Il successo di Madou, ma anche di altri

Oggi sul Corriere Fiorentino è apparso questo articolo: Madou Koulibaly, dalle torture in Libia a Firenze: «Guido i bus, con la volontà tutto è possibile».

Siamo tutti contenti per la notizia e soprattutto per la sorte di Madou. Però, come usuale nella stampa quotidiana di cui ci nutriamo, sembra una fiaba che si avvera. Un regalo del destino, come una stella cadente.

Invece no, spesso ci sono dietro una storia, un impegno, una visione, che vanno tuttavia persi insieme alla ricchezza reale che avevano prodotto. In questo caso, i primi passi di Madou possono essere letteralmente visti in un bel documentario: Ubuntu. Io sono perché noi siamo di Matteo Morandini e Daniele Palmi.

Quei primi passi ci dicono che Madou potrebbe andare ben oltre la guida dell’autobus. Presso la Scuolina di Poggio alla Croce abbiamo più volte letto con stupore i suoi testi che riuscivano ad essere profondi con poche parole di italiano. In fondo a questo post ne trovate uno.

Ma il successo di Madou non è solo il successo di Madou, ma anche quello di Sayon, di Aly e di un altro Aly, di Abdou, Aboubacar, Ahian, Deedo, Fousseny, Oumar, Sacko, Saidou, Salif — non me li sto ricordando tutti.

Questi giovani sono tutti impiegati con lavori stabili. Chi in officina, magari anche come saldatore, chi alla guida di TIR in giro per l’Italia, chi in aziende agricole, chi nella ristorazione. Molti hanno preso la patente, uno (forse anche altri) si è comprato un auto. Sono tutti successi al pari di quello di Madou.

Ed è il successo di un modello di accompagnamento e che altri potrebbero replicare e migliorare.

Ma non piace a tutti, meglio un miracolato ogni tanto.