Memoria e etica

Il diario di Anne Frank. Facsimile esposto presso l'Anne Frank Zentrum di Berlino.
Il diario di Anne Frank. Facsimile esposto presso l’Anne Frank Zentrum di Berlino. Immagine di Rodrigo Galindez, rilasciata con licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic.

Oggi è il Giorno della Memoria, con il quale si celebra la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945 ad opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa.

La memoria di questi fatti, come quella di tante altre vicende nefaste, anche contemporanee, deve rimanere sempre viva, anche negli altri 364 giorni dell’anno. Le celebrazioni durano un giorno ma la memoria no, questa deve essere permanente. Non è con le parole che si sostiene realmente la memoria, nelle celebrazioni sì ma non nel resto del tempo: le parole si svuotano di significato con l’uso eccessivo. La memoria si sostiene con le azioni, anche quelle quotidiane, quelle apparentemente insignificanti. La memoria si sostiene con le azioni 24 ore al giorno 365 giorni l’anno.

Credo che questa riflessione sia anche attinente ad una bella iniziativa di cui sono venuto a conoscenza recentemente. Si tratta di un ciclo di incontri organizzato dall’associazione Vivere l’Etica, il primo di quali ha avuto luogo a Firenze domenica scorsa. Condivido molto gli intendimenti dell’iniziativa. Questo blog-laboratorio, nel suo piccolo, esprime i medesimi valori.

Gli incontri sono volti ad approfondire varie declinazioni del “vivere l’etica”, espressione che richiama non tanto la dimensione sapienziale quanto quella dell’agire quotidiano, non nell’ossessione del fare fine a se stesso ma dell’agire costantemente sostenuto da una riflessione di natura etica. Gli incontri prevedono la partecipazione di persone attive in campi diversi e di ispirazioni diverse, sia religiose che atee. La partecipazione è libera.

In un commento al post in cui rendevo noto l’incontro di domenica, Silvia chiedeva se gli incontri sono disponibili in qualche forma in Internet. Sì, la registrazione audio verrà resa disponibile presto e scriverò qui in link appena sarà possibile. Nel frattempo chi lo desidera può ascoltare la presentazione dell’iniziativa in un podcast offerta da Radio Voce della Speranza.

Video – discorsi intorno all’editing – attività 5 – #edmu14

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Interno cabina della locomotiva a vapore HG 3/4 Nr. 1
Interno cabina della locomotiva a vapore HG 3/4 Nr. 1 “Furkahorn”, fabbricata in Winterthur (CH) nel 1913 per operare sulla tratta a scartamento ridotto di alta montagna Brig-Furka-Disentis, successivamente venduta in Vietnam nel 1947, dove ha operato fino al 1993, anno nel quale è stato riportata in Svizzera per viaggiare nella stagione estiva sulla linea Oberwald-Furka-Realp. Foto trasformata in scala di grigi e aggiustata per vedere il fumo… (vedi testo). Elaborazione grafica eseguita con Gimp.

 

Dipingere con la luce

Un caro amico che ci ha lasciato troppo presto, Andrea, cameraman e montatore video, mi diceva: “Tutto parte dalla fotografia e fare fotografia vuol dire conoscere la luce. Il mio mestiere consiste nello studio della luce.”

Il fotografo di National Geographic, Richard Olsenius, ha intitolato Dipingere con la luce un capitolo del suo Corso di fotografia in bianco e nero. Dopo avere raccontato come la luce diretta appiattisca troppo, come la luce del mezzogiorno sia la meno indicata per dipingere le immagini, come invece il primo mattino e il tardo pomeriggio possano essere magici , come addirittura le brutte giornate possano arricchire di toni preziosi l’immagine con l’uso sapiente di obiettivi luminosi e post-elaborazione o come negli interni convenga illuminare i soggetti con luce diffusa, magari luce che viene dalla finestra, alla fine Olsenius conclude così (P. 74):

Ora divertitevi, violate le regole, sperimentate. Lasciate che la vostra visione personale sia il vostro punto di vista, ma ricordate che, come tutto, il successo non si ottiene da un giorno all’altro.

La foto della locomotiva all’inizio del post è dipinta? Sì, perché non è tal quale. Ad essere franchi l’idea che esista una realtà tal quale è di per sé peregrina. Lorenzo Viani scrisse che

il pittore che si propone la rappresentazione del vero è sempre nel falso

Vale anche per la fotografia perché il risultato è figlio di numerosi fattori: formato, inquadratura, focale, tempo di esposizione, pellicola o chip, operazioni condotte in camera oscura o post-processing digitale. Uno scatto, illimitati risultati. Non esiste la “foto vera” e poi le sue possibili variazioni. Ogni scatto produce un insieme di dati e con questi si possono produrre infinite immagini, nessuna più vera delle altre. Dipende da ciò che si vuole dire.

Ho fatto quella foto con un piccolo apparecchio automatico. Gli apparecchi fotografici non producono la “foto vera” ma propongono la miglior scommessa prodotta da un algoritmo, migliore nel senso immaginato dagli ingegneri che hanno progettato la macchina. Nella fattispecie, la foto proposta dall’apparecchio non descriveva ciò che mi aveva colpito: quel fumino evanescente sulla destra, appena visibile, sprigionato dalla macchina con il respiro del sonno. Nella foto non si vedeva più, invece era proprio quello che mi aveva spinto a fare lo scatto: nella pancia della macchina di ferro c’è qualcosa che si muove, c’è del caos, che è quello che trasforma tutte quelle immobili tonnellate di ferro in una locomotiva. Questa era l’idea che mi piaceva e che volevo condividere. La foto sul display era deludente, tutta colorata e piena di particolari, non rivelava quello che aveva sollecitato l’immaginazione. Ma ero consapevole di avere acquisito molte più informazioni con quello scatto e confidavo che nella tranquillità dello studio sarei forse riuscito a recuperare quello che avevo visto.

Questo è editing. È esattamente qui che si dispiega l’immaginazione, è qui che la macchina diviene strumento e l’uomo autore. Molto molto lontano dalle “selfie”, per intendersi.

Raccontare

Le immagini congelano la scena ma possono narrare se offrono una chiave di lettura. L’osservatore costruisce il proprio racconto – è la chiave che conta. Il video sembrerebbe invece narrare esplicitamente ma non è così banale. Non basta premere il tasto rosso e zoomare a perdifiato.

Prendiamo una videocamera – o un software di screencasting – e si riprenda qualcosa che si dipana nel tempo. Raramente si ottenuto così un prodotto finito. In gergo cinematografico, è raro che un’intera storia venga realizzata mediante un piano sequenza, ovvero mediante la scansione temporale del “girato”. Il video finale ha un suo tempo, diverso dal tempo naturale del piano sequenza, nel quale vengono collocate sequenze diverse, a prescindere dalla loro origine, magari anche singoli fotogrammi o immagini sintetizzate in altri modi. Questo processo è quello del montaggio, o più precisamente del montaggio non lineare, con il quale si possono andare a prendere sequenze qualsiasi, in modo del tutto arbitrario all’interno del girato. Un metodo questo che è peculiare degli strumenti di montaggio software, con i quali si possono applicare anche effetti particolari senza distruggere il girato, potendo cioè sempre fare un passo indietro. Prima dell’avvento del digitale, il montaggio rappresentava – e rappresenta – un lavoro defatigante: tipicamente, per produrre un cortometraggio di dieci minuti, potevano occorrere molte giornate di lavoro taglia-incolla eseguito su ore o decine di ore di girato. Anche per chi usa il digitale il montaggio è un lavoro molto lungo ma oggi ci sono possibilità e flessibilità che prima erano inimmaginabili.

Nei software per montaggio è invalso l’uso di chiamare le singole sequenze clip e la successione delle clip storyboard. In realtà la storyboard è nata ben prima che tali sistemi vedessero la luce. Si trattava di una serie di bozzetti che venivano – e spesso vengono – disegnati, per tratteggiare la successione delle scene più significative. Esiste anche un software che serve a comporre storyboard, celtx, scaricabile in una versione free piuttosto articolata, da quello che ho potuto vedere in cinque minuti. Simpatico, ma penso che si possa fare benissimo anche a mano. Può essere che organizzare una storyboard a priori sia utile ma mi guardo bene dall’enunciare regole in proposito. Anzi, colgo l’occasione per allargare la visione, menzionando l’esperienza di un grande italiano: Vittorio De Seta, scomparso lo scorso novembre. Facciamoci introdurre De Seta da Martin Scorsese (copertina posteriore del DVD):

Avevo sentito parlare dei documentari di De Seta come accade per i luoghi leggendari: qualcuno li aveva visti, nessuno sapeva dove. De Seta stesso era una figura leggendaria e misteriosa. A New York all’inizio degli anni sessanta avevo visto Banditi a Orgosolo. Uno dei film più insoliti e straordinari… De Seta era un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta.
Da dove veniva questa voce? Qualche tempo fa ho ricevuto un regalo inaspettato, le copie in 35mm dei documentari diretti da Vittorio De Seta tra il 1954 e il 1958. Titoli incantevoli: Lu tempu di li pisci spata… Isole di fuoco… Contadini del mare… Parabola d’oro…
Li ho proiettati, e sono rimasto stupefatto, sopraffatto da un’emozione intensa, come se, oltrepassato lo schermo, mi fossi ritrovato in un mondo mai conosciuto, che improvvisamente riconoscevo.
Era l’Italia del Sud, la mia cultura ancestrale che volgeva alla sua fine, a un passo dal suo ingresso nella sfera del mito. Un tempo in cui la luce del giorno era preziosa e le notti completamente buie e misteriose. Erano i figli di Prometeo, che aveva rubato il fuoco agli dei per donarlo ai mortali, e per questo erano stati puniti. Gente che cercava la redenzione attraverso il lavoro manuale: nelle viscere della terra, in mare aperto, tagliando il grano.
Gente che sembrava pregare attraverso la fatica delle mani.

Ebbene, come aveva proceduto Vittorio De Seta per realizzare questi straordinari documenti? Premetto solamente che, in primo luogo si recava sul posto mesi prima, per familiarizzare con le persone e assorbire l’atmosfera dei luoghi, poi lavorava praticamente da solo con l’aiuto di un ragazzo, manovrando macchine pesanti e complesse, tecnicamente limitate, per esempio con sensibilità di 25-50 ASA, in situazioni complicatissime, su piccole barche, o in miniera, manovrando sia la registrazione del sonoro che del video, sperimentando allo stesso tempo la grande novità del cinemascope che richiedeva due successive messe a fuoco di due diversi sistemi di lenti, il tutto senza poter vedere il video, ma solo sentire il sonoro, per mesi, prima di entrare in sala di montaggio. Un gigante. Ma un gigante anche per avere avuto l’intuito di andare a cogliere le ultime espressioni di un mondo che fu, di lì a poco irrimediabimente perduto. E anche per avere colto quell’intuizione senza aspettare di avere acquisito le competenze . Per il resto lasciamo parlare De Seta stesso, in questo brano di una conversazione con Goffredo Fofi, che ho tratto da La fatica delle mani, a cura di Maro Capello, allegato al DVD Mondo perduto, p. 23:

GF: Il tuo passaggio alla regia , dopo una prima “prova” [come secondo aiuto regista nel 53, quando De Seta era trentenne], è radicale sia nella scelta di un ambiente sia nell’approccio a esso.

VDS: Nel ’54, in Aprile feci La Pasqua, in bianco e nero, 16 mm, assieme a Vito Pandolfi…

GF: In quegli anni Pandolfi mise insieme un libro interessante, Copioni da due soldi, che era una perlustrazione di tutto il teatro minore: dai venditori di strada ai cantastorie, dalla sceneggiata alle feste. Tutto un percorso nella realtà italiana povera, un mondo che è stato poco raccontato, trascurato dallo stesso neorealismo…

VDS: In realtà Pandolfi lo conosceva mia moglie, che faceva teatro. Non ci fu un grande legame, né io possedevo una grande consapevolezza culturale. Il documentario era convenzionale, ma venne a vederlo Zavattini, e il suo entusiasmo mi incoraggiò. Di lì a pochi mesi, ho fatto Lu tempu di li pisci spata che era un lavoro difficile, visto che già era difficile stare sulla barca a fare riprese. Per me la cosa determinante fu l’abolizione del commento. Incominciai a girare le prime inquadrature senza avere un chiaro progetto. Alla sera ascoltavo il sonoro, che avevo registrato con ricchezza, voci, suoni, canti, musiche, rumori del mare, atmosfere. Sentivo che era un elemento determinante perché, abolendo lo speaker, che rappresenta l’ossatura ideologica del documentario, il film si deve reggere sulle proprie forze. Così viene in primo piano il sonoro; tutta la struttura deve essere fondata sul ritmo. Sulla base del sonoro, che non era un suono “sinc” ma ricostruito, mi componevo in testa la struttura del documentario, prima di poter vedere finalmente le immagini.

Fermatevi a guardare questo cortometraggio. Ne vale la pena.

Lu tempu di li pisci spata
Questo è il primo dei dieci cortometraggi contenuti nel DVD Mondo perduto. Mi sono piaciuti così tanto che ne ho comprati tre, uno per me, due li ho regalati a due amici. Confido che diffondere sequenze in rete finisca col fare acquistare più originali…

E queste immagini De Seta le potè vedere solo una volta tornato a Roma, dopo avere sviluppato le pellicole in studio. Ricordo di avere sentito un’altra sua intervista, dove raccontava di essersi messo a piangere dopo avere visto che le immagini c’erano, perchè avrebbero potuto essere anche tutte vuote!
Quel sonoro di cui parla De Seta, è stato il percorso sul quale dipinse le sequenze disponibili, che non erano mai in sincronia perchè non era possibile, in quelle condizioni, registrare contemporaneamente il video e il sonoro. Ecco, in questo esempio si percepisce appieno la forza creativa che può essere espressa nella fase di montaggio.

 

Quali strumenti

Qui c’è da perdere la testa con l’enorme strumentario che abbiamo a disposizione oggi. Proviamo a stare inizialmente alti per poi calare in qualche particolare.

La video camera, gli apparecchi fotografici, gli smartphone offrono opportunità sconfinate, che ben pochi sfruttano, e di cui ben pochi educatori fanno tesoro, a tutti i livelli. Naturalmente le eccezioni non mancano. Un esempio è Paolo Beneventi, di cui avete letto il libro che abbiamo proposto.

Sono assolutamente straordinarie le cose che si possono fare con le macchine digitali che oggi troviamo sugli scaffali di un qualsiasi supermercato. In Digital Film Making, Mike Figgis descrive la propria esperienza di regista cinematografico che decide di esplorare a fondo il nuovo universo digitale. Digital Film Making è un ottimo libro da leggere per chiunque voglia cimentarsi con il video. Non poteva mancare un capitolo sulla luce, nel quale Figgis espone una tesi interessante. Con le prime tecnologie, il cinema era affamato di luce. Hollywood è la patria del cinema perché nella California del sud c’è quasi sempre molta luce. Antonino Delli Colli, direttore della fotografia anche in Totò a colori, il primo film italiano a colori, racconta come per gli attori fosse una vera tortura recitare negli interni con la quantità di luce necessaria a tirare fuori i colori dalla pellicola Ferraniacolor, che aveva un sensibilità di soli 6 ASA! In pratica arrostivano. Sebbene con l’evolversi della tecnologia le pellicole divenissero sempre più sensibili e le lenti più luminose, questa atavica fame di luce ha lasciato una traccia profonda: fare cinema richiede una grande luce e quindi un grande direttore della fotografia. Mike Figgis, sostiene che fare un video è diverso da fare cinema, anche in virtù della straordinaria sensibilità – e non solo – delle videocamere, e critica l’abitudine di predisporre grandi luci anche quando si usano videocamere: una luce artificiale extra può ingoiare una luce naturale che avrebbe potuto contribuire significativamente all’espressione di una scena. E sostiene anche che i registi dovrebbero smettere di continuare a illuminare quando fanno cinema con macchine digitali. È interessante la convergenza con i suggerimenti di Richard Olsenius per la fotografia: meno luce può essere meglio.

E già che siamo con Figgis, rimaniamoci ancora a proposito di un altro pezzo di stumentazione: il software di editing video.

La mia esperienza con iMovie è stata interessante. Il programma c’era già sul mio computer ma non l’avevo mai usato. Poi un giorno avevo ripreso qualcosa ma non volevo ancora che qualcuno montasse il video. Volevo giusto dare un’occhiata a cosa era venuto fuori. E non avevo un’idea di come si facesse a usare iMovie. Non sono esattamente uno che capisce di computer. Non mi piacciono. Sono stato costretto ad usarli e l’ho fatto controvoglia, sono rimasto sì sorpreso da quello che ci si può fare ma ho avuto difficoltà all’inizio. Diciamo che sto nella parte bassa della scala di capacità in questo campo. A paragone di chi ha meno di trent’anni, che ha già di gran lunga più esperienza digitale di quanto io ne abbia accumulata in tutta la vita, sono all’età della pietra. Ebbene, in queste condizioni, accesi il sistema e mi imbattei in un piccolo tutorial incluso nel programma che serviva ad aiutare la gente. In breve mi resi conto di come si faceva a collegare la videocamera in maniera da usarla come un mezzo di riproduzione e di importazione dei video. Il tutto fu immediato.

A quel punto iniziai a importare qualche clip e scoprii alla svelta come queste si allineavano spontaneamente in una sorta di catalogo. Nel giro di un paio d’ore avevo montato una sequenza. Iniziai a pensare come avrei potuto inserire qualche dissolvimento del suono e trovai un menu che mostrava gli effetti che si potevano usare con l’audio e con le immagini. E tutto era così ovvio e così autoesplicativo che perfino un novellino come me poté montare un video di 5 minuti piuttosto sofisticato. Avevo fatto tutto in un giorno partendo da zero. Fu subito chiaro che avrei potuto montare un film intero in questo modo.

Successivamente, Mike Figgis ha montato interi film con iMovie. Dopo faremo una piccola disanima degli strumenti disponibili, ma ciò che conta veramente è il vostro obiettivo e il vostro atteggiamento di fronte allo strumento, qualsiasi esso sia.

Editing, si diceva…

In pratica

È difficile entrare nei dettagli, considerata l’enorme varietà e variabilità dei sistemi. Proviamo comunque a estrapolare alcune indicazioni pratiche, in maggior parte desunte da conversazioni avute con esperti.

  1. Nelle riprese video dedicare del tempo, se possibile, a cercare l’inquadratura: punto di ripresa, profondità del campo, luce. In pratica quello che si fa prima di scattare una foto.
  2. Essere ariosi nell’inquadrare… Non è detto che il soggetto principale debba essere piazzato al centro della scena. Questo vale anche per lo scatto di immagini; è una faccenda di composizione. Immaginare di dividere il campo di vista con due linee parallele orizzontali e due verticali, che lo dividano quindi in una scacchiera 3×3. Provare a piazzare gli elementi o le linee importanti – orizzonti eccetera – sui punti o sulle linee di tale griglia. Per esempio, un soggetto posto in posizione decentrata potrebbe essere messo in maggiore enfasi da un gioco di prospettive. Affidarsi quindi alla propria ispirazione.
  3. Vero è che la luce è la carta su cui si scrivono foto e video, ma non è detto che la miglior carta sia quella candida. Se si ha libertà nella programmazione di una ripresa esterna, porsi il problema della luce, privilegiando le ore con luci radenti e soffuse. Pensare alle tonalità assunte dall’atmosfera nei luoghi dove vi trovate, nella diverse fasi del giorno, nelle particolari condizioni metereologiche. Magari poi non decidete niente di preciso, ma non pensarci potrebbe significare perdere un’occasione.
  4. Cercare di utilizzare le luci naturali dell’interno; con la sensibilità delle macchine di oggi si può lavorare in condizioni incredibili. Se la luce fosse veramente troppo carente, provare a utilizzare la luce diffusa da una finestra, se possibile. Oppure, se dovesse essere necessario, aggiungere luci artificiali, non illuminare mai il soggetto con luce diretta, ma dirigere le luci su qualche superficie chiara circostante. Sperimentare. Seguire l’ispirazione.
  5. Non c’è dubbio che lo zoom sia una trovata formidabile per controllare il campo, ma non usarlo come effetto speciale nel video! Zoomate pure girando, per cercare il campo giusto volta volta, ma poi durante il montaggio tagliate via le zoomate. A meno che lo zoom non venga utilizzato con intenti molto precisi, come per esempio nella sequenza iniziale di Quarto Potere.
  6. I file video sono molto grandi perché contengono una quantità enorme di informazione. Volendo fare una scala a braccio: la Divina Commedia richiede 0.5 MB, una foto in buona risoluzione 10 MB, un video di una decina di minuti 500 MB. Non è una buona idea manipolare file molto grandi, i trasferimenti possono essere troppo lunghi, altrettanto le operazioni di “rendering” o di codifica. Le operazioni di editing vengono rallentate da attese che possono rivelarsi molto lunghe, durante le quali non si può fare niente. Con la mole di dati di una clip troppo lunga non è difficile ritrovarsi con il sistema inchiodato per delle ore. E il programma inchiodato su calcoli troppo lunghi può essere fonte di instabilità per tutto il sistema operativo, talvolta anche solo perché l’utente non interpreta correttamente lo stato della macchina e, cliccando inconsultamente altrove, finisce col paralizzare tutto. Inoltre, se le clip sono memorizzate in file separati, magari perché sono state acquisite già così – buona idea interrompere ogni tanto le registrazioni – allora , meglio ritrovarsi con un solo piccolo file pasticciato, fra tanti, che con un unico grande file pasticciato. Abituarsi quindi a fare clip relativamente brevi.
  7. Se il sonoro contiene la voce di un narratore, come può essere anche il caso di un banale tutorial, conviene “ripulirlo” da una serie di accidenti antiestetici che allungano inutilmente i tempi: balbettamenti, attacchi strascicati in cerca della parola, colpi di tosse, schiocchi eccetera. I software di montaggio  mostrano la traccia del sonoro sulla cosiddetta timeline – due tracce se l’audio è stereo. Si tratta di un grafico in funzione del tempo che esprime l’andamento delle onde di pressione con il quale si propaga il suono, come abbiamo visto nelle brevi note tecniche sull’audio digitale. Ma a prescindere dal significato tecnico del grafico, ci si abitua rapidamente ad associare la forma delle onde alla struttura delle frasi e anche a certi particolari tratti del parlato. Per esempio, le vocali allungate nella ricerca della prossima parola hanno la forma di una sorta di salsiccia allungata, che è molto facile individuare anche solo visivamente e eliminare con i comandi dell’editor – nel prossimo video vediamo come si fa. Ricordo un commento alla radio dove si raccontava come Pasolini lavorasse puntigliosamente insieme al montatore per ripulire l’audio di una certa intervista, cercando di ridurre al massimo i tempi morti, timoroso che gli spettatori si annoiassero. Tutto questo con misura e buon senso: attenzione ad azzerare tutti i tempi morti perché le pause contribuiscono all’intelligibilità del discorso. Rendendole tutte molto brevi e tutte eguali, il parlato si appiattisce, l’attenzione crolla. Infine un commento  sull’esecuzione di questo tipo di editing. Quando l’audio accompagna un video, questo è associato alla traccia video. I sistemi di editing consentono di “sganciare” la traccia audio e di lavorarci separatamente, per poi riaccoppiarla appropriatamente a quella video. Tuttavia, gli interventi di pulizia a cui abbiamo accennato possono essere fatti direttamente sulle due tracce accoppiate, perché i tagli che vengono fatti sono solitamente di durata abbastanza piccola da non essere percepiti nella visione.
  8. Salvare, salvare tutto frequentemente, ossessivamente. Questa è una regola aurea delle elaborazioni digitali ma quando i materiali e le elaborazioni sono complesse allora è veramente pericoloso non osservarla. Sommersi di software come siamo – dal telefono al computer è tutto software – non ci badiamo ma spesso usiamo con disinvoltura applicazioni che nascondono un enorme livello di complessità. Probabilmente un software di editing video di oggi è molto più complesso di quello che servì a controllare la missione sulla luna di Apollo 11 del 1966. E il software, tutto il software del mondo, è sempre pieno di errori. Non esiste un software privo di errori, a meno che non sia assolutamente banale ma allora anche probabilmente del tutto inutile. Ci sono invece software che hanno meno errori di altri, e anche software che probabilmente hanno davvero pochi errori. E dove si trovano questi ultimi? Fra quelli molto vecchi! Il software è come il vino buono, migliora con il tempo, a condizione che venga usato costantemente e che vi sia una comunicazione ininterrotta fra chi lo usa e chi lo ha prodotto e lo mantiene. Nei casi in cui le prestazioni sono critiche, per esempio nei software utilizzati nelle missioni spaziali o anche in quelli utilizzati per la gestione delle transazioni finanziarie o bancarie, si tende ad utilizzare software delle generazioni precedenti perché è più importante la minore incidenza degli errori piuttosto che un maggior numero di brillanti opzioni nuove. Per tante applicazioni meno critiche, il requisito di solidità cozza con gli interessi di mercato, e quindi i regimi economici frenetici privilegiano la diffusione di applicazioni che sono straricche di opzioni ma anche piuttosto instabili, talvolta sorprendentemente instabili. E naturalmente, l’instabilità cresce con la complessità del software e dell’informazione che questo deve processare. È esattamente il caso delle applicazioni di editing multimediale. Quindi salvare, salvare, salvare. Nel video successivo mostrerò anche come.
  9. Se l’ispirazione vi induce ad infrangere alcune delle precedenti regole, fatelo.

Piccola e incompleta lista di strumenti

  • I software di Screencasting sono quelli che consentono di registrare in un video quello che accade sullo schermo di un computer. Sono utilissimi per mostrare procedure di ogni tipo. La rete è popolata da una quantità smisurata di tutorial costruiti a partire da uno screencast.
    • In precedenza avevamo incluso CamStudio fra le possibilità, ma quest’anno è emerso che scaricandolo c’è il rischio di includere del malware, come abbiamo rilevato nel post del picchio. Lo dico perché è molto popolare fra gli utenti Windows.
    • Jing è prodotto dalla TechSmith per Windows e Mac, ma viene offerto anche in versione free con alcune limitazioni fra cui: durata massima 5 minuti e se uno vuole salvare il video, anziché condividerlo su Youtube, in formato flash (tipo swf). La versione Pro consente di abbattere il limite temporale e di salvare i video in formato MP4, ma 15 $ all’anno
    • Flavia quest’anno ha segnalato ezvid, pare che funzioni bene.
    • Camtasia. È interessante perché in realtà è anche un ottimo strumento di montaggio ma non è free.  Lo cito anche dopo.
  • Montaggio video. La prima osservazione che vale la pena di fare è che, purtroppo, appena le ambizioni crescono, anche di poco, tocca pagare qualcosa. È un’osservazione che faccio con fatica, perché sono sempre tutto contento quando posso suggerire qualche prodotto software valido creato nel mondo del software libero, e ce ne sono veramente di eccellenti. Non è purtroppo il caso dei prodotti destinati alla manipolazione dei video, dove le soluzioni free o sono troppo limitate, o sono troppo lente nelle operazioni di elaborazione, o offrono scelte limitate nelle codifiche esportate. Peccato, magari con il tempo qualcuna migliorerà. Sarò felice di cambiare questo paragrafo. Per ora mi limito a citare ciò che mi è capitato di usare fin qui.
    • Windows Movie Maker è l’applicazione di video editing che si trova(va) in Microsoft Windows Me, XP, e Vista. Lo sviluppo di Windows Movie Maker è stato abbandonato dopo il rilascio di Windows Vista. È stato sostituito con Windows Live Movie Maker, incluso nel pacchetto Windows Essentials, un insieme di applicazioni scaricabili da Windows Live, il tentativo di Microsoft di offrire una piattaforma con software scaricabile e servizi Web. La nuova versione è diversa, taluni lamentano che è troppo semplificata. La precedente versione era un po’ instabile. Vari studenti in passato si sono lamentati, riferendo tutta una serie di disavventure. Il più pessimista diceva di starne più lontano possibile, la più ottimista aveva invece raccontato di essere riuscita a fare un bel lavoro con i suoi bambini, ma a condizione di tenere sempre tutti i file in una stessa cartella senza spostarli mai e di fare salvataggi frequenti. Norma quest’ultima che è comunque sempre consigliabile, come abbiamo già detto. Forse la nuova versione ha guadagnato in stabilità, a fronte della semplicità. Si può scaricare qui. L’esercizio che propongo dopo si riferisce all’uso di questo software.
    • iMovie è invece l’applicazione di editing video che un tempo era inclusa nel sistema Mac OS X.  Ora si può scaricare dal Mac Apple Store per 13.99$. Qualche anno fa l’ho usata abbastanza spesso, nella versione free. Era sufficientemente potente e ragionevolmente solido, come testimonia Mike Figgis.
    • Il mio amico Andrea, che era un professionista (i professionisti di audio e video usano spesso prodotti Apple) usava Final Cut Pro, un’applicazione da più di €1000. Un giorno, in un grande magazzino trovai in vendita un cd, Final Cut Express, che costava qualcosa meno di €100. Final Cut Express era una versione più abbordabile ma non doveva costare così poco. Mi resi conto di essermi imbattuto in un’offerta perché l’Apple aveva smesso di produrlo. Ora esiste solo Final Cut Pro X: 230 €. Qualche anno fa, influenzato dai video di Sir Ken Robinson, produssi dei cosiddetti bricovideo per illustrare le infrastrutture che sostengono il web nel post Una piccola introduzione alla nuvola. In quel caso avevo usato Final Cut Express perché avevo bisogno di qualcosa che mi facesse cambiare la velocità delle clip. Mi pare che si possa fare tutto quello che si vuole, o quasi.
    • Camtasia l’avevo già citato come applicazione di Screencasting. Purtroppo è un software proprietario e non costa pochissimo: €258 per Windows e €90 per Mac. È la soluzione alla quale alla fine mi sono dovuto piegare, con la quantità di tutorial che mi tocca fare. La versione Windows è quella più completa.
    • Avidemux. Software libero per tutti i sistemi. Se basta, meglio.
    • Openshot. Software libero Linux. Se basta, meglio.
    • Kdenlive. Software libero Linux. Se basta, meglio.
    • Animoto. Questo è un servizio web. Una specie di tritacarne dove butti dentro immagini, clip, audio e lui ti confeziona una sorta di trailer. Può essere utile per avviarsi al mondo del video ma ti perdi il piacere di creare.

E infine concludo con un video dove cerco di mostrare alcune delle pratiche suggerite in questo post.
Per fare un video bene occorre tempo, invece questo video è stato fatto di fretta. Fra i tanti difetti ha anche quello di essere un po’ lungo. Metto qui sotto un indice per chi volesse andare direttamente a vedere alcuni punti specifici del video. Sotto, in versione embedded, trovate il video intero.




L’attività

L’idea è di fare qualcosa di simile a De Seta 😉 : abbiamo un video e un audio separati e con questo materiale vogliamo fare un montaggio che abbia un senso.

Il materiale consiste in un video e un audio non sincronizzati fra loro che avevo fatto questa estate a un grosso insetto, credo un Lamia Textor. L’audio lo feci dopo perché mi resi conto che il nostro Lamia Textor s’arrabbiava se lo toccavi e protestava squittendo nervosamente! Ho fatto una prova con Windows Live Movie Maker e mi pare che la cosa sia possibile.

In questo link trovate una versione sottotitolata in italiano di un tutorial che mostra come sostituire la traccia audio usando Windows Live Movie Maker. Se non vedete i sottotitoli cliccate sull’icona “cc” in basso a sinistra nel video.

Ora non ho una versione di iMovie sul mio sistema Mac ma credo che sia possibile fare un lavoro del genere.

In questo link potete scaricare il file insetto.zip (92 MB) che contiene:

  1. insetto.mov – file video (ho visto che WLMM legge questo formato)
  2. insetto.aup – file Audacity
  3. insetto_data – cartella dati Audacity

L’esercizio consiste nel produrre un breve video, anche molto breve, di pochi secondi. Si tratta di tagliare via dal video la traccia audio, estrarre e ricomporre i pezzi migliori. Trovare con Audacity gli squitii del Lamia Textor e eliminare il resto, magari migliorare la qualità togliendo un po’ di rumore e amplificando quanto basta. Poi esportare in MP3 e importare in WLMM. Infine esportare il prodotto finito, per esempio in formato MP4.

Dal punto di vista fiscale: non considero obbligatoria questa attività. Coloro che la eseguiranno, avendo fatto anche tutte la altre, prenderà la lode.

 


 

Riferimenti

  • DIPINGERE CON LUCE
    CORSO DI FOTOGRAFIA, BIANCO E NERO
    Richard Olsenius
    National Geographic Society, 2005
    P. 62
  • SCRITTI E PENSIERI SULL’ARTE
    Lorenzo Viani
    Mauro Baroni Editore, Viareggio, 1997
    P. 95
  • IL MONDO PERDUTO
    I cortometraggi di Vittorio De Seta
    1954-1959
    Cineteca Bologna, 2008
  • DIGITAL FILM-MAKING
    Mike Figgis
    Faber & Faber
    London, 2007
    P. 125
  • TOTÒ A COLORI
    steno1952
    Nel cofanetto “Totò, il principe della risata”
    Dino De Laurentis – Filmauro Home Video, 2004

Un corso di storia e geografia dell’acqua

Segnalo un corso di perfezionamento e aggiornamento professionale di storia e geografia dell’acqua rivolto agli insegnanti di scuole di ogni ordine e grado e agli studenti universitari. Il corso fa parte dell’offerta formativa della Italian University Line.

Il corso viene offerto gratuitamente ai primi 20 iscritti. Segnalo il fatto che la scadenza per iscriversi del 20 gennaio è prorogata fino ad esaurimento delle prime 20 iscrizioni. I particolari del corso qui: Storia e Geografia dell’Acqua.

 

 

Facciamo che eravamo sordi, ciechi… (questioni di accessibilità) – #edmu14

Non avrei mai immaginato di appassionarmi a un saggio di linguistica. E, una volta introdotto all’affascinante concetto di grammatica universale, ancor meno avrei immaginato di leggere il brano seguente [1], che colloco immediatamente fra le citazioni preziose:

È un dato della cultura tradizionale, che merita molta più attenzione di quanta non ne riceva, il fatto che l’insegnamento non dovrebbe essere paragonato al riempimento di una bottiglia con dell’acqua ma piuttosto all’aiuto che si dà a un fiore per crescere nel modo che gli è proprio. Come ogni buon insegnante sa, i metodi dell’istruzione e la quantità di programma svolto sono questioni di poca importanza se confrontate con la capacità di suscitare la curiosità naturale degli studenti e di stimolare il loro interesse a compiere ricerche in modo autonomo. Ciò che gli studenti imparano passivamente sarà presto dimenticato. Ciò che gli studenti scoprono da soli quando la curiosità naturale e i loro impulsi creativi sono sorti non solo sarà ricordato ma sarà la base per ulteriori ricerche e, forse, significativi contributi intellettuali.

La curiosità naturale degli studenti e il loro interesse a compiere ricerche in modo autonomo hanno bisogno di tempo per emergere. Il tempo è invece una risorsa scarsa per gente che studia lavorando e deve seguire più insegnamenti in un semestre che in realtà è a malapena un bimestre.

Sto esitando a proporre l’ultima attività (elaborazioni video) perché vedo dai vostri dialoghi che siete in varie altre faccende affaccendati; l’assenza di un software libero di montaggio video utilizzabile per tutte le piattaforme complica ulteriormente la questione – vano seminare in avverse condizioni.

Per facilitare la situazione propongo quindi un’alternativa all’attività sui video che cercherò di proporre comunque – ognuno scelga quella che preferisce. Allo stesso tempo ne approfitto per cogliere un’occasione che, nella deplorevole concitazione, ci eravamo persi alla fine della prima attività, quella sulla sottotitolazione. La proposta era stata fatta da Claude, che aveva a sua volta sfruttato un post che avevo scritto per diffondere la notizia dell’evento Un medico all’Inferno.

La proposta di Claude è interessante perché richiama ancora l’attenzione su valori che sono importanti per un approccio umanistico all’impiego delle tecnologie.

In pratica. Chi vuole fare tutto faccia tutto, ovviamente, ma chi si trova in difficoltà, ai fini dell’insegnamento di Editing Multimediale può scegliere fra l’attività proposta da Claude e quella sulle elaborazioni video che verrà.

Il post di Claude è Accessibilità: facciamo che eravamo sordi, ciechi #edmu14


[1] Noam Chomsky, Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 114-115.
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Brevi note tecniche sull’audio digitale con riferimento all’uso di Audacity – #edmu14

Ecco infine il post che completa i materiali per l’attività sulle elaborazioni audio. È un articolo che ho scritto utilizzando \LaTeX, il migliore sistema per produrre testi scientifici con alta qualità tipografica, e non solo.

L’articolo è leggibile o scaricabile in PDF (649 KB). Il testo è corredato di hyperlink: quelli celesti puntano a risorse nel Web, quelli rossi all’interno del documento medesimo.

\LaTeX è un linguaggio di markup quindi si basa sulla scrittura di un file sorgente mediante semplici editori di testo, come HTML. Chi fosse curioso di vedere tale sorgente, può scaricare questo file zip (640 KB) che contiene sia la versione PDF che la sorgente in TEX. La versione in TEX può essere facilmente accessibile anche agli utenti ipovedenti.

Nel testo compare anche un link ad un minuscolo file audio, nel quale pronuncio semplicemente la parola “audacity”. Serve a verificare personalmente una questione inerente all’impiego dei decibel. Il link è accessibile dal testo ma lo pongo anche qui (35 KB), oppure…

 
 
Quanto al contenuto, l’articolo rappresenta un tentativo di corredare di qualche nozione tecnica le attività proposte intorno all’elaborazione dei segnali audio. Va da se che a taluni potrà sembrare inutilmente difficile mentre ad altri parrà banale – la cosa è naturale in un luogo dove capitano persone con preparazioni molto diverse. Ognuno ne faccia l’uso che gli è più congegnale.

Ma c’è stata una sorpresa. Stamani uno di voi, Federico, ha fatto l’ottima proposta di trasporre le lezioni online in MP3, in modo da renderle disponibili a tutti. Federico ha già individuato una soluzione perfettamente funzionante, tuttavia prima di renderla operativa occorre chiedere il consenso alla IUL. Nel frattempo possiamo però goderci l’ottimo tutorial (364 KB) con il quale ci spiega come fare a trasporre una lezione online mediante Audacity. Ringraziamo Federico per questo contributo.