Questo Tweet mi catapulta in un articolo apparso sull’Harvard Magazine che me ne ricorda un altro che avevo letto qualche anno fa; il collegamento è interessante. L’articolo è lungo da tradurre, sintetizzo.
Un professore di fisica di Harward (Eric Mazur) un bel giorno scopre che la sua fama di insegnante è un’illusione, un castello di carte. L’evento scatenante è la lettura di un articolo pubblicato da un altro professore (David Hestenes) sull’American Journal of Physics. L’articolo riporta i risultati di un test proposto a migliaia di studenti per verificare le loro conoscenze di base di fisica dopo avere seguito i corsi introduttivi. Il test è particolare perché le domande sono formulate con il linguaggio di tutti i giorni. Risultato: i corsi non hanno insegnato quasi nulla. Gli studenti hanno imparato a manipolare formule e equazioni ma quando si chiede loro di calare le descrizioni teoriche nella realtà tornano indietro di migliaia di anni, ai tempi di Aristotele.
Mi è venuto immediatamente in mente un articolo molto interessante scritto nel 1956 dal fisico Enrico Persico, di cui venni sapere grazie ad un post di Carlo Columba. Che cos’è che non va? (pdf) si domandava l’autore, riflettendo sull’esame di una studentessa brava ma incapace di trovare alcun nesso fra la teoria che sa così bene e la realtà cui questa si riferisce:
Perché questa ragazza, che non è stupida, ma che trova tanto difficile descrivere un condensatore, una volta messa sul binario delle formule corre come una locomotiva? Sono sicuro che era in buona fede quando, avendo scritto E=Ri, sosteneva di conoscere la legge di Ohm, ma perché poi non ha saputo calcolare la corrente in quella tale lampadina? E perché non trovava nulla di strano nell’inverosimile risultato? E quello sgorbio informe che era stata la stentata risposta alla richiesta di disegnare un elettroscopio a foglie, era proprio dovuto a inesperienza del disegno, come lei sosteneva, o a mancanza di qualsiasi immagine mentale dell’oggetto da disegnare?
La conclusione dell’articolo pare proiettata nel futuro:
È colpa dei programmi e del famoso abbinamento
1? O dipende dal fatto che la matematica accompagna il ragazzo ininterrottamente dalle elementari alla Università, mentre, dopo le elementari, non si parla più di fatti fisici fino agli ultimi due anni di Liceo? È colpa degli insegnanti? O degli insegnanti degli insegnanti? Queste e tante altre possono essere le ragioni, e vorremmo che voi ci scriveste il vostro pensiero in proposito. Diteci, per favore, che cos’è che non va?
Che avrebbe pensato Enrico Persico se avesse letto delle perplessità di Eric Mazur, quando dopo aver proposto un test simile, una studentessa si alza e domanda:
Come devo rispondere a queste domande – nel modo che lei ci ha insegnato o come io penso usualmente a queste cose?
Mazur discute una delle domande poste nel test con gli studenti, spiega il concetto due volte, niente. Poi, una proposta che non aveva mai fatto:
Perché non ne discutete fra voi?
Tre minuti di caos, poi gli studenti fanno:
Ok, andiamo avanti…
Eric Mazur si appassiona. Nasce l’Interactive learning, dove l’insegnante sfrutta l’interazione fra gli studenti per facilitare l’apprendimento. Pare che imparino tre volte di più, che si attenui la quasi totale dimenticanza degli argomenti dell’esame precedente, che le ragazze colmino rapidamente il gap nei confronti dei ragazzi nelle materie tecniche.
Vi ricorda qualcosa tutto questo?
[1] Si riferiva all’abbinamento delle cattedre di matematica e fisica per l’insegnamento nei licei.
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