Non riesco a metter mano a nessuna delle varie cose che mi pareva di voler fare, oppresso dagli adempimenti che in ottobre sempre montano e che quest’anno mi paiono più uggiosi che mai.
Così finisce che il più delle volte, espletati gli adempimenti, vado a farmi raccontare storie, in questo periodo da Mario Tobino.
I lucchesi pensano sempre al denaro, i viareggini non ci resistono, la loro mente si perde in vaneggiamenti, in sogni. I lucchesi hanno il cerchio delle mura, che è contornato da un cerchio di monti, da secoli lì ruminano monete, tentati dalla lussuria e spaventati dal peccato, ugualmente bramosi di afferrare e consapevoli dell’odiata morte che li farà vuoti di ogni possesso. I viareggini hanno il mare, la spiaggia è molle e aperta, non conosce né insenature né scogliere. I lucchesi sono delle volpi, il commercio è la loro massima passione; i viareggini ci si annoiano e non lo sanno esercitare, un astuto negoziatore è guardato con irritazione, con uggia, quasi un traditore, uno che tende brutti lacci all’abbandono giocoso della vita. I lucchesi sanno stare in silenzio, calcolando dentro la testa, non si mettono a chiaccherare, chi si confida è da loro considerato un baggiano da giustamente gabbare. I lucchesi non hanno amici, non credono esista l’amicizia, la simulano per trarne beneficio. I viareggini stanno volentierissimo insieme e all’aperto, la loro casa è la strada, le loro porte sono spalancate che ci entri l’aria, la luce, gli amici; i viareggini non sopportano di stare nel chiuso, al contrario dei lucchesi che si aggirano cauti nelle loro strette, buie, contorte strade, fitte e zeppe di muri e muraglie, a loro volta fasciate dalle alte mura delle città, dai bastioni. E intorno il cerchio, l’anello dei monti, quasi che quel posto sia l’unico stato della terra. l’unico vero governo, al di là delle mura e di quei monti, l’albergo del diavolo.
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I lucchesi hanno una educazione, si comportano, specie nella loro città, con cautela; per le strade camminano in silenzio non scontrando né questo né quello, non guardano con spalvaderia né con sfida, dentro la loro testa attentissima l’ipocrisia e la prudenza, non sprecare le forze in esterni atteggiamenti, che non ottengono altro che danno. I lucchesi sono risparmiatori al massimo; in quel cerchio di monti che li serra, dentro la serratura delle mura non penetrano soffi di novità, siano queste nefaste o apportatrici di bene. Essi conservano tutto e sopra ogni altro l’esperienza, che dice di stare nella misura, anzi al di sotto di questa, fare il passo ancora più breve di quello che la gamba potrebbe compiere con facilità. I lucchesi non hanno cultura letteraria, umanistica, scientifica, né desiderano impadronirsene, sono soltanto educati di maniere, esatti nel loro mestiere, ricchi di consuetudini. Essi ignorano che esista il genio, non riconoscono il talento, non vogliono neppure sapere dell’estro. Stimano ed anzi adorano chi eccelle nei negoziati. Tutte le volte che in Lucca nasce un uomo di qualità, se ne deve andare poiché essi non lo lasciano respirare, gli tolgono l’ossigeno, ignorandolo. I sogni, le fantasie, i furori di grandezza, di gloria, di generosità, il programma di una felicità futura, sono dai lucchesi giudicati giochi di bambini o di dissennati o di fannuloni o di volgari imbroglioni. I lucchesi aborrono il teatro, odiano che sulle scene si rappresenti la vita come è, che il ladro lo si veda che rubi, il prete che non ci crede, l’avaro sia mostrato nella sua miseria. I lucchesi stanno rinchiusi in casa, dove non ricevono nessuno, neppure i conoscenti.
I viareggini sono ignoranti, non solo senza cultura ma anche maleducati, i loro modi sono troppo aperti, con molto dello spavaldo, del senza ritegno, dello sfaccendato, del fannullone che neppure si preoccupa dell’accuratezza del vestire, e, d’un tratto, invece è tutto dipinto da damerino settecentesco, teatrante e vanitoso. Il viareggino fa come la natura di Viareggio in primavera, dalla burrasca alla incantata trasparente notte di stelle.