Cronaca di un guasto al computer

Il computer, quale congegno essenziale per la gestione e l’elaborazione dei dati nella vita privata e nel lavoro, si sta estinguendo. Le sue funzionalità sono disperse nella rete che è il substrato fondamentale sul quale cresce la noosfera. Il computer sta invece mutando in una varietà di congegni che rappresentano le porte per accedere alla noosfera.

Le porte della Noosfera
Il computer, quale congegno essenziale per la gestione e l'elaborazione dei dati nella vita privata e nel lavoro, si sta estinguendo. Le sue funzionalità sono disperse nella rete che è il substrato fondamentale sul quale cresce la noosfera. Il computer sta invece mutando in una varietà di congegni che rappresentano le porte per accedere alla noosfera.

Temo che il mio vecchio Mac abbia qualche problema. Forse è la scheda grafica. Già da qualche giorno appaiono delle strisciate sottili, come se qualcuno avesse graffiato lo schermo con una punta acuminata. Oggi però le cose sono peggiorate perché ogni tanto si pianta e non mi era mai successo, da sei anni a questa parte, che un Mac si piantasse in questo modo.

La cosa mi fa un po’ uggia perché sto lavorando con Gimp per fare la figura che vorrei mettere in questo post. Non è molto difficile ma ci vuole un po’ di pazienza: ritagliare le sagome degli oggetti che ho fotografato, spostarle, ruotarle e sovrapporle adeguatamente ad uno sfondo. Mi piace l’idea di usare Gimp, un’applicazione open source che fa concorrenza a Photoshop e sono tutto preso dal lavoro perché è divertente baloccarsi con le immagini in Gimp.

L’imprecazione è quindi inevitabile quando mi accorgo che non posso continuare, ma il disappunto dura poco, il computer non è più lo strumento vitale per produrre. Gli sono affezionato, certo. Ci ho lavorato tanto e non solo io in casa, non mi ha mai tradito ed è decisamente un bel pezzo di tecnologia, ma non è più essenziale.

I file su cui sto lavorando si trovano in Dropbox, un servizio web gratuito di memorizzazione di dati, che viene visto da un qualsiasi computer come uno spazio disco aggiuntivo.

Posso continuare a lavorare sul netbook perché anche in questo ho installato Gimp. Grande cosa questi software open source che girano sulle piattaforme più varie. Sul netbook, un aggeggio da un kg e 100 €, ho messo il sistema operativo Linux e Gimp ci gira che è una meraviglia, anche se il computer è sottodimensionato.

Sono contento di avere avuto la lungimiranza, o forse farei meglio a dire la curiosità, di installarlo anche sul netbook. Oddio, installare è una parola grossa. Con Jolicloud, la versione di Linux che identifica il sistema operativo con il browser, centinaia, forse migliaia, di applicazioni sono lì a portata di un clic. Ho bisogno di fare un disegno? Fammi vedere, ecco, proviamo questa, clic, e la provo … ah questa è vita, finalmente la tecnologia è amica…

In realtà stavo alternando la costruzione della figura alla scrittura di un post, esattamente questo che sto scrivendo. Non è comunque un problema, perché lo sto scrivendo su un iPad con una tastierina portatile che si collega con bluetooth. Mai avuto niente di più comodo per scrivere, in una settimana mi sono completamente assuefatto e uso solo questo per quasi tutti i miei testi. Uso My Writing Nook, un software per scrivere testi in un ambiente privo di inutili orpelli che si può anche collegare ad un account Google. In pratica sull’iPad appare come un applicativo locale ma, se si possiede un account Google, lo stesso ambiente è accessibile da qualsiasi computer e con qualsiasi browser. Dovrei dedicare un post a iPad, non voglio divagare ora.

A dire il vero sto anche leggendo la bozza di una tesi, che uno studente mi ha inviato qualche giorno fa in formato pdf. Spesso un’attività genera uno spunto per un’altra e così saltabecco qua e là, a me piace lavorare così: leggo qualche pagina della tesi, scrivo un paio di brani del post, aggeggio sulla figura. Ma non leggo sullo schermo del computer, mi stanco molto presto. Ho sempre dovuto stampare i testi che erano più lunghi di qualche pagina per poterli leggere.

Nemmeno questo è un problema, ora anche la stampante si riposa molto di più perché leggo quasi tutto sul Kindle 2, da un paio di mesi, meglio che su la carta, e con vari altri vantaggi non da poco. Alcuni mi paiono rivoluzionari … altro post da scrivere, più tardi. Intanto mi godo il fatto di avere sempre le cento e passa pagine di una tesi (le nostre facoltà le vogliono lunghe …) con l’ingombro di un piccolo quaderno e risparmiando abbondanti dosi di carta e toner.

C’è già un’insalata russa di roba in quel Kindle, libri acquistati, libri liberi, tutti scaricati in meno di un minuto, tesi degli studenti, miei testi da rivedere, post di altri da finire di leggere con calma, manuali, wikipedia sempre a disposizione, dizionario inglese.

Intanto il Mac sta veramente crollando, incespicando sempre più frequentemente. Basta. Occorre mollare tutto per controllare cosa valga la pena di mettere in salvo prima che defunga. Poco, a dire il vero. Mi rendo conto che la quasi totalità dei dati che mi interessano sono là fuori, nello spazio disco di Dropbox, oppure sotto forma di documenti tipo-word e tipo-excel in Google Docs. I miei test sono tutti in questo blog, che si è rivelato un ottimo Content Management System oltre che l’unico luogo dove ha senso scrivere pensieri e descrivere esperimenti.

Mi pare molto più concreto e duraturo scrivere in questo spazio virtuale, in WordPress.com, che pubblicare su riviste o libri. Ogni tanto qualche amico gentile mi propone l’idea di qualche pubblicazione e la cosa mi imbarazza. Che vuol dire scrivere un libro, per di più specialistico, oggi? In Italia si pubblicano oggi circa 61000 titoli l’anno – no, non ho sbagliato il numero degli zeri, proprio sessantunmila – il 60% dei quali non venderà nemmeno una copia! Scrivo perché voglio comunicare un messaggio e trovare interlocutori dai quali possa continuare ad imparare per crescere. Il mio pur modesto blog ha potenzialità incomparabili rispetto a qualsiasi pubblicazione possa pensare di fare, ma non solamente per un microbo della rete: giusto ieri ho letto di un famoso autore, Seth Godin,  che si sta domandando se l’editore sia ormai diventato una limitazione anziché una collaborazione indispensabile per la pubblicazione dei propri libri.

Insomma, tornando all’emergenza da risolvere, anche i testi sono in salvo. Che altro mi rimane da salvare? La mia agenda sta in Google Calendar ed è sincronizzata con il Blackberry, gli impegni particolari sono ribaditi con messaggi email che mi sono spedito in Gmail, tutti immediatamente reperibili grazie alla potenza del motore di ricerca di Google. L’archivio dei contatti che rappresentano le mie fonti di informazione e, soprattutto, il mio ambiente di apprendimento, il cosiddetto Personal Learning Environment, stanno in Google Reader. Le dispense dei miei corsi sono nel mio wiki, al quale hanno contribuito anche molti studenti.

Anche per il software c’è poco e nulla da recuperare. Eccetto il sistema Aperture, il sistema di gestione delle foto di Apple, che mi sono concesso perché mi piace molto – a riprova che non sono un talebano del software libero – per il resto uso tutti applicativi open source i quali si installano benissimo anche su Linux, il sistema operativo che impiego su un paio di notebook minimali; oppure utilizzo i servizi Web che ho menzionato: Google Docs, Google Reader, Gmail, WordPress.com, Pbwiki, My Writing Nook, Dropbox.

Mi limito quindi a salvare le poche cose rimaste nel computer che forse potrò desiderare di ritrovare, in parte le copio in Dropbox e in parte su un disco esterno che impiego per il backup dei dati più importanti. Roba di un quarto d’ora. Dopo di che, tolgo l’iMac dal tavolo per avviarlo all’assistenza e piazzo al suo posto uno dei notebook da 100€.

Riparto con questo, finendo il disegno con Gimp senza alcun problema perché i file su cui stavo lavorando erano là in Dropbox ad aspettarmi pazienti.

Mi chiamano. Altra imprecazione, stamani non si lavora. Mi ricordano che devo andare dal dottore e ci sarà da fare la fila … cerca di non arrivare per ultimo … Allora arraffo il secondo netbook, e mi precipito dal dottore. Avevo equipaggiato anche questo computerino con il sistema Linux Jolicloud, dove avevo installato gli stessi applicativi che usavo sul Mac; ai dati posso riaccedere ovunque in Dropbox.

Mi accomodo nella sala d’attesa e mi metto subito a finire la figura con Gimp. Il piccolo netbook gestisce magnificamente il segnale del cellulare.

Mentre faccio questo lavoro, Jolicloud mi informa che sono pronti degli aggiornamenti del sistema e mi chiede se sono d’accordo a scaricarli e installarli. Mi guardo intorno: pare che oggi abbiamo deciso di venire tutti dal dottore, ho tempo e poi, se capisco bene sono effettivamente l’ultimo. Rispondo quindi a Jolicloud di partire con l’aggiornamento, io intanto continuo a lavorare.

Mi distraggo subito però, perché mi meraviglio. Jolicloud, così leggero mi pare anche leggiadro, rappresentato benissimo dal suo screensaver fatto di nuvolette che fluttuano sullo schermo.

Il netbook che costa come due pieni di benzina, con un sistema operativo che si fonde senza soluzione di continuità con il Web, rappresenta la porta per ritrovare le tracce del mio pensiero e del mio lavoro, ma anche le tracce e il lavoro di tutti coloro che sono importanti per me, allievi e maestri, gli uni spesso trasformati negli altri.

Jolicloud, il sistema che graziosamente mi mette in contatto con la nuvola, the cloud. Quando, solo una quindicina di anni fa, ero un ricercatore attivo della Information Technology, si parlava di grid computing. Era l’idea di una griglia di nodi di memorizzazione e di calcolo che tutti potevano usare. Una visione innovativa che tuttavia manteneva l’idea di griglia, di un artefatto geometrico-meccanico costruito. Ora si parla invece di cloud computing, sostanzialmente la stessa cosa ma con l’accettazione implicita dell’indeterminatezza, di qualcosa che cresce spontaneamente. Si inizia a credere ad un ecosistema vivo e vibrante di risorse disponibili in modo pervasivo e sostenuto. Il netbook da due soldi e Jolicloud, il sistema operativo free, costituiscono la porta per accedere alla nuvola, al mondo delle idee, alla noosfera; anche nella sala d’aspetto dell’ambulatorio medico.

La leggerezza di Jolicloud viene da lontano. Viene dall’idea pazza di Richard Stallman di concepire l’idea del free software quando tutti si sentivano all’avanguardia avendo scoperto che con il software ci si potevano fare i soldi. Davvero molti soldi, come ha mostrato Bill Gates. Viene dalla “leggerezza” con la quale Linus Torwald diffuse in rete il seme di quello che sarebbe potuto essere un prodotto industriale di successo, da proteggere gelosamente quindi. Invece, nel caos della rete quel seme germogliò e si trasformò in una vigorosissima pianta che nessuno aveva mai visto. Un prodotto che ha trasformato la competizione industriale e il concetto di proprietà intellettuale, generando una serie di ribaltamenti di prospettiva a catena, in settori molto diversi fra loro.

Com’è difficile spiegare la meravigliosa storia di Linux! Il limite è costituito dalla connotazione tecnologica che blocca la mente. Agli oppositori della tecnologia perché appare loro come un fenomeno che ha luogo in un mondo ostile e del quale diffidano. Una rivoluzione culturale non può venire da quella parte di mondo, per loro. Gli amanti della tecnologia invece, ubriacati e confusi dalla messe di novità che si susseguono a ritmo vorticoso, non vedono la portata rivoluzionaria del fenomeno.

Il fenomeno di Linux ha invece lo stesso peso delle sconvolgenti scoperte della fisica moderna del 900, per esempio della meccanica quantistica o della dinamica non lineare, dove, per un verso o per l’altro, il disordine ha fatto il suo dirompente ingresso nel mondo del scienza, da sempre ritenuto, e ancora da molti, il regno della certezza.

La crescita spontanea, nel terreno della massa di menti affacciate sulla rete, di un artefatto che poi diviene un prodotto di grande valore industriale, rappresenta l’ingresso, altrettanto dirompente, del disordine nel mondo della produzione industriale e dell’economia. Alcuni ndustriali e manager si stanno finalmente rendendo conto di come funziona la natura, incessante creatrice di nuova organizzazione mediante la copula fra ordine e disordine, e in alcuni casi hanno applicato con clamoroso successo questo insegnamento.

Questo stesso artefatto, la cui genesi rappresenta una prima storica e planetaria, entra ora a far parte di nuove categorie di artefatti che spontaneamente formano gli elementi di nuove forme di organizzazione, stratificate sulle precedenti. Forme di organizzazione che “crescono” e non che vengono costruite.

Gli artefatti che stiamo manipolando e di cui tanto si parla oggi, netbook, ebook reader, iPad e altri che verranno, sempre più semplici nell’uso e sempre più assimilabili in tal senso alle “tecnologie di carta” ma infinitamente più potenti nelle possibilità, rappresentano le porte della noosfera …

“Andreas!”

Alzo la testa e vedo il dottore in piedi e con la cartella in mano:

“Che fai qui? Ho visto che non stava entrando più nessuno e ho chiuso l’ambulatorio … Sei venuto per una visita …”

“No … cioè sì ma …”

“Dai vieni che riapro subito …”

“No Daniele, aspetta, non era tanto importante, anzi, andiamo a prendere un caffè che ti voglio raccontare una cosa …”

7 pensieri riguardo “Cronaca di un guasto al computer”

  1. Ho un macbook. Ho anche un netbook con windows xp. Sono dipendente da entrambi, perchè l’uno mi permette di usare garageband, l’altro mi permette di andare all’università più leggera e di fare più o meno le stesse cose che faccio col mac. Io non sono molto tecnologica, infatti leggere questo blog mi getta talvolta nel panico, non capisco nulla o quasi; quando invece capisco quel che scrive il Prof, mi piglia lo sconforto perchè vorrei farlo anche io ma questo vuol dire mettermi a studiare un bel pò di cosine e come minimo pigliarmi una di quelle pennette per navigare nella sala d’aspetto del dottore senza usucapionare una rete non protetta da password. Linux mi garberebbe un monte, dovrei però studiarmelo… e un pò mi preoccupa, i programmi open source mi stanno parecchio simpatici, anche lì vorrei approfondire, però ci sto ragionando per non dover dipendere dalla pirateria informatica di amici che fanno gli scaricatori, non di porto, ma di tutto.
    Di certo col blog si arriva dappertutto, meglio che con un libro…
    Intanto bookmarco ‘sto post e lo taggo Computer, hai visto mai? con un pò di tempo ci ritornerò sopra con calma, grazie Prof!

  2. @ edoardo: concordo con te, un mac, un iphone, un ipad costano così perché hanno potenzialità infinite, ma spesso si tendono a sottovalutare altre soluzioni ugualmente funzionali e molto più economiche.
    Un macbook pro è assemblato per svolgere il lavoro di un ingegnere, un fotografo o un professionista nel campo della musica; perché è leggero, piccolo e potente, ma soprattutto perché alcuni software fondamentali per dette professioni semplicemente non esistono in formato open source x linux (faccio qualche riguardante la sfera musicale: Traktor Pro, Serato Scratch Live, Ableton Live, The Bridge, Logic etc…). Costa tanto perché è semplicemente efficiente. Ovviamente poi accade che, come tutte le cose dal prezzo un po’ fuori dal comune e dal design piacevole, diventi una moda è venga acquistato per guardare i film su megavideo e per sfoffare su facebook.

    L’utente medio si sposterà su piattaforme sempre più minimali ed economiche (ma non meno funzionali), però il computer non scomparirà perché ci sarà sempre chi avrà bisogno di macchine potenti (con magari schede grafiche o audio di un certo tenore) per svolgere il proprio lavoro e sicuramente ci sarà sempre chi vorrà comprarsi un (per lui inutile) aggeggio da 1500+€ solo per fare il figo all’uni/al lavoro.

    Jacopo

    PS: bel post

    PPS: ho scoperto Gimp 🙂

  3. Analisi eccezionale. Eppure c’è un particolare che va menzionato: un iPhone è si un telefono, ma oltre a questo è un potente strumento polifunzionale. Così come la maggior parte degli oggetti hanno potenzialità immense, ma che non vengono sfruttate a causa dell’ignoranza degli utenti. Spendere seicento euro di telefono per usarlo solo per chiamare e per andare su facebook… è un po’ eccessivo credo. Il concetto è che ci sono oggetti che hanno un grande valore potenziale, che viene pagato, ma che non vengono sfruttati fino in fondo. Ha senso tutto questo? Perchè compri un MacBook Pro se poi l’unica cosa che fai è andarci su internet e guardarci film?
    La mia è ancora una cloud, non è ben delineata come linea di pensiero. Era per farle sapere che qui c’è un altro che pensa alle stesse cose.

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