Preparando l’ultimo lab di tecnologie didattiche presso gli Orti Dipinti

Aggiornamento lampo del giorno dopo — seguirà un post-tutorial dettagliato.

Solo per segnalare, con soddisfazione, che gli studenti, dopo avere discusso insieme tutte le caratteristiche di quattro robot fra i più noti (Beebot, Mio Robot, Cubetto, Ozobot) e averli sperimentati approfonditamente, hanno concluso che quello più imperfetto, come fosse un po’ lo sfigato del gruppo, il Mio Robot da €25, era il preferibile. Bene, molto bene. L’entusiasmo, la curiosità e la lucidità di questi giovani fanno bene al cuore.

Continua (30 min)

Abbiamo impiegato 5000 anni a sviluppare codici universali — ora stiamo tornando indietro

Pieter Brueghel the Elder, Public domain, via Wikimedia Commons

La scrittura è stata sviluppata in varie culture. Se ne ha notizia dalla civiltà mesopotamica, oltre 5000 anni fa. I linguaggi matematici sono altrettanto antichi. Anche codici numerici, metodi di cifratura, compressione delle informazioni — oggi dominio della computer science — sono comparsi già in quelle epoche remote. Senza tutti questi potenti metodi di codifica e manipolazione delle informazioni non avrebbero visto la luce le grandi civiltà che si sono susseguite, egiziana, greca, romana etc. Non avremmo avuto le cattedrali gotiche. Non ci sarebbe stato il Rinascimento. Non l’arte, l’artigianato sopraffino, la finanza. Nel quindicesimo secolo abbiamo la rivoluzione gutenberghiana. Da lì prende le mosse la pedagogia, qualcuno inizia a pensare di educare le masse, come Lutero — disponeva della stampa… — poi subito dopo Comenio che nel mezzo della guerra dei trent’anni osa immaginare il lifelong learning. Nel ‘600 Galileo insegna il dialogo con la natura mediante il linguaggio matematico ed è subito rivoluzione scientifica, travolgente — quattro secoli di sviluppo furibondo. A metà del ‘900 si pongono le basi teoriche della rappresentazione digitale dell’informazione (Claude Shannon, Alan Turing, John von Neumann etc.) e già alle soglie del terzo millenio la digitalizzazione pervade la vita dell’umanità intera: la stessa tecnologia in tasca al migrante sul gommone e allo yuppie a Wall Street.

Lingue, grammatiche, matematiche, stampa, poi digitalizzazione di tutto questo, tutti passi nella direzione della comunicazione universale. Internet sembrava andare in questa direzione, almeno fino alla Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio del 1996 di John Perry Barlow. Gli ingenui come il sottoscritto avevano veramente intravisto sorti magnifiche e progressive in quel cyber, che sembrava collegare magicamente la cybernetics (incubatrice della computer science) di John von Neumann, Norbert Wiener, Claude Shannon, Greg Walter, di appena cinquant’anni prima, con la dichiarazione di John Perry Barlow.

L’illusione è durata pochissimo. Abbiamo iniziato ad accorgercene subito, nel 1999, con il code is law di Lawrence Lessig: le regole del cyberspazio le fanno le companies. Gli stati nazione arrancano. Ma ancora non immaginavamo le conseguenze. Oggi Internet è composta da proprietà private abitate da cittadini inconsapevoli di esserlo e tanto meno di essere manovrati. Gli informatici delle high tech si accorgono di occuparsi di ingegneria sociale e controllo piscologico delle masse — qualcuno esce dal giro: /the social dilemma. L’utente social crede di fruire di un prodotto gratuito senza rendersi conto di essere diventato il vero prodotto. Crede quello che gli viene fatto credere e su ciò prende posizione, combatte le tribù nemiche e vota. La società della conoscenza degenera in quella del sentito dire.

I meccanismi di tracciamento, volti alla personalizzazione estrema dei messaggi pubblicitari e del prossimo post o video da guardare, si rivelano un potentissimo strumento di controllo delle masse, oltre l’immaginazione di Orwell e Huxley — da rileggere, di questi tempi. Polarizzazione, fidelizzazione, tribalizzazione sono effetti divisivi. La comunicazione estrema si risolve in assenza di comunicazione. La Torre di Babele risorge più caotica di prima. La nozione di cittadino assume i connotati del customer con una progressione pervasiva e subdola. L’universo delle lingue naturali, delle matematiche, delle codifiche digitali aperte, si polverizza in un altro universo, di recinti chiusi, conigliere social, app, gerghi, grammatiche effimere. Bolle, chiuse ma anche volatili, dove tutto e il suo contrario possono essere egualmente veri, dove notizie vere e false conquistano con la medesima facilità l’attenzione di utenti deprivati degli strumenti e del tempo necessario per riflettere e filtrare, dove il dubbio legittimo si decompone all’istante in complottismo, dove chi magari denuncia è esso medesimo funzionale al tutto.

Chi può arrestare la restarurazione della Torre di Babele? Forse solo la scuola. Se ci riuscirà o meno nessuno può saperlo. Ma esserne consapevoli potrebbe aiutare.

Un passo indietro verso il futuro per una conoscenza peninsulare

L’ispirazione nel pensiero di Edgar Morin, Jerome Bruner, Seymour Papert e nell’opera che sta portando avanti Juraj Hromkovič della ETH di Zurigo con l’Ausbildung- und Beratungszentrum für Informatikunterricht ETH Zürich (ABZ).

Intorno allo sviluppo del pensiero scientifico attraverso la programmazione del computer, gli esercizi con il corpo, l’esplorazione delle forme e del loro divenire, la ricerca del bello.

Gli esiti attraverso le opere e le parole degli studenti: Antonella, Elena, Clarissa, Marta, Eleonora.

Un articolo per il convegno “Professione Insegnante: quali Strategie per la Formazione?“, organizzato dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e dal Centro di Ricerca Interuniversitario GEO – Giovani Educazione Orientamento – Napoli 15-17 giugno.

Articolo disponibile qui.

ceci n’est pas un magritte

Questo elaborato è eccellente in qualunque modo lo si consideri: la genesi dell’idea, il riferimento al contesto che stiamo vivendo, il collegamento al pensiero di un grande artista, il codice ottimo, la realizzazione minuziosa.

Risultati del genere sono possibili solo uscendo dal paradigma disciplinaristico che affligge l’Accademia e demolendo gli stereotipi che ne derivano: il “disciplinarista” – in questo caso di informatica – che cerca “di far capire qualcosa alle maestrine” – espressione orrida ma che ho sentito.

Il caso di Scienze della Formazione Primaria è esemplare per descrivere la segregazione disciplinare stigmatizzata da Morin: non si tratta di andare a insegnare una “informatica diminuita”, in miniatura (o una fisica o una matematica…), ma di creare un contesto nel quale coloro che dovranno insegnare ai bambini possano esprimersi creativamente, secondo i canoni di quella disciplina. Si tratta di creare una nuova informatica ad hoc, a partire sì dalle proprie competenze (ovvio) ma anche sulla base dell’ascolto delle persone a cui si dovrà insegnare. Altrimenti è tempo perso, delle volte anche dannosamente.

Riporto il brano dove Silvia Mobilio introduce il suo lavoro.

Dopo un po’ di riscaldamento iniziale con LibreLogo ho iniziato a pensare a quale sarebbe potuto essere l’ oggetto da rappresentare attraverso il logo. Fra mille idee e ripensamenti mi è venuta l’idea di una finestra, un elemento che fa parte della nostra quotidianità, ma che in momento critico come quello che stiamo vivendo di scontato non ha assolutamente nulla. Oltre ad essere stata cantata da poeti come Leopardi o rappresentata da artisti come Friedrich come il limite fisico che mette in moto l’immaginazione, oggi più che mai la finestra costituisce la cerniera tra l’interno e l’esterno. Quell’esterno che abbiamo dato per troppo tempo come scontato, ma che ora, affacciati ad una comune finestra, possiamo vedere in modo limitato, rappresentando per molti l’unica forma di contatto con il mondo fuori dalle mura domestiche. Ho quindi associato all’immagine della finestra quella di oggetto-limite, che può essere in grado di sviluppare la nostra facoltà immaginativa e in questa direzione mi è venuta in mente una frase di Antoine de Saint Exupery che recita così:

Un ammasso di roccia cessa di essere un mucchio di roccia nel momento in cui un solo uomo la contempla immaginandola, al suo interno, come una cattedrale”.


Inoltre, pensando alla finestra, mi è venuto in mente un quadro di Magritte di cui però non ricordavo il titolo. Allora ho cominciato a sfogliare un libro del noto artista surrealista che avevo a casa. Sfoglia, sfoglia, il mio sguardo si è fermato sul dipinto che avevo in mente: ‘Golconda’, un quadro dove sullo sfondo di un cielo chiaro con alcuni palazzi con numerose finestre, come gocce di pioggia, sembrano scendere dal cielo moltissimi uomini dipinti in maniera standardizzata: tutti equidistanti, indossano lo stesso abito nero con l’immancabile bombetta, posano tutti quanti con un portamento rigido, e l’unica variazione presente tra uomo e uomo è l’orientamento. Alcuni sono rivolti verso destra, altri invece verso sinistra, ma nessuno di loro guarda in alto o in basso, tutti chiusi nella loro solitudine. Questo quadro mi ha riportato emotivamente alla situazione difficile che stiamo attraversando ora: ognuno chiuso nella propria solitudine, dentro i confini del proprio corpo vulnerabile e della propria abitazione, ma tutti attori di un fiume umano dove, come nel quadro di Magritte, l’individualità sparisce e il mondo appare come una replica dove non esistono differenze.

Altro aspetto estremamente curioso, caro diario, è il titolo: Golconda infatti era un’antica città molto ricca dell’India, descritta dal pittore come una specie di miracolo, anche per la ricchezza dei suoi giacimenti di diamanti. E ricercando dunque il sottile collegamento tra il titolo e l’opera, Magritte stesso dichiara come sia un miracolo “poter camminare attraverso il cielo sulla terra”, riprendendo la dimensione surreale del dipinto e, aggiungo io, sottolineando il desiderio, quanto mai riferibile al momento che stiamo vivendo, di sognare e immaginare, sospesi come gocce d’acqua fra la terra e il cielo.

Così ho deciso di provare a realizzare questo quadro come logo. Inoltre, poiché sono molto appassionata di arte e i quadri di Magritte mi piacciono molto, ho pensato che, in un futuro, durante una lezione di arte, potrei mostrare ai bambini un dipinto e la sua riproduzione mediante l’utilizzo di LibreLogo. Un’altra attività interessante potrebbe essere quella di far disegnare ai bambini il proprio quadro facendo inserire loro forme e colori a proprio piacimento.

Ed ora eccomi pronta finalmente per iniziare il mio logo. Inizio a disegnare il rettangolo che costituirà il mio quadro. Dopodiché costruisco le case, disegnando un rettangolo e, usando la funzione ‘Repeat’, disegno i tetti delle case. Successivamente, scelgo i colori che più si avvicinano a quelli presenti nel quadro di Magritte, servendomi dei codici RGB trovati su internet. Inoltre, ho deciso di realizzare delle brevi didascalie per spiegare i vari procedimenti che ho messo in atto durante la creazione del logo con lo scopo di rendere più efficace la lettura dei vari comandi.

Doveva essere solo (altro stereotipo) un laboratorio da 3 CFU.

L’irrefrenabile creatività dei miei studenti

Mi rendo conto di essere sempre indietro nel documentare questa affascinante avventura di insegnamento che mi capita di vivere in questi anni. Recupero qui alcuni dei lavori proposti dai miei studenti, intorno alle attività di programmazione con Logo.

Colgo tuttavia l’occasione per chiarire che la creatività si libera non attraverso la mera “trasmissione di competenze” – certo che sì, anche, questa è la parte banale – ma grazie alla cura per un contesto di riferimento etico in grado di attivare l’intelligenza emotiva, senza la quale non v’è reale crescita né sviluppo di sapienza. Lo ha scritto perfettamente Martina Daraio nel suo elaborato:

Mi ha colpito, soprattutto, la concezione etica sulla quale è costruito tutto il corso. È il motivo per cui fin da subito questo laboratorio mi è sembrato diverso dal solito. Non avevo mai visto un approccio alla cultura di questo genere, fondato sulla condivisione, l’aiuto reciproco, ben lontano da qualsiasi scopo puramente egoistico di lucro e affermazione personale da parte di chi lo ha creato. Magari è solo una prima impressione, ma mi è sembrata così diversa questa visione della conoscenza, così dannatamente straordinaria.

È così che ogni tanto mi capitano elaborati densi e lunghi – il record è di 90 pagine (per tre CFU!) – con codici complessi – il record è di 1780 istruzioni (per i soliti 3 CFU!) – nei quali mi perdo, francamente felice. Scoprendo spesso cose che io stesso non avevo pensato si potessero fare…

Fra quelli che non voglio smarrire c’è quello di Elena Cantoni, ispirata dalla “Notte stellata” di van Gogh:


E poi “Notte stellata” rivisitata (indipendentemente l’anno successivo) da Diletta Socci alla maniera di Adam Lister:

E Marylin Monroe secondo Andy Warhol ricostruita da Clarissa Mazzoni così:

Le “idee potenti” di Papert

Mi ero perso questo post rimasto in bozza. Il workshop che ho tenuto presso il Politecnico di Zurigo il 5 febbraio scorso – Exploring the land of powerful mathematical ideas with Logo’s Turtle (workshop N.5) – si è rivelato un’ottima occasione per approfondire e definire meglio vari concetti. In particolare mi ha consentito di affrontare un lavoro sistematico di “scavo” nella Turtle Geometry che ha fatto emergere una quantità sorprendente di quelle che Papert chiamava “idee potenti” o “idee matematiche potenti”, preziosissime e praticamente scomparse dal discorso intorno alla programmazione del computer a scuola – evito di proposito i termini che vanno di moda perché non ho intenzione di rimanervi intrappolato.

Qui ne voglio evidenziare una fra varie che dopo elencherò. E precisamente una di quelle che sembrano più ardite, pensando a un contesto di formazione primaria: l’idea di equazione differenziale. La questione emerge nel contesto di una tipica attività sintonica (nel senso di Papert), dove i bambini vengono accompagnati in attività che generano geometria giocando con il proprio corpo.

Non finirò mai di ringraziare la maestra Antonella Colombo per questa documentazione di pratiche sintoniche. Un grande regalo, nello spirito del riflesso dell’altro. Queste immagini non hanno bisogno di commenti. Ma dove sono le equazioni differenziali?

Papert si riferiva agli ambienti di apprendimento – Logo od altro – come “incubatori di idee potenti”. Le idee non si “trasferiscono”, figuriamoci il concetto di equazione differenziale a bambini di nove anni! La questione infatti non è quella di “spiegare le equazioni differenziali” ma di creare, o anche solo abbozzare, un dispositivo mentale che potrà un giorno ospitarle più facilmente. Forse una configurazione di una qualche rete sinaptica, una sorta di varco accennato in un cespuglio prima mai percorso.

Questo è esattamente il caso delle esperienze sintoniche della maestra Antonella.

Il punto chiave qui è che nelle istruzioni FORWARD 1 LEFT 1 non c’è alcun riferimento ad attributi globali che possano caratterizzare
il concetto di cerchio: nessuna menzione di un centro, nessuna menzione di un raggio. Alla Tartaruga viene data solo una “regola locale” e nient’altro: fai un piccolo passo e gira un pochino, sempre allo stesso modo. Poi viene fuori il cerchio.
Com’è possibile? Cosa ci sfugge? C’è qualcosa di impreciso? Qualcosa di “non abbastanza matematico”? Niente di tutto ciò. Questo tipo di descrizione locale è perfettamente legittima in matematica e ricade, appunto, nel dominio delle equazioni differenziali.
L’equazione differenziale del cerchio è la seguente:

\left\lVert\frac{d\vec{T}}{d\vec{S}}\right\rVert = k

dove k è una costante (nel caso del cerchio) che prende il nome di curvatura k = 1/r , dove r è il raggio. Dal punto di vista matematico, l’equazione è un’equazione differenziale perché mette in relazioni le variazioni di certe quantità con altri elementi. Nel nostro caso, discorrendo in termini intuitivi, l’equazione ci dice di quanto cambia la direzione (d\vec{T}) in corrispondenza di una data variazione di posizione (d\vec{S}) lungo la traiettoria, ovvero della lunghezza del passo della bambina. L’entità di tale variazione in un cerchio è fissa lungo tutto il contorno e vale k, che è la curvatura. (In termini più rigorosi l’equazione dice che la derivata del vettore unitario tangente in un punto rispetto alla posizione è costante e vale k).

Dicevamo che sono sorpredentemente numerose le idee potenti che la pratica di programmazione del computer può sottendere, se assistita da un mentore adeguatamente consapevole, non solo delle competenze specifiche ma anche dei processi mentali sottostanti e, soprattutto dei nessi fra discipline diverse che, molto spesso, tali pratiche sottendono. Purtroppo qui tocca evocare il molto citato, ma forse non sempre ben compreso, pensiero di Morin, quando denuncia il lutto della ricerca, causato dalla frammentazione del sapere in discipline impermeabili fra loro. Lutto che si propaga dalla ricerca all’insegnamento universitario e giù giù ai vari ordini di scuole.

Ecco alcuni esempi di alcune idee emerse fino ad ora da una serie di esperimenti didattici che sto esplorando. Va da sé che quasi nulla di ciò che è elencato qui sotto va esplicitato dal mentore. Ma ciò che fa la differenza è il fatto che egli sia consapevole di tali nessi, soffermandosi e indulgendo intorno a tali idee, rivisitandole a più riprese nell’ottica dello spiral curriculum di Bruner, con un ideale passaggio di testimone fra un ordine e l’altro di scuole.

  • Divide et impera (pensiero scientifico)
  • Paradigma della formazione della conoscenza scientifica (pensiero scientifico)
  • Concetto di “legge” (pensiero scientifico)
  • Dominio di una teoria scientifica: verità scientifica (pensiero scientifico)
  • Potere sintetico della matematica (pensiero matematico)
  • Isomorfismo (matematica)
  • Crescita lineare ed esponenziale (matematica)
  • Calcolo simbolico (algebra)
  • Equazioni differenziali (analisi matematica)
  • Concetto di integrazione (analisi matematica)
  • Approssimazioni successive (analisi matematica)
  • Frattali: infinito nel finito (analisi matematica, sistemi complessi)
  • Ruolo del caso in natura (sistemi complessi)
  • Ruolo dei feedback in natura (sistemi complessi)
  • Autosimilarità, regolarità nell’irregolarità, frattali (sistemi complessi)
  • Stato di un sistema (fisica e non solo)
  • Campi scalari e vettoriali (fisica)
  • Condizioni iniziali nei problemi (fisica)
  • Approccio computazionale vs algebrico (fisica)
  • Incapsulamento di funzionalità in nuovi comandi: (informatica)
  • Limiti della macchina (e della teoria): come può l’esecuzione di un programma diventare involontariamente una storia senza fine? (informatica)

Esplorando il paese delle idee matematiche potenti con la Tartaruga di Logo

Questo quadro è esposto presso l’Ausbildungs- und Beratungszentrum della ETH di Zurigo. L’autrice, ispirata dai racconti dei ricercatori dell’ABZ, è Ingrid Zamecnikova.

Mercoledì 5 pomeriggio terrò un workshop alla Quinta Giornata Svizzera per l’Insegnamento dell’Informatica presso il Politecnico di Zurigo. Il luogo ideale per portare avanti l’opera di recupero del pensiero di Seymour Papert, considerato il lavoro che viene fatto da circa dieci anni presso l’ABZ della ETH, il centro di formazione e consulenza per l’insegnamento dell’informatica diretto dal Prof. Juraj Hromkovič. Nel workshop cercheremo di approfondire ciò che intendeva dire Papert con il suo apprendimento sintonico e scopriremo varie “idee potenti” che vengono evocate lavorando con la Geometria della Tartaruga, perché l’idea potente più potente di tutte è quella di “idea potente” sosteneva il padre di Logo.

Il workshop è supportato da un testo approfondito e da tutti i programmi citati nell’articolo, sia in Logo che in Python. Tutte queste risorse sono liberamente accessibili con licenza CC 4.0. L’articolo può essere scaricato anche direttamente da Exploring the land of powerful mathematical ideas with Logo’s Turtle. Appena possibile distribuiremo una versione in italiano.

Utilizzeremo Logo nell’implementazione LibreLogo, plugin di LibreOffice, in quella di XLogo, sviluppata presso l’ABZ, sia in forma Web che scaricabile, e la libreria Python “turtle”, nella versione TigerYjthon, sempre sviluppata presso ABZ, anche questa in forma web e scaricabile.

Il workshop sarà orientato sia a insegnanti di scuola primaria che di scuola secondaria.


Il riflesso dell’altro

Il logo creato da Elena

Il grande assente da quasi tutti i discorsi intorno all’innovazione didattica e all’impiego delle tecnologie: l’ascolto. I numerosi feedback che ricevo da tanti studenti originano dall’ascolto, che pongo alla base di qualsiasi iniziativa o pratica. Poi forse dalla competenza, ma solo secondariamente. La competenza è necessaria ma senza ascolto produce risultati modesti. Per questo ogni tanto divulgo alcuni passaggi scritti dai miei studenti nei loro elaborati o nelle lettere che mi inviano, ove me ne diano il consenso. Questa volta è il turno di Elena Forzoni che ringrazio.

La seguente riflessione esprime uno dei risultati più gratificanti per un insegnante, quando l’allievo, nel pur breve tempo della convivenza didattica – due tre mesi in questo caso – trova il tempo di assimilare il senso profondo dell’insegnamento e di metterlo in pratica in situazione nel proprio lavoro o tirocinio.

Oggi mi sono soffermata a leggere il capitolo 11 del manuale ‘Girando in tondo: dal cerchio all’orbita di Halley[il link punta al corispondente capitolo del MOOC, dove ci si può iscrivere liberamente] dove la Maestra Antonella svolge preziose esperienze con i bambini. Quindi ho preso spunto da lei! Ho detto di voler vedere con i miei occhi, al tirocinio, se i bambini sono in grado di utilizzare LibreLogo, vediamo. Quest’anno sto seguendo una classe seconda primaria. Hanno appena iniziato a guardare la geometria sul libro , quindi ho proposto alla maestra di portarli in palestra. Li ho fatti posizionare con i piedi sopra una linea retta vicino al muro ed ho messo dei cerchi qualche metro più lontano da loro; uno alla volta ho chiesto loro di andare dalla linea retta in cui stavano in piedi al cerchio, svolgendo a proprio piacimento una linea retta, una linea curva, una linea spezzata o una linea chiusa. Ho appurato che hanno appreso divertendosi e successivamente sono riusciti a riportare sul quaderno dei concetti visti e sperimentati con il proprio corpo. Ho poi aperto il mio computer e scritto alla lavagna alcuni codici da utilizzare su LibreLogo, ho chiamato nuovamente un bambino alla volta e ho chiesto di disegnare con la tartaruga quello che preferivano: linea retta, linea chiusa, linea aperta ed ho visto con i miei occhi che fornendo loro i giusti mezzi sono in grado di fare tutto. È stato emozionante vederli così contenti di apprendere con l’utilizzo di nuovi semplici metodi.

E i pensieri che Elena esprime nel brano successivo sono una bella espressione delle conseguenze dell’ascolto praticato pervasivamente. Perché non sono aspetti collegati alla competenza – quella va data per scontata, è la parte ovvia del lavoro di insegnante. È invece qualcosa che attiene alla creazione di un’atmosfera, che può partire solo da atti iniziali che attengono all’ascolto. È qualcosa di caldo, la competenza è invece fredda e di per sé insufficiente ad alimentare una relazione educativa vera.

Il suo laboratorio è un laboratorio a tutti gli effetti dove inizialmente ci si spaventa, ma poi, piano piano e sbattendo la testa sulla tastiera, ci si appassiona. Credo che il suo laboratorio sia cosi entusiasmante perché Lei, Professore, ci infonde l’entusiasmo che ha. In poche lezioni ci ha fatto capire che tipo di persona è e che pensiero ha su molte cose della vita, bè sinceramente vorrei trasmettere ai bambini in una classe proprio quello che Lei ha trasmesso a me: quella voglia continua di imparare e di ragionare con la nostra testa anche se davanti ci si presenta un situazione difficile, di non arrendersi se una cosa non ci riesce alla prima, di non dare importanza a cose secondarie come un voto ma soffermarsi sul contenuto sopratutto con i bambini, di porsi alla classe con un metodo di insegnamento attivo, innovativo e allo stesso tempo volto verso i bambini più in difficoltà, partire proprio da loro. Potrei continuare, ma mi fermo qua. La ringrazio per avermi fatto scoprire la nostra amica Tartaruga, la sua geometria e tutti gli altri programmi che ci ha presentato, la ringrazio per non avermi fatto demordere grazie alle sue parole, anche se non rivolte direttamente a me, mi hanno incoraggiata ed ora sono qui a scrivere le conclusioni. Parlerò ed utilizzerò sicuramente molte delle cose che ci ha fatto scoprire durante le ore di laboratorio, quindi ne deduco che sia stato un laboratorio riuscito al 100%.

Grazie a tutti gli studenti che con i loro pensieri mi aiutano a orientare il lavoro, dandomi importanti conferme. Qui abbiamo usato il “semplice” (in realtà assai sofisticato nei fondamenti informatici e pedagogici) Logo, senza bisogno di servizi online e complicate interfacce grafiche. Possiamo continuare così…

Workshop presso il Politecnico di Zurigo nella Giornata Svizzera per l’insegnamento dell’informatica

Ho appena scritto in un altro post che delle volte, se si è seminato qualcosa, ci pensa il mondo a chiudere il cerchio, molto meglio di quanto uno avrebbe immaginato. Così accade di ricevere un invito a tenere un workshop presso il Politecnico Federale di Zurigo (ETH: Eidgenössische Technische Hochschule Zürich).

La cosa rallegra particolarmente perché il centro di formazione e consulenza per la formazione informatica del Politecnico di Zurigo (Ausbildungs- und Beratungszentrum für Informatikunterricht der ETH Zürich – ABZ), diretto dal Prof. Juraj Hromkovič, svolge un grande lavoro di collegamento fra università e scuola in base a principi scientifici e etici che sono esattamente gli stessi che ispirano il nostro lavoro.

Spero di dare un contributo utile. Per me sicuramente un’occasione per imparare molto.

Qui il workshop che offrirò.

Workshop 5 – Exploring the land of powerful mathematical ideas with Logo’s Turtle

In this workshop, first we are going to talk about the choice of coding systems and other technologies in relation to accessibility. We will try to understand why it makes sense to use free software and free tools in educational contexts, whenever possible. We will pose the issue in an international perspective, where not all areas have equal opportunities, and we will relate it to the access to education as a basic requirement of democracy.

Then, the Turtle of Logo language will drive us, as kids, into the discovery of geometric shapes by means of some basic software constructs. However, it will be not merely about discovering geometric shapes: by playing with the Turtle we will realize how several fundamental powerful mathematical ideas are activated in childrens minds, without the need of explicitly naming them. And we will see how by riding the Turtle, starting from the first steps in primary school, these ideas may drive the exploration of physical phenomena, possibly up to pretty complex calculations, such as that needed to draw the orbit of Halley’s comet, for instance. We’ll find out that the land we will be exploring is named Turtle Geometry, which is a true geometry, like the Euclidean or Cartesian ones. Besides, we will also take a look at simulations of random phenomena, fractals and art creation. In contemporary words: by means of some STEAM activities we will understand in detail what computational thinking is about.

The LibreLogo version of Logo, which can be activated among the standard plugins of the LibreOffice Free Software, will be used. We will also show how the examples may be ported in the ABZ’s XLogoOnline environment.

If you will bring your laptops, you will be able to explore all the concepts mentioned in the workshop. You may prepare your systems by installing LibreOffice (http://libreoffice.org). The whole collection of programs used in the workshop will be made available at http://iamarf.ch/Codice-LOGO/ – be sure to download the last available version a few days before the workshop.

Workshop language will be English but discussions may be held in German and Italian as well, if needed.

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