Capita che un tuo studente centri il senso profondo di ciò che non avevi osato dire esplicitamente: le cose importanti meglio lasciarle sottintese onde non vadano diluite nel troppo detto — il mal d’Accademia, il troppo detto. È vero, si rischia che vadano perse lo stesso perché non intese affatto, ma se saranno colte persisteranno nella memoria.
Perché la scommessa di questo laboratorio, inaugurato sei anni fa, fu proprio questa: fermare il tempo, per riflettere, per costruire qualcosa di proprio in modi mai provati prima. Un’idea di laboratorio che fosse un laboratorio vero, dove scoprire il valore dell’errore, della collaborazione, della molteplicità dei modi per giungere alla soluzione. Un’idea di laboratorio fuori dalla dicotomia presenza-online. Un’idea di valutazione vera, profonda, accurata. E un’idea di rispetto dell’altro, dei suoi modi e dei suoi tempi.
Dal diario di Erika Vannacci, studentessa di Scienze della Formazione Primaria 2022/23:
Qualche giorno fa una persona che sta scrivendo un progetto per bambini in contesti svantaggiati mi ha chiesto cosa pensassi del valore formativo di Lego. Da principio mi è parsa una domanda facile. Sono sicuro che per me è stato utilissimo. I miei avevano trovato casa vicino al lavoro, in aperta campagna. Dalla finestra di camera mia vedevo passare il treno a vapore e il contadino lavorava la terra con buoi. Bambini nei pressi non ce n’erano e l’asilo non sapevo cosa fosse. Nipote di zappatori maremmani emigrati a Firenze ma figlio del dottore, avevo il Lego e il Meccano. Passavo le giornate a costruire, disfare e ricostruire. Centinaia di volte. Di certo quel lavoro forsennato non può non avere inciso sulle mie capacità di problem solving.
Domani parteciperò alla LibreItalia Conference 2022 — Auditorium Margherita Hack, Via Magolo, 32 Empoli (FI). Darò un piccolo contributo intitolato Importanza del Free and Open Source Software (FOSS) per l’istruzione.
È l’occasione per testimoniare l’enorme debito che ho contratto con il mondo del software libero, in particolare con quello di LibreOffice, durante un’attività di insegnamento che si protrae da ormai più di vent’anni.
Non so di preciso, ma ho avuto più di 10’000 studenti, in svariati corsi laurea, di informatica, medicina e scienze della formazione. Ebbene, chi lavora con me deve usare LibreOffice, fino all’esame. Dopo farà quello che vuole.
Perché debito? Perché l’impiego del software libero è uno dei modi più concreti che ho a disposizione per onorare il mandato dell’articolo 34 della Costituzione:
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso
Sia facendo usare il software libero ai miei studenti che insegnando loro a farlo usare ai propri allievi quando insegnano. Sì, perché da oltre un lustro insegno soprattutto alle future maestre e ai futuri maestri dei nostri bambini, ovvero a coloro che hanno uno dei compiti più importanti di una società civile.
Costoro devono imparare a programmare la Tartaruga di Seymour Papert, che si cela fra i tanti tesori di LibreOffice e devono imparare i rudimenti della Turtle Geometry (H. Abelson & A. Di Sessa, MIT, 1986). Tutto questo grazie all’idea geniale di un informatico ungherese, László Németh, di creare disegni con la tartaruga sotto forma di grafiche nei documenti prodotti con Writer. E possono fare questo solo con LibreOffice.
Così, oltre a dare un senso molto più profondo a concetti abusati come coding o pensiero computazionale, gli studenti imparano le implicazioni etiche e politiche dell’impiego del software libero nella scuola. Qualcosa di molto diverso dal distribuire tablet nelle classi, anche se regalati in quelle che sono di fatto mere operazioni di colonizzazione commerciale.
Democrazia, Costituzione, diritto allo studio sono le parole chiave. Ma anche software libero e internet. Entità concatenate in un contesto globalizzato e libero. Materia di riflessione.
Ho trovato interessante come la percezione che abbiamo della tecnologia influenzi la nostra esperienza con essa. Ovviamente se si prova diffidenza verso la tecnologia, oppure ne siamo spaventati perché non siamo sicuri di come usarla, non sarà un’esperienza piacevole utilizzarla. Quello che mi ha più colpito, però, è come tramite Logo sia possibile arrivare ad una conoscenza migliore di sé finendo per amarsi di più.
I momenti che preferisco in un corso sono quelli che precedono l’inizio, quando non conosci ancora nessuno ma sai che da qualche parte c’è un’entità viva e vibrante, che ti aspetta e si aspetta qualcosa da te. Ho sempre cercato di inviare dei messaggi di accoglienza in questi momenti di sospensione, nei vari modi possibili a seconda dei contesti. Come quando si getta l’amo per la prima volta in un nuovo specchio d’acqua, l’incertezza è pari alla speranza e per me questo è un momento esilarante.
Sono entrato all’università di Firenze nel ’74, come studente, e ne esco oggi. Inevitabile pensare all’inizio. La fisica mi piaceva e anche la fisica nucleare ma non la vita che vedevo fare ai miei professori. Anche perché pensavo di non essere abbastanza bravo per spendere la vita in un laboratorio, distante anni luce dalla vita delle persone fuori dell’università. Volevo sentirmi utile, in modo più diretto, ma ero molto confuso. Finché verso ventun anni scoprii che c’era una cosa che si chiama medicina nucleare. Dopo essermi informato un po’ pensai che in un ospedale avevo forse più possibilità di fare qualcosa che servisse a qualcuno.
Quello dell’invasione russa dell’Ucraina è un tema che mi coinvolge e mi atterrisce al punto di non riuscire a rielaborare adeguatamente la massa di informazioni che sto assorbendo. Chissà se un giorno riuscirò a spiegarmi, per ora mi nascondo dietro l’alibi del poco tempo disponibile. Tuttavia, malgrado la deriva del pensiero debole in atto — che non risparmia nemmeno diversi “intellettuali” — ci sono persone pensanti e intellettualmente oneste in grado di accedere a fonti adeguate che riescono ad esprimersi.
Propongo ad esempio questa rilettura di Boldrin e De Blasi del recente appello di un gruppo di intellettuali (appunto) per la pace in Ucraina o, sarebbe meglio dire, per la resa dell’Ucraina.