Pedagogia degli Oppressi, CRUI e Maestri di Strada

Lo studio della “Pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire, un convegno sull’innovazione didattica delle Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, un convegno sulla trasformazione educativa dell’Associazione dei Maestri di Strada di Napoli. Tre esperienze diverse unite da un unico leit motiv: ascolto.
Il testo di Paulo Freire l’ho ripreso in mano percorrendo a ritroso la bibliografia di un libro di filosofia scritto da una giovane ricercatrice italiana (all’estero): Plato and Intellectual Development – A New Theoretical Framework Emphasising the Higher-Order Pedagogy of the Platonic Dialogues, Susanna Saracco, Palgrave Macmillan imprint – Springer International Publishing, 2017. Cito l’antefatto perché, pensandoci bene, fa parte della medesima esperienza globale che sto cercando di raccontare. Il lavoro di Susanna Saracco consiste in un’affascinante parabola che, prendendo le mosse dai dialoghi di Platone e sviluppandone il non detto attraverso una serie di analogie con modelli propri di vari campi della scienza contemporanea, approda all’elaborazione di un intervento didattico per bambini di 8-12 anni, volto allo sviluppo del pensiero critico mediante la lettura e l’elaborazione di passi tratti dai Dialoghi. È una proposta suggestiva della quale l’ascolto è un ingrediente fondamentale. I numerosi riferimenti al lavoro di Freire intorno al valore della relazione dialogica e all’idea dell’educatore educato nell’educare e dell’educando educante nell’esser educato mi hanno indotto a ritornare sulla “Pedagogia degli oppressi” e a studiare il libro per davvero, invece di leggerlo a spizzichi e bocconi, come spesso si fa, oppressi “dall’agenda”.
Se non vado errato Freire non cita mai la parola ascolto ma il concetto è implicito nelle sue argomentazioni. Malgrado la differenza di tempo e di contesto è difficile non riconoscere nella concezione “depositaria” dell’educazione, che Freire stigmatizza, quella che informa, di fatto ancora oggi, la didattica universitaria, dove, mediante lo strumento della lezione frontale, il docente deposita i contenuti nelle menti dei discenti. Il 99% delle volte è questo che succede nelle aule universitarie. Freire alla concezione “depositaria” dell’educazione contrappone la concezione “problematizzante”. Non è un passaggio banale perché implica un cambiamento di paradigma, ovvero una revisione radicale dei termini in gioco e delle relazioni fra di essi. In quanto problematizzato, il contenuto, trasferito tal quale dall’emettitore al ricevente diviene, pur contestualizzato e concretizzato,  pretesto di dialogo fra educatore educato e educando educante in quello che si risolve in un atto di crescita condivisa. Possiamo anche continuare a parlare di contenuti, per comodità, ma in tale visione, ogni volta che si riprende un contenuto, questo stesso viene rivisto ed arricchito di prospettive e di riferimenti. Questo è un processo che può avere luogo solo orizzontalmente, attraverso il dialogo. È il dialogo che consente la negoziazione sulla porzione di realtà oggetto di studio. Ma il dialogo implica che colui che era uso giocare il ruolo di mero emettitore si trasformi, attivando una nuova attitudine all’ascolto.
Le riflessioni nutrite dal pensiero di Freire hanno acuito il senso di disagio che provo ogni volta che, a ottobre, inizio due laboratori in due diversi corsi di laurea. Dei laboratori veri è tipico il brusio, intercalato dai suoni prodotti dagli attrezzi e dagli oggetti che cozzano gli uni contro gli altri, o dalle dita sulle tastiere, il brusio delle conversazioni che si svolgono intorno alle attività. Quello del laboratorio dovrebbe essere un momento alto, non ancillare della didattica universitaria. È laddove si attua la prassi: riflessione e azione. È dove dalla teoria si ascende alla pratica, per dirla con le parole di Yrjö Engeström in “Learning by expanding” (Cambridge University Press, 1987, 2015, p. 202).

Al convegno CRUI ci sono andato per servizio, nel ruolo di delegato del Rettore per lo sviluppo della didattica online. La prima parte del titolo, “Innovazione Didattica Universitaria…” era promettente ma la seconda, “… Strategie degli Atenei Italiani” mi intimoriva, per la poca fiducia che nutro nelle soluzioni calate dall’alto in contesti molto complessi – Morin sostiene che i sistemi educativi sono apparati molto grandi, e quindi dotati anche di grande inerzia: si può sperare solo di intervenire per piccole e persistenti perturbazioni successive. Temevo allora di assistere a esposizioni fredde, distanti. Mi sono sbagliato. Il convegno ha raccolto 107 iscritti di 51 atenei e sono stati presentati 65 contributi. Ho conosciuto delle persone appassionate e sinceramente convinte della necessità del cambiamento. Alcune relazioni ampiamente documentate e propositive erano realmente istruttive. E tante pratiche diverse. Insomma, pur non dimenticando che nel complesso si tratta di piccoli numeri, non v’è dubbio che esiste un mondo che è sì disperso ma che sente forte l’esigenza di trovare nuove strade, nella consapevolezza che fermi non si può stare, anzi, che forse è pericoloso per la sopravvivenza delle istituzioni stesse.
Fra le tante riflessioni, un tema ricorrente è stato quello dello studente al centro. Al punto che ad un certo momento qualcuno ha osservato che no, non se ne può più di questo studente al centro, soprattutto perché di fatto al centro lo studente non lo ritroviamo mai. Più tardi qualcun altro ha ripreso la questione sostenendo che effettivamente, studente al centro non rende l’idea, meglio studente protagonista. Siamo quindi andati avanti per un po’ con lo studente protagonista ma poi un altro ancora ha detto che anche questa rischia di essere un’espressione inadeguata, studente protagonista non è sufficiente: meglio studente co-protagonista. Ecco, la mia tesi è che tale nuovo studente vada de-oggettivato, altrimenti si rischia di non andare molto oltre la definizione. Occorre fare qualcosa di diverso ma non si tratta di agire su parametri o pratiche  esistenti: ricevimenti, esami, domande rubate nei corridoi. È il paradigma che va ripensato e questo significa assumere un atteggiamento diverso, individuare occasioni inusitate, ristrutturare diversamente gli spazi e i tempi della didattica convenzionale, rivedere pratiche esistenti mettendosi nei panni dello studente.

Le scrivo a nome dei rappresentanti degli studenti di Scienze della Formazione Primaria perché vorremmo invitarla a partecipare con noi al primo Congresso mondiale della Trasformazione Educativa, organizzato da Maestri di Strada a fine ottobre a Napoli (https://www.maestridistrada.it/progetti/view/53/1-congresso-mondiale-della-trasformazione-educativa). L’associazione suddetta ci ha invitati al simposio di lunedì 29 ottobre alle ore 14, in cui si confronteranno studenti e docenti universitari su vari progetti di formazione universitaria, come l’Università Itinerante di Nando Dalla Chiesa e un gruppo della facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Bicocca.Dunque, vorremmo chiedere a Lei se volesse partecipare con noi a questo simposio e, se desiderasse, anche alle altre iniziative del congresso.
Ho ricevuto questa email il 28 settembre: in questo periodo ho l’agenda piena zeppa di impegni e faccio fatica a fissare nuovi impegni, figuriamoci tre giorni a distanza di un mese! Poi che sarà mai questo “Congresso mondiale”? Dei Maestri di Strada?
Ma per fortuna le idee ronzano nella mente. E poi “strada” non mi è indifferente. Ho precedenti. Quelle volte dove a medicina organizzavo seminari seri ma programmati per esplodere e travolgere tutto, classe e prof, con la collaborazione di clown e artisti di strada – per esempio quello del 2008, I Care https://iamarf.org/frammenti/frammenti-del-seminario-i-care/. Oppure il seminario sull’etica hacker che feci una sera di dicembre dello stesso anno in un sottopassaggio di Firenze a un gruppo variegato di giovani curiosi, “alternativi”, barboni e immigrati https://iamarf.org/2008/11/29/etica-hacker-in-piazza-no-via-nel-sottopassaggio/ (una descrizione nei commenti susseguenti il post). Sono stati questi i due ingredienti che mi hanno consentito di ribellarmi all’agenda: il fascino che evoca in me la strada e il rovello sull’idea di ascolto che mi portavo in mente in seguito alla lettura del libro di Freire e alla partecipazione nel congresso CRUI.
Ne è valsa la pena. Intanto mi sono subito reso conto che accettare una proposta degli studenti è una prima forma di ascolto. Sembra una banalità ma in realtà aiuta a cambiare prospettiva, in modo utile. Porsi nelle condizioni di cambiare abitudini e contesto fa bene. L’occasione era perfetta. Si era ospitati di quel gran tipo che è Cesare Moreno, presidente dell’associazione Maestri di Strada. Il patto era portarsi il sacco a pelo e accettare quel che c’è. In pratica mi sono ritrovato all’ostello – fare un salto indietro di una quarantina d’anni, non male. Condizione ideale per entrare nell’idea di condividere tutto con i miei studenti, congresso, pasti, veglie, lunghe camminate per le strade di Napoli, anche una visita al Cristo Velato. Per esempio è stato bello scoprire insieme che valeva la pena camminare mezz’ora fino alla sede del congresso invece di passare lo stesso tempo nei mezzi, anche quando pioveva – un esercizio di cambio di prospettiva, crescita collettiva. Condividere o suddividersi le relazioni da seguire. Poi parlarne, divergere, chiedere – ma voi che pensate di questo che facciamo noi… Ascolto, immersione. Vivificante.
Anche la nostra partecipazione era prevista in gruppo, nel Simposio “Alleanze educative all’università”, condotto da Silvia Mastrorillo. Una trovata geniale: dare voce a gruppi di studenti insieme a un loro insegnante. Eravamo quattro gruppi. Affascinante l’esperienza dell’Università Itinerante raccontata dagli studenti di Nando dalla Chiesa, dove gruppi di studenti con il loro professore si recano in luoghi che sono teatro di varie realtà criminali per studiare e ricercare dal vero le tracce di quei fenomeni. O gli studenti di architettura di Nicola Flora, fautore di un’università che esca dalle aule per immergersi nel territorio con cui dialogare alla ricerca di un linguaggio condiviso con la comunità. Straordinariamente istruttivo, per il sottoscritto.
L’associazione Maestri di Strada affronta i temi dell’emarginazione e della dispersione scolastica. Coloro che vi entrano  accettano di collaborare ad una impresa difficile non sulla base di un credo ideologico o teorico ma sulla base della pratica educativa e della continua riflessione di gruppo su di essa. Inoltre, come ci spiegò Cesare Moreno nell’introduzione del nostro Simposio, queste attività non sono pensate in modo avulso dal mondo accademico o in contrapposizione ad esso bensì in una ricerca continua di collegamento fra pratica e teoria.
Ebbene tutta l’atmosfera del congresso era permeata da queste idee. Le relazioni presentate da personalità di grande spessore erano accompagnate da una quantità di esperienze concrete illuminanti. Per esempio può succedere di veder emergere vivo il pensiero di Freire nelle parole di Marco Eduardo Murueta e poi di ritrovarti in un laboratorio riflessivo a inventare una storia con compagni sconosciuti in un gioco ideato dai giovani rifugiati di Giocherenda.

Fra i numerosi doni che mi sono portato a casa in seguito a questa esperienza globale di ascolto c’è il proposito di portare i maestri di strada in qualche forma nei nostri laboratori. Sì, i laboratori che mi vengono affidati concernono le tecnologie ma queste senza idee potenti e senza visioni ampie servono a poco, anzi possono fare danno. Soprattutto molto facilmente diventano strumenti di addomesticamento commerciale, di competizione sterile e di corsa al successo.
È arrivato a proposito venerdì scorso il seminario sulla robotica con poco o nulla che ci ha regalato Maria Grazia Fiore. I partecipanti hanno potuto costruire e sperimentare con le loro mani le costruzioni proposte ma tutto ciò è stato immerso nella ricca narrazione che può essere offerta solo da una persona che non ha mai smesso di studiare e di sperimentare nelle classi, con i bambini, in contesti ambientali anche difficili, delle volte estremi.

 

I motivi per insistere nel tentativo di iniettare vita e soprattutto vita intensamente e significativamente vissuta nei laboratori non mancano, grazie a tante persone: gli studenti Letizia Chiarini, Barbara Argetta e Daniele Baldassarri, il maestro Cesare Moreno, la maestra Maria Grazia Fiore, Paulo Freire, la lista sarebbe lunga.
Ci daremo da fare…

Ci si vede il 9 novembre

Seminario organizzato dagli Studenti di Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Firenze.

Il seminario avrà luogo nell’ambito degli incontri del Laboratorio di Tecnologie Didattiche del V anno ma è aperto a chiunque.

Parteciperà anche la Prof.ssa Martha Kaschny Borges, docente di Tecnologie educative presso l’Universidade do Estado de Santa Catarina (Brasile)

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Può sembrare strano ma descrivere cosa succederà in questo seminario per me non è facile. Ma come? Ma se nella locandina c’è scritto “a quattro mani”? Vero, ma prevedere cosa venga fuori dalla personalità debordante di Maria Grazia e dalla sua smisurata esperienza è obiettivamente difficile. Diciamo che io sarò un satellite.

So tuttavia cosa le ho chiesto: mostrare dal vero alcune delle esperienze fatte nelle sue classi intorno alla “robotica povera”, ovvero la robotica con poco o nulla, come in “Poco o nulla – Ricette di cucina popolare toscana” (LEF, anni 80). Poi come condirà il tutto Maria Grazia vai a sapere, certamente arricchirà il contesto…

Potete avere un anticipo andando a frugare in questo suo post dove le ho chiesto di riunire i suoi blog, curiosando in quelli su robotica e dintorni.

Cercheremo di demolire (in modo figurativo) il setting mortifero dell’aula. Piazzeremo una sorta di banco da mercato (quelli dove si comprano i golfini, che spero di trovare…) fra la cattedra e la prima fila di banchi per lavorarci sopra. La cattedra potrà essere utilizzata a mo’ di loggione, in modo da tirare fuori dai banchi fissi quanta più gente possibile. Avremo materiale povero ma in una certa abbondanza in modo che chi vorrà potrà replicare subito ciò che ci mostrerà Maria Grazia.

Se siamo troppi per vedere bene tenterò di proiettare sullo schermo le azioni con una webcam. Cercheremo anche di registrare e di fare una ripresa live. Qualcosa cercherò di fare io, qualcosa Barbara.

Se la situazione è sotto controllo? Nemmeno per idea ma ce la caveremo…

P.S.

Ecco, già dimenticavo… mi rendo conto che potrebbe essere interessante leggere questa riflessione di Maria Grazia in merito alle possibilità di inserire tali “metodologie didattiche attive” nel contesto scolastico quale esso è, Auspicabilmente il seminario sfocierà in questo tipo di riflessione.

Conclude Maria Grazia:

E quindi ritengo che continuare a “sperimentare”, ricominciando ogni anno senza che il sistema tenga memoria di ciò che si è fatto e senza il supporto di una reale “comunità di pratica”, sia un investimento che il singolo docente non si possa più permettere.

Per ora, queste sono le mie conclusioni. Un po’ amare ma non è negando la realtà che ci si salva da essa.

Possiamo rilanciare con iniziative come questa? Possiamo ripartire da qui? Ovvero da questi luoghi pieni di studenti meravigliosi? Se non da qui da dove sennò?

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