Un problema pratico nell’installazione di Starlink

Intendiamoci, Starlink è semplicemente uno sballo. Ultima misura: Download 225 Mbps, Upload 18.3 Mbps. Spaziale per uno abituato a remare intorno a 10 Mbps. La reattività è meno brillante (ping 61 ms, jitter 8 ms) ma non videogioco e quindi mi interessa poco. Non faccio una recensione completa, mi limito solo a dire che ho completato il tutto con una mesh composta da un router FRITZ!Box 4060 e due repeater FRITZ!, 3000 e 2400, disseminati per casa. Quello che invece voglio raccontare è un problema inerente al passaggio del cavo dall’esterno all’interno. Il procedimento è ovviamente dipendente dalla situazione ed anche migliorabile, quello che voglio documentare è il tipo di problema che uno deve cercare di risolvere.

Starlink è semplice e molto facile da rendere operativo. Nel pacco, arrivato in pochi giorni, ci sono poche cose: l’antenna con la sua base, il cavo che collega l’antenna con il router, il router e il suo cavo di alimentazione.

Tutto ok , anzi fantastico, finché vai avanti con l’installazione prototipale, dove ti sei limitato a passare il cavo in casa lasciando socchiusa una finestra. Poi, quando i tempi sono maturi per un’installazione stabile la realtà fisica presenta il conto: va bucato il muro. Il mio, nel posto migliore è spesso 32 cm. E il foro non può essere minimale perché il cavo ha le sue esigenze. Te lo consegnano di lunghezza fissa, 22 metri. Ci sono di altre lunghezze ma vanno ordinati a parte. Non se ne possono collegare due in serie e hanno connettori di forgia fissa e diversa ai due lati:

Il connettore lato router richiederebbe un foro enorme perché è a 90° rispetto al cavo. Quello lato antenna acconsente di più ma occorre comunque un foro di circa 20 mm. Ci vuole quindi un amico che ti presti un trapano adatto.

Tutto quello che è servito…

Questo aveva una punta da 18 mm lunga 40 cm e una da 25 mm lunga 20 cm. Usando prima l’una poi l’altra, da una parte e poi dall’altra, il foro alla fine è venuto.

Fa però uggia l’idea di infilarci un cavo prezioso, fra polvere e detriti, quindi viene voglia di metterci una canaletta cilindrica, di 20 mm ma…

Scopri che non c’entra per un pelo… Una canaletta più grossa richiederebba altre punte e non è il caso, quindi l’idea:

A questo punto basta corazzare il prezioso connettore…

Spingerlo nel foro recuperandolo all’esterno…

Inserirlo nella fessura longitudinale praticata nella canaletta…

Chiudere con nastro isolante e aggiustare il tutto…

Ci sarà da stuccare perbene ma il grosso è stato fatto. Un po’ di ingrullimento ma ne è valsa la pena.

Soluzione di un problema di installazione Linux su Lenovo IdeaPad 1

Breve nota su un problema specifico di installazione di Linux. Non è un tutorial completo, solo la segnalazione del problema e la soluzione. L’installazione di Linux al posto di Windows è quasi sempre indolore oggi ma questa volta ho incontrato un problema. Mi è capitato un laptop economico, Lenovo IdeaPad 1, che con Windows sarebbe diventato rapidamente osboleto, mentre di una macchina Linux leggera ho sempre bisogno. Pensavo di cavarmela velocemente con la solita trafila: scarico su un altro computer l’immagine ISO di un sistema qualsiasi (Lubuntu in questo caso, adatto a macchine piccole), ci creo un sistema bootabile su una chiavetta USB, la inserisco nel computer destinazione IdeaPad entrando nel BIOS (con il tasto F2 premuto frequentemente all’accensione) per mettere USB in vetta alla lista dei dispositivi da cui caricare il sistema, e faccio partire. Di solito è fatta, c’è solo da dare le solite risposte banali al sistema appena svegliato (fuso orario, lingua, nome ecc.) e poi via.

Invece questa volta fine. Il computer entra in un ciclo infinito dove tenta di caricare il sistema ma subito rinuncia dichiarando in una scritta fugace in alto a sinistra “Reset System” e buonanotte.

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Una rara ora astrale

Per il tran-tran quotidiano uso un orologio con le lancette di marca Chronos, che serve per arrivare puntuale agli appuntamenti. Ma per le cose importanti ne uso un altro, completamente diverso, di marca Kairos. Il primo si trova in tutti i negozi mentre il secondo è difficile da reperire e, soprattutto, ci vuole tempo per imparare ad usarlo. La migliore descrizione che ho trovato è quella di Mastro Hora:

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Non sempre va tutto bene — un esempio

In questo blog i lavori più interessanti degli studenti nel laboratorio di tecnologie didattiche a Scienze della Formazione Primaria (Unifi e Unisob) sono raccolti con il tag elaborati studenti. Alcuni sono straordinari. Ovviamente c’è poi una maggioranza di elaborati buoni o comunque intermedi. Ma è possibile che vada sempre tutto bene? Certo che no, in circa il 10% dei casi capita qualcosa che non funziona. Qui faccio un esempio abbastanza ricorrente, che mi può servire proprio a dare delle indicazioni agli studenti che incappano in questo tipo di problema.

I requisiti che deve avere un lavoro proposto per ottenere l’idoneità nel laboratorio sono scritti molto chiaramente in un apposito articolo: Come devono essere gli elaborati per il Laboratorio di Tecnologie Didattiche di Scienze della Formazione Primaria. Ma, specialmente nei casi in cui uno studente si ritrovi a svolgere il laboratorio in ritardo rispetto alla norma, può succedere che queste regole cadano nell’oblio.

Ciò nonostante delle volte gli elaborati vengono composti in maniera corretta, altre invece no. Chi fa maggiormente le spese di questa dimenticanza sono i tre costrutti base, dai quali tutti devono imparare a trarre vantaggio, altrimenti quella del “pensiero computazionale” diventa una farsa, come spesso si verifica — forse questa è anche una conseguenza di anni di “coding” facile a gogo.

Li riporto qui:

  • i cicli REPEAT
  • la definizione di nuovi comandi mediante la sequenza TO…END
  • le variabili

Cosa guardo nei diari per decidere se l’idoneità c’è oppure no? In primo luogo è richiesto un minimo di riflessione critica sui tanti temi affrontati durante i laboratorio, in particolare ipotesi di applicazione di quanto imparato nelle proprie future classi. E poi la qualità del codice e, soprattutto, la presenza dei tre costrutti e il loro impiego intelligente. Va da sé che io i codici li provo per vedere come funzionano e se danno effettivamente le figure messe nell’elaborato. Discuto un paio di casi.

La figura non torna con il codice. Lo scrivo allo studente chiedendo di mandare un lavoro coerente.

Mancano uno o più costrutti. Anche qui, scrivo chiedendo di rielaborare il codice inserendo i costrutti e di farlo in modo che abbia senso. Indico dove andare a ristudiare la questione: nella week 5 del MOOC in edX Coding a scuola con il software libero oppure alle pagine 58-59 del Piccolo manuale di LibreLogo.

Lo studente ci riprova ma può capitare che mi invii un codice nel quale ha infilato i costrutti in qualche maniera, peccato però che non funzioni, cosa che vedo al volo leggendolo ma soprattutto provandolo. Ancora: il codice deve funzionare e produrre la figura allegata.

Mi spiego: lo scopo di tutta questa architettura non è fare un giochetto, non è il disegno prodotto in sé, ma il processo mentale che attiva in voi, in particolare la capacità di astrarre e organizzare un procedimento attraverso ottimizzazione (cicli), modularizzazione (definizione di nuovi comandi) e generalizzazione (uso di variabili). Insomma elementi di pensiero computazionale.

Per fare bene questo laboratorio occorre studiare. Dire che il laboratorio è basato sul fare è vero ma per fare bene occorre studiare. Non si tratta di fare anziché studiare! Anzi, forse occorre studiare di più e meglio, perché sennò si fa male.

Chiudo con un brano tratto dall’elaborato eccellente di una vostra collega che ho ricevuto qualche giorno fa. Notare l’espressione “dedizione e duro lavoro”. Leggetelo bene.

Il problema di questo lavoro, che in realtà è il suo punto di forza, è la grande quantità di tempo che richiede. Per me è stato proprio un problema trovare del tempo da dedicare a questa magnifica attività proprio per i vari impegni che intercorrono nella mia vita. Allo stesso modo ritengo che sia il suo punto di forza perché il tempo impiegato per svolgere questo corso non è stato tempo perso, ma tempo costruttivo. Le ore di lavoro spese sono servite per assaporare la materia. Siamo entrati come giovani inesperti e pian piano, ascoltando e facendoci cullare dalle interessanti lezioni, senza neanche accorgecene, siamo diventati dei giovani “quasi esperti”. Anche il tempo che ho impiegato per la creazione del Logo non è stato inutile. Mi ha permesso di scoprire che soltanto con un passo alla volta si raggiungono i traguardi e per raggiungerli non basta uno schiocco di dita ma dedizione e duro lavoro.
Riflettendo ho proprio provato una sensazione che non provavo da tempo: la lentezza. Il mondo lavorativo e il mondo universitario richiedono velocità: velocità nel finire l’università per non apparire inferiore agli altri compagni, velocità nel finire l’università per entrare nel mondo del lavoro, velocità nelle consegne lavorative… Per una volta il lavoro mi ha permesso di prendere più tempo per l’università, per svolgere questo lavoro e grazie ai miei mille impegni sono riuscita a elaborare mattoncino dopo mattoncino una competenza (relativa alla conoscenza di questo software) che mi servirà sicuramente per il futuro.