Alla ricerca della verità


Dove, turbati dalla frequente e comprensibile emersione dell’ansia sull’affidabilità delle fonti in Internet, ci troviamo a riflettere su cosa voglia dire autorevole, affidabile e infine, ohinoi, vero. Editing Multimediale? ma come si fa a editare, a lavorare in un mondo che ci incute timore e ci rende insicuri! Non possiamo non soffermarci su un tema così importante. E gnacche ai compiti …


Prendo le mosse da uno dei vostri commenti, precisamente da questo di Alessandra:


A proposito di informazioni affidabili andando “alla ricerca della verità”, trovo che uno dei problemi più rilevanti in questo campo lo offra il fenomeno della deissi. Una delle prime cose che mi chiedo quando devo utilizzare un’informazione è se è sufficientemente aggiornata…

Parto da qui per via del fatto interessante che io non sapevo il significato della parola deissi. Sono un fautore della ricchezza e del carattere rivoluzionario del cyberspazio ma sono al tempo stesso sommerso di libri e di ausili tradizionali per la scrittura, cosciente della mia ignoranza. Ecco allora, in questa foto, frettolosamente ammucchiati i dizionari e le grammatiche che di solito si trovano sparpagliati nel mio studio. Acciuffo quindi il Devoto-Oli per cercare Deissi: … deiscènza, deismo, deista, deità, de iure … non c’è! Provo quindi il Dizionario Etimologico Italiano (Battisti-Alessio): …deiscere, deismo, deità, de iure, délabré … niente! Vado in Google, in 0.19 secondi mi ritrovo in Wikipedia: Eccola! Mi potrò fidare?! Leggo, il testo mi pare buono. In fondo ci sono le fonti:

  • Voce nel vocabolario Treccani
  • Parti delle fonti da cui è ricavata l’etimologia sono dedotte anche da un vocabolario Zingarelli
  • Voce nel dizionario etimologico redatto da Pianigiani presente nel web
  • Voce nel vocabolario Treccani
  • Ricavato dal vocabolario zingarelli

Mi posso fidare? Penso di sì. Peccato che io sia in possesso, evidentemente, dei testi sbagliati, o diciamo insufficienti. Ma siamo sicuri che non possa magari accadere l’inverso? Ecco, per esempio, da donne e uomini come Pietro, portatori di una cultura che per me è fondamentale, ho spesso udito parole ormai sconosciute ma che sono sopravvissute nel parlato di questa gente, i cui pochi superstiti, allignano in luoghi defilati, completamente ignorati dal vuoto frastuono del mondo. Ebbene, io amo molto il Devoto-Oli perché me le fa trovare tutte, queste curiose parole. Mi fece Pietro un giorno – Andrea, vedi se tu scoscendi codeste frasche, prima di tirare innanzi – Intuii ma la sera andai a vedere: scoscéndere2. Tr. Fendere o spaccare violentemente: Fronda che trono scoscende (Dante). Bene, diamo questo verso in pasto a Google, 0.21 secondi:

Già eran li occhi miei rifissi al volto
della mia donna, e l’animo con essi,
e da ogni altro intento s’era tolto.
E quella non ridea; ma – S’io ridessi, –
mi cominciò – tu ti faresti quale
fu Semelè quando di cener fessi;
ché la bellezza mia, che per le scale
dell’etterno palazzo piú s’accende,
com’hai veduto, quanto piú si sale,
se non si temperasse, tanto splende,
che ‘l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.

La verità. L’affidabilità. La completezza. Dove tutto questo? Sapete cosa? Mi tengo il De voto-Oli, e anche Wikipedia. E poi anche il mio giudizio, perché a dire il vero, la spiegazione trovata in Wikipedia m’era tornata subito poiché dava completamente senso alla frase di Alessandra …

come fare a sapere che una cosa è attendibileil problema dell’autorevolezza e dell’affidabilità delle fonti … Facciamo un passo indietro, lasciando stare Internet.

Autorevole. Perché invocare l’autorevolezza? Forse, in un certo senso, per semplificarsi la vita. Ci si può fidare di un’informazione proveniente da una fonte autorevole, e prendersi la briga di verificarla è superfluo. L’autorevolezza della fonte fa risparmiare lavoro, a volte pensiero. E potersi fidare? Verificare? Cosa vuol dire? Vuol dire ritenere che le informazioni possano essere vere o false. Vuol dire credere nell’esistenza del vero, della verità. E con questo siamo finiti in un terreno scivolosissimo, sul quale i filosofi moderni e contemporanei tutto sono all’infuori che concordi. E in quelle arene speciali, il concetto di verità non se la passa per niente bene, a ragione dico io, ma questa è solo un’opinione personale. Ben lungi dall’essere un padrone grave e severo, la verità è un servitore docile e ubbidiente … conoscere, non può avere a che fare esclusivamente, e neppure principalmente, con la determinazione di ciò che è vero … – di rasoiate del genere potrei riempire un singolo post, anche solamente attingendo a Vedere e costruire il mondo, di Nelson Goodman (Laterza, 2008). Senza voler prender un partito o l’altro, se pensatori eminenti si stanno ancora interrogando su un tema del genere, la questione dell’affidabilità delle fonti in Internet è quasi un problema risibile, in confronto.

L’ho presa troppo ariosa? Torniamo sul concreto, sui fatti quotidiani per esempio, dei quali la stampa ci riempie la testa ogni giorno. Cosa c’è di più adatto se non i crudi fatti della cronaca, gli accadimenti tali e quali? Ebbene, ma dov’è la verità fra i diecimila che avrebbero riempito una certa piazza secondo gli uni e i centomila secondo gli altri? Dov’è la verità fra le opinioni diametralmente opposte che qualsiasi rassegna stampa ci sciorina sui fatti del giorno precedente? Qual è il giornale più autorevole? Forse quello che ciascuno di noi preferisce, ma se così è, non si tratta di una ricerca di verità bensì una ricerca di conforto, una verifica di appartenenza, tutta un’altra cosa rispetto alla verità. E a complicar le cose, aggiungo che se è vero che i fatti son fatti è altrettanto vero che i padroni son padroni e per raccontare bene i fatti bisogna esser liberi e non all’ombra di qualcuno o qualcosa. E non è per nulla una novità o una degenerazione dei tempi moderni, questa, se già Balzac aveva dubbi di questo genere, descrivendo la spregiudicata carriera giornalistica di Lucien de Rubempré, nel suo Illusioni perdute.

Siamo forse scesi troppo terra terra, con le cronache? Allora saliamo un po’, parliamo di cose serie, parliamo di economia. Che c’è di più importante dell’economia oggi? Le sorti del mondo dipendono dai grandi giochi economici, dai grandi teorici dell’economia, dai premi Nobel, dai grandi statisti, dai grandi manager, dai grandi manovratori, manifesti e occulti, chissà come saranno questi ultimi … Ma voi, da chi ve la fareste raccontare la situazione attuale, potendo scegliere uno fra tutti questi autorevolissimi personaggi? A chi di loro affidereste a cuor leggero qualche vostro piccolo sudato risparmio? Di chi vi fidereste? Mi sovviene in questo preciso momento un libro che lessi qualche anno fa, Alla ricerca della stupidità scritto da un manager di successo della Information Technology, Merril R. Chapman (Mondandori, 2004). Un manager e consulente ai massimi livelli dell’industria informatica degli anni 80-90, che traccia un quadro impietoso di numerosi e incredibili fallimenti collezionati dai più famosi manager dell’high tech, il settore trainante dell’economia. In sostanza, la tesi del libro è la seguente: il panorama industriale e economico odierno è talmente complesso che il buon manager non si giudica dal maggior numero di successi bensì dal minor numero di errori.

Ma allora, esisterà pure una parte di mondo dove la verità c’è e si vede? Sarà pur appoggiato su qualcosa questo nostro mondo? Vi saranno pur delle fondamenta? Ah, forse eravamo partiti dalla parte sbagliata. Perché non averci pensato prima? Ma è la scienza il regno della verità! La scienza e la sua ancella la tecnologia! Perbacco, per far funzionare una macchina si deve costruir sul solido, chi lo negherebbe? Ci deve essere un substrato di verità sotto alla fabbricazione di uno di questi straordinari tablet, che ci manca poco che facciano anche il caffè! E signori, 42 anni fa l’uomo è sbarcato sulla luna, queste non sono barzellette. La tecnologia è scienza applicata e la scienza è la cattedrale della verità.

Ah attenzione! Qui occorre andar cauti, rallentare, quasi fermarsi, per non prendere una sonora cantonata. Fermiamoci un poco, in questa meravigliosa cattedrale. Fermiamoci a osservarne un qualche particolare, non importa quale, perché il cemento che la tiene insieme è tutto il solito. Sì, è tutto il solito ma non è la verità, così come la si intende comunemente. La verità in positivo, scolpita, indeformabile, tetragona agli insulti delle contingenze. La verità che con il suo involucro impermeabile custodisce i contenuti, sì proprio quelli, proprio quelli che versiamo in gran copia nelle testoline dei nostri cuccioli.

Della vuotezza della nozione di contenuto puro disquisisce Nelson Goodman. Come? E quell’involucro impermeabile allora? Cosa protegge? Nulla. Assolutamente nulla. Ha ragione Goodman, perché lo scienziato, quello vero, non cerca mai quella verità assoluta che ci sembra così consolante. Non la cerca mai perché sa benissimo che non esiste. Con questo la sua ricerca, pur faticosissima, porta spesso a clamorosi successi, i successi che il progresso moderno documenta oggi in una miriade di modi e in una grande varietà di campi. Ma la sua ricerca non è di una verità in positivo bensì di una verità in negativo. Un po’ come l’idea di Michelangelo …

Si come per levar, donna, si pone
in pietra alpestra e dura
una viva figura,
che là più cresce u’ la pietra scema;

(Michelangelo Gedichte, Insel Verlag, 1992)

E che leva lo scienziato? Gli errori. O meglio, le ipotesi sbagliate e, in generale, tutti gli errori possibili immaginabili. Un mare di errori. Mi disse un anziano scienziato di fama internazionale, a proposito del suo lavoro – Mah, a essere sincero, di idee veramente azzeccate ne avrò avute due, forse tre.” La verità, alla quale lo scienziato sempre anela ma che non raggiunge mai, è una verità in negativo, è ciò che rimane al netto di tutti i pensieri e i tentativi che non si sono accordati alle risposte della natura, unico giudice del suo operato. Una nuova teoria non sconfessa mai quella precedente, che ha funzionato in innumerevoli esperimenti, bensì la modula, la varia in maniera che la nuova verità emerga al netto degli ultimi errori. Magari questi ultimi errori sono piccini, visibili solo con strumenti di precisione mirabile, e può anche essere che tale nuova verità, disegnata da una nuova e più complessa teoria, risulti poi indistinguibile dalla verità precedente, disegnata dalla vecchia teoria, ma ancora perfettamente valida per numerose applicazioni. Questo vale per esempio nel caso dei viaggi sulla luna, o del lancio dei satelliti, che possono essere calcolati con la teoria della gravitazione di Newton, senza aver bisogno di ricorrere a quella più ampia, che spiega altri fenomeni, la teoria della relatività generale di Einstein. La teoria di Einstein non ha negato la teoria di Newton, non ha dimostrato che quest’ultima era sbagliata.

Smentita la teoria di Einstein suonavano i titoli di alcuni giornali, in occasione di quell’esperimento sulle proprietà dei neutrini, del quale il nostro Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (non l’attuale) lasciò intendere ai cittadini che tali neutrini avevano viaggiato in un tunnel fra Ginevra e il Gran Sasso! Si diceva l’autorevolezza … Ma non dobbiamo infierire dove è sin troppo facile farlo. Piuttosto, riflettiamo un attimo, dopo avere adeguatamente metabolizzato quest’idea debole e delicata di verità, e quindi se vogliamo ancor più bella e desiderabile, per provare a soddisfare una curiosità inevitabile: ci sarà un punto, un fronte, una regione dove questa preziosa e fragile entità, sostenibile solo con amorose cure, perfonde il resto del mondo, inevitabilmente, il mondo delle cose di tutti i giorni, il mondo delle persone, dei popoli, delle industrie, il mondo economico. Il mondo dove non è facile immaginare la libera circolazione dei frutti di tale verità. Sì certo, esiste una regione del genere, ed è quella della letteratura scientifica, quella ufficiale, quella dove si pubblicano solo articoli che rispondono a requisiti minimi di rigore, completezza di descrizione, qualità della descrizione, originalità, significatività e riproducibilità dei risultati. Una letteratura dove per pubblicare un lavoro occorre sottoporlo al processo di revisione fra pari, di peer-reviewing. Le riviste scientifiche serie, prima di pubblicare un articolo, lo inviano ad almeno due revisori esperti nella materia i quali, rimanendo anonimi, esprimono un parere tecnico sulla validità del lavoro proposto. L’editore della rivista, in base a questi pareri, decide se pubblicare senz’altro il lavoro (questo sulle riviste importanti accade piuttosto raramente), se subordinare la pubblicazione alla scrittura di una seconda revisione con tutta una serie di variazioni proposte dai revisori o se rifiutare tout court il lavoro. Si tratta di un processo spesso lungo e defatigante; non è raro che dalla prima spedizione di un articolo alla pubblicazione abbiano luogo più revisioni e che occorrano molti mesi od anche più di un anno.

Purtroppo, malgrado questo meccanismo, apparentemente ineccepibile, i frutti di quella verità debole che dicevamo prima, non circolano per niente bene. Per farsene un’idea, riporto qui un brano preso da un post di una serie che ho scritto per gli studenti di medicina sul tema della letteratura scientifica biomedica.

Vediamo ora due importanti problemi che affliggono la ricerca biomedica. Il primo dipende dal volume della letteratura e dal ritmo con cui questa va crescendo. Il problema è che volume e velocità di crescita mettono in crisi il processo di peer reviewing. Finisce che i revisori son costretti a fare il loro lavoro troppo velocemente. Per fare una buona revisione occorre tempo e avere il polso della situazione. Io ho iniziato a rifiutare di fare revisioni ogni volta che mi sono allontanato da una certa disciplina, cosciente che non avrei più avuto il tempo di seguire il corso di quella specifica letteratura. I revisori sono a loro volta ricercatori e sono quindi anche loro sottoposti ad una elevatissima competitività che concede loro poco tempo. Nel giudicare un lavoro si tende quindi a privilegiare fattori che da soli non sarebbero sufficienti a valutare adeguatamente un lavoro, quali il prestigio già acquisito dagli autori, dei quali si tende a fidarsi di più. Inoltre, maggiore è il tuo medesimo prestigio è più facile sarà che ti vengano richieste revisioni. Non ce la farai a seguirle tutte ma non potrai rifiutare, perché non ti conviene. Succede che appalti le revisioni a membri del tuo staff, ma questi saranno più giovani e quindi più timorosi di dire sciocchezze: meglio tendere a valutare positivamente il lavoro del gruppo famoso, di caratura internazionale, piuttosto che quello di un giovane autore emergente. Ne consegue una grave minaccia per la creatività e per l’emergenza di soluzioni realmente innovative, a favore di filoni che rappresentano il mainstream. Ecco che così un sistema nato per creare la massima selezione del nuovo finisce con il deprimerlo. Questa è una delle contraddizioni tipiche del mondo ipercomplesso.

Prevengo subito l’obiezione banale: ah ma allora tu sei contro il sistema tradizionale di produzione della letteratura scientifica. No, assolutamente, ma i problemi quando compaiono vanno riconosciuti e affrontati.

L’altro grande problema, che affligge in modo particolare la ricerca biomedica, è quello del conflitto di interessi. La situazione sin qui descritta è quella classica nella quale il maggiore artefice della ricerca scientifica è stato il mondo accademico delle università e degli istituti di ricerca. Con il passare degli anni sono aumentate moltissimo le interazioni con il mondo industriale che impiega le tecnologie derivate dalla conoscenza scientifica. Generalmente questo tipo di interazioni è visto come un bene in quanto le sperimentazioni moderne sono sempre più onerose per i finanziamenti pubblici e quindi un apporto economico da parte delle industrie non poteva non costituire un elemento di grande interesse. È qui tuttavia che nasce il problema del conflitto di interessi. La partecipazione industriale – segnatamente di case farmaceutiche in questo contesto – è giunta a costituire la parte del leone nel finanziamento della sperimentazione clinica. Poiché il risultato di una ricerca può avere conseguenze massicce sugli esiti di vendita di un farmaco o su di una certa prassi clinica, emerge il problema dell’effettiva indipendenza dei ricercatori dalle organizzazioni che finanziano le loro ricerche. In effetti non si può non porre il problema di quanto un’industria farmacologica sia disposta a finanziare una costosa sperimentazione clinica i cui risultati possano influire in modo pesantemente negativo sulla vendita di un proprio prodotto.

La verità è quindi delicatissima e laddove il grande pubblico, anche degli operatori del settore, tenta di accedervi, questa è diluita, contaminata, talvolta irrimediabilmente inquinata. Eppure si va avanti, sì, senza dubbio, ma in maniera molto molto complicata, con sprechi enormi, con un procedere che è molto più un faticosissimo e tortuoso arrancare.

E in tutto questo discorso, per ora, di internet non s’è visto nemmeno l’ombra.

I signori della scarsità

Conoscete la lettera aperta indirizzata da 33 premi Nobel al Congresso Americano? Quella dove si affermava l’importanza del’accesso libero alla letteratura scientifica? Se non la conoscete potete andare a leggerla in un post che avevo scritto sul tema dell’open access. Recentemente è apparso un articolo sul Guardian, firmato da George Monbiot, intitolato A confronto degli editori accademici Murdoch sembra un socialista. Un articolo perfetto per chiosare la serie dei post sulla letteratura scientifica (assignment 6 per gli studenti di medicina). Un articolo che si collega anche molto bene al post sulla ricostruzione della blogoclasse, dove scrivevo:

Ora che principio ad avere le idee chiare sulle possibilità del metodo della blogoclasse, dei contesti nei quali esso funziona più o meno bene, inizia ad avere senso l’investimento di maggior tempo nella definizione accurata dei suoi componenti, e ciò comporta, a sua volta, la necessità di costruirseli da se. Fortunatamente, con il software questo si può fare e non solo, si può anche andare oltre il mero aspetto della performance tecnologica, si può anche fare una scelta di campo di natura ideologica, se non filosofica, grazie all’esistenza del software libero, o più generalmente e più correttamente, di una cultura del libero scambio dei prodotti dell’ingegno, una messe ricchissima che abbonda nell’umanità e che tante forze economiche vorrebbero ridurre in regime di scarsità.

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Daily: una storia – inutile istruzione – censura

Sociogramma 26 aprile 2011. I nodi rossi sono studenti di medicina, i nodi blu cyberstudenti, il nodo celeste è il docente. Una linea che congiunge due nodi significa che almeno uno dei due ha fatto almeno un commento ad un post dell’altro.
Sociogramma 26 aprile 2011. I nodi rossi sono studenti di medicina, i nodi blu cyberstudenti, il nodo celeste è il docente. Una linea che congiunge due nodi significa che almeno uno dei due ha fatto almeno un commento ad un post dell’altro.

Riunisco in questo Daily tre diversi argomenti che possono sembrare diversi, ma che sono uniti da un filo tanto sottile quanto importante.
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Assignment 6: letteratura scientifica 1

Immagine della lavagna con su scritto "Letteratura scientifica 1"Ciambello e Littlechemistry hanno fatto funzionare un motore con carburante fatto in casa. Ciambello è un cyber-studente di questa blogoclasse, Littlechemistry un suo compagno di classe, vera classe, di superiori suppongo. E ci deve avere messo lo zampino un altro punto blu, il loro professore di scienze, che in futuro forse loro ricorderanno come io ho ricordato il mio.

Ciambello, nel suo ultimo post, ci racconta del progetto Fuel@Home, che hanno portato al concorso Google Science Fair.
Leggiamone insieme la descrizione che riporto qui, e guardiamo l’ottimo video che hanno preparato …

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