Scrivo due righe sugli ebook, perché il tema è emerso spontaneamente nella blogoclasse, per esempio con l’estesa disanima delle fonti fatta da Gaetano in occasione dell’ultimo incontro online, oppure con il divertente post segnalato da Alessandra. Ma scrivo terra terra, esclusivamente della mia esperienza pratica con gli strumenti che ruotano intorno all’idea di libro, o poco più. Non scrivo di ebook a scuola, perché mi esprimerei per sentito dire e per ipotesi. Dico solo che mi fanno paura i tanti squali che ruotano intorno ad alcuni ghiotti bocconi, in una scuola che avrebbe bisogno di altri rinnovamenti prima di quelli tecnologici, magari contestuali, non certo successivi.
I lettori di ebook sono un pezzo di tecnologia fantastica. Non tanto perchè scimmiottino sempre meglio il libro, ma perchè consentono nuove possibilità di accesso ad alcuni tipi di testo, in senso generale, e non solo. L’equazione libro=ebook è restrittiva, direi quasi sterile, anche perché le varie realizzazioni, via via escogitate dalle nuove rampanti corporation, si rivelano alquanto deludenti, preoccupanti e quindi insopportabili, tutte tese a fidelizzare la maggior quantità di consumatori possibile, avvalendosi di vari accorgimenti che la natura digitale dell’informazione rende possibile, genericamente noti sotto il nome di Digital Right Mangement (DRM).
Insomma, libri o ebook, tutte magnifiche tecnologie, più o meno nuove, con i rispettivi pro e contro. Ogni volta che ne appare una nuova dovremmo esplorarne gli impieghi, magari scoprendone alcuni del tutto imprevisti, e cercando di non spaccare il mondo in due.
Ho parlato subito di lettori di ebook e non di ebook, non a caso. Senza un lettore, l’ebook è una mera digitalizzazione, un file codificato in PDF, o in qualche altro formato. Ma se tutto si deve ridurre a leggere sul computer, cosa scomodissima e inefficiente, c’è ben poco di nuovo. La differenza la fanno i nuovi attrezzi, altamente portatili, immediati nell’uso e capaci di accedere al cyberspazio con canali e prestazioni ottimizzati per la fruizione di testi molto lunghi, come sono i libri appunto.
Scendiamo subito nella pratica. Ho acquistato, a suo tempo, un iPad e un Kindle. L’ho fatto perchè per il mestiere che svolgo devo cercare di sapere cosa siano e per capire cosa siano devo usarli. Orbene, questi due oggetti sono degli straordinari pezzi di tecnologia, con delle possibilità smisurate ma con alcuni gravissimi difetti, dovuti alla commercializzazione congegnata in modo da chiudere gli utenti in un recinto, togliendo loro la libertà. Di alcune caratteristiche di questi due oggetti avevo discusso a caldo, dopo poco tempo che avevo iniziato ad usarli, in un post scritto nel settembre 2010. Con l’impiego ho iniziato a capire meglio la logica di marketing di Apple e Amazon e mi sono fatto un quadro più articolato e a tratti più fosco. Questo post corregge quindi il tiro di quello vecchio. Era una cosa che dovevo fare da tempo, questa è l’occasione buona.
In realtà ho acquistato pochissimi libri tramite Kindle o Apple, tre o quattro, all’epoca in cui scrissi quel post. Non ho smesso di acquistarne perché i libri si leggano male su tali apparecchi, anzi. Io trovo che si leggano benissimo. Talvolta leggo più volentieri sul lettore digitale, altre preferisco il libro, dipende dalle circostanze e dal tipo di testo. La possibilità di ricercare frammenti di testo in modo istantaneo può essere una manna in certe occasioni, per esempio cosultando un manuale. Non è dunque per questi motivi che non ho continuato ad acquistare ebook, bensì perché a fronte di un costo più o meno simile, questi mi impediscono di disporre dell’acquisto come se fosse un libro, a causa dei vincoli che i produttori vi fabbricano sopra. E in effetti, in quei tre o quattro casi, non ho certo comprato classici, ma solo alcuni libri tecnici, quelli che una volta letti e usati per un periodo relativamente breve, diventano solo un ingombro. Finché le cose stanno così, io compro libri, li ricevo dagli amici, li regalo.
Il Kindle conseguentemente è finito in un angolo, e nel mio caso, i residui spazi del nuovo se li è mangiati quasi tutti l’Ipad, per ora. Poi, chissà … Vediamo quindi per cosa uso l’iPad.
- Leggo molto con l’iPad, ma non propriamente libri, bensì tutte quelle cose che capita di leggere ad uno che lavora nel terziario, ovvero montagne di carta: relazioni, prospetti, documenti vari, soprattutto quando sono lunghi, per esempio tesi di laurea. Le tesi di laurea, che rappresentano un tipico inutile spreco di carta, si leggono benissimo con l’iPad.
- Poi lo uso per leggere alcuni quotidiani. È molto utile quando non si ha la possibilità di andare a acquistare il giornale che si vuole leggere, o che non è facilmente disponibile, come per esempio un giornale estero. Alcune testate offrono il giornale attraverso un’applicazione apposita per iPad, cosiddetta app. Io leggo egualmente bene il giornale di carta come la versione digitale. In certe situazioni è molto più comoda la versione digitale, per esempio puoi leggerla a letto senza farti venire i crampi alle braccia e senza svegliare chi dorme con te. Costa anche meno, in certi casi la metà, più o meno. Se hai sentito la rassegna stampa del mattino e vuoi leggere tre o quattro articoli su quotidiani diversi, invece di andare all’edicola e tornartene con un pacco di carta mostruoso – anche i quotidiani sono logorroici oggi – schiaffi tutto sull’iPad e poi fai svanire tutto come e quando vuoi.
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Per mesi ho usato solo l’iPad per scrivere testi. Sembra strano ma con un leggerissima tastiera Bluetooth l’iPad diventa un formidabile attrezzo per scrivere. Usavo – in questo periodo vivo abbarbicato al laptop con Linux – una web applicazione libera, My Writing Spot, che offre un sistema di scrittura minimale, accessibile da qualsiasi browser o con app per iPad, iPhone e Android. Quindi via via che scrivi su iPad, di tanto in tanto spari in un’email al tuo indirizzo il testo, del quale nel computer puoi fare quello che vuoi. L’autore di questo sistema è uno scrittore che si è costruito l’applicazione che aveva sempre desiderato, e già che c’era l’ha resa disponibile a tutti: bravo. La descrive così:
My Writing Spot gira nella Google’s App Engine infrastructure, e questo vi garantisce che il sistema sia sicuro e protetto. I vostri dati non vanno a giro e sono giusto vostri – nessuno vi può accedere. E per mettervi ancora di più l’animo in pace, potete fare backup dei vostri documenti scaricandoli sul vostro disco rigido, o spedendone una copia al vostro indirizzo email.
- L’iPad mi serve poi come sistema di riserva per accedere a internet, quando mi assento per periodi di una certa lunghezza. Normalmente lavoro con il laptop con Linux, tuttavia, se dovesse succedere qualcosa al computer, avendo l’iPad dietro, ho buone probabilità di cavarmela. Non male come ruota di scorta. Oppure, se non voglio stare ad accendere il computer per dare un’occhiata alla posta elettronica, allora uso l’iPad.
- Lo utilizzo come dizionario, per le lingue che balbetto. Ottimo, ma con le riserve che dico dopo.
- Ogni tanto ci provo le app che mi incuriosiscono, se sono gratis – non free alla Stallman, giusto gratis … – ma quasi sempre per breve tempo, per via delle solite riserve che dico dopo.
- Ma insomma, e gli ebook, a parte i documenti di cui si diceva sopra? Niente, sugli splendidi scaffali di legno dell’app iBooks nel mio iPad c’è solo Winnie-the-Pooh, che l’Apple ti fa trovare quando compri l’iPad. Sì lo so che ci sono tanti ebook scaricabili liberamente, ma non so perché, quello che cerco io non c’è mai…
Passiamo allora alle ombre.
Le app offrono tipicamente tutta una serie di funzionalità aggiuntive, corredate di solito da grafiche molto attraenti. Le app di lettura dei quotidiani per esempio offrono la possibilità di memorizzare gli articoli preferiti, magari assegnando loro dei tag, come si fa per esempio in sistemi di bookmarking e tagging come Delicious. Sono caratteristiche attraenti e anche utili.
Ma sono un pacco, perché non è roba che puoi controllare completamente. È roba che hai comprato ma, se ci lavori per davvero, ciò che produci ti può sparire da un giorno all’altro, per esempio a causa di un semplice cambio di revisione. A me è successo con l’app Oxford Dictionary of English. Comodissima e come al solito, molto cool. Puoi taggare, puoi condividere, inviare per email, twittare, FB-are eccetera. Ma un bel giorno, non ricordo più se per un aggiornamento dell’app medesima o dell’intero sistema IOS, mi sono perso tuti i bookmark e tutti i tag, che io avevo iniziato a prendere sul serio. E questo mi è successo con varie altre app che ho sperimentato.
Non mi scandalizza certo l’episiodio in sé, seppur irritante, perché gli incidenti sono all’ordine del giorno quando si lavora con informazione digitalizzata, intrinsecamente volatile. Quello che è insostenibile è piuttosto il fatto che con le app non puoi mettere in atto una qualche strategia di prevenzione, tipo un backup su qualche altro supporto. Ogni app appare isolata dalle altre e gli eventuali dati che hai prodotto rimangono chiusi nell’app, come se tutto fosse in un’unica scatola. E se per esempio vuoi cancellare per qualche motivo l’app, attento: con essa se ne vanno anche i dati!
La gestione dei dati infatti è strettamente associata alle app, e i dati possono viaggiare da una app all’altra solo se queste lo prevedono. Per esempio, se con l’app di mail, ricevo un documento PDF allegato ad un’email, allora compaiono i comandi per indirizzare l’allegato solo a certe altre app abilitate a gestire i PDF, se ce ne sono. Altrimenti, il documento si può vedere solo con il visualizzatore interno dell’app di mail … che magari non funziona proprio con tutti i PDF possibili, e se non funziona, pace all’anima tua. In altre parole, siamo all’estremo opposto di quel mondo del quale abbiamo cercato di grattare la superficie in questo (per)corso, dove i dati sono roba nostra che ci possiamo scambiare con standard universali (XML), dove possiamo intervenire nella rappresentazione delle pagine, a vari livelli, con HTML, eccetera. Esattamente all’altro estremo.
Non solo, voi penserete – Ho comprato questo software che ora è mio e lo uso come mi pare! – E invece no, con queste nuove tecniche di distribuzione del software, voi più che acquistare un programma, avete fatto una specie di contratto con il venditore, perché lui può ficcare il naso nella vostra macchina e nei vostri dati. Se lo ritenesse importante, potrebbe soffiarvi i dati, per esempio un ebook comprato in modo apparentemente scorretto, oppure un’intera app, per esempio per motivi di strategia industriale, oppure politici.
Questi apparecchi sono veramente fantastici e hanno potenzialità affascinanti, ma sono commercializzati con strategie finalizzate al profitto di singoli attori privati che rischiano di ledere gravemente la libertà degli individui.
Chiudo ritornando un’attimo sul tema dell’ebook a scuola, rifacendomi al commento di Claude: come fai ad adottare un ebook digitale se i tuoi studenti hanno tutti lettori diversi? Ma peggio mi sento quanto si parla di usare tablet in tutte le scuole. Quali tablet? Mandiamo tutta la scuola italiana nelle fauci di un singolo venditore? O segmentiamo le scuole del Paese in scuole Android, Apple e Amazon? O costruiamo alternative 2.0 fai-da-te che consistono nel dare a tutti gli studenti un laptop con dentro dei PDF? Magari i PDF sono fatti anche bene, ma tutto il 2.0 lo comprimiamo in una manciata di file PDF in un computer? Ho capito bene? Spero di no.