ceci n’est pas un magritte

Questo elaborato è eccellente in qualunque modo lo si consideri: la genesi dell’idea, il riferimento al contesto che stiamo vivendo, il collegamento al pensiero di un grande artista, il codice ottimo, la realizzazione minuziosa.

Risultati del genere sono possibili solo uscendo dal paradigma disciplinaristico che affligge l’Accademia e demolendo gli stereotipi che ne derivano: il “disciplinarista” – in questo caso di informatica – che cerca “di far capire qualcosa alle maestrine” – espressione orrida ma che ho sentito.

Il caso di Scienze della Formazione Primaria è esemplare per descrivere la segregazione disciplinare stigmatizzata da Morin: non si tratta di andare a insegnare una “informatica diminuita”, in miniatura (o una fisica o una matematica…), ma di creare un contesto nel quale coloro che dovranno insegnare ai bambini possano esprimersi creativamente, secondo i canoni di quella disciplina. Si tratta di creare una nuova informatica ad hoc, a partire sì dalle proprie competenze (ovvio) ma anche sulla base dell’ascolto delle persone a cui si dovrà insegnare. Altrimenti è tempo perso, delle volte anche dannosamente.

Riporto il brano dove Silvia Mobilio introduce il suo lavoro.

Dopo un po’ di riscaldamento iniziale con LibreLogo ho iniziato a pensare a quale sarebbe potuto essere l’ oggetto da rappresentare attraverso il logo. Fra mille idee e ripensamenti mi è venuta l’idea di una finestra, un elemento che fa parte della nostra quotidianità, ma che in momento critico come quello che stiamo vivendo di scontato non ha assolutamente nulla. Oltre ad essere stata cantata da poeti come Leopardi o rappresentata da artisti come Friedrich come il limite fisico che mette in moto l’immaginazione, oggi più che mai la finestra costituisce la cerniera tra l’interno e l’esterno. Quell’esterno che abbiamo dato per troppo tempo come scontato, ma che ora, affacciati ad una comune finestra, possiamo vedere in modo limitato, rappresentando per molti l’unica forma di contatto con il mondo fuori dalle mura domestiche. Ho quindi associato all’immagine della finestra quella di oggetto-limite, che può essere in grado di sviluppare la nostra facoltà immaginativa e in questa direzione mi è venuta in mente una frase di Antoine de Saint Exupery che recita così:

Un ammasso di roccia cessa di essere un mucchio di roccia nel momento in cui un solo uomo la contempla immaginandola, al suo interno, come una cattedrale”.


Inoltre, pensando alla finestra, mi è venuto in mente un quadro di Magritte di cui però non ricordavo il titolo. Allora ho cominciato a sfogliare un libro del noto artista surrealista che avevo a casa. Sfoglia, sfoglia, il mio sguardo si è fermato sul dipinto che avevo in mente: ‘Golconda’, un quadro dove sullo sfondo di un cielo chiaro con alcuni palazzi con numerose finestre, come gocce di pioggia, sembrano scendere dal cielo moltissimi uomini dipinti in maniera standardizzata: tutti equidistanti, indossano lo stesso abito nero con l’immancabile bombetta, posano tutti quanti con un portamento rigido, e l’unica variazione presente tra uomo e uomo è l’orientamento. Alcuni sono rivolti verso destra, altri invece verso sinistra, ma nessuno di loro guarda in alto o in basso, tutti chiusi nella loro solitudine. Questo quadro mi ha riportato emotivamente alla situazione difficile che stiamo attraversando ora: ognuno chiuso nella propria solitudine, dentro i confini del proprio corpo vulnerabile e della propria abitazione, ma tutti attori di un fiume umano dove, come nel quadro di Magritte, l’individualità sparisce e il mondo appare come una replica dove non esistono differenze.

Altro aspetto estremamente curioso, caro diario, è il titolo: Golconda infatti era un’antica città molto ricca dell’India, descritta dal pittore come una specie di miracolo, anche per la ricchezza dei suoi giacimenti di diamanti. E ricercando dunque il sottile collegamento tra il titolo e l’opera, Magritte stesso dichiara come sia un miracolo “poter camminare attraverso il cielo sulla terra”, riprendendo la dimensione surreale del dipinto e, aggiungo io, sottolineando il desiderio, quanto mai riferibile al momento che stiamo vivendo, di sognare e immaginare, sospesi come gocce d’acqua fra la terra e il cielo.

Così ho deciso di provare a realizzare questo quadro come logo. Inoltre, poiché sono molto appassionata di arte e i quadri di Magritte mi piacciono molto, ho pensato che, in un futuro, durante una lezione di arte, potrei mostrare ai bambini un dipinto e la sua riproduzione mediante l’utilizzo di LibreLogo. Un’altra attività interessante potrebbe essere quella di far disegnare ai bambini il proprio quadro facendo inserire loro forme e colori a proprio piacimento.

Ed ora eccomi pronta finalmente per iniziare il mio logo. Inizio a disegnare il rettangolo che costituirà il mio quadro. Dopodiché costruisco le case, disegnando un rettangolo e, usando la funzione ‘Repeat’, disegno i tetti delle case. Successivamente, scelgo i colori che più si avvicinano a quelli presenti nel quadro di Magritte, servendomi dei codici RGB trovati su internet. Inoltre, ho deciso di realizzare delle brevi didascalie per spiegare i vari procedimenti che ho messo in atto durante la creazione del logo con lo scopo di rendere più efficace la lettura dei vari comandi.

Doveva essere solo (altro stereotipo) un laboratorio da 3 CFU.

La Scuolina online al tempo del coronavirus

La Scuolina nata a Poggio alla Croce tre anni fa si rivela sorprendentemente adattabile. Approdata a Firenze lo scorso agosto, grazie alla collaborazione del Cospe, da marzo prosegue online.

Ma sono Roberta e Serena a scriverne ed è proprio questo che voglio mettere in luce. Perché sono loro che curano la Scuolina, da quando si è urbanizzata. Sono studentesse del corso di laurea in Scienze dell’Educazione degli Adulti.

Potersi eclissare dietro ai propri studenti è la più grossa soddisfazione che un insegnante possa avere.

Dunque ecco il pezzo di Roberta:

Prossimità a distanza

e quello di Serena:

Come un camaleonte

Aggiungo questa scheda con i dettagli delle attività online (57 incontri dal 23 marzo…)

Registro della Scuolina online al tempo del Coronavirus

L’irrefrenabile creatività dei miei studenti

Mi rendo conto di essere sempre indietro nel documentare questa affascinante avventura di insegnamento che mi capita di vivere in questi anni. Recupero qui alcuni dei lavori proposti dai miei studenti, intorno alle attività di programmazione con Logo.

Colgo tuttavia l’occasione per chiarire che la creatività si libera non attraverso la mera “trasmissione di competenze” – certo che sì, anche, questa è la parte banale – ma grazie alla cura per un contesto di riferimento etico in grado di attivare l’intelligenza emotiva, senza la quale non v’è reale crescita né sviluppo di sapienza. Lo ha scritto perfettamente Martina Daraio nel suo elaborato:

Mi ha colpito, soprattutto, la concezione etica sulla quale è costruito tutto il corso. È il motivo per cui fin da subito questo laboratorio mi è sembrato diverso dal solito. Non avevo mai visto un approccio alla cultura di questo genere, fondato sulla condivisione, l’aiuto reciproco, ben lontano da qualsiasi scopo puramente egoistico di lucro e affermazione personale da parte di chi lo ha creato. Magari è solo una prima impressione, ma mi è sembrata così diversa questa visione della conoscenza, così dannatamente straordinaria.

È così che ogni tanto mi capitano elaborati densi e lunghi – il record è di 90 pagine (per tre CFU!) – con codici complessi – il record è di 1780 istruzioni (per i soliti 3 CFU!) – nei quali mi perdo, francamente felice. Scoprendo spesso cose che io stesso non avevo pensato si potessero fare…

Fra quelli che non voglio smarrire c’è quello di Elena Cantoni, ispirata dalla “Notte stellata” di van Gogh:


E poi “Notte stellata” rivisitata (indipendentemente l’anno successivo) da Diletta Socci alla maniera di Adam Lister:

E Marylin Monroe secondo Andy Warhol ricostruita da Clarissa Mazzoni così:

Le “idee potenti” di Papert

Mi ero perso questo post rimasto in bozza. Il workshop che ho tenuto presso il Politecnico di Zurigo il 5 febbraio scorso – Exploring the land of powerful mathematical ideas with Logo’s Turtle (workshop N.5) – si è rivelato un’ottima occasione per approfondire e definire meglio vari concetti. In particolare mi ha consentito di affrontare un lavoro sistematico di “scavo” nella Turtle Geometry che ha fatto emergere una quantità sorprendente di quelle che Papert chiamava “idee potenti” o “idee matematiche potenti”, preziosissime e praticamente scomparse dal discorso intorno alla programmazione del computer a scuola – evito di proposito i termini che vanno di moda perché non ho intenzione di rimanervi intrappolato.

Qui ne voglio evidenziare una fra varie che dopo elencherò. E precisamente una di quelle che sembrano più ardite, pensando a un contesto di formazione primaria: l’idea di equazione differenziale. La questione emerge nel contesto di una tipica attività sintonica (nel senso di Papert), dove i bambini vengono accompagnati in attività che generano geometria giocando con il proprio corpo.

Non finirò mai di ringraziare la maestra Antonella Colombo per questa documentazione di pratiche sintoniche. Un grande regalo, nello spirito del riflesso dell’altro. Queste immagini non hanno bisogno di commenti. Ma dove sono le equazioni differenziali?

Papert si riferiva agli ambienti di apprendimento – Logo od altro – come “incubatori di idee potenti”. Le idee non si “trasferiscono”, figuriamoci il concetto di equazione differenziale a bambini di nove anni! La questione infatti non è quella di “spiegare le equazioni differenziali” ma di creare, o anche solo abbozzare, un dispositivo mentale che potrà un giorno ospitarle più facilmente. Forse una configurazione di una qualche rete sinaptica, una sorta di varco accennato in un cespuglio prima mai percorso.

Questo è esattamente il caso delle esperienze sintoniche della maestra Antonella.

Il punto chiave qui è che nelle istruzioni FORWARD 1 LEFT 1 non c’è alcun riferimento ad attributi globali che possano caratterizzare
il concetto di cerchio: nessuna menzione di un centro, nessuna menzione di un raggio. Alla Tartaruga viene data solo una “regola locale” e nient’altro: fai un piccolo passo e gira un pochino, sempre allo stesso modo. Poi viene fuori il cerchio.
Com’è possibile? Cosa ci sfugge? C’è qualcosa di impreciso? Qualcosa di “non abbastanza matematico”? Niente di tutto ciò. Questo tipo di descrizione locale è perfettamente legittima in matematica e ricade, appunto, nel dominio delle equazioni differenziali.
L’equazione differenziale del cerchio è la seguente:

\left\lVert\frac{d\vec{T}}{d\vec{S}}\right\rVert = k

dove k è una costante (nel caso del cerchio) che prende il nome di curvatura k = 1/r , dove r è il raggio. Dal punto di vista matematico, l’equazione è un’equazione differenziale perché mette in relazioni le variazioni di certe quantità con altri elementi. Nel nostro caso, discorrendo in termini intuitivi, l’equazione ci dice di quanto cambia la direzione (d\vec{T}) in corrispondenza di una data variazione di posizione (d\vec{S}) lungo la traiettoria, ovvero della lunghezza del passo della bambina. L’entità di tale variazione in un cerchio è fissa lungo tutto il contorno e vale k, che è la curvatura. (In termini più rigorosi l’equazione dice che la derivata del vettore unitario tangente in un punto rispetto alla posizione è costante e vale k).

Dicevamo che sono sorpredentemente numerose le idee potenti che la pratica di programmazione del computer può sottendere, se assistita da un mentore adeguatamente consapevole, non solo delle competenze specifiche ma anche dei processi mentali sottostanti e, soprattutto dei nessi fra discipline diverse che, molto spesso, tali pratiche sottendono. Purtroppo qui tocca evocare il molto citato, ma forse non sempre ben compreso, pensiero di Morin, quando denuncia il lutto della ricerca, causato dalla frammentazione del sapere in discipline impermeabili fra loro. Lutto che si propaga dalla ricerca all’insegnamento universitario e giù giù ai vari ordini di scuole.

Ecco alcuni esempi di alcune idee emerse fino ad ora da una serie di esperimenti didattici che sto esplorando. Va da sé che quasi nulla di ciò che è elencato qui sotto va esplicitato dal mentore. Ma ciò che fa la differenza è il fatto che egli sia consapevole di tali nessi, soffermandosi e indulgendo intorno a tali idee, rivisitandole a più riprese nell’ottica dello spiral curriculum di Bruner, con un ideale passaggio di testimone fra un ordine e l’altro di scuole.

  • Divide et impera (pensiero scientifico)
  • Paradigma della formazione della conoscenza scientifica (pensiero scientifico)
  • Concetto di “legge” (pensiero scientifico)
  • Dominio di una teoria scientifica: verità scientifica (pensiero scientifico)
  • Potere sintetico della matematica (pensiero matematico)
  • Isomorfismo (matematica)
  • Crescita lineare ed esponenziale (matematica)
  • Calcolo simbolico (algebra)
  • Equazioni differenziali (analisi matematica)
  • Concetto di integrazione (analisi matematica)
  • Approssimazioni successive (analisi matematica)
  • Frattali: infinito nel finito (analisi matematica, sistemi complessi)
  • Ruolo del caso in natura (sistemi complessi)
  • Ruolo dei feedback in natura (sistemi complessi)
  • Autosimilarità, regolarità nell’irregolarità, frattali (sistemi complessi)
  • Stato di un sistema (fisica e non solo)
  • Campi scalari e vettoriali (fisica)
  • Condizioni iniziali nei problemi (fisica)
  • Approccio computazionale vs algebrico (fisica)
  • Incapsulamento di funzionalità in nuovi comandi: (informatica)
  • Limiti della macchina (e della teoria): come può l’esecuzione di un programma diventare involontariamente una storia senza fine? (informatica)