Un paese senza cultura

La cultura di un paese non sta solo nel suo passato e nelle accademie ma anche, e io direi soprattutto, nel saper dare risposte intelligenti e efficaci ai problemi dei cittadini.  Invece dalle nostre parti la cultura sembra essere un mero soprammobile o, peggio, uno strumento di potere.

Veniamo all’episodio, molto specifico ma significativo.
Leggi la storia …

Sviluppo e controllo

Sono disponibili i risultati del Global E-Government Survey 2010 delle Nazioni Unite. Nel survey si valuta il grado di informatizzazione delle amministrazioni pubbliche, un fattore giudicato oggi strategico.

I report statistici sono già scaricabili e così chiunque può leggerli.

Per quanto riguarda l’indice di sviluppo E-Government (grado di informatizzazione nell pubbliche amministrazioni) l’Italia è in posizione 38, dopo la Lettonia e prima del Portogallo.

Per quanto riguarda l’impiego di servizi online di pubblica utilità l’Italia è in posizione 87, dopo la Moldavia e prima di Panama.

Non si deve comunque pensare che il governo non si occupi delle nuove tecnologie, tutt’altro. Sono giusto in corso le audizioni alle Commissioni del Senato sul decreto legislativo del vice ministro allo Sviluppo Paolo Romani che prevede forme di responsabilità dei fornitori di servizi su Internet in relazione ai contenuti trasmessi dagli utenti.

Apprendo dal sito Dirittodautore.it, che l’agenzia Reuters riferisce che la Commissione europea e l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni hanno espresso alcuni dubbi sulle nuove responsabilità che il decreto impone agli Internet service provider come Fastweb e Telecom Italia, ma anche a siti come Youtube.

Un’analisi approfondita dei dubbi interpretativi sollevati dal Decreto Romani viene offerta da Elvira Berlingieri su Apogeonline.

Insomma, mentre altri si occupano di sviluppo noi preferiamo sviluppare controllo.

Viareggino fra i lucchesi

Non riesco a metter mano a nessuna delle varie cose che mi pareva di voler fare, oppresso dagli adempimenti che in ottobre sempre montano e che quest’anno mi paiono più uggiosi che mai.

Così finisce che il più delle volte, espletati gli adempimenti, vado a farmi raccontare storie, in questo periodo da Mario Tobino.

Traggo dal racconto “Capitolo nero” in

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I lucchesi pensano sempre al denaro, i viareggini non ci resistono, la loro mente si perde in vaneggiamenti, in sogni. I lucchesi hanno il cerchio delle mura, che è contornato da un cerchio di monti,  da secoli lì ruminano monete, tentati dalla lussuria e spaventati dal peccato, ugualmente bramosi di afferrare e consapevoli dell’odiata morte che li farà vuoti di ogni possesso. I viareggini hanno il mare, la spiaggia è molle e aperta, non conosce né insenature né scogliere. I lucchesi sono delle volpi, il commercio è la loro massima passione; i viareggini ci si annoiano e non lo sanno esercitare, un astuto negoziatore è guardato con irritazione, con uggia, quasi un traditore, uno che tende brutti lacci all’abbandono giocoso della vita. I lucchesi sanno stare in silenzio, calcolando dentro la testa, non si mettono a chiaccherare, chi si confida è da loro considerato un baggiano da giustamente gabbare. I lucchesi non hanno amici, non credono esista l’amicizia, la simulano per trarne beneficio. I viareggini stanno volentierissimo insieme e all’aperto, la loro casa è la strada, le loro porte sono spalancate che ci entri l’aria, la luce, gli amici; i viareggini non sopportano di stare nel chiuso, al contrario dei lucchesi che si aggirano cauti nelle loro strette, buie, contorte strade, fitte e zeppe di muri e muraglie, a loro volta fasciate dalle alte mura delle città, dai bastioni. E intorno il cerchio, l’anello dei monti, quasi che quel posto sia l’unico stato della terra. l’unico vero governo, al di là delle mura e di quei monti, l’albergo del diavolo.

I lucchesi hanno una educazione, si comportano, specie nella loro città, con cautela; per le strade camminano in silenzio non scontrando né questo né quello, non guardano con spalvaderia né con sfida, dentro la loro testa attentissima l’ipocrisia e la prudenza, non sprecare le forze in esterni atteggiamenti, che non ottengono altro che danno. I lucchesi sono risparmiatori al massimo; in quel cerchio di monti che li serra, dentro la serratura delle mura non penetrano soffi di novità, siano queste nefaste o apportatrici di bene. Essi conservano tutto e sopra ogni altro l’esperienza, che dice di stare nella misura, anzi al di sotto di questa, fare il passo ancora più breve di quello che la gamba potrebbe compiere con facilità. I lucchesi non hanno cultura letteraria, umanistica, scientifica, né desiderano impadronirsene, sono soltanto educati di maniere, esatti nel loro mestiere, ricchi di consuetudini. Essi ignorano che esista il genio, non riconoscono il talento, non vogliono neppure sapere dell’estro. Stimano ed anzi adorano chi eccelle nei negoziati. Tutte le volte che in Lucca nasce un uomo di qualità, se ne deve andare poiché essi non lo lasciano respirare, gli tolgono l’ossigeno, ignorandolo. I sogni, le fantasie, i furori di grandezza, di gloria, di generosità, il programma di una felicità futura, sono dai lucchesi giudicati giochi di bambini o di dissennati o di fannuloni o di volgari imbroglioni. I lucchesi aborrono il teatro, odiano che sulle scene si rappresenti la vita come è, che il ladro lo si veda che rubi, il prete che non ci crede, l’avaro sia mostrato nella sua miseria. I lucchesi stanno rinchiusi in casa, dove non ricevono nessuno, neppure i conoscenti.

I viareggini sono ignoranti, non solo senza cultura ma anche maleducati, i loro modi sono troppo aperti, con molto dello spavaldo, del senza ritegno, dello sfaccendato, del fannullone che neppure si preoccupa dell’accuratezza del vestire, e, d’un tratto, invece è tutto dipinto da damerino settecentesco, teatrante e vanitoso. Il viareggino fa come la natura di Viareggio in primavera, dalla burrasca alla incantata trasparente notte di stelle.

Noia

Stamani, falciando dell’erba sono rimasto stupito dalla quantità di farfalle diverse che danzavano sui fiori. All’inizio mi sono fermato semplicemente perché avevo visto una farfalla particolarmente bella proprio sul fiore che stavo per tagliare. Poi, ne ho vista un’altra diversa e poi un’altra ancora un po’ più in là. E allora, allargando lo sguardo e semplicemente aspettando mi sono accorto che c’era un brulichio di farfalle e altri insetti come a formare un nuvola fremente appoggiata sulla superficie dell’erba.

Così mi sono stupito dello stupore perché sono più di cinquant’anni che vedo farfalle nei prati e ho provato profondo piacere per la rinnovabilità di questo piccolo miracolo. Allo stesso tempo tuttavia, per pura associazione di contrasto, mi è venuto in mente il malessere che provo in questi giorni, o forse in questi mesi, e che potrei descrivere come una persistente sensazione di noia, come un lieve mal di testa che non se ne vuole andare.

Noia per come niente cambi anche se sembra che tutto cambi.

Noia per la paura di esplorare che spunta ovunque come la più infestante delle erbacce.

non continuare a leggere … non è un post equilibrato … è uno sfogo …

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