Preparando l’ultimo lab di tecnologie didattiche presso gli Orti Dipinti

Aggiornamento lampo del giorno dopo — seguirà un post-tutorial dettagliato.

Solo per segnalare, con soddisfazione, che gli studenti, dopo avere discusso insieme tutte le caratteristiche di quattro robot fra i più noti (Beebot, Mio Robot, Cubetto, Ozobot) e averli sperimentati approfonditamente, hanno concluso che quello più imperfetto, come fosse un po’ lo sfigato del gruppo, il Mio Robot da €25, era il preferibile. Bene, molto bene. L’entusiasmo, la curiosità e la lucidità di questi giovani fanno bene al cuore.

Continua (30 min)

Cronaca di un laboratorio sui circuiti morbidi

Ieri (6 ottobre) abbiamo fatto un bel laboratorio su circuiti morbidi (squishy circuits) e morbibot presso gli Orti Dipinti. Anche il tempo è stato favorevole, malgrado le previsioni fosche il pomeriggio è invece stato molto bello. Una sola cosa non ha funzionato: mi sono dimenticato di registrare l’introduzione. Ho rimediato con qualche discorso registrato mentre gli studenti lavoravano ma completo con alcuni brani registrati in studio e con queste righe.

Continua (20 min)

Essere una OER

In questo periodo da più parti mi viene chiesto di riferire sulle Open Educational Resources e sull’Open in generale. Come spesso mi succede, sulle prime vengo preso dallo sconforto perché mi pare di non avere niente da dire. E nemmeno tanto sulle prime perché una conoscenza didascalica o accademica non ce l’ho, quasi mai. Ancora più vero in questo caso dove, in una storia effimera su FB e Instagram, m’è venuto di dire che “io, risorsa educativa aperta, la nacqui, modestamente”. La cosa divertente è che, alla fine dei conti, il tempo “dissipato all’esterno” — ai fini di una carriera universitaria nella quale sono ruzzolato passivamente — ha contribuito pesantemente a formare la mia attuale identità, anche all’interno della medesima istituzione, con la piacevole conseguenza di rendere il trapasso alla pensione — concetto per me indigeribile — un fatterello marginale, essendo quasi la mia identità istituzionale inclusa in quella open e non viceversa. Di ciò mi sono convinto provando a ricordare tutto il tempo “perso” fuori delle mura. Sicuro che mi dimentico qualcosa annoto di seguito quello che mi torna in mente.

In primo luogo il blog http://iamarf.org, da tempo, diario, ufficio, strumento di lavoro in svariate attività, insomma il luogo della mia identità. Anche punto di riferimento per studenti di vari corsi di laurea e di insegnanti in giro per il mondo — ho insegnato in circa 25 corsi di laurea in vent’anni, più o meno. Lo creai nel 2007 (~1000 post, >13k commenti), quando scoprii l’allora nascente fenomeno dei MOOC e delle OER. Nel giro di 4-5 anni ho partecipato come studente a cinque di essi (acquisendo i certificati e imparando moltissimo) e nel 2013, adattando al volo il blog e usando solo questo, ne feci uno io per insegnanti di primaria e secondaria, che raccolse circa 500 persone. È un blog camaleontico che ho adattato alla bisogna in vari altri contesti. Per esempio per insegnare a usare in classe la cosiddetta Piratebox, un routerino che crea una wifi locale per usi scolastici. Agli insegnanti in giro per l’Italia che la volevano provare ne inviavo una confezionata da me, realizzata con router TP-Link MR3020 e OpenWrt, oppure con Raspberry PI e distribuzione ArchLinux. Ne ho inviate una cinquantina un po’ dappertutto. In cambio volevo solo feedback sul funzionamento. Oppure l’iniziativa andando per scuole, dove andavo in giro per l’Italia con la macchina piena di ammenicoli didattici (stampante 3D, suddetti routinerini, robotica povera etc.) da mostrare nelle scuole, in cambio di un primo e feedback — è valsa la pena su ambedue i fronti: ottimi primi, ricchi feedback.

Ho passato vari mesi, fra il 2016 e il 2017, a intrufolarmi nel Fablab di Firenze, nel laboratorio LoFoIo e nel Fablab di Contea, non come professore ma come cittadino aggeggione, imparando a fabbricare e usare stampanti 3D. Ho acquisito competenze interessanti ma soprattutto ho visto da dentro le dinamiche che animano questi luoghi incredibili e ho conosciuto persone, molto più giovani di me, di grande valore: Leonardo Zampi, Mattia Sullini, Lucio Ferella, Giacomo Falaschi e tanti altri . Le serate passate insieme a Rifredi, in via del Campuccio o a Contea, presso la Chiesa del Pizzicotto e l’alimentari Marcello… momenti felici. Devo molto a queste persone.

Quasi sempre ho portato i miei studenti a discutere fuori: attualmente sette forum Reddit, fra cui quello per aiutare o favorire l’aiuto reciproco fra  persone interessate all’impiego didattico della programmazione. Porto fuori gli studenti anche a studiare, con i MOOC realizzati in Federica.eu — Coding a Scuola con Software Libero e Coding at School with Free Software — o in edX. Vero, i MOOC sono stati sviluppati nell’ambito di una partnership fra Unifi e Federica.eu ma questo accordo medesimo ha rappresentato una ghiotta occasione per cercare di uscire all’aperto. Infatti i MOOC accolgono gli studenti Unifi ma anche tante altre persone. E lentamente, stanno ispirando altri esperimenti, in particolare nell’ambito di progetti Erasmus.

La maggior parte di quello che scrivo circola liberamente nei luoghi citati e altri ancora. Anche ciò che acquisisce la forma di libro. Il Piccolo Manuale di LibreLogo e Building Knowledge with Turtle Geometry , che distribuisco con licenza Attribuzione (CC BY 2.5 IT: puoi usare come vuoi ma devi attribuire la paternità dell’opera e perpetuare la licenza su eventuali tuoi derivati, se non vuoi infrangere il Diritto d’Autore). Li pubblicherò mai in forma cartacea? Non lo so, mi piace il divenire.

Il blog del Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva, creato nel 2017 in occasione dell’arrivo di trenta migranti nel paese dove vivo. Un’attività grassroot sorta per risolvere un problema e che ha finito per alimentare due progetti della Regione Toscana con Unifi partner. Ora è una realtà che include la cosiddetta Scuolina (per migranti ma non solo), scuola informale sul modello di Barbiana, fatta da cittadini volontari e studenti. Nata in un piccolo paese, poi ospitata dal Cospe, scuola elettivamente di prossimità ma che non si è fermata con la pandemia: oltre 400 lezioni online dal 23 marzo scorso. Al margine della Scuolina la mappa della positività, che raccoglie testimonianze di accoglienza e integrazione con il contributo dei cittadini, partita dalla regione Toscana, estesa al territorio nazionale e poi europeo. Testimonianze stratificate in varie tipologie diverse e che ha suscitato l’interesse di Ushahidi, il provider leader nel mondo delle crowdmap per la mappatura di catastrofi e fenomeni sociali, che ha concesso per tre anni consecutivi l’uso gratuito della piattaforma al Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva e alla sua Scuolina.

E cosa sono ora il Laboratorio Aperto di Cittadinanza Attiva e la sua Scuolina ? Nulla: un blog e un gruppo di cittadini che aiutano chi ha bisogno. Fu questo che mi affascinò una ventina d’anni fa, quando iniziai a intuire cosa sarebbe potuta essere la rete: un luogo dove è estremamente facile costruire valore, magari collaborando con qualche istituzione ma in maniera circoscritta, stando bene attenti a rimanere all’aperto.

In realtà un’utopia perché anche la libera rete non è più libera. A maggior ragione continuerò così.

Informatica – Scienze dell’educazione e della formazione L19 – 19/20

Questa pagina (accessibile anche dallo short link https://is.gd/inf1920) è l’introduzione al corso disponibile nel servizio e-learning di Ateneo.

Qui informazioni su orari lezioni e ricevimenti.

Il corso sarà svolto dal sottoscritto Andreas R. Formiconi e con la collaborazione del Prof. Marco Trapani.

Io farò i primi due incontri e Trapani le rimanenti 28 ore. Io mi occuperò principalmente di

  • Tecnologie basate su “FreeSoftware”, “Open Source” software e hardware.
  • Etica free software – implicazioni nella formazione
  1. Creazione di comunità di apprendimento in contesti informali e inclusivi
  2. Robotica per la scuola (BeeBot, BlueBot…) – possibile solo in presenza, quindi covid permettendo, purtroppo…
  3. Programmare il computer per apprendere (pensiero computazionale)

Questi ultimi tre temi possono essere oggetto di progetti specifici, alternativi al percorso standard. Questo è un percorso previsto per persone che hanno già una conoscenza di base sui temi trattati dal Prof. Trapani e che hanno voglia di impegnarsi su un progetto personale significativo. È un percorso stimolante ma richiede molta voglia di lavorare. A questo fine offrirò un ricevimento lungo, tipo tre ore in un giorno della settimana, eventualmente anche di tipo seminariale, dove proverò a dare il supporto necessario a chi sceglie questa opzione.

Farò le prime due lezioni, di quattro ore ciascuna, dove faremo un sondaggio online per conoscerci meglio, mediante il servizio http://mentimeter.com e dove delineeremo i summenzionati temi. Le parti essenziali di questi due incontri verranno videoregistrate, a beneficio degli studenti lavoratori. Troverete le videoregistrazioni su http://iamarf.ch/labfp/. Di solito riesco a caricarle entro un paio di giorni.

Se avete domande fatele nello spazio di discussione https://www.reddit.com/r/CodingAtSchool/, non per email.


Il Prof. Trapani affronterà invece i seguenti temi di base:

  • Attività di workgroup a distanza con servizio wiki
  • Produttività individuale (gestione testi, fogli di calcolo, presentazioni)
  • Uso consapevole di internet e dei social network
  • Principali regole IT security

Il corso prevede l’uso di un ambiente on-line (wiki) per lo sviluppo di attività di workgroup a distanza; il filo conduttore saranno i principi base del Project Management applicato con l’uso di strumenti di produttività individuale (gestione testi, fogli di calcolo, presentazioni) sia sul proprio personal computer sia on-line per la condivisione. Saranno affrontati anche temi relativi all’uso consapevole di internet e dei social network nonché sulle principali regole di IT security.

Robotica povera e dintorni

Domani, nel laboratorio di tecnologie didattiche di Scienze della Formazione Primaria, ci scateneremo con gli improbabili robot di Maria Grazia Fiore e altre sue trovate. Per eventuali curiosi: 15:15-18:00, via Laura 48, aula 209.

Pedagogia degli Oppressi, CRUI e Maestri di Strada

Lo studio della “Pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire, un convegno sull’innovazione didattica delle Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, un convegno sulla trasformazione educativa dell’Associazione dei Maestri di Strada di Napoli. Tre esperienze diverse unite da un unico leit motiv: ascolto.
Il testo di Paulo Freire l’ho ripreso in mano percorrendo a ritroso la bibliografia di un libro di filosofia scritto da una giovane ricercatrice italiana (all’estero): Plato and Intellectual Development – A New Theoretical Framework Emphasising the Higher-Order Pedagogy of the Platonic Dialogues, Susanna Saracco, Palgrave Macmillan imprint – Springer International Publishing, 2017. Cito l’antefatto perché, pensandoci bene, fa parte della medesima esperienza globale che sto cercando di raccontare. Il lavoro di Susanna Saracco consiste in un’affascinante parabola che, prendendo le mosse dai dialoghi di Platone e sviluppandone il non detto attraverso una serie di analogie con modelli propri di vari campi della scienza contemporanea, approda all’elaborazione di un intervento didattico per bambini di 8-12 anni, volto allo sviluppo del pensiero critico mediante la lettura e l’elaborazione di passi tratti dai Dialoghi. È una proposta suggestiva della quale l’ascolto è un ingrediente fondamentale. I numerosi riferimenti al lavoro di Freire intorno al valore della relazione dialogica e all’idea dell’educatore educato nell’educare e dell’educando educante nell’esser educato mi hanno indotto a ritornare sulla “Pedagogia degli oppressi” e a studiare il libro per davvero, invece di leggerlo a spizzichi e bocconi, come spesso si fa, oppressi “dall’agenda”.
Se non vado errato Freire non cita mai la parola ascolto ma il concetto è implicito nelle sue argomentazioni. Malgrado la differenza di tempo e di contesto è difficile non riconoscere nella concezione “depositaria” dell’educazione, che Freire stigmatizza, quella che informa, di fatto ancora oggi, la didattica universitaria, dove, mediante lo strumento della lezione frontale, il docente deposita i contenuti nelle menti dei discenti. Il 99% delle volte è questo che succede nelle aule universitarie. Freire alla concezione “depositaria” dell’educazione contrappone la concezione “problematizzante”. Non è un passaggio banale perché implica un cambiamento di paradigma, ovvero una revisione radicale dei termini in gioco e delle relazioni fra di essi. In quanto problematizzato, il contenuto, trasferito tal quale dall’emettitore al ricevente diviene, pur contestualizzato e concretizzato,  pretesto di dialogo fra educatore educato e educando educante in quello che si risolve in un atto di crescita condivisa. Possiamo anche continuare a parlare di contenuti, per comodità, ma in tale visione, ogni volta che si riprende un contenuto, questo stesso viene rivisto ed arricchito di prospettive e di riferimenti. Questo è un processo che può avere luogo solo orizzontalmente, attraverso il dialogo. È il dialogo che consente la negoziazione sulla porzione di realtà oggetto di studio. Ma il dialogo implica che colui che era uso giocare il ruolo di mero emettitore si trasformi, attivando una nuova attitudine all’ascolto.
Le riflessioni nutrite dal pensiero di Freire hanno acuito il senso di disagio che provo ogni volta che, a ottobre, inizio due laboratori in due diversi corsi di laurea. Dei laboratori veri è tipico il brusio, intercalato dai suoni prodotti dagli attrezzi e dagli oggetti che cozzano gli uni contro gli altri, o dalle dita sulle tastiere, il brusio delle conversazioni che si svolgono intorno alle attività. Quello del laboratorio dovrebbe essere un momento alto, non ancillare della didattica universitaria. È laddove si attua la prassi: riflessione e azione. È dove dalla teoria si ascende alla pratica, per dirla con le parole di Yrjö Engeström in “Learning by expanding” (Cambridge University Press, 1987, 2015, p. 202).

Al convegno CRUI ci sono andato per servizio, nel ruolo di delegato del Rettore per lo sviluppo della didattica online. La prima parte del titolo, “Innovazione Didattica Universitaria…” era promettente ma la seconda, “… Strategie degli Atenei Italiani” mi intimoriva, per la poca fiducia che nutro nelle soluzioni calate dall’alto in contesti molto complessi – Morin sostiene che i sistemi educativi sono apparati molto grandi, e quindi dotati anche di grande inerzia: si può sperare solo di intervenire per piccole e persistenti perturbazioni successive. Temevo allora di assistere a esposizioni fredde, distanti. Mi sono sbagliato. Il convegno ha raccolto 107 iscritti di 51 atenei e sono stati presentati 65 contributi. Ho conosciuto delle persone appassionate e sinceramente convinte della necessità del cambiamento. Alcune relazioni ampiamente documentate e propositive erano realmente istruttive. E tante pratiche diverse. Insomma, pur non dimenticando che nel complesso si tratta di piccoli numeri, non v’è dubbio che esiste un mondo che è sì disperso ma che sente forte l’esigenza di trovare nuove strade, nella consapevolezza che fermi non si può stare, anzi, che forse è pericoloso per la sopravvivenza delle istituzioni stesse.
Fra le tante riflessioni, un tema ricorrente è stato quello dello studente al centro. Al punto che ad un certo momento qualcuno ha osservato che no, non se ne può più di questo studente al centro, soprattutto perché di fatto al centro lo studente non lo ritroviamo mai. Più tardi qualcun altro ha ripreso la questione sostenendo che effettivamente, studente al centro non rende l’idea, meglio studente protagonista. Siamo quindi andati avanti per un po’ con lo studente protagonista ma poi un altro ancora ha detto che anche questa rischia di essere un’espressione inadeguata, studente protagonista non è sufficiente: meglio studente co-protagonista. Ecco, la mia tesi è che tale nuovo studente vada de-oggettivato, altrimenti si rischia di non andare molto oltre la definizione. Occorre fare qualcosa di diverso ma non si tratta di agire su parametri o pratiche  esistenti: ricevimenti, esami, domande rubate nei corridoi. È il paradigma che va ripensato e questo significa assumere un atteggiamento diverso, individuare occasioni inusitate, ristrutturare diversamente gli spazi e i tempi della didattica convenzionale, rivedere pratiche esistenti mettendosi nei panni dello studente.

Le scrivo a nome dei rappresentanti degli studenti di Scienze della Formazione Primaria perché vorremmo invitarla a partecipare con noi al primo Congresso mondiale della Trasformazione Educativa, organizzato da Maestri di Strada a fine ottobre a Napoli (https://www.maestridistrada.it/progetti/view/53/1-congresso-mondiale-della-trasformazione-educativa). L’associazione suddetta ci ha invitati al simposio di lunedì 29 ottobre alle ore 14, in cui si confronteranno studenti e docenti universitari su vari progetti di formazione universitaria, come l’Università Itinerante di Nando Dalla Chiesa e un gruppo della facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Bicocca.Dunque, vorremmo chiedere a Lei se volesse partecipare con noi a questo simposio e, se desiderasse, anche alle altre iniziative del congresso.
Ho ricevuto questa email il 28 settembre: in questo periodo ho l’agenda piena zeppa di impegni e faccio fatica a fissare nuovi impegni, figuriamoci tre giorni a distanza di un mese! Poi che sarà mai questo “Congresso mondiale”? Dei Maestri di Strada?
Ma per fortuna le idee ronzano nella mente. E poi “strada” non mi è indifferente. Ho precedenti. Quelle volte dove a medicina organizzavo seminari seri ma programmati per esplodere e travolgere tutto, classe e prof, con la collaborazione di clown e artisti di strada – per esempio quello del 2008, I Care https://iamarf.org/frammenti/frammenti-del-seminario-i-care/. Oppure il seminario sull’etica hacker che feci una sera di dicembre dello stesso anno in un sottopassaggio di Firenze a un gruppo variegato di giovani curiosi, “alternativi”, barboni e immigrati https://iamarf.org/2008/11/29/etica-hacker-in-piazza-no-via-nel-sottopassaggio/ (una descrizione nei commenti susseguenti il post). Sono stati questi i due ingredienti che mi hanno consentito di ribellarmi all’agenda: il fascino che evoca in me la strada e il rovello sull’idea di ascolto che mi portavo in mente in seguito alla lettura del libro di Freire e alla partecipazione nel congresso CRUI.
Ne è valsa la pena. Intanto mi sono subito reso conto che accettare una proposta degli studenti è una prima forma di ascolto. Sembra una banalità ma in realtà aiuta a cambiare prospettiva, in modo utile. Porsi nelle condizioni di cambiare abitudini e contesto fa bene. L’occasione era perfetta. Si era ospitati di quel gran tipo che è Cesare Moreno, presidente dell’associazione Maestri di Strada. Il patto era portarsi il sacco a pelo e accettare quel che c’è. In pratica mi sono ritrovato all’ostello – fare un salto indietro di una quarantina d’anni, non male. Condizione ideale per entrare nell’idea di condividere tutto con i miei studenti, congresso, pasti, veglie, lunghe camminate per le strade di Napoli, anche una visita al Cristo Velato. Per esempio è stato bello scoprire insieme che valeva la pena camminare mezz’ora fino alla sede del congresso invece di passare lo stesso tempo nei mezzi, anche quando pioveva – un esercizio di cambio di prospettiva, crescita collettiva. Condividere o suddividersi le relazioni da seguire. Poi parlarne, divergere, chiedere – ma voi che pensate di questo che facciamo noi… Ascolto, immersione. Vivificante.
Anche la nostra partecipazione era prevista in gruppo, nel Simposio “Alleanze educative all’università”, condotto da Silvia Mastrorillo. Una trovata geniale: dare voce a gruppi di studenti insieme a un loro insegnante. Eravamo quattro gruppi. Affascinante l’esperienza dell’Università Itinerante raccontata dagli studenti di Nando dalla Chiesa, dove gruppi di studenti con il loro professore si recano in luoghi che sono teatro di varie realtà criminali per studiare e ricercare dal vero le tracce di quei fenomeni. O gli studenti di architettura di Nicola Flora, fautore di un’università che esca dalle aule per immergersi nel territorio con cui dialogare alla ricerca di un linguaggio condiviso con la comunità. Straordinariamente istruttivo, per il sottoscritto.
L’associazione Maestri di Strada affronta i temi dell’emarginazione e della dispersione scolastica. Coloro che vi entrano  accettano di collaborare ad una impresa difficile non sulla base di un credo ideologico o teorico ma sulla base della pratica educativa e della continua riflessione di gruppo su di essa. Inoltre, come ci spiegò Cesare Moreno nell’introduzione del nostro Simposio, queste attività non sono pensate in modo avulso dal mondo accademico o in contrapposizione ad esso bensì in una ricerca continua di collegamento fra pratica e teoria.
Ebbene tutta l’atmosfera del congresso era permeata da queste idee. Le relazioni presentate da personalità di grande spessore erano accompagnate da una quantità di esperienze concrete illuminanti. Per esempio può succedere di veder emergere vivo il pensiero di Freire nelle parole di Marco Eduardo Murueta e poi di ritrovarti in un laboratorio riflessivo a inventare una storia con compagni sconosciuti in un gioco ideato dai giovani rifugiati di Giocherenda.

Fra i numerosi doni che mi sono portato a casa in seguito a questa esperienza globale di ascolto c’è il proposito di portare i maestri di strada in qualche forma nei nostri laboratori. Sì, i laboratori che mi vengono affidati concernono le tecnologie ma queste senza idee potenti e senza visioni ampie servono a poco, anzi possono fare danno. Soprattutto molto facilmente diventano strumenti di addomesticamento commerciale, di competizione sterile e di corsa al successo.
È arrivato a proposito venerdì scorso il seminario sulla robotica con poco o nulla che ci ha regalato Maria Grazia Fiore. I partecipanti hanno potuto costruire e sperimentare con le loro mani le costruzioni proposte ma tutto ciò è stato immerso nella ricca narrazione che può essere offerta solo da una persona che non ha mai smesso di studiare e di sperimentare nelle classi, con i bambini, in contesti ambientali anche difficili, delle volte estremi.

 

I motivi per insistere nel tentativo di iniettare vita e soprattutto vita intensamente e significativamente vissuta nei laboratori non mancano, grazie a tante persone: gli studenti Letizia Chiarini, Barbara Argetta e Daniele Baldassarri, il maestro Cesare Moreno, la maestra Maria Grazia Fiore, Paulo Freire, la lista sarebbe lunga.
Ci daremo da fare…

Ci si vede il 9 novembre

Seminario organizzato dagli Studenti di Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Firenze.

Il seminario avrà luogo nell’ambito degli incontri del Laboratorio di Tecnologie Didattiche del V anno ma è aperto a chiunque.

Parteciperà anche la Prof.ssa Martha Kaschny Borges, docente di Tecnologie educative presso l’Universidade do Estado de Santa Catarina (Brasile)

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Può sembrare strano ma descrivere cosa succederà in questo seminario per me non è facile. Ma come? Ma se nella locandina c’è scritto “a quattro mani”? Vero, ma prevedere cosa venga fuori dalla personalità debordante di Maria Grazia e dalla sua smisurata esperienza è obiettivamente difficile. Diciamo che io sarò un satellite.

So tuttavia cosa le ho chiesto: mostrare dal vero alcune delle esperienze fatte nelle sue classi intorno alla “robotica povera”, ovvero la robotica con poco o nulla, come in “Poco o nulla – Ricette di cucina popolare toscana” (LEF, anni 80). Poi come condirà il tutto Maria Grazia vai a sapere, certamente arricchirà il contesto…

Potete avere un anticipo andando a frugare in questo suo post dove le ho chiesto di riunire i suoi blog, curiosando in quelli su robotica e dintorni.

Cercheremo di demolire (in modo figurativo) il setting mortifero dell’aula. Piazzeremo una sorta di banco da mercato (quelli dove si comprano i golfini, che spero di trovare…) fra la cattedra e la prima fila di banchi per lavorarci sopra. La cattedra potrà essere utilizzata a mo’ di loggione, in modo da tirare fuori dai banchi fissi quanta più gente possibile. Avremo materiale povero ma in una certa abbondanza in modo che chi vorrà potrà replicare subito ciò che ci mostrerà Maria Grazia.

Se siamo troppi per vedere bene tenterò di proiettare sullo schermo le azioni con una webcam. Cercheremo anche di registrare e di fare una ripresa live. Qualcosa cercherò di fare io, qualcosa Barbara.

Se la situazione è sotto controllo? Nemmeno per idea ma ce la caveremo…

P.S.

Ecco, già dimenticavo… mi rendo conto che potrebbe essere interessante leggere questa riflessione di Maria Grazia in merito alle possibilità di inserire tali “metodologie didattiche attive” nel contesto scolastico quale esso è, Auspicabilmente il seminario sfocierà in questo tipo di riflessione.

Conclude Maria Grazia:

E quindi ritengo che continuare a “sperimentare”, ricominciando ogni anno senza che il sistema tenga memoria di ciò che si è fatto e senza il supporto di una reale “comunità di pratica”, sia un investimento che il singolo docente non si possa più permettere.

Per ora, queste sono le mie conclusioni. Un po’ amare ma non è negando la realtà che ci si salva da essa.

Possiamo rilanciare con iniziative come questa? Possiamo ripartire da qui? Ovvero da questi luoghi pieni di studenti meravigliosi? Se non da qui da dove sennò?

Sul coding per i bambini più piccoli

In un commento a un post scritto su FaceBook avevo scritto che alcune delle attività nel prossimo laboratorio di tecnologie didattiche potrebbero essere proposte anche ai propri bambini, anzi invitavo a farlo e a riportare le esperienze. Avevo anche citato un limite, intorno a 7 anni.

Successivamente mi è stato chiesto se per i bambini sotto 7 anni siano previste attività da poter svolgere. La domanda stimola una riflessione importante. Prima di dare una risposta, anzi due, una tecnica e una “vera”, voglio, al margine, mettere in evidenza come, grazie ad un uso accorto delle tecnologie online, sia possibile intavolare una discussione con gli studenti addirittura prima dell’inizio del corso, generando nuovi contenuti. Perché questa risposta va considerata un contenuto a tutti gli effetti, infatti come tale la inserirò subito fra quelli già previsti.

Dunque la risposta tecnica.

È il modo nel quale lavoreremo che impone il limite di età: si tratterà infatti, in buona parte, di scrivere comandi in un documento, comandi che vengono poi tradotti in azioni compiute automaticamente dalla macchina. Comandi scritti con la tastiera secondo una precisa grammatica, dove si possono commettere errori di ortografia e di sintassi – l’esperienza mi ha insegnato che anche gli adulti commettono con grande facilità errori di questo genere, quando studiano il codice. È un’attività che richiede livelli di attenzione elevati e una buona padronanza della lingua scritta e parlata. In seguito a vari studi – in primis dell’opera di Seymour Papert – e ad alcune esperienze personali, fra cui un’intensa esperienza di laboratorio con bambini di 9 anni, mi sono fatto l’idea che, mediamente, l’approccio sia appropriato per bambini da circa 7-8 anni in su, con gradualità e molta attenzione.

Va tuttavia detto che oggi sono disponibili mezzi adatti ai bambini più piccoli per praticare il codice e, forse, assaggiare il pensiero computazionale. Fra questi i piccoli robot che si possono programmare con semplici bottoni sul dorso (tipo Bee-Bot) o attraverso apposite app (Blue-bot). Questi si richiamano alla primissima (anni 70) versione di LOGO che Papert ideò proprio attraverso un piccolo robot che ubbidiva a comandi digitali e poteva disegnare sulla superficie su cui si muoveva. Poi ci sono le app che propongono coding a blocchi colorati, alla Scratch, molto semplificati. Infine i vari giochi del tipo unplugged coding, che significa fare codice “senza la spina”, ovvero senza dispositivi elettronici: giochi di carte o anche di movimento.

Nell’ambito del laboratorio di tecnologie didattiche abbiamo previsto di dotarsi di alcuni strumenti del genere, per consentire agli studenti che lo desiderino di sperimentarne l’uso. Non sono affatto sicuro che si faccia in tempo per quest’anno ma prima o poi dovrebbero arrivare. Lo spirito è di comporre un’offerta didattica che consenta agli studenti di farsi un’idea concreta delle possibilità di cui sentono o sentiranno sicuramente parlare, di questi tempi. La numerosità di questi corsi non ci consentirà di far fare tutto a tutti. Ci proponiamo tuttavia di consentire l’approfondimento di determinati temi a coloro che lo desiderino.

Ma ora la risposta vera.

Io penso che i bambini prima debbano fare molte altre cose, attinenti alla loro corporeità e alla realtà che li circonda. Inevitabilmente oggi sono sovraesposti a mondi virtuali che rappresentano versioni estremamente riduttive della realtà. Il tempo che vi passano è tempo rubato alle esperienze necessarie per stabilire le relazioni con il mondo vero e per sviluppare la mente in maniera completa e armoniosa. Quanto a coding e dintorni, ne conosco bene i benefici, praticandolo per il mio lavoro di ricerca da trent’anni in una varietà di forme, ma non vedo motivi cogenti per proporlo anzitempo ai bambini, laddove questo li debba privare di altre esperienze fondamentali per la crescita. Ed anche per bambini di età maggiore, penso che eventuali attività di coding debbano essere praticate in modo serio, cogliendo l’opportunità di introdurre frammenti di pensiero matematico – le “idee potenti” di Papert – senza perdere occasioni di riferirsi alla realtà fisica, ogni volta che sia possibile. È per tale motivo che nel Piccolo Manuale di LibreLogo (PDF 2.6MB) ho introdotto alcuni esempi delle idee didattiche di Emma Castelnuovo, tratte dalla sua “officina matematica” dove si ragiona con i materiali. E ve ne introdurrò degli altri, appena possibile.

Tornando ai bambini piccoli, riporto qui sotto un brano del Maestro Franco Lorenzoni, tratto dal sito di Casa-Laboratorio di Cenci. È un testo del 2012 dove si proponeva un “appello perché bambine e bambini siano liberi da schermi e computer”. In fondo all’articolo originale sono riportati vari commenti ma non so quanto la proposta abbia avuto corso successivamente.  A prescindere da questo, io concordo completamente con il suo pensiero.

 


Appello perché bambine e bambini, dai 3 agli 8 anni, siano liberi da schermi e computer nella scuola.

di Franco Lorenzoni, maestro elementare
 
Il Ministero dell’Istruzione progetta di portare in sempre più aule le LIM (Lavagne Interattive Multimediali), cioè schermi giganti collegati a un pc, in un momento in cui le classi si affollano sempre più di bambini – fino a 30 e 31 – e quando è assente un insegnante spesso le classi si accorpano e il numero cresce. A partire dal prossimo anno, inoltre, i libri di testo cartacei saranno progressivamente sostituiti con supporti informatici da leggere su tablet.
 
Tutto ciò avviene in un contesto in cui, con la diffusione di I-phone e cellullari dell’ultima generazione, genitori ed adulti sono ovunque e sempre potenzialmente collegati alla rete, dunque sconnessi o connessi solo a intermittenza con i bambini che hanno vicino.
 
Ben prima del diluvio tecnologico, dilagato in ogni casa e ogni tempo, bambine e bambini si sono trovati a fare i conti con adulti distratti. Ciò che sta cambiando radicalmente e rapidamente è che ora, nel reagire alle consuete distrazioni adulte, bambini anche molto piccoli trovano facilmente anche loro attrazioni altrettanto potenti.
 
Le industrie, per vendere, escogitano marchingegni sempre più attraenti, maneggevoli e sofisticati, rivolti a bambini sempre più piccoli. Ai genitori, spesso immersi anche loro nel grande gioco virtuale onnipresente, molte volte fa comodo che un figlio abbia a disposizione un gioco elettronico o un cellulare, perché diventa muto e trasparente e può restare interi pomeriggi tranquillo, perché completamente immerso in uno schermo interattivo.
 
Il risultato è che i bambini sono sottomessi, fin dalla più tenera età, ad un bombardamento tecnologico senza precedenti e si moltiplicano le ore che, anche da molto piccoli, passano davanti a schermi di ogni misura. Chi prova ad opporsi sa quali battaglie quotidiane deve combattere in casa per limitare l’uso compulsivo di play station e videogiochi sempre più accattivanti. L’attaccamento a schermi grandi e piccoli ha tutte le caratteristiche di una droga, perché ormai nessuno può più nutrire dubbi sulla dipendenza che crea.
 
La scuola, in questo contesto, deve affrontare con intelligenza e sensibilità la questione, rifiutando di appiattirsi sul presente e seguire l’onda. L’illusione che, di fronte a bambini sempre meno capaci di attenzione prolungata, li si possa conquistare lusingandoli “con gli strumenti che a loro piacciono” è assurda e controproducente.
 
Faccio una proposta e un appello: liberiamo bambine e bambini, dai 3 agli 8 anni, dalla presenza di schermi e computer, almeno nella scuola. Fermiamoci finché siamo in tempo! La Scuola dell’Infanzia e i primi due anni della Scuola Primaria devono essere luoghi completamente liberi da schermi.
 
Non ho nulla contro la tecnologia (che tra l’altro può essere di grande aiuto per i bambini che hanno bisogni educativi speciali, come nel caso della dislessia), ma è necessario reagire alla troppa esposizione tecnologica dei più piccoli. L’uso di computer e supporti informatici va introdotto, con gradualità e cautela, solo dopo gli 8 anni. L’ingresso nel mondo e il primo incontro con le conoscenze strutturate è cosa così delicata da meritare la massima cura e un’aula dotata di un grande schermo cambia la disposizione dello spazio e della mente.
 
Bambine e bambini hanno bisogno del mondo vero per nutrire i loro pensieri e la loro immaginazione. Hanno bisogno dei loro corpi tutti interi, capaci di toccare con mano le cose e non essere ridotti solo a veloci polpastrelli. Hanno bisogno di sporcarsi con la terra piantando, anche in un piccolo giardino, qualche seme che non sappiamo se nascerà. Hanno bisogno di essere attesi e di conoscere l’attesa, di sviluppare il senso del tatto e gli altri sensi e non limitarsi al touch screen. Se lasciamo che pensino che il mondo può essere contenuto in uno schermo, li priviamo del senso della vastità, che non è riproducibile in 3D. Gli altri e la realtà non si accendono e spengono a nostro piacimento.
 
I primi anni di scuola rischiano di trasformarsi in un tempo dove regna l’irrealtà. Ma i bambini hanno un disperato bisogno di adulti che sappiano attendere e accogliere le parole e i pensieri che affiorano, che siano capaci di ascoltarli e guardarli negli occhi. Hanno bisogno di tempi lunghi, di muovere il corpo e muovere la testa, di dipingere e usare la creta; devono poter essere condotti ad entrare lentamente in un libro sfogliandolo, guardando le figure e ascoltando la voce viva di qualcuno che lo legga. E cominciare a scrivere e a contare usando matite, pennelli e pennarelli, manipolando e costruendo oggetti per contare, costruire figure ed indagare il mondo. Hanno bisogno di guardare fuori dalla finestra il sole che indica il tempo e i colori della luce che cambiano col passare delle nuvole. Hanno bisogno di scontrarsi e incontrarsi tra loro in quel corpo a corpo con le cose e con gli altri, così necessario per capire se stessi. Tutto questo davanti a uno schermo NON SI PUO’ FARE!
 
Scuole dell’Infanzia e Scuole Primarie in questi anni sono state uno dei pochi luoghi pubblici in cui gli immigrati hanno trovato in molti casi spazio e accoglienza. La scuola italiana è tra le poche in Europa che cerca di integrare i disabili. La convivenza non è un insegnamento, ma una pratica difficile e quotidiana, che richiede spazi, tempi e strumenti adatti. Se una generazione di giovani insegnanti entreranno in scuole dotate di LIM e tablet inevitabilmente, inesorabilmente, si troveranno a fare cose che fanno male ai bambini, dimenticando ciò che è essenziale, semplice e difficile a farsi.
 
I neonati nel nuovo millennio li si usa chiamare nativi digitali. La sorte dei nativi, in molti continenti, è stata segnata da colonizzazioni violente e distruttive, giustificate in nome della civiltà e del progresso. Evitiamo che anche i nostri piccoli nativi siano colonizzati precocemente e pervasivamente da tecnologie che, nei primi anni, impoveriscono la vita e l’immaginario infantile.

Insegnamenti presso la Scuola di Studi Umanistici e della Formazione

Due nuovi insegnamenti: in questo semestre, dal 30 settembre, un laboratorio nel corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria e, nel semestre successivo, un altro laboratorio nel corso di laurea in Scienze dell’Educazione degli Adulti, della Formazione Continua e Scienze Pedagogiche.

Il prossimo laboratorio di tecnologie didattiche si pone due obiettivi principali: ottenere competenza sufficiente per proporre esperienze di coding nella scuola e approfondire le opportunità offerte da eTwinning. Secondariamente, verranno anche esaminate le possibilità offerte da vari tipi di hardware didattici a basso costo: Arduino, Raspberry, robot didattici e similari.  Le attività di coding verranno effettuate con LibreLogo. Si può già accedere al  manuale, anche questo in fieri.

 Il laboratorio avrà luogo tutti i venerdì dalle 15 alle 19, a partire dal 30 settembre fino al 9 dicembre, escluso venerdì 14 dicembre. L’organizzazione precisa delle quattro ore di ciascun intervento non mi è ancora chiara, perché devo capire quanti saranno gli studenti, e anche come questi reagiranno alle varie proposte. In ogni caso, ho intenzione di videoregistrare tutti gli incontri in presenza e di renderli disponibili in rete appena possibile, soprattutto per aiutare gli studenti lavoratori o che hanno difficoltà ad essere presenti. Tutto quello che verrà detto e tutto quello che verrà proposto potrà essere studiato o sperimentato anche da casa. Chi ha bambini, potrà sperimentare con loro alcune delle attività che verranno proposte. I loro eventuali feedback potranno essere di grande valore.

Più precisamente: non voglio gente a scaldare sedie, ma studenti che studiano e che svolgono le attività per davvero. I mezzi tecnici per raggiungere le informazioni e per seguire saranno abbondanti. La presenza in classe deve servire a chi può ma soprattutto a chi vuole seguire realmente “dal vivo”, e a chi vuol interagire direttamente con il sottoscritto o con i compagni di corso. Vale a dire che in quelle ore non ci saranno solo le mie “lezioni” ma anche ampi spazi dedicati al confronto e alla discussione. Non ci saranno comunque differenze di trattamento fra coloro che potranno e vorranno essere presenti in classe e coloro che lavoreranno principalmente da casa.

Sono consapevole di “forzare il sistema” con questa posizione ma va bene così: fa parte della mia natura di sperimentatore. Ho bisogno di creare situazioni che mi rendano una grande quantità di informazioni. Non utilizzerò la didattica online per non essere presente in classe, infatti sarò presente per tutte le 36 ore previste, ma per migliorare consistentemente l’offerta didattica. Agli studenti chiedo di contribuire a questa impostazione sperimentale.

Diversamente dagli anni scorsi, quest’anno utilizzerò la piattaforma di e-learning di Ateneo, per ragioni contingenti – anche se io preferisco sempre gli ambienti aperti e “disordinati”. In ogni caso mi ingegnerò di mantenere la piattaforma quanto più aperta possibile e raggiungibile anche da questa mia “vecchia casa”.

Inizio subito offrendo il link Laboratorio di Tecnologie Didattiche nel sistema Moodle di Ateneo. Se non ho commesso errori dovrebbe aprirsi direttamente con un login automatico come ospite. Sto giusto inserendo i contenuti e strutturando l’insegnamento ma non ho motivi per non rendere da subito tutto trasparente.

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