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L’appello degli studenti

Il seguito imprevisto del post precedente dove dicevo del commiato dagli studenti di Firenze:

Scienze della formazione, gli studenti si appellano alla rettrice: “Lasci a insegnare quel prof così speciale”

Te ne stavi tranquillo nel tuo buchetto a fabbricarti il balocco quando, dopo un certo tempo, zac! succede qualcosa che ti sbatte abbagliato sotto i riflettori. Farfugli, balbetti però sei innegabilmente contento.

Sì, sono contento di constatare che l’ascolto praticato in ogni possibile dettaglio, anche quando è il tuo turno di fare le domande — si può praticare l’ascolto anche nel fare una domanda — genera fiducia. E non c’è capitale più prezioso della fiducia del giovane che ti sta seguendo. Guai a tradirla, perché essa è fragile: basta una sola volta per distruggere tutto.

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Il gatto perfettamente imperfetto di Alice e il “commiato dagli studenti di Firenze”

Creazione di Alice Macelloni. In realtà i due baffi sotto il fiocco ravvivano ulteriormente la figura. Ho letto da qualche parte che Picasso (mi pare) riteneva che i buoni pittori fossero quelli che trasformano gli errori in nuove idee, in creatività. La vita scaturisce dall’imperfetto. C’è chi dice che Michelangelo sfregiasse un angolino nascosto delle sue opere finite, per non dimenticarselo.

Con questo anno accademico (2022/23) termina il mio incarico di insegnamento presso il Laboratorio di Tecnologie Didattiche presso il CdS di Scienze della Formazione Primaria in Unifi.

Scrivo questi pensieri in forma di lettera aperta ai miei studenti per via dei vari messaggi affettuosi che sto ricevendo. In primo luogo per esprimere la mia gratitudine nei vostri confronti: è straordinaria la prontezza che dimostrate nell’accogliere l’essenza di quello che ho cercato di offrirvi e che le vostre lettere esprimono, ovvero il valore della riflessione: “fermarsi a riflettere (non ne siamo più capaci)”, “essere costretti a pensare” sono le espressioni ricorrenti. Al di là delle competenze e dell’abilità nel manovrare la Tartaruga di Seymour Papert o qualsivoglia altra tecnologia. È entusiasmante questo fatto.

In secondo luogo mi preme farvi sapere che non si tratta di una mia rinuncia: ero disposto a continuare per molti anni il laboratorio, come sto facendo con i vostri colleghi di Napoli, fra varie altre cose. Invece il motivo va cercato, credo, in un fatto oggettivo, che è la ristrettezza delle risorse assegnate agli atenei pubblici, che si trovano costretti a minimizzare il ricorso ai contratti, e a cercare di utilizzare al meglio la forza lavoro strutturata. Un motivo perfettamente comprensibile. Del resto, è anche giusto che i “vecchi” si facciano da parte per fare luogo alle nuove leve, che magari in futuro faranno anche meglio dei predecessori.

Inoltre, le storie belle, quelle vere, finiscono. Ed è forse bene che ciò avvenga prima che appassiscano. Perché questi sei anni passati con voi sono stati strepitosi e dobbiamo anche essere grati ai colleghi che mi hanno offerto questa bella opportunità.

In ultimo, come sapete, io ci sono, qui e nei social. Sapete come raggiungermi se avete idee o problemi da discutere.

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Sei anni di Laboratorio di Tecnologie Didattiche a Scienze della Formazione Primaria

“Vaso con girasoli” interpretato da Alessandra Lucerni con il linguaggio di programmazione Logo in ambiente LibreLogo—LibreOffice.

Con questo contributo alla raccolta degli elaborati soprendenti degli studenti colgo l’occasione per riassumere succintamente i fondamenti del metodo messo a punto in sei anni di lavoro nel Laboratorio di Tecnologie Didattiche per il corso di laurea in Scienze della Formazione primaria.

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Questa tag cloud può essere usata per cercare articoli su alcuni temi ricorrenti. Non è facile con oltre 1000 post pubblicati dal 2007 ad oggi. Ho cercato di togliere aspetti ormai obsoleti o fuori dai miei interessi attuali — work in progress

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Traccia per una mattina con gli studenti della laurea in Data Science per l’insegnamento Computer Science Education

Iniziamo ricordando la complessità del tema “insegnare informatica”, ai diversi gradi di istruzione, nei diversi rami dell’istruzione secondaria o terziaria, nelle diverse modalità, tipo esplicita o implicita — di “soppiatto” in altre materie — e alla luce del Grande Equivoco — l’informatica serve a fare i siti web — e della Grande Ignoranza — non pensavo che la matematica c’entrasse così tanto.

Farei quindi un passo indietro, discutendo il meta-problema: ma perché dopo due secoli di pensiero pedagogico illuminato e infine anche prove scientifiche continuiamo a non sapere insegnare la matematica? Fatto denunciato da insegnanti consapevoli in tutto il mondo? Perché se non si risolve questo problema col problema dell’informatica siamo messi veramente male!

E qui conviene fare un altro passo indietro, affrontando un altro meta-meta-problema: ma perché, dopo due secoli di pensiero pedagogico illuminato, ma anche ora che iniziamo a sapere un bel po’ di fatti precisi su come la mente apprende, di tutto questo non arriva praticamente nulla nella pratica d’aula a tutti i livelli e in tutti i contesti?

Fatte queste premesse, tornerei indietro passo passo, descrivendo i fatti essenziali sul funzionamento del cervello che un insegnante dovrebbe conoscere oggi, per insegnare qualsiasi cosa, poi affronterei le riflessioni dei maggiori studiosi sull’insegnamento dalla matematica: Maria Montessori, Emma Castelnuovo, Efraim Fishbein, Dina e Marie Pierre van Hiele, Hans Freudenthal, Seymour Papert — una goduria leggere i loro pensieri, gente pazzesca!

Ad un certo punto poi inserirei un intermezzo motorio, per così dire, coinvolgendo le persone in un gioco, semplificato dato il contesto. Si tratta di simulare una sorting network con i propri corpi. Andiamo nel corridoio, o in un atrio, dove c’è spazio sufficiente e non si dà troppa noia e a un gruppo di sei di noi, diamo a ciascuno un foglio con un numero scritto grosso sopra, da tenere in vista. Costoro si mettono in fila e poi diciamo loro come confrontarsi a passi successivi utilizzando una rete che dovrebbe essere disegnata per terra ma noi ci immagineremo, per riordinare le persone secondo numeri crescenti. Poi torniamo in aula e mostriamo come si può realizzare questo con i ragazzi a scuola. Con questo episodio illustriamo come interrompere il flusso di una lezione unidirezionale e come propinare delle idee informatiche (esempio di tipico problema informatico-matematico, algoritmo passo passo, parallelizzazione di un processo) senza usare tecnologie.

Poi illustrerei cosa ci può essere sotto il tormentone del coding, utilizzando la visione di Seymour Papert e come, partendo dal disegno di cerchi sulla farina con i piedi nudi dei bambini si possa arrivare al disegno di orbite di corpi celesti, e come la turtle geometry sia in realtà una geometria differenziale, e come il concetto di equazione differenziale sia implicito in essa, nel suo fondamento.

Infine potrei mostrare (mi porto la solita valigia dei balocchi) un paio di applicazioni con una scheda minimale (micro:bit della BBC) per misurare l’umidità del suolo con un setting iperminimale (due chiodi e due fili) e per muovere un robot come fosse la tartaruga delle Turtle Geometry o altro.

Tutto questo oppure in parte o magari in ordine diverso.

Non scherziamo sui fondamentali: bella la lettera della preside, squallida l’uscita del ministro

Cari studenti,

in merito a quanto accaduto lo scorso sabato davanti al Liceo Michelangiolo di Firenze, al dibattito, alle reazioni e alle omesse reazioni, ritengo che ognuno di voi abbia già una sua opinione, riflettuta e immaginata da sé, considerato che l’episodio coinvolge vostri coetanei e si è svolto davanti a una scuola superiore, come lo è la vostra. Non vi tedio dunque, ma mi preme ricordarvi solo due cose. 

Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’ – diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in un carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. 

Inoltre, siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così”. 

Annalisa Savino, Dirigente Liceo Scientifico Leonardo da Vinci, Firenze

Le misure del dissenso russo, che dovremmo cercare di conoscere e sostenere

In Russia gli esponenti delle opposizioni stanno in carcere, di questi Alexei Navalny e Ilya Yashin sono fra i più noti. Qualche giorno fa è uscito un appello che Yashin ha inviato dalla prigione, dove sconta una pena di 8 anni e mezzo per avere condannato l’invasione russa dell’Ucraina l’anno scorso.

Il pezzo, intitolato Un messaggio al mondo da una prigione russa, chiede in sostanza di non considerare tutti i cittadini russi responsabili dell’invasione e degli atti criminali prepretati dal regime. L’articolo è interessante perché dà la dimensione del dissenso russo, che io sostengo essere colpevolmente ignorato da un’opinione pubblica intenta a pascolare nella comfort zone delle proprie convinzioni più o meno ideologiche. Dissenso che ho cercato di testimoniare in una ventina di post in questo blog.

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Conferenza stampa di Reporter senza Frontiere con Marina Ovsiannikova

Spero che tutti ricordino il temerario gesto di dissenso di Marina Ovsiannikova, giornalista della TV di stato russa.

Riporto qui sotto la traduzione del comunicato stampa di Reporter Senza Frontiere (RSF) dove Marina Ovsiannikova racconta la fuga dalla Russia coordinata da RSF. A seguire il video della conferenza stampa (l’audio inizia soltanto a 4’39”). Qui il testo originale del comunicato.

Ringrazio l’amica Claude Almansi per la tempestiva condivisione della notizia.

Continua (2 min il testo, 1 ora il video)

Teach For Italy ha aperto le selezioni per il suo programma di Fellowship 2023. 

Riporto qui di seguito la brochure e il testo dell’offerta TFI per il 2023.

Segue il testo (3 min)

L’escalation totalitaria russa avanza a grandi passi

È una notizia molto grave. Meduza, la testata giornalistica indipendente russa, costretta, insieme a Novaja Gazeta, ad operare all’estero è stata “promossa” nella paranoica classificazione della nomenclatura russa. Se fino a due giorni fa era definita “agente straniero” costringendo di fatto l’agenzia ad operare all’estero, ora è diventata una “organizzazione indesiderata”. Se il primo status aveva comportato la necessità di finanziarsi unicamente attraverso il crowdfunding all’estero, quello di “organizzazione indesiderata” comporta la certezza che chiunque collabori con essa, a qualsiasi titolo, sia perseguibile penalmente dall’autorità giudiziaria russa. Metto qui sotto la traduzione del messaggio inviato ieri da meduza ai propri sostenitori.

In Russia la dissidenza è soffocata ma c’è, pervasiva e crescente, eroica. Di quella dovremmo cercare informazioni e quella dovremmo sostenere, in tutti i modi possibili.

Cari, tanti, amici con cui ho condiviso sogni e avventure: vi siete messi dalla parte sbagliata della storia. Tragicamente sbagliata.

Leggi il messaggio di Meduza (3 min)

Il primo compito ricevuto dagli studenti di Napoli: o’ Vesuvio!

Francesca Lenci ha inaugurato la serie dei lavori degli studenti di Suor Orsola Benincasa e, senza sapere di essere la prima, l’ha fatto con il simbolo per eccellenza di questa mitica città.

Nel fare il suo lavoro ha applicato, in mutato contesto, le raccomandazioni di Orwell: togliere dal testo tutto ciò che non è indispensabile per l’essenza del messaggio.

Francesca era partita così:

Così, ho deciso di stendere un prato affianco “O’ Mare” che potesse ospitare quei simboli che un po’ per tutti rappresentano Napoli: A’ Pizza Margherita, O’ Curniciello, O’ Mandulino, Pullecenella, e per ultimo (ma forse il simbolo più bello della mia città) il padrone del cielo, colui che si specchia ogni giorno nel nostro mare, O’ Sole (che ho scelto di rappresentare con lo stemma della SSC Napoli, dato che i napoletani sono super tifosi). Nel rispetto della mia sanità mentale scelgo di abbandonare il lavoro per il momento, lo riprenderò in seguito.

Per poi concludere:

Ho ripreso il logo con un po’ di calma. Ho cancellato Pulcinella (più lo guardavo e più mi convincevo di quanto fosse brutto) e sono passata a disegnare il sole ovvero lo stemma della ssc Napoli. Appena finito mi sono resa conto che mi piaceva tanto la semplicità di quello che avevo realizzato e che, a volte, “tanto” è sinonimo di “troppo”. La semplicità sta nelle piccole cose, noi napoletani siamo famosi in tutto il mondo perché possediamo l’antica arte dell’arrangiarsi, ci accontentiamo di poco perché sappiamo bene che in realtà, sono le piccole cose ad avere un grande valore. E poi diciamoci la verità, io tutte quelle cose non le sapevo proprio fare, mi venivano brutte! Quindi meglio poco ma buono che tanto ma approssimato. Ed io oggi sono felice così, con la consapevolezza che mi sono impegnata al massimo e che ho portato a casa il risultato anche se non era quello che pensavo all’inizio. Sono felice di aver partecipato a questo corso perché mi ha dato modo di conoscere tanti lati di me, bisticciarci per poi fare amicizia, incoraggiarli, sostenerli, capirli, accettarli ed accettarmi e questo è il regalo più bello che potessi ricevere questo Natale.

Siamo fottuti, a questo punto

Dicono i russi pensanti (coraggiosi)

L’ho detto tante volte: è dentro alla Russia che bisogna guardare, anziché perdersi dietro alle panzane di esperti da salotto, giornalisiti egomaniaci e politici prezzolati. I mezzi ci sono ma l’incapacità di uscire dal proprio orto è angosciante, pure da parte di vari (apparentemente) eruditi. Tante persone (ancora apparentemente) molto istruite mancano di visione sistemica e tendono a leggere i fatti del mondo nello stretto cono di luce delle proprie competenze. Sì, questo riguarda tutti, compreso il sottoscritto, ma è qui che alle eventuali competenze andrebbe accompagnata l’umiltà e la prudenza che caratterizza il sapiente vero. Da qui l’indicazione: sentenziare meno e studiare di più. Il che vuol dire non ristudiare ciò che già hai conosciuto e che ormai costituisce la tua comfort zone ma insistere a cercare fuori, dove è più scomodo e magari sgradevole. La conoscenza comporta fatica. In fondo metto qualche riferimento.

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