com/

Il Fablab di Contea

Di questo non abbiamo parlato ma l’aggiungo perché ci sta bene e ne parlerò in futuro.

Contea è un piccolo paese di 400 abitanti a una trentina di chilometri da Firenze. Provincia quindi. Eppure è sede di un Fablab estremamente creativo. Fablab, laboratorio gestito da giovani – e qualche meno giovane – per la realizzazione di macchine computerizzate, utilizzando strumenti di software e hardware libero. Un fenomeno internazionale, ma così pervasivo che i Fablab spuntano anche nelle province dei paesi depressi. E non di rado quelli periferici sono anche i più attivi.

Presso il Fablab di Contea, è stata concepita un’avveniristica stampante 3D: la Fa)(a (si legge Falla). I ragazzi del Fablab organizzano dei workshop dove si può andare e costruire la propria stampante: il sottoscritto parteciperà al workshop che loro faranno il 19-20 luglio presso il laboratorio LO FO IO, a Firenze.

Arduino

È la creatura di Massimo Banzi. Una scheda elettronica con la quale anche un ragazzo può realizzare progetti che mettono un computer in grado di leggere dati dal mondo, manovrare macchine, spedire messaggi ecc.
https://iamarf.org/2014/01/19/la-rivoluzione-digitale-e-il-sogno-di-adriano-olivetti-loptis/

Sanguino

Grazie alla sua natura “open” (aperta), Arduino è stato clonato innumerevoli volte, con vantaggio per lo stesso Arduino, in termini di fama e quindi di diffusione… nuovo paradigma che potremmo chiamare inclusivo, da contrapporre alla logica convenzionale, esclusiva.
http://sanguino.cc/

Daniele d’Arrigo

È un giovane logopedista che si occupa anche della realizzazione di ausili per le disabilità. https://www.facebook.com/daniele.darrigo.9?fref=ts

In questo blog descrive le sue numerose iniziative:
http://makeausili.blogspot.it/

E così ve ne sono veramente tanti di giovani che partecipando al fenomeno della glocalizzazione sconfessano l’abusato e fuorviante luogo comune dei bamboccioni… Sono tanti i luoghi dove si possono trovare questi giovani, nei Fablab per esempio:

http://fablabfirenze.org/
http://fablabcontea.blogspot.it/

 

____
Estratto da “Chiudiamo le scuole” – Giovanni Papini, 1 giugno 1914

Diffidiamo  de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o  vengon rinchiusi.  Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme,  Manicomi,  Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture  son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali.

Ma  cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovinetti e i  giovanotti, che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai  ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche  galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello?

Non  venite  fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le  ragioni della civiltà, la educazione dello spirito, l’avanzamento del  sapere…
Noi  sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle  scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e  che le scoperte decisive della scienza non son nate dall’insegnamento  pubblico ma dalla ricerca solitaria  disinteressata e magari pazzesca di  uomini che spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano.
Sappiamo  ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua  necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a  pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più  urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.

L’uomo  nelle tre mezze dozzine d’anni decisive nella sua vita (dai sei ai  dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha  bisogno, per vivere, di libertà.
Libertà  per rafforzare il suo corpo e conservarsi la salute,  libertà all’aria  aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti  miopi, anemici e nevrastenici posson maledire giustamente le scuole e  chi l’ha inventate!),
Libertà  per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila  possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e  dei collegi.
Libertà  per imparare veramente qualcosa perché non s’impara nulla d’importante  dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale  colla realtà. Nella quale ognuno s’inserisce a modo suo e sceglie quel  che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione  disseccatrice e uniforme ch’è l’insegnamento.
Nelle  scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose  piene di fiati – l’immobilità fisica più antinaturale – l’immobilità  dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare – lo sforzo  disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili – e  l’annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa  nel mar nero degli uniformi programmi.

[La  scuola] Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso  modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità  d’ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Non  si può insegnare a più d’uno. Non s’impara qualcosa dagli altri che  nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura  dell’altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo  verbo dall’alto.

—-
Estratto da una recente intervista fatta dal programma Fahrenheit di Radio 3 a Pier Luigi Celli

Trascrizione quasi diretta

2:00 … si stenta a capire che il mondo richiede formazione e non semplicemente istruzione
2:48   usare l’università come una struttura sociale in cui si fa didattica,  si  fa ricerca ma si sperimentano anche le cose che si imparano, ci si   mette insieme, si lavora insieme…
3:41 credo   che tutte le istituzioni formative abbiano un punto critico nel fatto   che il ragazzo viene trattato come qualcuno a cui si deve insegnare   qualcosa in termini più o meno teorici – la mancanza di pratica, in  molte istituzioni, fa sì che le nozioni che vengono trasmesse siano   nozioni che restano ad un livello che al ragazzo riesce poi difficile   interpretare e utilizzare – il maestro è qualcuno che si prende cura  dei  suoi allievi – il maestro   è qualcuno che dedica tempo ai suoi allievi, anche al di là della   routine che prevede il suo contratto… il concetto di cura è un   concetto che abbiamo trasformato ormai in cura medica ma in realtà è un   farsi carico delle persone – è un farsi carico delle persone in tutta  la  loro personalità
17:18   le aziende “quando” assumono non è che ti chiedono per la prima volta  –  la prima cosa che ti chiedono – quanto hai preso di votazione di  laurea  e che tesi hai fatto – ti mettono in un contesto insieme ad  altri e  vedono come risolvi un problema che ti danno, vedono che tipo  di  collaborazione riesci a stabilire con gli altri che stanno attorno  al  tavolo, vedono che tipo di mentalità sviluppi, collaborativa o   competitiva, sapendo che per competere è meglio prima cooperare
13:45   forse non è richiesto ai professori di conoscere a fondo il mondo del   lavoro… come avviene all’esterno, proprio perché loro sono deputati a   fare un mestiere che è insegnare e fare ricerca, o al massimo a fare i   consulenti, o entrano nei consigli di amministrazione, ma dentro al   mondo del lavoro raramente c’entrano, se tu non sei entrato nel mondo   del lavoro, non sei entrato nei contesti in cui le cose si producono,  non  ti sei confrontato con il mercato e hai visto se il mercato ti  giudica  bene o male, perché noi possiamo avere tutte le idee che  vogliamo del  mercato, possiamo colpevolizzarlo o benedirlo, ma alla  fine il mercato  ti giudica, se è un mercato libero, ma se è un mercato  protetto, se è  un mercato autoregolato, è chiaro che tu hai scarsa  sensibilità per  preparare i ragazzi che poi invece saranno costretti a  misurarsi su un  mercato che non ha rispetti e non ha riverenze per  quelli che non sanno –  non dico adattarsi alle regole del gioco – ma  non sanno interpretare le  regole del gioco o non sono sufficientemente  forti anche per opporsi a  certe regole del gioco.
20:10   noi viviamo in un epoca di individualismo accentuato, tutti… e anche   poi la cultura che si è sviluppata in questi anni, negli ultimi  decenni  ecc., i ragazzi che arrivano all’università, oltre a essere   disorientati, sono anche ragazzi che hanno un scarsità di valori di   riferimento – non tutti, ma un certo numero abbastanza rilevante –  allora  – io credo che l’università dovrebbe mettere di fronte a questa  carenza  e a questa difficoltà, perché se noi avvalliamo il  fatto  che ognuno per se e Dio, se c’è, per tutti, alla fine produrremo  delle  risorse che sono difficilmente spendibili in un mondo che è un molto complesso – la complessità è  quella  situazione per cui non tutto è dominabile, ci sono più variabili  che  equazioni per risolvere i problemi e allora, o ti metti insieme  ad  altri, che abbiano magari competenze diverse, dando la possibilità  al  gruppo di esprimere punti di vista diversi in maniera tale da   comprendere il problema da tutte le sue angolazioni, e quindi con gli   apporti reciproci… ma se tu avvalli semplicemente il fatto che ognuno   deve pensare a se stesso, e quando ben bene ha fatto i suoi esami per   bene, ha dato la sua tesi per bene, ed è uscito per bene, di tutto il   resto ce ne può fregare, troveremo poi in realtà che il mondo che lo   accoglie non è così disponibile a valutare solo queste condizioni
24:06 l’università   dev’essere destinata a creare delle teste ben fatte, e per creare  delle  teste ben fatte serve la conoscenza, servono i saperi, serve la  pratica  – anche la pratica manuale, anche i lavori manuali, sono  fondamentali  per chiarirsi le idee e per trovare come il mondo possa  essere  affrontato, problemi posson essere affrontati non solo in via  teorica ma  anche maneggiando le cose

Riferimenti bibliografici del libro di John Medina

  • John Medina
    Brain Rules
    Pear Press 2008 (Seattle)
  • John Medina
    Traduzione in italiano di Brain Rules
    Il cervello
    Istruzioni per l’uso
    Bollati Boringhieri Editore 2010 (Torino)

 

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