Non posso toccare lo stesso oggetto 2600 volte al giorno

Non posso toccare lo stesso oggetto 2600 volte al giorno, mi rifiuto. E rivoglio le mie due ore e mezzo di tempo rubato da… da che cosa? Dal nulla. Oltre due ore passate ad ammucchiare notizie effimere e sciocchezze; delle volte scrivendo commenti ancora più inutili di quelli a cui vorrei rispondere. Invece, cosa posso fare in due ore? Leggere la bozza di una tesi. Correggere una trentina di compiti. Ricevere tre o quattro studenti. Posso fare una passeggiata di 10 km, o di 50 in bici. Vangare un bel pezzo d’orto. Fabbricare una trappola per topi con Arduino. Scrivere un software in Python per descrivere il movimento di una scultura di un amico. Riparare qualcosa che si è rotto. Leggere una quarantina di pagine di un libro. O non fare un accidente per due ore e mezzo perché ho deciso di fare così. Rivoglio tutto questo. Non voglio farmi rubare neppure una goccia di questi miei maturi ma incredibilmente vigorosi (grazie) anni. Mi ripiglio tutto il tempo, ora che ho capito come fare.

Il problema è dato dalle notifiche. Ho messo al bando le notifiche. Tecnicamente mi ha molto aiutato il modo “risparmio massimo batteria” dello smartphone: una manciata di app e zero notifiche push: non permetto a nessuno di disturbarmi perché il mio tempo è prezioso e me lo voglio godere tutto. Questo è possibile se lo gestisco io, senza nessuna interferenza.

La questione è ancora più ampia di quel che sembra. Non si tratta infatti solo di gestire il proprio tempo ma anche il contesto. Se vado al mare scelgo il contesto del mare. Sugli scogli aggiusto ulteriormente il contesto cercando il punto dove vedo quel certo tratto di orizzonte, dove non c’è nessuno che disturba i miei pensieri, dove c’è quella giusta brezza e quel giusto sole, eccetera. Se voglio lo cambio, spostando il mio corpo, di poco o di molto. E non voglio distrazioni.

Intendiamoci, la distrazione procurata dal gabbiano che mi vola troppo vicino è benvenuta. Così quella data dal peschereccio che arriva da laggiù. Ma se arrivassero gabbiani in continuazione o se il mare di fronte a me si riempisse di imbarcazioni andrei via subito, questo è sicuro. Cambierei contesto.

La situazione online, oggi – non lo era alle soglie del millennio, ai tempi della dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio di John Perry Barlow – è appunto questa: folle di gabbiani che ti assalgono, il più delle volte ricoprendoti di guano. Ma non si tratta semplicemente del fatto, non esattamente gradevole anche se molti non “vedono” il problema, di alimentare possenti flussi pubblicitari con la propria navigazione. No, è che in quelle due ore e mezzo – anche quattro o cinque per i più assidui – il contesto, che va inteso come mondo, come scena in cui uno decide di vivere, è determinato da altri e solo in piccola parte da se stessi. Insomma il mondo che mi legge in Facebook è filtrato in maniera da massimizzare i like raccolti dai miei post. E finisce che il mio stesso desiderio di autostima mi indurrà a scrivere le cose che piacciono di più a quella platea. Un lago su misura per crescere il Narciso che è in me. Tutto questo produce una possente spinta al conformismo e deprime la voglia e capacità di scoprire mondi diversi dal proprio e di confrontarsi con essi. E, peggio ancora, non potrò evitare che, in momenti particolari e importanti, ad esempio in prossimità di elezioni, il contesto venga manovrato dal miglior committente, fra coloro che io potrò votare, a seconda del profilo di cittadino in cui sarò stato inevitabilmente classificato.

Potrei chiudere i miei account social, come consiglia Jaron Lanier [6]. Ma mi fanno obiettivamente comodo, per alcune precise ragioni professionali. In realtà si possono chiudere in modo soft senza chiuderli, ignorando i like e disattivando tutte le notifiche, e aprendoli solo quando serve. Quasi mai rispetto alle suddette due ore e mezzo.

Ora sono molto contento perché il metodo funziona. In un mese ho fatto un sacco di cose in più, che mi piacciono tutte. Senza perdermi nulla di significativo: su Internet apro la finestra quando voglio io per il tempo che voglio io occupandomi solo di cose significative per me. Però tutto questo discorso non ha niente a che vedere con la mia disponibilità, che credo sia nota a chi lavora o impara con me. Anzi, in queste relazioni sono ancora più disponibile e focalizzato, perché ho più tempo!

Questo piccolo panegirico per chiarire – ogni tanto lo devo ripetere – che il luogo dove scrivo le cose che mi interessano è questo blog e che chi vuole dirmi o chiedere qualcosa può commentare il blog o scrivermi un’email, oppure scrivere in uno dei vari forum Reddit che ho aperto. Il profilo e la pagina Facebook rimangono, così come Instagram o Linkedin, ma di norma non interagisco con nessuno. E ignoro like e relative notifiche. Quindi, carissimo lettore, se andare al leggere il blog o scrivermi ti pare troppo faticoso, è segno che non abbiamo nulla di importante da condividere. E così risparmiamo tempo ambedue.


L’argomento merita ben altro approfondimento ma è inutile che mi cimenti io. Ci sono ottimi testi che illustrano le varie e non banali implicazioni. Eccone solo alcuni:

  1. Giap (9 gennaio 2020) A proposito di privacy, social media, capitalismo della sorveglianza e attacchi coi droni, https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/01/social-sorveglianza-droni/
  2. Giap (6 marzo 2020) Perché è necessario e urgente liberarsi di Google – e come cominciare a farlo, https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/degoogling/
  3. Jeff Orlowski (2020) The Social dilemma, https://www.netflix.com/it/title/81254224
  4. Giap (2019) L’amore è fortissimo, il corpo no. 2009 – 2019, dieci anni di esplorazioni tra Giap e Twitter / 1a puntata (di 2), https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/12/lamore-e-fortissimo-il-corpo-no-1-twitter-addio/
  5. Giap (2019) L’amore è fortissimo, il corpo no. 2009 – 2019, dieci anni di esplorazioni tra Giap e Twitter / 2a puntata (di 2), https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/12/lamore-e-fortissimo-il-corpo-no-2-dieci-anni-di-twitter/
  6. Jaron Lanier (2018) Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social