Video – discorsi intorno all’editing – attività 5 – #edmu14

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Interno cabina della locomotiva a vapore HG 3/4 Nr. 1
Interno cabina della locomotiva a vapore HG 3/4 Nr. 1 “Furkahorn”, fabbricata in Winterthur (CH) nel 1913 per operare sulla tratta a scartamento ridotto di alta montagna Brig-Furka-Disentis, successivamente venduta in Vietnam nel 1947, dove ha operato fino al 1993, anno nel quale è stato riportata in Svizzera per viaggiare nella stagione estiva sulla linea Oberwald-Furka-Realp. Foto trasformata in scala di grigi e aggiustata per vedere il fumo… (vedi testo). Elaborazione grafica eseguita con Gimp.

 

Dipingere con la luce

Un caro amico che ci ha lasciato troppo presto, Andrea, cameraman e montatore video, mi diceva: “Tutto parte dalla fotografia e fare fotografia vuol dire conoscere la luce. Il mio mestiere consiste nello studio della luce.”

Il fotografo di National Geographic, Richard Olsenius, ha intitolato Dipingere con la luce un capitolo del suo Corso di fotografia in bianco e nero. Dopo avere raccontato come la luce diretta appiattisca troppo, come la luce del mezzogiorno sia la meno indicata per dipingere le immagini, come invece il primo mattino e il tardo pomeriggio possano essere magici , come addirittura le brutte giornate possano arricchire di toni preziosi l’immagine con l’uso sapiente di obiettivi luminosi e post-elaborazione o come negli interni convenga illuminare i soggetti con luce diffusa, magari luce che viene dalla finestra, alla fine Olsenius conclude così (P. 74):

Ora divertitevi, violate le regole, sperimentate. Lasciate che la vostra visione personale sia il vostro punto di vista, ma ricordate che, come tutto, il successo non si ottiene da un giorno all’altro.

La foto della locomotiva all’inizio del post è dipinta? Sì, perché non è tal quale. Ad essere franchi l’idea che esista una realtà tal quale è di per sé peregrina. Lorenzo Viani scrisse che

il pittore che si propone la rappresentazione del vero è sempre nel falso

Vale anche per la fotografia perché il risultato è figlio di numerosi fattori: formato, inquadratura, focale, tempo di esposizione, pellicola o chip, operazioni condotte in camera oscura o post-processing digitale. Uno scatto, illimitati risultati. Non esiste la “foto vera” e poi le sue possibili variazioni. Ogni scatto produce un insieme di dati e con questi si possono produrre infinite immagini, nessuna più vera delle altre. Dipende da ciò che si vuole dire.

Ho fatto quella foto con un piccolo apparecchio automatico. Gli apparecchi fotografici non producono la “foto vera” ma propongono la miglior scommessa prodotta da un algoritmo, migliore nel senso immaginato dagli ingegneri che hanno progettato la macchina. Nella fattispecie, la foto proposta dall’apparecchio non descriveva ciò che mi aveva colpito: quel fumino evanescente sulla destra, appena visibile, sprigionato dalla macchina con il respiro del sonno. Nella foto non si vedeva più, invece era proprio quello che mi aveva spinto a fare lo scatto: nella pancia della macchina di ferro c’è qualcosa che si muove, c’è del caos, che è quello che trasforma tutte quelle immobili tonnellate di ferro in una locomotiva. Questa era l’idea che mi piaceva e che volevo condividere. La foto sul display era deludente, tutta colorata e piena di particolari, non rivelava quello che aveva sollecitato l’immaginazione. Ma ero consapevole di avere acquisito molte più informazioni con quello scatto e confidavo che nella tranquillità dello studio sarei forse riuscito a recuperare quello che avevo visto.

Questo è editing. È esattamente qui che si dispiega l’immaginazione, è qui che la macchina diviene strumento e l’uomo autore. Molto molto lontano dalle “selfie”, per intendersi.

Raccontare

Le immagini congelano la scena ma possono narrare se offrono una chiave di lettura. L’osservatore costruisce il proprio racconto – è la chiave che conta. Il video sembrerebbe invece narrare esplicitamente ma non è così banale. Non basta premere il tasto rosso e zoomare a perdifiato.

Prendiamo una videocamera – o un software di screencasting – e si riprenda qualcosa che si dipana nel tempo. Raramente si ottenuto così un prodotto finito. In gergo cinematografico, è raro che un’intera storia venga realizzata mediante un piano sequenza, ovvero mediante la scansione temporale del “girato”. Il video finale ha un suo tempo, diverso dal tempo naturale del piano sequenza, nel quale vengono collocate sequenze diverse, a prescindere dalla loro origine, magari anche singoli fotogrammi o immagini sintetizzate in altri modi. Questo processo è quello del montaggio, o più precisamente del montaggio non lineare, con il quale si possono andare a prendere sequenze qualsiasi, in modo del tutto arbitrario all’interno del girato. Un metodo questo che è peculiare degli strumenti di montaggio software, con i quali si possono applicare anche effetti particolari senza distruggere il girato, potendo cioè sempre fare un passo indietro. Prima dell’avvento del digitale, il montaggio rappresentava – e rappresenta – un lavoro defatigante: tipicamente, per produrre un cortometraggio di dieci minuti, potevano occorrere molte giornate di lavoro taglia-incolla eseguito su ore o decine di ore di girato. Anche per chi usa il digitale il montaggio è un lavoro molto lungo ma oggi ci sono possibilità e flessibilità che prima erano inimmaginabili.

Nei software per montaggio è invalso l’uso di chiamare le singole sequenze clip e la successione delle clip storyboard. In realtà la storyboard è nata ben prima che tali sistemi vedessero la luce. Si trattava di una serie di bozzetti che venivano – e spesso vengono – disegnati, per tratteggiare la successione delle scene più significative. Esiste anche un software che serve a comporre storyboard, celtx, scaricabile in una versione free piuttosto articolata, da quello che ho potuto vedere in cinque minuti. Simpatico, ma penso che si possa fare benissimo anche a mano. Può essere che organizzare una storyboard a priori sia utile ma mi guardo bene dall’enunciare regole in proposito. Anzi, colgo l’occasione per allargare la visione, menzionando l’esperienza di un grande italiano: Vittorio De Seta, scomparso lo scorso novembre. Facciamoci introdurre De Seta da Martin Scorsese (copertina posteriore del DVD):

Avevo sentito parlare dei documentari di De Seta come accade per i luoghi leggendari: qualcuno li aveva visti, nessuno sapeva dove. De Seta stesso era una figura leggendaria e misteriosa. A New York all’inizio degli anni sessanta avevo visto Banditi a Orgosolo. Uno dei film più insoliti e straordinari… De Seta era un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta.
Da dove veniva questa voce? Qualche tempo fa ho ricevuto un regalo inaspettato, le copie in 35mm dei documentari diretti da Vittorio De Seta tra il 1954 e il 1958. Titoli incantevoli: Lu tempu di li pisci spata… Isole di fuoco… Contadini del mare… Parabola d’oro…
Li ho proiettati, e sono rimasto stupefatto, sopraffatto da un’emozione intensa, come se, oltrepassato lo schermo, mi fossi ritrovato in un mondo mai conosciuto, che improvvisamente riconoscevo.
Era l’Italia del Sud, la mia cultura ancestrale che volgeva alla sua fine, a un passo dal suo ingresso nella sfera del mito. Un tempo in cui la luce del giorno era preziosa e le notti completamente buie e misteriose. Erano i figli di Prometeo, che aveva rubato il fuoco agli dei per donarlo ai mortali, e per questo erano stati puniti. Gente che cercava la redenzione attraverso il lavoro manuale: nelle viscere della terra, in mare aperto, tagliando il grano.
Gente che sembrava pregare attraverso la fatica delle mani.

Ebbene, come aveva proceduto Vittorio De Seta per realizzare questi straordinari documenti? Premetto solamente che, in primo luogo si recava sul posto mesi prima, per familiarizzare con le persone e assorbire l’atmosfera dei luoghi, poi lavorava praticamente da solo con l’aiuto di un ragazzo, manovrando macchine pesanti e complesse, tecnicamente limitate, per esempio con sensibilità di 25-50 ASA, in situazioni complicatissime, su piccole barche, o in miniera, manovrando sia la registrazione del sonoro che del video, sperimentando allo stesso tempo la grande novità del cinemascope che richiedeva due successive messe a fuoco di due diversi sistemi di lenti, il tutto senza poter vedere il video, ma solo sentire il sonoro, per mesi, prima di entrare in sala di montaggio. Un gigante. Ma un gigante anche per avere avuto l’intuito di andare a cogliere le ultime espressioni di un mondo che fu, di lì a poco irrimediabimente perduto. E anche per avere colto quell’intuizione senza aspettare di avere acquisito le competenze . Per il resto lasciamo parlare De Seta stesso, in questo brano di una conversazione con Goffredo Fofi, che ho tratto da La fatica delle mani, a cura di Maro Capello, allegato al DVD Mondo perduto, p. 23:

GF: Il tuo passaggio alla regia , dopo una prima “prova” [come secondo aiuto regista nel 53, quando De Seta era trentenne], è radicale sia nella scelta di un ambiente sia nell’approccio a esso.

VDS: Nel ’54, in Aprile feci La Pasqua, in bianco e nero, 16 mm, assieme a Vito Pandolfi…

GF: In quegli anni Pandolfi mise insieme un libro interessante, Copioni da due soldi, che era una perlustrazione di tutto il teatro minore: dai venditori di strada ai cantastorie, dalla sceneggiata alle feste. Tutto un percorso nella realtà italiana povera, un mondo che è stato poco raccontato, trascurato dallo stesso neorealismo…

VDS: In realtà Pandolfi lo conosceva mia moglie, che faceva teatro. Non ci fu un grande legame, né io possedevo una grande consapevolezza culturale. Il documentario era convenzionale, ma venne a vederlo Zavattini, e il suo entusiasmo mi incoraggiò. Di lì a pochi mesi, ho fatto Lu tempu di li pisci spata che era un lavoro difficile, visto che già era difficile stare sulla barca a fare riprese. Per me la cosa determinante fu l’abolizione del commento. Incominciai a girare le prime inquadrature senza avere un chiaro progetto. Alla sera ascoltavo il sonoro, che avevo registrato con ricchezza, voci, suoni, canti, musiche, rumori del mare, atmosfere. Sentivo che era un elemento determinante perché, abolendo lo speaker, che rappresenta l’ossatura ideologica del documentario, il film si deve reggere sulle proprie forze. Così viene in primo piano il sonoro; tutta la struttura deve essere fondata sul ritmo. Sulla base del sonoro, che non era un suono “sinc” ma ricostruito, mi componevo in testa la struttura del documentario, prima di poter vedere finalmente le immagini.

Fermatevi a guardare questo cortometraggio. Ne vale la pena.

Lu tempu di li pisci spata
Questo è il primo dei dieci cortometraggi contenuti nel DVD Mondo perduto. Mi sono piaciuti così tanto che ne ho comprati tre, uno per me, due li ho regalati a due amici. Confido che diffondere sequenze in rete finisca col fare acquistare più originali…

E queste immagini De Seta le potè vedere solo una volta tornato a Roma, dopo avere sviluppato le pellicole in studio. Ricordo di avere sentito un’altra sua intervista, dove raccontava di essersi messo a piangere dopo avere visto che le immagini c’erano, perchè avrebbero potuto essere anche tutte vuote!
Quel sonoro di cui parla De Seta, è stato il percorso sul quale dipinse le sequenze disponibili, che non erano mai in sincronia perchè non era possibile, in quelle condizioni, registrare contemporaneamente il video e il sonoro. Ecco, in questo esempio si percepisce appieno la forza creativa che può essere espressa nella fase di montaggio.

 

Quali strumenti

Qui c’è da perdere la testa con l’enorme strumentario che abbiamo a disposizione oggi. Proviamo a stare inizialmente alti per poi calare in qualche particolare.

La video camera, gli apparecchi fotografici, gli smartphone offrono opportunità sconfinate, che ben pochi sfruttano, e di cui ben pochi educatori fanno tesoro, a tutti i livelli. Naturalmente le eccezioni non mancano. Un esempio è Paolo Beneventi, di cui avete letto il libro che abbiamo proposto.

Sono assolutamente straordinarie le cose che si possono fare con le macchine digitali che oggi troviamo sugli scaffali di un qualsiasi supermercato. In Digital Film Making, Mike Figgis descrive la propria esperienza di regista cinematografico che decide di esplorare a fondo il nuovo universo digitale. Digital Film Making è un ottimo libro da leggere per chiunque voglia cimentarsi con il video. Non poteva mancare un capitolo sulla luce, nel quale Figgis espone una tesi interessante. Con le prime tecnologie, il cinema era affamato di luce. Hollywood è la patria del cinema perché nella California del sud c’è quasi sempre molta luce. Antonino Delli Colli, direttore della fotografia anche in Totò a colori, il primo film italiano a colori, racconta come per gli attori fosse una vera tortura recitare negli interni con la quantità di luce necessaria a tirare fuori i colori dalla pellicola Ferraniacolor, che aveva un sensibilità di soli 6 ASA! In pratica arrostivano. Sebbene con l’evolversi della tecnologia le pellicole divenissero sempre più sensibili e le lenti più luminose, questa atavica fame di luce ha lasciato una traccia profonda: fare cinema richiede una grande luce e quindi un grande direttore della fotografia. Mike Figgis, sostiene che fare un video è diverso da fare cinema, anche in virtù della straordinaria sensibilità – e non solo – delle videocamere, e critica l’abitudine di predisporre grandi luci anche quando si usano videocamere: una luce artificiale extra può ingoiare una luce naturale che avrebbe potuto contribuire significativamente all’espressione di una scena. E sostiene anche che i registi dovrebbero smettere di continuare a illuminare quando fanno cinema con macchine digitali. È interessante la convergenza con i suggerimenti di Richard Olsenius per la fotografia: meno luce può essere meglio.

E già che siamo con Figgis, rimaniamoci ancora a proposito di un altro pezzo di stumentazione: il software di editing video.

La mia esperienza con iMovie è stata interessante. Il programma c’era già sul mio computer ma non l’avevo mai usato. Poi un giorno avevo ripreso qualcosa ma non volevo ancora che qualcuno montasse il video. Volevo giusto dare un’occhiata a cosa era venuto fuori. E non avevo un’idea di come si facesse a usare iMovie. Non sono esattamente uno che capisce di computer. Non mi piacciono. Sono stato costretto ad usarli e l’ho fatto controvoglia, sono rimasto sì sorpreso da quello che ci si può fare ma ho avuto difficoltà all’inizio. Diciamo che sto nella parte bassa della scala di capacità in questo campo. A paragone di chi ha meno di trent’anni, che ha già di gran lunga più esperienza digitale di quanto io ne abbia accumulata in tutta la vita, sono all’età della pietra. Ebbene, in queste condizioni, accesi il sistema e mi imbattei in un piccolo tutorial incluso nel programma che serviva ad aiutare la gente. In breve mi resi conto di come si faceva a collegare la videocamera in maniera da usarla come un mezzo di riproduzione e di importazione dei video. Il tutto fu immediato.

A quel punto iniziai a importare qualche clip e scoprii alla svelta come queste si allineavano spontaneamente in una sorta di catalogo. Nel giro di un paio d’ore avevo montato una sequenza. Iniziai a pensare come avrei potuto inserire qualche dissolvimento del suono e trovai un menu che mostrava gli effetti che si potevano usare con l’audio e con le immagini. E tutto era così ovvio e così autoesplicativo che perfino un novellino come me poté montare un video di 5 minuti piuttosto sofisticato. Avevo fatto tutto in un giorno partendo da zero. Fu subito chiaro che avrei potuto montare un film intero in questo modo.

Successivamente, Mike Figgis ha montato interi film con iMovie. Dopo faremo una piccola disanima degli strumenti disponibili, ma ciò che conta veramente è il vostro obiettivo e il vostro atteggiamento di fronte allo strumento, qualsiasi esso sia.

Editing, si diceva…

In pratica

È difficile entrare nei dettagli, considerata l’enorme varietà e variabilità dei sistemi. Proviamo comunque a estrapolare alcune indicazioni pratiche, in maggior parte desunte da conversazioni avute con esperti.

  1. Nelle riprese video dedicare del tempo, se possibile, a cercare l’inquadratura: punto di ripresa, profondità del campo, luce. In pratica quello che si fa prima di scattare una foto.
  2. Essere ariosi nell’inquadrare… Non è detto che il soggetto principale debba essere piazzato al centro della scena. Questo vale anche per lo scatto di immagini; è una faccenda di composizione. Immaginare di dividere il campo di vista con due linee parallele orizzontali e due verticali, che lo dividano quindi in una scacchiera 3×3. Provare a piazzare gli elementi o le linee importanti – orizzonti eccetera – sui punti o sulle linee di tale griglia. Per esempio, un soggetto posto in posizione decentrata potrebbe essere messo in maggiore enfasi da un gioco di prospettive. Affidarsi quindi alla propria ispirazione.
  3. Vero è che la luce è la carta su cui si scrivono foto e video, ma non è detto che la miglior carta sia quella candida. Se si ha libertà nella programmazione di una ripresa esterna, porsi il problema della luce, privilegiando le ore con luci radenti e soffuse. Pensare alle tonalità assunte dall’atmosfera nei luoghi dove vi trovate, nella diverse fasi del giorno, nelle particolari condizioni metereologiche. Magari poi non decidete niente di preciso, ma non pensarci potrebbe significare perdere un’occasione.
  4. Cercare di utilizzare le luci naturali dell’interno; con la sensibilità delle macchine di oggi si può lavorare in condizioni incredibili. Se la luce fosse veramente troppo carente, provare a utilizzare la luce diffusa da una finestra, se possibile. Oppure, se dovesse essere necessario, aggiungere luci artificiali, non illuminare mai il soggetto con luce diretta, ma dirigere le luci su qualche superficie chiara circostante. Sperimentare. Seguire l’ispirazione.
  5. Non c’è dubbio che lo zoom sia una trovata formidabile per controllare il campo, ma non usarlo come effetto speciale nel video! Zoomate pure girando, per cercare il campo giusto volta volta, ma poi durante il montaggio tagliate via le zoomate. A meno che lo zoom non venga utilizzato con intenti molto precisi, come per esempio nella sequenza iniziale di Quarto Potere.
  6. I file video sono molto grandi perché contengono una quantità enorme di informazione. Volendo fare una scala a braccio: la Divina Commedia richiede 0.5 MB, una foto in buona risoluzione 10 MB, un video di una decina di minuti 500 MB. Non è una buona idea manipolare file molto grandi, i trasferimenti possono essere troppo lunghi, altrettanto le operazioni di “rendering” o di codifica. Le operazioni di editing vengono rallentate da attese che possono rivelarsi molto lunghe, durante le quali non si può fare niente. Con la mole di dati di una clip troppo lunga non è difficile ritrovarsi con il sistema inchiodato per delle ore. E il programma inchiodato su calcoli troppo lunghi può essere fonte di instabilità per tutto il sistema operativo, talvolta anche solo perché l’utente non interpreta correttamente lo stato della macchina e, cliccando inconsultamente altrove, finisce col paralizzare tutto. Inoltre, se le clip sono memorizzate in file separati, magari perché sono state acquisite già così – buona idea interrompere ogni tanto le registrazioni – allora , meglio ritrovarsi con un solo piccolo file pasticciato, fra tanti, che con un unico grande file pasticciato. Abituarsi quindi a fare clip relativamente brevi.
  7. Se il sonoro contiene la voce di un narratore, come può essere anche il caso di un banale tutorial, conviene “ripulirlo” da una serie di accidenti antiestetici che allungano inutilmente i tempi: balbettamenti, attacchi strascicati in cerca della parola, colpi di tosse, schiocchi eccetera. I software di montaggio  mostrano la traccia del sonoro sulla cosiddetta timeline – due tracce se l’audio è stereo. Si tratta di un grafico in funzione del tempo che esprime l’andamento delle onde di pressione con il quale si propaga il suono, come abbiamo visto nelle brevi note tecniche sull’audio digitale. Ma a prescindere dal significato tecnico del grafico, ci si abitua rapidamente ad associare la forma delle onde alla struttura delle frasi e anche a certi particolari tratti del parlato. Per esempio, le vocali allungate nella ricerca della prossima parola hanno la forma di una sorta di salsiccia allungata, che è molto facile individuare anche solo visivamente e eliminare con i comandi dell’editor – nel prossimo video vediamo come si fa. Ricordo un commento alla radio dove si raccontava come Pasolini lavorasse puntigliosamente insieme al montatore per ripulire l’audio di una certa intervista, cercando di ridurre al massimo i tempi morti, timoroso che gli spettatori si annoiassero. Tutto questo con misura e buon senso: attenzione ad azzerare tutti i tempi morti perché le pause contribuiscono all’intelligibilità del discorso. Rendendole tutte molto brevi e tutte eguali, il parlato si appiattisce, l’attenzione crolla. Infine un commento  sull’esecuzione di questo tipo di editing. Quando l’audio accompagna un video, questo è associato alla traccia video. I sistemi di editing consentono di “sganciare” la traccia audio e di lavorarci separatamente, per poi riaccoppiarla appropriatamente a quella video. Tuttavia, gli interventi di pulizia a cui abbiamo accennato possono essere fatti direttamente sulle due tracce accoppiate, perché i tagli che vengono fatti sono solitamente di durata abbastanza piccola da non essere percepiti nella visione.
  8. Salvare, salvare tutto frequentemente, ossessivamente. Questa è una regola aurea delle elaborazioni digitali ma quando i materiali e le elaborazioni sono complesse allora è veramente pericoloso non osservarla. Sommersi di software come siamo – dal telefono al computer è tutto software – non ci badiamo ma spesso usiamo con disinvoltura applicazioni che nascondono un enorme livello di complessità. Probabilmente un software di editing video di oggi è molto più complesso di quello che servì a controllare la missione sulla luna di Apollo 11 del 1966. E il software, tutto il software del mondo, è sempre pieno di errori. Non esiste un software privo di errori, a meno che non sia assolutamente banale ma allora anche probabilmente del tutto inutile. Ci sono invece software che hanno meno errori di altri, e anche software che probabilmente hanno davvero pochi errori. E dove si trovano questi ultimi? Fra quelli molto vecchi! Il software è come il vino buono, migliora con il tempo, a condizione che venga usato costantemente e che vi sia una comunicazione ininterrotta fra chi lo usa e chi lo ha prodotto e lo mantiene. Nei casi in cui le prestazioni sono critiche, per esempio nei software utilizzati nelle missioni spaziali o anche in quelli utilizzati per la gestione delle transazioni finanziarie o bancarie, si tende ad utilizzare software delle generazioni precedenti perché è più importante la minore incidenza degli errori piuttosto che un maggior numero di brillanti opzioni nuove. Per tante applicazioni meno critiche, il requisito di solidità cozza con gli interessi di mercato, e quindi i regimi economici frenetici privilegiano la diffusione di applicazioni che sono straricche di opzioni ma anche piuttosto instabili, talvolta sorprendentemente instabili. E naturalmente, l’instabilità cresce con la complessità del software e dell’informazione che questo deve processare. È esattamente il caso delle applicazioni di editing multimediale. Quindi salvare, salvare, salvare. Nel video successivo mostrerò anche come.
  9. Se l’ispirazione vi induce ad infrangere alcune delle precedenti regole, fatelo.

Piccola e incompleta lista di strumenti

  • I software di Screencasting sono quelli che consentono di registrare in un video quello che accade sullo schermo di un computer. Sono utilissimi per mostrare procedure di ogni tipo. La rete è popolata da una quantità smisurata di tutorial costruiti a partire da uno screencast.
    • In precedenza avevamo incluso CamStudio fra le possibilità, ma quest’anno è emerso che scaricandolo c’è il rischio di includere del malware, come abbiamo rilevato nel post del picchio. Lo dico perché è molto popolare fra gli utenti Windows.
    • Jing è prodotto dalla TechSmith per Windows e Mac, ma viene offerto anche in versione free con alcune limitazioni fra cui: durata massima 5 minuti e se uno vuole salvare il video, anziché condividerlo su Youtube, in formato flash (tipo swf). La versione Pro consente di abbattere il limite temporale e di salvare i video in formato MP4, ma 15 $ all’anno
    • Flavia quest’anno ha segnalato ezvid, pare che funzioni bene.
    • Camtasia. È interessante perché in realtà è anche un ottimo strumento di montaggio ma non è free.  Lo cito anche dopo.
  • Montaggio video. La prima osservazione che vale la pena di fare è che, purtroppo, appena le ambizioni crescono, anche di poco, tocca pagare qualcosa. È un’osservazione che faccio con fatica, perché sono sempre tutto contento quando posso suggerire qualche prodotto software valido creato nel mondo del software libero, e ce ne sono veramente di eccellenti. Non è purtroppo il caso dei prodotti destinati alla manipolazione dei video, dove le soluzioni free o sono troppo limitate, o sono troppo lente nelle operazioni di elaborazione, o offrono scelte limitate nelle codifiche esportate. Peccato, magari con il tempo qualcuna migliorerà. Sarò felice di cambiare questo paragrafo. Per ora mi limito a citare ciò che mi è capitato di usare fin qui.
    • Windows Movie Maker è l’applicazione di video editing che si trova(va) in Microsoft Windows Me, XP, e Vista. Lo sviluppo di Windows Movie Maker è stato abbandonato dopo il rilascio di Windows Vista. È stato sostituito con Windows Live Movie Maker, incluso nel pacchetto Windows Essentials, un insieme di applicazioni scaricabili da Windows Live, il tentativo di Microsoft di offrire una piattaforma con software scaricabile e servizi Web. La nuova versione è diversa, taluni lamentano che è troppo semplificata. La precedente versione era un po’ instabile. Vari studenti in passato si sono lamentati, riferendo tutta una serie di disavventure. Il più pessimista diceva di starne più lontano possibile, la più ottimista aveva invece raccontato di essere riuscita a fare un bel lavoro con i suoi bambini, ma a condizione di tenere sempre tutti i file in una stessa cartella senza spostarli mai e di fare salvataggi frequenti. Norma quest’ultima che è comunque sempre consigliabile, come abbiamo già detto. Forse la nuova versione ha guadagnato in stabilità, a fronte della semplicità. Si può scaricare qui. L’esercizio che propongo dopo si riferisce all’uso di questo software.
    • iMovie è invece l’applicazione di editing video che un tempo era inclusa nel sistema Mac OS X.  Ora si può scaricare dal Mac Apple Store per 13.99$. Qualche anno fa l’ho usata abbastanza spesso, nella versione free. Era sufficientemente potente e ragionevolmente solido, come testimonia Mike Figgis.
    • Il mio amico Andrea, che era un professionista (i professionisti di audio e video usano spesso prodotti Apple) usava Final Cut Pro, un’applicazione da più di €1000. Un giorno, in un grande magazzino trovai in vendita un cd, Final Cut Express, che costava qualcosa meno di €100. Final Cut Express era una versione più abbordabile ma non doveva costare così poco. Mi resi conto di essermi imbattuto in un’offerta perché l’Apple aveva smesso di produrlo. Ora esiste solo Final Cut Pro X: 230 €. Qualche anno fa, influenzato dai video di Sir Ken Robinson, produssi dei cosiddetti bricovideo per illustrare le infrastrutture che sostengono il web nel post Una piccola introduzione alla nuvola. In quel caso avevo usato Final Cut Express perché avevo bisogno di qualcosa che mi facesse cambiare la velocità delle clip. Mi pare che si possa fare tutto quello che si vuole, o quasi.
    • Camtasia l’avevo già citato come applicazione di Screencasting. Purtroppo è un software proprietario e non costa pochissimo: €258 per Windows e €90 per Mac. È la soluzione alla quale alla fine mi sono dovuto piegare, con la quantità di tutorial che mi tocca fare. La versione Windows è quella più completa.
    • Avidemux. Software libero per tutti i sistemi. Se basta, meglio.
    • Openshot. Software libero Linux. Se basta, meglio.
    • Kdenlive. Software libero Linux. Se basta, meglio.
    • Animoto. Questo è un servizio web. Una specie di tritacarne dove butti dentro immagini, clip, audio e lui ti confeziona una sorta di trailer. Può essere utile per avviarsi al mondo del video ma ti perdi il piacere di creare.

E infine concludo con un video dove cerco di mostrare alcune delle pratiche suggerite in questo post.
Per fare un video bene occorre tempo, invece questo video è stato fatto di fretta. Fra i tanti difetti ha anche quello di essere un po’ lungo. Metto qui sotto un indice per chi volesse andare direttamente a vedere alcuni punti specifici del video. Sotto, in versione embedded, trovate il video intero.




L’attività

L’idea è di fare qualcosa di simile a De Seta 😉 : abbiamo un video e un audio separati e con questo materiale vogliamo fare un montaggio che abbia un senso.

Il materiale consiste in un video e un audio non sincronizzati fra loro che avevo fatto questa estate a un grosso insetto, credo un Lamia Textor. L’audio lo feci dopo perché mi resi conto che il nostro Lamia Textor s’arrabbiava se lo toccavi e protestava squittendo nervosamente! Ho fatto una prova con Windows Live Movie Maker e mi pare che la cosa sia possibile.

In questo link trovate una versione sottotitolata in italiano di un tutorial che mostra come sostituire la traccia audio usando Windows Live Movie Maker. Se non vedete i sottotitoli cliccate sull’icona “cc” in basso a sinistra nel video.

Ora non ho una versione di iMovie sul mio sistema Mac ma credo che sia possibile fare un lavoro del genere.

In questo link potete scaricare il file insetto.zip (92 MB) che contiene:

  1. insetto.mov – file video (ho visto che WLMM legge questo formato)
  2. insetto.aup – file Audacity
  3. insetto_data – cartella dati Audacity

L’esercizio consiste nel produrre un breve video, anche molto breve, di pochi secondi. Si tratta di tagliare via dal video la traccia audio, estrarre e ricomporre i pezzi migliori. Trovare con Audacity gli squitii del Lamia Textor e eliminare il resto, magari migliorare la qualità togliendo un po’ di rumore e amplificando quanto basta. Poi esportare in MP3 e importare in WLMM. Infine esportare il prodotto finito, per esempio in formato MP4.

Dal punto di vista fiscale: non considero obbligatoria questa attività. Coloro che la eseguiranno, avendo fatto anche tutte la altre, prenderà la lode.

 


 

Riferimenti

  • DIPINGERE CON LUCE
    CORSO DI FOTOGRAFIA, BIANCO E NERO
    Richard Olsenius
    National Geographic Society, 2005
    P. 62
  • SCRITTI E PENSIERI SULL’ARTE
    Lorenzo Viani
    Mauro Baroni Editore, Viareggio, 1997
    P. 95
  • IL MONDO PERDUTO
    I cortometraggi di Vittorio De Seta
    1954-1959
    Cineteca Bologna, 2008
  • DIGITAL FILM-MAKING
    Mike Figgis
    Faber & Faber
    London, 2007
    P. 125
  • TOTÒ A COLORI
    steno1952
    Nel cofanetto “Totò, il principe della risata”
    Dino De Laurentis – Filmauro Home Video, 2004

Facciamo che eravamo sordi, ciechi… (questioni di accessibilità) – #edmu14

Non avrei mai immaginato di appassionarmi a un saggio di linguistica. E, una volta introdotto all’affascinante concetto di grammatica universale, ancor meno avrei immaginato di leggere il brano seguente [1], che colloco immediatamente fra le citazioni preziose:

È un dato della cultura tradizionale, che merita molta più attenzione di quanta non ne riceva, il fatto che l’insegnamento non dovrebbe essere paragonato al riempimento di una bottiglia con dell’acqua ma piuttosto all’aiuto che si dà a un fiore per crescere nel modo che gli è proprio. Come ogni buon insegnante sa, i metodi dell’istruzione e la quantità di programma svolto sono questioni di poca importanza se confrontate con la capacità di suscitare la curiosità naturale degli studenti e di stimolare il loro interesse a compiere ricerche in modo autonomo. Ciò che gli studenti imparano passivamente sarà presto dimenticato. Ciò che gli studenti scoprono da soli quando la curiosità naturale e i loro impulsi creativi sono sorti non solo sarà ricordato ma sarà la base per ulteriori ricerche e, forse, significativi contributi intellettuali.

La curiosità naturale degli studenti e il loro interesse a compiere ricerche in modo autonomo hanno bisogno di tempo per emergere. Il tempo è invece una risorsa scarsa per gente che studia lavorando e deve seguire più insegnamenti in un semestre che in realtà è a malapena un bimestre.

Sto esitando a proporre l’ultima attività (elaborazioni video) perché vedo dai vostri dialoghi che siete in varie altre faccende affaccendati; l’assenza di un software libero di montaggio video utilizzabile per tutte le piattaforme complica ulteriormente la questione – vano seminare in avverse condizioni.

Per facilitare la situazione propongo quindi un’alternativa all’attività sui video che cercherò di proporre comunque – ognuno scelga quella che preferisce. Allo stesso tempo ne approfitto per cogliere un’occasione che, nella deplorevole concitazione, ci eravamo persi alla fine della prima attività, quella sulla sottotitolazione. La proposta era stata fatta da Claude, che aveva a sua volta sfruttato un post che avevo scritto per diffondere la notizia dell’evento Un medico all’Inferno.

La proposta di Claude è interessante perché richiama ancora l’attenzione su valori che sono importanti per un approccio umanistico all’impiego delle tecnologie.

In pratica. Chi vuole fare tutto faccia tutto, ovviamente, ma chi si trova in difficoltà, ai fini dell’insegnamento di Editing Multimediale può scegliere fra l’attività proposta da Claude e quella sulle elaborazioni video che verrà.

Il post di Claude è Accessibilità: facciamo che eravamo sordi, ciechi #edmu14


[1] Noam Chomsky, Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 114-115.
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Brevi note tecniche sull’audio digitale con riferimento all’uso di Audacity – #edmu14

Ecco infine il post che completa i materiali per l’attività sulle elaborazioni audio. È un articolo che ho scritto utilizzando \LaTeX, il migliore sistema per produrre testi scientifici con alta qualità tipografica, e non solo.

L’articolo è leggibile o scaricabile in PDF (649 KB). Il testo è corredato di hyperlink: quelli celesti puntano a risorse nel Web, quelli rossi all’interno del documento medesimo.

\LaTeX è un linguaggio di markup quindi si basa sulla scrittura di un file sorgente mediante semplici editori di testo, come HTML. Chi fosse curioso di vedere tale sorgente, può scaricare questo file zip (640 KB) che contiene sia la versione PDF che la sorgente in TEX. La versione in TEX può essere facilmente accessibile anche agli utenti ipovedenti.

Nel testo compare anche un link ad un minuscolo file audio, nel quale pronuncio semplicemente la parola “audacity”. Serve a verificare personalmente una questione inerente all’impiego dei decibel. Il link è accessibile dal testo ma lo pongo anche qui (35 KB), oppure…

 
 
Quanto al contenuto, l’articolo rappresenta un tentativo di corredare di qualche nozione tecnica le attività proposte intorno all’elaborazione dei segnali audio. Va da se che a taluni potrà sembrare inutilmente difficile mentre ad altri parrà banale – la cosa è naturale in un luogo dove capitano persone con preparazioni molto diverse. Ognuno ne faccia l’uso che gli è più congegnale.

Ma c’è stata una sorpresa. Stamani uno di voi, Federico, ha fatto l’ottima proposta di trasporre le lezioni online in MP3, in modo da renderle disponibili a tutti. Federico ha già individuato una soluzione perfettamente funzionante, tuttavia prima di renderla operativa occorre chiedere il consenso alla IUL. Nel frattempo possiamo però goderci l’ottimo tutorial (364 KB) con il quale ci spiega come fare a trasporre una lezione online mediante Audacity. Ringraziamo Federico per questo contributo.

La chiusura è un disvalore

Clicca qui per scaricare la versione in PDF (233 KB)


Questo post contiene precise indicazioni per gli studenti della classe di editing multimediale #edmu14 ma il contenuto è valido per tutti, in particolare le note che riguardano la partecipazione alle comunità online.


 

La prima edizione delle Wikinomics è apparsa nel 2007. In quel libro Don Tapscott e Anthony D. Williams enunciarono i principi della Wikinomics:

  1. Being open – Avere mentalità aperta
  2. Peering – Valorizzare la collaborazione fra pari
  3. Sharing – Condividere
  4. Acting Globally – Agire con mentalità globale

Tapscott e Williams enunciarono questi principi sulla base di una serie di fenomeni di collaborazione di massa che sono stati resi possibili dalla diffusione capillare di Internet nel mondo. Non sono tuttavia una novità assoluta questi principi. Si potevano già scorgere degli indizi nell’organizational learning di Argyris e Schön (anni ’70) e nella learning organization di Peter Senge (anni ’90) ma anche nelle parole di tanti altri autori, per esempio quelle di Richard Sennet nell’Uomo artigiano, a proposito delle comunità di software libero.

Non solo, ai principi della Wikinomics ne aggiungerei un quinto :

  1. Acting Ethically – Inquadrare l’azione in un solido contesto etico; cogliere i risvolti etici insiti nell’impiego di qualsiasi strumento.

I primi quattro principi hanno natura tecnica ma i formidabili problemi del mondo contemporaneo non possono essere risolti in una prospettiva meramente tecnica. Occorre pensare all’umano, alla qualità della vita e non solo alla quantità dei consumi o dei proventi, al numero di clienti o al numero di studenti. L’abuso di questa visione ha prodotto e produce innumerevoli disastri. Una visione distorta da mono-pensiero macroeconomico, dimentica che la Qualità deriva dalla cura ossessiva per i dettagli e che la Qualità è qualità dell’umano a tutto tondo, in tutta la sua complessità, materiale e non. Il quinto principio è ovviamente ancora più importante nel contesto educativo ma non se ne vedono quasi tracce, se non in forme didascaliche o comunque estremamente superficiali.

Nella vita di tutti i giorni arriva poco di tutto questo. Come se un maleficio le avesse condannate a un ritardo comunicativo di mezzo secolo, le istituzioni guardano il mondo come le stelle, che non vediamo come sono ma come furono, con cronico incolmabile ritardo.

L’ho presa larga quanto necessario e sinteticamente quanto basta (spero non troppo), per definire adeguatamente il contesto nel quale riconoscere che il corso di editing multimediale non va abbastanza bene.

Che nessuno si crucci. A livello individuale va bene, come nelle scorse edizioni dei corsi di editing multimediale e laboratorio informatico: una metà circa di persone che fanno un buon lavoro, alcune eccellente; nell’altra metà presenze più sporadiche, qualche fantasma. Ciò che manca è la dimensione corale. La ragione è precisa e riguarda il sottoscritto. Per alcuni motivi sui quali ora non mi dilungo, quest’anno ho dovuto fare qualche concessione ad uno schema po’ più convenzionale, da un lato rinunciando a creare quella che chiamavamo blogoclasse, sorta di comunità di pratica online, dall’altro cercando di utilizzare un po’ di più la piattaforma istituzionale. Non è stato un buon affare: l’informazione non circola, il totale eguaglia meramente la somma delle parti. Non è che manchi comunicazione, solo che questa è ridotta alla forma canonica scolastica, di tipo a stella, con l’insegnante al centro. Intendiamoci, ciò che sta accadendo va benissimo ai fini dei parametri di qualità previsti istituzionalmente [1], tuttavia non va bene ai fini della qualità che mi prefiggo di raggiungere – forse non riuscendovi mai, ma questa volta meno delle altre.

Tentiamo allora di dare una sterzata, abbiamo ancora un mese e può valerne la pena. Consideriamo due aspetti: in primo luogo “allarghiamo” la piattaforma, poi discutiamo il modo corretto di prendere parte a una comunità online, concentrandoci su come porre utilmente le domande .

La piattaforma

Fortunatamente abbiamo la nostra tutor, Lucia, che con certosina pazienza organizza in piattaforma le tracce delle attività. Un lavoro benemerito che deve continuare, perché il regolamento didattico prevede che in piattaforma qualcosa rimanga – del sottoscritto non ci sarebbe da fidarsi.

In passato ho usato molto varie piattaforme didattiche, soprattutto Atutor e Moodle. Le ho configurate e usate per vari anni, con centinaia di studenti. Poi ho smesso, non trovandovi un valore aggiunto che ragionevolmente compensasse i troppi limiti che impongono. Quello che si può realizzare con queste piattaforme si può realizzare anche con una varietà di strumenti che sono disponibili nell’ecosistema di Internet e con un vasto armamentario di software liberamente disponibile, soprattutto per un insegnante che impieghi proficuamente un sistema Unix (Linux), come il sottoscritto. Anzi, lavorando “all’aperto” si hanno formidabili vantaggi che le piattaforme, in quanto chiuse invece negano: si allarga la partecipazione ad altre persone e altre fasce di utenza che possono facilmente apportare idee e stimoli, si trovano collaborazioni insperate, si attua una sorta di marketing intrinseco – un marketing non vociato ma fattuale, basato sulla qualità effettiva: non ti prometto ma ti mostro, e ti aggreghi solo se trovi che noi ti si possa dare qualcosa di utile.

Non se ne abbiano i valorosi amici – se leggono queste righe – che alla nostra piattaforma lavorano con competenza e puntualità. Il problema sta nella natura dello strumento che è inadeguato per una didattica che guardi al futuro. Si tratta di strumenti concepiti per esser chiusi e tendenzialmente organizzati in una struttura gerarchica dominata da categorie prefissate, spesso banali e quindi inutili: stanze, cartelle, sottocartelle ecc. Nello specifico, partendo dal login, può capitare di dover cliccare 8 volte prima di raggiungere l’elaborato di uno studente, annidato nella sua specifica categoria – un workflow insensato. Ripeto, non è questione di criticare chi ci sta lavorando ma di constatare che si tratta di strumenti datati che impediscono una sperimentazione di sufficiente respiro.

Propongo quindi quanto segue. Continuiamo a deporre le tracce delle attività, così come state facendo, con la solerte cura di Lucia. Facciamolo però in parallelo anche in un ambiente aperto, specificamente in un wiki, uno di quelli più utilizzati a fini formativi in tutto il mondo. I vantaggi rilevanti sono due: i vostri lavori diventano accessibili a tutta l’Internet e in secondo luogo sono molto più facilmente raggiungibili da chi, come il sottoscritto, può avere necessità di doverli revisionare reiterate volte. Con un ulteriore valore aggiunto: voi fate ulteriore pratica di editing in un wiki e questo è un ottimo ingrediente per un corso di editing multimediale.

In questo link trovate la pagina, comprese istruzioni di vario tipo per editarla. Vi arriverà presto un invito a partecipare al wiki. Ognuno dovrà intervenire sul proprio spazio. Se si tratta di un file ODT (o altro) caricandolo e ponendovi un link, se si tratta di un video in rete facendone l’embedding. All’inizio ho fatto due esempi, caricando l’ultimo lavoro di Flavia (che ho scaricato dalla piattaforma) e linkando il video sottotitolato da Sandra. Ci potete mettere tutto quello che volete nel vostro spazio. Alcuni di voi mi avevano chiesto se potevano proporre dei tutorial che avevano già fatto in passato: certamente sì. Ancora: alcuni di voi hanno un blog dove scrivono contributi, esercizi e riflessioni sulle attività che stiamo facendo: ottimo, continuate così, vi chiedo solo di mettere nella pagina wiki dei link ai post che andate scrivendo.

Per intervenire in un documento a più mani su un wiki occorrono attenzione, riflessione, pazienza. La risposta dell’editor del wiki può essere lenta. Ci possono essere dei motivi. Può essere che ci stiano lavorando altre persone, in questo caso la risposta è forzatamente lenta perché il sistema deve proteggersi per mantenere l’integrità dei dati – riprovate in un altro momento. Oppure potrebbe essere la vostra connessione ad essere lenta in quel momento, capita – anche in questo caso riprovate più tardi. In ogni caso, non sovraccaricate la vostra macchina: non tenete contemporaneamente dieci applicazioni aperte e magari anche il browser aperto su dieci siti. Tutto questo è un ottimo esercizio per imparare a usare correttamente la Macchina.

Come porre le domande

Questa sezione in realtà attiene al modo corretto di collaborare in una comunità online – discutere su come porre le domande insegna molto a riguardo. Estrapolo queste note dalle abitudini del mondo hacker. È un mondo duro, spiccatamente meritocratico, caratterizzato da una particolare e robusta etica, un culto ossessivo per la competenza e per la ricerca della soluzione intelligente. Non valgono i ruoli ma cosa sai fare e come lo offri. Lo stile di quanto segue può apparire un po’ ruvido. Un effetto voluto, proprio per dare un’idea di come funziona quel mondo ma anche perché queste regole sono molto sane.

Prima di porre la domanda

Qui siamo già in medias res, ma proprio in pieno: prima di domandare datti da fare! Niente irrita l’hacker –  sottoscritto incluso – come la domanda posta per avere una scorciatoia a buon mercato. L’hacker – sottoscritto incluso – aborre la furbizia.

  • Prima di chiedere studia bene il problema e sperimenta.
  • Se hai ricevuto delle spiegazioni, accertati di averle lette veramente bene prima di chiedere.
  • Se hai a disposizione un manuale, un help di qualche tipo, una lista di FAQ (Frequently Asked Questions), vai a leggere quel materiale. Esiste un acronimo famoso: RTFM (Read The Fucking Manual – leggi quel c…. di manuale) [2]
  • Se hai un amico che forse ne sa qualcosa chiedi a lui prima.
  • Cerca in rete – Google, Duckduckgo o altro motore di ricerca [3]. Usa una combinazione di parole chiave sintetica ma che contenga i concetti chiave del tuo problema.

Ponendo la domanda

Non usare l’email per farmi una domanda, a meno che non tu non abbia delle motivazioni private importanti [4]. Spieghiamo bene. Io rispondo a tutte le email, se non lo faccio o lo faccio in ritardo è per qualche grave impedimento o per errore. Se mi trovo a rispondere in ritardo o in seguito a un richiamo cerco di scusarmi, con chiunque – naturalmente può capitare di omettere o di sbagliare ma la regola è questa. Il fatto che una grande quantità di persone della mia generazione – e di quelle vicine – magari “di rango”, tratti le email come uno strumento da usare con sciatteria e arroganza è solo manifestazione di maleducazione e grave ignoranza delle regole elementari di un importante strumento di comunicazione.

Detto questo, se siamo nell’ambito di una comunità online – ma non solo – scrivere un’email per un problema tecnico vuol dire comunicare male, per i seguenti motivi:

  • il tuo problema vengo a saperlo solo io (insegnante) e invece potrebbe interessare altri che si trovino in condizioni analoghe
  • potrebbe rispondere qualcun altro prima e meglio di me – ci guadagniamo tutti
  • la riposta (mia o di altri) viene letta da tutti, anche quelli che magari hanno lo stesso problema
  • rinforzare lo schema di comunicazione a stella – l’insegnante al centro – è inefficiente – si allunga la coda di email da evadere e si rallenta il lavoro che l’insegnante può svolgere a beneficio di tutti

Fuori dai denti: ricevere un’email con una domanda che poteva essere posta alla comunità è irritante.

Quando fai una domanda esponi compiutamente e minuziosamente il contesto. Il tempo di chi si impegna a rispondere a molti è prezioso perché è una risorsa scarsa. Quando le domande sono molte ci si deve adattare rapidamente a contesti molto diversi, se questi sono addirittura nebulosi il compito diviene frustrante e le probabilità di rispondere utilmente crollano. Se  esponi diligentemente il contesto, mostrerai che ti stai impegnando seriamente, mi invoglierai a darti una mano e, nel contesto del corso, migliorerai sicuramente la valutazione che dovrò dare al tuo lavoro.

Le domande falle sotto forma di commenti a questo blog. Piazzale nel post che ti sembra più pertinente. Non temere che vada perso: anche se il post è stato pubblicato molto tempo fa, i commenti li vedo tutti, li leggo tutti e a tutti dedico una risposta, salvo errori. In questa maniera tutti vedono domande e risposte, il tempo va a maggior frutto, la conoscenza circola, potrebbe iniziarsi a vedere un qualche effetto di comunità. A titolo di esempio cito la domanda che aveva fatto Sandra a proposito dell’esercizio sulla compressione dei file.

Leggi cosa fanno gli altri, quali problemi hanno, cosa hanno risolto, cosa sanno già fare. Certo, è necessario che tutto ciò sia visibile. Ecco perché è necessario migliorare l’esposizione dell’attività di ciascuno di noi. In parte mediante i commenti a questo blog, in parte attraverso la pagina wiki che abbiamo appena istituito.

Se sai già qualcosa offrilo agli altri. Specialmente se ti accorgi che qualcun altro ne ha bisogno. Esempi: i blog di Flavia, Roberta e Lisia – ditemi se dimentico qualche altro blog, in tal caso aggiornerò subito queste righe. I blog sono un ottimo veicolo di comunicazione. Flavia, Roberta, Lisia e altri se lo portano in eredità dal laboratorio di due anni fa. A causa dell’impostazione che ho dovuto dare a questo corso, e anche a causa dei tempi contratti del semestre (ohimè) non c’è stato tempo di ridar vita alla pratica del blog e di ripassare le tecniche per seguire le fonti in Internet e i web feed (chi vuole le trova qui). Comunque, chi non ha un blog o un altro spazio personale dove pubblicare le proprie cose, può utilizzare la pagina wiki, che deve servire anche a questo.

Conclusione

La chiusura è un disvalore.


[1] A dire il vero se si va a leggere il D.M. 47 del 30/1/2013, accessibile nell’apposita pagina del MIUR e scaricabile anche in formato PDF, in materia Autovalutazione, Accreditamento Iniziale e Periodico delle Sedi e dei Corsi di Studio e Valutazione Periodica, con particolare riferimento ai Requisiti di Assicurazione della Qualità (Allegato C) per l’accreditamento periodico dei corsi di studio a distanza, si scoprono fatti molto interessanti, ma su questo torneremo in un altra occasione.

[2] Nelle comunità hacker non vige la maleducazione, anzi. È molto apprezzata la cortesia ma si è molto aggressivi con chi vuol risposte facili senza porre il proprio contributo alla comprensione dei problemi.

[3] Chi vuole sapere la differenza fra Google e Duckduckgo può andare a leggere questo post.

[4] Per esempio in passato mi è capitato il caso di una persona che faceva l’arbitro di calcio e doveva evitare l’esposizione in rete a causa della persecuzione da parte di tifosi incivili. Oppure quello in cui si doveva mantenere l’anonimato in rete per via del lavoro critico svolto da un famigliare.

Immagini – attività 3 – #edmu14

Continuiamo con il proposito di dar corso a più attività contemporaneamente per dar modo a ciascuno di scegliersi il percorso più confacente. In questa ottica ho fatto un po’ di pulizie nel blog – si erano accumulate un po’ troppe tracce; ero quasi giunto a cambiare drasticamente il tema del blog, in favore di uno più moderno, poi mi sono dato una calmata. Non esageriamo con le attività in parallelo! Tuttavia ne ho approfittato per organizzare i post pensati per il corso di editing in categorie che ho elencato nella barra destra. Elenco anche qui gli URL delle categorie:

Cliccando questi link si ottengono le rispettive raccolte di post, ordinati nel modo dei blog, i più vecchi in fondo. L’ultima categoria serve a radunare tutti i post che non ricadano direttamente in una delle attività previste, in maniera che possiate ritrovare tutto quanto è stato pubblicato di pertinente al vostro corso.

Colgo l’occasione per far notare il modo “pulito” con cui WordPress genera questi URL, che potrebbero addirittura essere ricordati a memoria. Per chi volesse ripassare come sono fatti link, un passo indietro….

Veniamo dunque alle immagini. Se cliccate su https://iamarf.org/category/edmu14/immagini/ trovate tre post.

Il primo (più vecchio) è un tutorial sugli screenshot. All’inizio del post si riporta l’esito di un sondaggio dove emerge che 1/3 delle persone non sa cosa sia uno screenshot. Più che sufficiente a riproporlo, perché può essere utile in molti casi, ad esempio quando si chiedono informazioni su un problema da risolvere al computer. Porre domande tecniche senza descrivere compiutamente il contesto è molto irritante per chi le riceve. Talvolta un’immagine aiuta, e ci vuole poco a farla. Il post all’inizio contiene anche un sondaggio sull’impiego dei web feed che facemmo quando lo pubblicai. Non ho motivi per toglierlo.

Quello centrale è centrale anche di fatto perché concerne direttamente l’elaborazione delle immagini.

Con il terzo (più recente) ho cercato un modo arioso per illustrare i concetti fondamentali della compressione delle informazioni.

Bene, studiate questa roba. Poi provate ad applicare qualcosa di quello che avete letto. Per esempio potrebbe essere uno screenshot sul quale, sfruttando i livelli, aggiungete delle informazioni grafiche, frecce, scritte ecc. O qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Poi, quando vi sembrerà di avere finito, scrivete il solito abstract da caricare in piattaforma, magari includendo le opere grafiche vostre. Se avete problemi fate le domande mediante commenti ai post, non per email a Lucia o a me: dobbiamo imparare a trarre vantaggio dalla comunità.

Modeling 3D – attività 5 – #edmu14

Clicca qui per scaricare la versione in PDF (552 KB).


Aggiornamento 21 Dicembre: Sandra ha sottitolato in Amara il video sull’impiego di Thingiverse.


Stampa 3D e glocalizzazione

La stampa 3D non è un novità recente, le macchine a controllo numerico esistono da tempo. La vera novità sta nella disponibilità di tecnologia a basso costo: oggi una stampante 3D può entrare in casa di chiunque, come è successo con i personal computer negli anni ’80. Il 12 aprile 2012 l’Economist pubblicò un articolo dove si parlava della terza rivoluzione industriale. Gli esperti di IBM osservano che il fenomeno sta presentando tutte le caratteristiche tipiche delle disruptive technologies  – IBM se ne intende perché negli anni ’80-’90 riacciuffò il business dei computer all’ultimo tuffo, prima da essere travolta dallo tsunami di “quei giocattoli”.

All’inizio questi fenomeni ti raggiungono dall’alto delle cronache della globalizzazione, poi all’improvviso fanno capolino dalle tue parti. Scopri che non è solo roba d’oltre oceano, c’è un Fablab anche nella tua città, che già organizza giornate di informazione e offre corsi. Perfetto: non c’è modo migliore per conoscere che partecipare. Ed è così che, frequentando il Fablab di Firenze, ho conosciuto la Kentstrapper, startup famigliare, due fratelli e il padre. Artigianato che si reinventa. Ti trovi proiettato dagli articoli futuristici dell’Economist a Via Antonio del Pollaiolo 130, roba di casa tua, incredibile. Ora il modello Galileo è quello che uso quando vado a visitare le scuole.

FallaContea
Fabbricando la stampante al Fablab di Contea

Da lì ho poi conosciuto il Fablab di Contea, dove un gruppo di giovani sviluppa progetti innovativi, come la stampante a levitazione magnetica Fa)(a. La propongono con un modello “fai da te”, dove in un workshop di due giorni fabbrichi la tua stampante sotto la loro guida. L’ideatore del progetto è Giacomo Falaschi, uno che con quelle macchine ci parla.

Contea, ancor più aria di casa, tutto ricorda qualcosa.  I locali attigui alla Chiesa del Pizzicotto o l’Alimentari di Marcello, indistinguibili da quelli frequentati cinquant’anni fa, a pochi chilometri.

E ora questi ragazzi, fra un panino di Marcello e l’altro, ti fanno un fork di un progetto in rete, lo innovano e vanno a presentarlo al Maker Faire a New York! Globalizzazione, localizzazione: glocalizzazione.

Modeling 3D

Il termine stampante è fuorviante. Il verbo stampare evoca Gutenberg: carta, testi, immagini. In realtà le stampanti 3D non stampano, semmai creano: all’inizio non c’è nulla e alla fine c’è l’oggetto. Se proprio si vuole completare l’analogia, il foglio di carta è il filo di plastica che viene spinto nell’estrusore, il quale fondendolo “lo disegna” sul piatto della macchina, un piano sopra l’altro. Quando si stampano testi con un computer, questi vengono codificati nei modi che sappiamo, ASCII, Unicode ecc. Le immagini sono memorizzate sotto forma di contenuti di pixel. Ma gli oggetti? Questi sono memorizzati attraverso le mesh: insiemi di punti che descrivono la superficie dell’oggetto, dove ogni punto è caratterizzato dalle sue tre coordinate spaziali.

Modellare un oggetto tridimensionale mediante un computer è complicato. Ci sono vari tipi di metodi e nessuno di questi è totalmente preferibile agli altri, dipende da quello che si deve fare. Alcuni di questi consentono di lavorare direttamente sui punti che compongono la mesh,  per esempio Blender. Un software libero potentissimo ma difficile da imparare, gira su tutti i sistemi. È pensato per la produzione di animazioni 3D ma si può usare anche per la modellazione di oggetti da stampare. Ecco l’esempio di un semplice oggetto modellato “a mano” con Blender.

"Segnalibro" per il lavoro a maglia. Modellato con Blender. Immagine della mesh di punti che sottendono la superficie dell'oggetto.
“Segnalibro” per il lavoro a maglia. Modellato con Blender. Immagine della mesh di punti che sottendono la superficie dell’oggetto.
"Segnalibro" per il lavoro a maglia. Modellato con Blender. Immagine dell'oggetto ricostruito.
“Segnalibro” per il lavoro a maglia. Modellato con Blender. Immagine dell’oggetto ricostruito.

I software di elaborazione delle mesh consentono di operare attraverso una serie di astrazioni matematiche che vedono l’insieme di punti come forme poligonali complesse che si estendono nello spazio, caratterizzabili attraverso vertici (i punti), spigoli (edges: linee che congiungono i vertici) e facce (le singole superfici piane delimitate dagli spigoli). Blender offre modi molto sofisticati per operare sulle mesh, mediante l’editing di singoli vertici, insiemi di vertici, interi oggetti o parti di essi. Sono lavori molto lunghi e occorre un certo addestramento per operare efficacemente.

Esistono anche metodi con i quali non si editano direttamente le mesh. Se per esempio gli oggetti da modellare sono descrivibili in termini matematici, si può ricorrere alle mirabili capacità di sintesi della matematica e ad opportuni sistemi di codifica delle formule. Ecco un esempio realizzato con il software libero Openscad.

Esempio di produzione di una forma geometrica complessa con il software libero OpenSCAD.
Esempio di lavoro con OpenSCAD. Nella sezione di sinistra si scrive il codice, in quella in alto a destra viene mostrata la forma risultante e in basso a sinistra le sue caratteristiche numeriche.

Con questi metodi non è che la mesh non ci sia, semplicemente viene calcolata attraverso la forme matematiche che il software ci consente di determinare.

Infine ci sono strumenti che consentono una manipolazione più intuitiva degli oggetti. Uno di questi è SketchUp che funziona solo in Windows. Per esempio, nella figura seguente si vede il modello della stampante Fa)(a e di tutte le sue parti sviluppato in SketchUp, così come lo si può scaricare dal progetto Falla3D in GitHub.

Modello della stampante 3D Falla costruito in SketchUp
Modello della stampante 3D Fa)(a costruito in SketchUp

Fin qui gli esempi di software da scaricare e eseguire sulla propria macchina. Ma abbiamo visto che questo mondo si espande in maniera esplosiva e in tali frangenti tendono a emergere fenomeni nuovi. Ne menzioniamo due. Il primo è Thingiverse, l’universo delle cose. Un sito dove si possono scaricare e caricare modelli di ogni tipo. Crescita esponenziale degli oggetti caricati in thingiverseAttualmente in Thingiverse vengono caricati 30000 progetti al mese, con una progressione che dal 2008 ad ora ha avuto un andamento quasi esponenziale (grafico ridisegnato sui dati di una ricerca congiunta IBM-Economist). Il secondo è Tinkercad, un servizio web si possono modellare gli oggetti in maniera incredibilmente semplice. Modellare con Tinkercad è come un gioco. Con una semplice interfaccia si possono creare oggetti a partire da un certo numero di forme preconfezionate che possono essere deformate e combinate in vari modi. Un gioco sì ma non banale, perché appena si cerca di fare qualcosa di più complesso occorre applicarsi, con impegno e ingegno.

Il procedimento tipico

Facciamo un esempio. Voglio provare la LIM a basso costo WiiLD (Wiimote Lavagna Digitale). Mi farebbe comodo un supporto per il telecomando Wiimote. Non è che qualcuno l’ha già fatto? Si va vedere in rete, per esempio in Thingiverse. Si trova qualcosa, si scarica, si stampa e si prova. A volte va già bene, a volte no. In tal caso si modifica il modello con il software più adatto per quel caso particolare. Si stampa e si prova. Se funziona sarebbe bene ripubblicarlo, affinché anche altri ne possano trarre vantaggio. Nei due video seguenti si mostra brevemente come funzionano Thingiverse e Tinkercad.

Aggiornamento 21 Dicembre: Questo primo video è stato sottotitolato in Amara da Sandra. Vi potete accedere qui: http://amara.org/it/videos/d7BNNs5DpI8b/info/usare-thingiverse/

Una proposta per Editing Multimediale…

Agli studenti di Editing Multimediale cui arride l’idea di provare…

Create un oggetto in Tinkercad e rendetelo pubblico. Se è fattibile io lo stampo e ve lo farò avere in qualche maniera – magari ve lo darò all’esame…


Fork

È l’operazione con la quale si crea una copia esatta di un intero progetto software o hardware, al punto in cui si trova in quel momento e dal quale derivare una nuova via di sviluppo. Il fork è un comando standard del servizio web GitHub destinato alla pubblicazione dei siti web e alla collaborazione. Si basa su Git, un software per la gestione dei progetti software che ideò Linus Torwalds nel 2005 per gestire la tumultuosa crescita del sistema operativo Linux in quegli anni.

Giacomo Falaschi è partito dal progetto di stampante pieghevole Mondrian facendo un fork del progetto Mondrian in GitHub. Il fork ha così generato il progetto Fa)(a, con il quale è stata sviluppata una variante che usa la levitazione magnetica per i movimenti nel piano x-y del gruppo di estrusione, come ha spiegato nel post con cui il 28 aprile di quest’anno ha annunciato la disponibilità di tale progetto.

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Sì, era il picchio. Ora organizziamoci per i prossimi passi – #edmu14

Post aggiornato il 14 dicembre.


Bene, era il picchio.

Ora approfondiremo alcune delle operazioni che sono occorse per produrre i brani che abbiamo sentito. Potremmo provare a vedere qualcosa insieme nell’aula virtuale. Stasera (giovedì 12) la terrò aperta dalle 19 alle 20 e dalle 21 alle 22. Senza ansia, la prossima settimana la terrò aperta più spesso di quanto abbia fatto fin’ora. Ripeteremo.

Inoltre sto preparando una scheda tecnica per cercare di spiegare qualche aspetto tecnico.

Nel frattempo, ci possiamo preparare per i prossimi passi:

  • Elaborazione immagini. Scaricare Gimp. Ottimo sostituto di Photoshop. Contrariamente a quest’ultimo – molto caro – è software libero: usarlo liberamente è una scelta di alto valore etico e, incidentalmente, è gratis. Si può scaricare per tutti i sistemi: Windows, Mac, Linux. Quindi, se non l’avete già fatto, scaricatelo e esploratelo a piacimento.
  • Montaggio Video per chi ha Windows. La Microsoft offre liberamente (per ora) un insieme di applicazioni che si chiama Windows Essentials 2012. Fra queste c’è Movie Maker. Ho provato a scaricarlo e l’ho aperto. Impareremo insieme ciò che ci serve. Scaricatelo e esplorate.
  • Montaggio video per chi ha Mac. Dipende dalla versione del sistema operativo. Se il vostro sistema non è dei più recenti c’è il caso che abbiate una versione di iMovie dentro. Altrimenti si può scaricare dal Mac Apple Store per 13.99$.
  • Aggiornamento 14 dicembre: alcune persone hanno avuto problemi con CamStudio perché può capitare che l’antivirus segnali la presenza di malware all’atto dell’installazione. A me non era mai successo nulla ma da quando l’autore si è affidato a un installer terzo per la distribuzione del software molte persone hanno lamentato questo problema. Con l’ultima versione di CamStudio, all’inizio del 2013, quello che si scarica non è il software stesso ma un installer, che insieme a CamStudio offre anche altri prodotti. Se la gente non li rifiuta l’autore di CamStudio si becca una commissione. Lui si giustifica dicendo che non ce la fa più a mantenere il software e ha bisogno di qualche provento. Probabilmente vero, ma le cose si sono un po’ intorbidate. Io comunque non me la sento di creare problemi alle persone, anche se non succede sempre, quindi ritiro la proposta di scaricare CamStudio e vi prego di considerare le altre alternative che ho suggerito o altre che magari scoprite voi. Purtroppo per quel che concerne montaggio video e screencasting il panorama degli strumenti disponibili è farraginoso. Scusate per l’inconveniente.
    Screencasting per chi ha Windows. Screencasting vuol dire fare un video di ciò che succede sullo schermo del proprio sistema – si usa molto per fare i tutorial. Per Windows c’è un software open source che si chiama CamStudio. Scaricate e esplorate.
  • Screencasting per chi ha Mac. La prima opzione è usare Quicktime, che c’è in tutti i sistemi Mac. È molto limitato, per esempio può registrare solo lo schermo intero. Dipende da quello che si vuole fare. In rete si trova qualcosa (post in inglese), più o meno gratis o a basso costo.
  • Screencasting via servizio web. Per un periodo avevo usato Jing. Non male, poi quando ci prendi la mano ti accorgi che per fare meglio devi pagare qualcosa. Comunque si poteva già fare abbastanza. Ce ne sono altri in giro, come Screenr, ScreencastOMatic, e probabilmente altri ancora. Basta cercare, per esempio in questo post c’è un riassunto (inglese) di sistemi di Screencasting alla larga. Qualcuno di voi potrebbe avere esperienza con qualcuno di questi o altri sistemi; bene, le condivida.

Staniamolo… – #edmu14

Allora, dal post Che animali sentite nel bosco? avevate scaricato un primo file di lavoro.

Ci abbiamo riconosciuto il cuculo e, con un po’ di fatica in più, il capriolo. Manca ora il terzo animale misterioso. Due o tre di voi l’hanno trovato ma noi continuiamo il gioco per tutti – paleseremo tutti i commenti alla fine.

Vi aiuto un po’ a stanarlo, con un altro file di lavoro, dove ho “evidenziato” ulteriormente il “verso”. Scaricatelo, caricatelo in Audacity, fatelo girare ciclicamente con Attività->Riproduci ciclicamente… stoppatelo col solito tasto quadrato prima di diventare matti… riflettete su quali potrebbero essere state le operazioni necessarie per “evidenziare” il suono, osservate la differenza fra le due tracce… (cercate il pezzo corrispondente nel brano originale e confrontatelo)

Il cuculo e poi… – #edmu14

Questa estate ho dovuto introdurre la moderazione dei commenti al blog. Piaciuto per niente fare una cosa del genere, incline a vedere in ogni chiusura più i danni che i vantaggi. Ma ci sono le eccezioni. Con la popolarità di un blog cresce anche la pressione dello spam. Questo blog in 7 anni ha ricevuto circa 12000 commenti veri ma anche oltre 100000 commenti di spam. Il sistema di protezione Akismet, offerto gratis da WordPress.com, li ha intercettati tutti eccetto 200. Un ottimo risultato percentuale ma, considerati i valori assoluti, insufficiente per non rendere fastidioso l’inevitabile intervento manuale. Da qui la decisione di moderare, obtorto collo.

Ma come sempre, prima o poi un aspetto positivo salta fuori e così è successo anche nel caso del  nostro gioco, dove la moderazione è tornata inaspettatamente utile. Infatti un mio amico ha snocciolato subito gli animali che si sentono nel brano audio, almeno quelli che intendevo; e anche un altro di voi, addirittura facendo ipotesi sugli autori dei cinguettii. Attualmente ci sono ancora sei commenti da sdoganare. Ma qui interessa l’atmosfera del gioco più del risultato. Interessa che tutti provino a chiudere gli occhi e ad immaginare il loro bosco con quei versi dentro. Interessa che questo induca a immaginare un gioco simile per i propri bambini o ragazzi. Ed altre cose simili.

D’accordo, sul cuculo ci siamo tutti. E con qualche oscillazione ci siamo avvicinati anche al…

Anche se nel video si parla di abbaio, mi risulta che si tratti di bramito, come quello di altri ungulati simili. Il verso è comunque quello. Non cani ma caprioli, dunque, che da queste parti abbondano.

Ma c’è n’è un terzo da scoprire. Vi propongo un “ingrandimento” del brano precedente, questa volta sotto forma di un semplice file MP3 (non di file di lavoro AUP – mi raccomando, tenere presente la distinzione):

Vediamo, se scopriamo tutti il verso misterioso. Poi, una volta scoperto: che c’è di diverso fra questo brano e il precedente che avevate ascoltato?

Che animali sentite nel bosco? – #edmu14

Nel post precedente avevo suggerito di andare a leggere un paio di brani de “I bambini e l’ambiente”. Giustamente Lisia mi ha fatto notare che qualcuno potrebbe non disporre del libro. Allora, prima trascrivo i brani che avevo suggerito di leggere. Eccoli.


Pag. 79

La radio

Sarebbe più esatto parlare di montaggio sonoro, una pratica ignota ai più, ma assolutamente amata dai pochi bambini che la conoscono.

Data la cultura dominante estremamente sbilanciata sull’immagine, l’idea di mettersi lì soltanto ad ascoltare può sembrare sulle prime poco “spettacolare”. In realtà sollecita canali di attenzione meno utilizzati e per questo, superato il primo impatto, spesso più interessanti. Ai bambini poi piace moltissimo giocare con la loro voce, con i suoni, oltre che naturalmente con le musiche e , anche se nella cultura informatica corrente il software di elaborazione del suono non è considerato “di base” come quello da ufficio – nella vita di tutti i giorni infatti, ognuno di noi ha a che fare continuamente con grafici e tabelle, mentre le voci, i suoni e le musiche sono esperienze da “professionisti”! – esistono diversi programmi (anche gratis, a buon mercato ecc.) che consentono a chiunque con poco esercizio di incominciare a trattare il suono come un tempo, con la registrazione analogica, era quasi impossibile.

Provare a tagliare, incollare, sovrapporre, qua e là inserire effetti. E poi ascoltare insieme. Possiamo anche metterci le presentazioni degli “inviati speciali”, come una vera radio!

 

Pag. 98

AMBIENTI SONORI

Gran parte dei film disponibili in casa in DVD, così come molti videogiochi, hanno un sonoro dolby digital con effetti surround, che per essere apprezzato appieno richiede un impianto audio a cinque o più casse acustiche, disposte in modo strategico nella stanza, e il subwoofer per i bassi. Allora i suoni sembra che vengano non solo da destra e sinistra, ma anche dalle spalle dello spettatore o giocatore, avvolgendolo in un “ambiente sonoro” tridimensionale di grande effetto.

[…]

Nella scuola, insegnamento della musica a parte, l’elemento suono è di solito sottovalutato. È un peccato, perché già l’effetto stereo dato anche da una qualsiasi videocamera economica, ascoltato in cuffia o con casse ben distanziate, rende in modo intenso e realistico l’ambiente sonoro.

I suoni e le macchine per registrarli e riprodurli

Registratori a bobine, registratori a cassette, registratori digitali che sono anche radio e lettori di musiche MP3, vidocamere che possono essere utilizzate anche per le loro eccellenti qualità di registrazione audio, microfoni collegati al computer…

Siamo letteralmente circondati di macchine per registrare il suono, e normalmente, non siamo affatto abituati a usarle.


Il mio vecchio registratore analogico tipo walkman funziona ancora: lo presi usato da un amico nel 1981! Appena un po’ più grande di una cassetta normale (le “micro” non mi sono mai piaciute, perché poi non si possono mettere nello stereo) ha una qualità discreta e permette di passare velocemente dalla registrazione all’ascolto. Con un tastino accelero o rallento la riproduzione, con effetti comici molto apprezzati dai bambini e, regolando la sensibilità del microfono, posso allontanare i rumori d’ambiente e ottenere una voce abbastanza chiara anche nel mezzo di un frastuono assordante: il che sorprende e incoraggia all’uso dello strumento.

Il nuovo registratore digitale è piccolissimo, ha il microfono stereo e una fedeltà strepitosa. È dotato di memoria interna in cui vengono memorizzati i file audio, che poi si trasferiscono al computer collegandolo alla porta USB come una pen drive. Altre macchine simili usano schede di memoria flash. Rispetto ai lettori MP3 con funzioni di registrazione, si differenziano a prima vista perché hanno un piccolo altoparlante che permette di riascoltare insieme, a volume ovviamente molto basso, tutti in silenzio e attenti…

Biblioteche di suoni


Sono andato a ritrovare una vecchia cassetta audio, che mi fu data un giorno da una maestra della scuola dell’infanzia. Sull’etichetta sta scritto: “Gocce, vento, fuoco”. Ascolto ad alto volume… Sembra di stare in una immensa grotta sotterranea, dal cui soffitto stilla acqua a intervalli regolari… Poi è un incendio nel bosco… Poi ancora acqua, a fiumi, che scroscia e pare spargersi dappertutto, come l’inondazione di New Orleans!

Se la registrazione magnetica presenta difficoltà oggettive di catalogazione (non si possono propriamente “sfogliare” i diversi suoni su un nastro come le pagine di un libro, e non è così facile e automatico compilare un indice, o ritrovare le singole voci disperse tra decine di bobine o musicassette: tutto sommato un lavoro per gente un po’ speciale!), con i suoni digitalizzati e trasformati in file dentro un computer, al solito assegnando nomi, dividendo in cartelle e giocando con i collegamenti, ognuno può agevolmente organizzarsi la sua personale “biblioteca” di suoni.

Si può registrare in proprio, “estrarre” da documenti di diversi tipo (un uso didattico non lede comunque i diritti d’autore), o utilizzando le raccolte esistenti: audiocassette CD, file sonori accessibili in rete, dove troviamo di tutto, dal rumore di una fabbrica al canto struggente delle balene.

Il suono e il computer

Esiste tutta una produzione musicale che si basa sul riutilizzo di musiche, suoni, canzoni. Il remix, al di là delle intenzioni commerciali o artistiche, è innanzitutto un grande gioco artigianale, a cui le moderne tecnologie offrono possibilità pressocché infinite.

Se però ricostruire musiche e canzoni basandosi su materiale già esistente comporta capacità tecniche di tipo professionale, il gioco di accostare e mescolare insieme le voci, i rumori, i versi degli animali, il vento, le onde del mare, non solo è ormai possibile a chiunque, ma può spalancare orizzonti impensati e assolutamente interessanti. Un po’ come quella prima sorprendente esplorazione del cortile della scuola, dove non immaginavamo neppure che potessero vivere tanti animali.

Con il computer il suono si vede. I bambini di cinque anni, quando gli mostri per pochi minuti come si può giocare con il “disegno della voce”, rovesciandolo (voce al contrario), tagliando, incollando, applicando effetti come echi, accelerazioni e rallentamenti, voci da papera e da robot, subito ti propongono elaborazioni sonore non solo divertenti, ma anche estremamente appropriate: “Metti lì la voce, abbassa il rumore del traffico, alza l’urlo della bambina che si spaventa!”. Sembra che sappiano già tutto quello che un computer può fare con il suono, e senza bisogno di “insegnargli” nulla! Probabilmente, si tratta di un’altra di quelle competenze latenti che aspettano solo di essere sollecitate per potersi esprimere.

Fino alla metà degli anni Novanta era abbastanza facile trovare programmi accessibili anche ai bambini, che consentivano di prendere la propria voce campionata (ma anche un altro suono qualsiasi, il rumore di una porta che cigola, il miagolio del gatto) e “suonarla” come uno strumento dentro una musica, usando la tastiera stessa del computer e avendola accordata automaticamente con una base di accompagnamento. Successivamente il mercato ha stabilito che queste sono cose eventualmente da professionisti e che non interessano ai bambini.

Dopo averlo verificato personalmente con centinaia, posso garantire che il mercato si sbaglia!


E ora un gioco. Cliccando qui potete scaricare il frammento di una registrazione fatta durante una passeggiata nel bosco questa estate. Quello che scaricate è un file zip (3.3 MB) che, una volta scompattato fornisce due oggetti: un file e una cartella i cui contenuti sono ciò che serve a Audacity per lavorare. Avrei potuto esportare la registrazione in formato MP3 ma questo comporta una perdita di informazione. Con il formato di lavoro di Audacity siamo sicuri di lavorare tutti sugli stessi identici dati.

La registrazione ha vari difetti e si possono fare varie cose per estrarre cose interessanti.

La domanda è: che animali sentite?

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