Cronaca di un guasto al computer

Il computer, quale congegno essenziale per la gestione e l’elaborazione dei dati nella vita privata e nel lavoro, si sta estinguendo. Le sue funzionalità sono disperse nella rete che è il substrato fondamentale sul quale cresce la noosfera. Il computer sta invece mutando in una varietà di congegni che rappresentano le porte per accedere alla noosfera.

Le porte della Noosfera
Il computer, quale congegno essenziale per la gestione e l'elaborazione dei dati nella vita privata e nel lavoro, si sta estinguendo. Le sue funzionalità sono disperse nella rete che è il substrato fondamentale sul quale cresce la noosfera. Il computer sta invece mutando in una varietà di congegni che rappresentano le porte per accedere alla noosfera.

Temo che il mio vecchio Mac abbia qualche problema. Forse è la scheda grafica. Già da qualche giorno appaiono delle strisciate sottili, come se qualcuno avesse graffiato lo schermo con una punta acuminata. Oggi però le cose sono peggiorate perché ogni tanto si pianta e non mi era mai successo, da sei anni a questa parte, che un Mac si piantasse in questo modo.

La cosa mi fa un po’ uggia perché sto lavorando con Gimp per fare la figura che vorrei mettere in questo post. Non è molto difficile ma ci vuole un po’ di pazienza: ritagliare le sagome degli oggetti che ho fotografato, spostarle, ruotarle e sovrapporle adeguatamente ad uno sfondo. Mi piace l’idea di usare Gimp, un’applicazione open source che fa concorrenza a Photoshop e sono tutto preso dal lavoro perché è divertente baloccarsi con le immagini in Gimp.

L’imprecazione è quindi inevitabile quando mi accorgo che non posso continuare, ma il disappunto dura poco, il computer non è più lo strumento vitale per produrre. Gli sono affezionato, certo. Ci ho lavorato tanto e non solo io in casa, non mi ha mai tradito ed è decisamente un bel pezzo di tecnologia, ma non è più essenziale.

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Voti … parto cesareo … nuovi appelli

Voti

Qualcuno dirà:

“Oh quanto gli ci vole a partorire un votino per il corsetto di informatica?”

“Parecchio” rispondo …

Intendiamoci, se fosse per uno solo mi ci vorrebbe un quarto d’ora a rileggere il blog e dare un’occhiata alle varie attività, in media.

Invece siete 380, medicina, odontoiatria e infermieri suddivisi in tre sedi. Supponiamo che ne voglia rivedere 20 o 30: 15 minuti per 20 o 30 fa 5 o 7.5 ore.

Perché li voglio rivedere tutti? E’ vero, molti li conosco bene. Il fatto è che non ho mai dato voti su un insieme di attività così inedite e articolate ed è necessario “tarare” il sistema. Vale a dire che per ogni classe, devo vedere tutti i risultati insieme e solo dopo posso attribuire i fatidici voti a numeri che hanno solo significato relativo.

Non potevo avvantaggiarmi più di tanto perché molti di voi sono arrivati in ritardo, del resto sono stato proprio io a dirvi che il fattore tempo non conta in questo corso. E’ chiaro che questa elasticità, che è un vero e proprio lusso che ci siamo concessi, qualche prezzo lo può comportare.

Il vantaggio è che c’è la qualità minima garantita, quindi niente stress per favore.

Oggi ho finito i risultati di infermieristica di Borgo San Lorenzo e di San Giovanni. Domani inizio quelli di infermieristica di Firenze e poi quelli di odontoiatria ed infine medicina. Ho scelto l’ordine in base alla vitalità residua dei corsi: faccio dopo i corsi che sono ancora attivi, come dire che do il tempo di arrivare a chi si è attardato o vuole fare di più.

Comunicherò i risultati classe per classe, appena le avrò terminate, nel corso di giugno.

Appelli

Per coloro che vogliono ancora dare l’esame tradizionale con quiz, ricerca bibliografica e tema (questi ultimi due solo per medicina e odontoiatria) ho istituito l’appello settimanale:

tutti mercoledì chiunque può fare l’esame fra le 11 e le 15; unica eccezione è mercoledì 18 giugno dove l’aula è libera dalle 13 in poi per via di un altro corso.

Tempi esponenziali …

Giovedì scorso mi è capitato di fare un intervento al Convegno “Abc sociale.it” che ha avuto luogo a Bologna in occasione di Exposanità.

In questi anni evito per quanto possibile convegni e congressi di ogni genere ma qui sono andato volentieri. Il convegno era organizzato dalla Fondazione Santa Clelia Barbieri di Vidiciatico, un piccolo villaggio sull’appennino bolognese. La fondazione ha un presidente, Don Giacomo Stagni, e un direttore, Fabio Cavicchi, che con la loro opera nella gestione della Casa di riposo per anziani di Vidiciatico mostrano concretamente come umanità e conti economici possano andare d’accordo.

Il convegno era volto alla presentazione del progetto “ABC SOCIALE.IT – LA RETE DEL SOCIALE” con il quale si intende promuovere la condivisione di risorse ed esperienze in ambito sociale e sanitario.

Riporto qui il mio intervento; si riallaccia a molte delle cose su cui abbiamo riflettuto insieme quest’anno.

L’introduzione di Don Giacomo Stagni e di Fabio Cavicchi il quale ha svolto anche le funzioni di moderatore e di relatore finale …


Dove, partendo dalla constatazione che stiamo vivendo in tempi esponenziali, si riconosce che la complessità e la formazione rappresentano due fondamentali problemi da risolvere e si discute la crisi della progettualità


Dove ci si accorge che è comparso un nuovo fortissimo attore, un gigante il quale può aiutarci in questi difficili frangenti, a patto che si impari a dialogarci … la massa … e si scopre che le regole per trattare con la massa sono quelle nuove della wikinomics


Dove si descrive un’esperienza di formazione pensata per tempi esponenziali e come questa esperienza si riconduca ai principi della wikinomics …

Web 2.0

Gli strumenti di social networking: il Web 2.0

Dopo aver letto il materiale (in divenire) nel capitolo sul social networking, qualche studente viene da me a chiedere: “Ma insomma, cos’è infine questo Web 2.0?”

Provo a mettere qui insieme ciò che mi capita di rispondere.

Iniziamo dal fenomeno macroscopico: la comparsa di un nuovo attore, la massa. Sì, la massa è sempre esistita ma con pochissime capacità espressive. Difficile che si parli bene della massa: la massa è una cosa che si manovra, che si spreme, che di solito fa cose banali se non addirittura stupide, cose di massa appunto. La massa è muta o quasi. Si esprime attraverso le sue azioni, oggi principalmente attraverso le sue preferenze nel mercato. Quando in passato la massa si era espressa più incisivamente, lo aveva fatto in modo rozzo se non violento. La massa fa fatica a dire cosa pensa e se ci prova è subito manovrata. Insomma è un soggetto passivo che emette qualche grugnito. È giusto molto grande e conviene tenerla buona perché l’economia ne ha bisogno. Almeno così è stato fino ad ora, più o meno.

Agli albori del terzo millenio le cose stanno cambiando. In Internet la massa ha preso a parlare. Non solo, ha preso a fare. Lavora e costruisce delle cose. Cose anche molto complesse e che funzionano molto bene, talvolta meglio delle altre. Chi le aveva fatte fino ad ora le cose? Le aziende, le industrie, le organizzazioni pubbliche. Tutte entità che funzionano in modo gerarchico e rigidamente determinato. Vuol dire che ci deve essere sempre un capo o un piccolo numero di capi che individuano gli obiettivi e dettano le linee guida per poterli perseguire. I dettagli delle operazioni vengono decisi da sottocapi strutturati in un’organizzazione gerarchica. Ai livelli più bassi non si decide quasi nulla, si esegue e basta. Così hanno funzionato tutte le organizzazioni sino ad oggi, ad iniziare da quelle militari. Questo è in effetti il modello militare, sino ad ora riferimento per quasi tutte le forme di organizzazione.

La massa ha preso la parola in Internet o meglio, in quella parte di Internet che si chiama Web 2.0. Come a dire un’altra Internet: prima c’era il Web, ora c’è il Web 2.0. I fenomeni che si svolgono nel Web 2.0 si chiamano fenomeni di social networking: attività svolte mediante la rete che prendono le forme di fenomeni di natura sociale.

Non c’è struttura nella collaborazione di massa. Chi vuole collabora, quando vuole e nella misura in cui desidera farlo. La cosa funziona perché la massa è grande quindi qualcuno che è in grado di collaborare e vuole farlo si trova. Inoltre, la cosa funziona perché la massa è stata “interconnessa”, questo è l’aspetto tecnologico nuovo.

Perché se Internet esiste da quasi vent’anni la collaborazione di massa è esplosa improvvisamente solo da dieci anni? Perché, attraverso una gestazione relativamente lunga, sono infine apparsi degli strumenti che sono realmente facili da usare, per esempio i blog e i wiki, ma non solo. Vale a dire strumenti che chiunque può usare, senza avere particolari competenze e senza bisogno di un “tecnico” del Web, per potersi esprimere in Internet. “Fare il sito” è un operazione che oggi possono fare tutti. La cosa si è rapidamente generalizzata per cui ci sono molte altre cose che chiunque può fare in Internet.

Non è un’iperbole dire che la collaborazione di massa è “esplosa”, infatti tutti i fenomeni che questa ha causato crescono realmente in maniera esponenziale. Per fare un esempio, la cosiddetta blogosfera, cioè l’insieme dei blog attivi nel mondo, annovera oggi 57 milioni di utenti e dal 2004 ad oggi è raddoppiata ogni 200 giorni: tre milioni di nuovi blog al mese, centomila al giorno. Nel linguaggio della matematica questa si chiama crescita esponenziale. La crescita esponenziale caratterizza i fenomeni nuovi che si sviluppano in modo esplosivo. Le dimensioni dei più rilevanti fenomeni di social networking si misurano in decine e centinaia di milioni di partecipanti. Tali numeri ci dicono che le dimensioni saranno, e sono già, di dimensioni planetarie.

I fenomeni di social networking che si possono osservare oggi sono di grandissima rilevanza e investono numerosi aspetti della vita privata, del lavoro e dell’economia. Essi nascono quasi sempre intorno a qualche nuova applicazione di Internet ed è sorprendente il contrasto fra la semplicità dello strumento ed il suo effetto. In effetti ho già commentato come sia importante la facilità d’uso ma questo non basta a spiegare le crescite esplosive che stiamo osservando. Soprattutto rischiamo di trascurare il fattore veramente importante che è quello umano.

È un po’ come quando in un terreno si raggiungono le condizioni per cui i semi si mettono a germogliare. Il terreno c’è e i semi stanno dentro. Magari per mesi non succede niente poi, all’improvviso, quando la concomitanza delle condizioni è adeguata i semi iniziano a germogliare tutti insieme; chi ha erba da tagliare sa bene cosa significhi …

Il ruolo del seme qui è giocato dall’uomo che, appena le condizioni lo consentono, tende ad aggregarsi. L’impulso all’aggregazione è fortissimo e di origini ataviche. Per capirlo bene può essere rivelatore il comportamento di tante specie animali, con le quali condividiamo un’enorme quota di storia del mondo (condividiamo il 98% del DNA con i gorilla e il 90% con il topo).

Qualunque allevatore di erbivori sa che un animale si comporta in modo completamente diverso quando è solo. Un individuo di una specie predata quando è solo si trova in uno stato di ansietà perché il gruppo rappresenta per lui una delle principali difese. Anche molte specie predatrici hanno sviluppato una marcata socialità perché vitale ai fini della sopravvivenza, vuoi per la tecnica di predazione o per le necessità riproduttive. Chi possiede più di un cane sa che in branco l’individuo cambia molti atteggiamenti.

Il successo dell’homo sapiens è strettamente collegato alla sua socialità. L’immagine di un uomo solo e nudo in un ambiente selvaggio contrasta enormemente con quella dell’uomo “dominatore” della terra. Dominatore sì ma perché ciascun individuo si issa sulle spalle di un gigante che è rappresentato dall’umanità presente e passata.

Avvicinandoci a noi ma rimanendo ancora nel passato, diciamo un secolo fa, all’epoca dei nostri bisnonni, i luoghi dell’aggregazione erano fisici. Presso il focolare le grandi famiglie contadine si riunivano a veglia per raccontarsi fatti correnti e storie del passato. Nelle città e nei paesi la piazza e il corso ospitavano lo “struscio” nei giorni di festa, la chiesa le adunanze religiose, l’osteria il riposo dei braccianti. In tutte queste occasioni le vite degli uomini si intrecciavano dando vita a quel tessuto sociale che consente di instaurare legami affettivi, di lavoro, di cooperazione. Erano occasioni importanti e assolutamente necessarie. Un tessuto che si è evoluto lentamente nei millenni.

Poi, improvvisamente, con l’avvento dell’industrializzazione la vita degli uomini si è fortemente delocalizzata ed il ruolo dei luoghi di aggregazione tradizionali si è dissolto. Sì, gli uomini si sono concentrati nelle città ma in realtà si sono allontanati fra loro se pensiamo alla natura psicologica del concetto di vicinanza. Nelle città gli uomini vivono fitti ma le loro vite scorrono molto più parallele, intersecandosi molto meno di quanto non facessero in passato. Esistono anche oggi forme di aggregazione ma sono quasi sempre un debole surrogato di quelle che hanno caratterizzato la vita dell’uomo fino a pochi decenni fa.

Negli ultimi cinquant’anni sono comparsi i “media”, stampa, radio , televisione. I media aggregano, in qualche modo, ma non è la stessa cosa, per un motivo fondamentale: i media concedono poco al ruolo attivo dell’individuo, giusto scegliere il canale informativo, poi l’individuo assorbe le informazioni.

Il lavoro aggrega ma in un contesto estremamente vincolato. Al lavoro vi sono poche occasioni di sviluppo di rapporti umani al di là delle ovvie interazioni richieste dalle attività specifiche. Anzi, non sono trascurabili problemi di natura opposta come quelli del “mobbing”, il fenomeno delle prevaricazioni psicologiche da parte di superiori e colleghi. In ambienti di lavoro più moderni ed ispirati, si tenta di introdurre forme di aggregazione sociali. Per esempio in alcune aziende High Tech particolarmente avanzate sono previsti spazi e tempi per favorire l’aggregazione sociale fra i dipendenti, perché ritenuta un fattore favorevole al profitto dell’azienda anziché una perdita di tempo. In taluni istituti di matematica esiste la “common room”, un salotto accogliente con comode poltrone e attrezzature per bere e mangiare qualcosa insieme, perché si ritiene che questi momenti siano favorevoli allo scambio delle idee e quindi, in ultima analisi, favorevoli alla produttività. Tuttavia questi sono esempi sporadici e poco rappresentativi della realtà lavorativa generale.

Le persone si aggregano nelle attività del tempo libero. Nelle comunità occidentali esiste molto tempo libero che viene trascorso in attività sportive e ludiche varie. Sono però attività nelle quali prevale sempre più la performance: invece di andare a giocare un po’ a tennis si deve lavorare sul rovescio … è difficile trovare luoghi di aggregazione veri e propri.

Ai giovani poi, le possibilità di aggregazione le abbiamo addirittura azzerate. La scuola? Le attività sportive? Quelle artistiche? Le discoteche? Tutti luoghi nei quali l’enfasi è sulla competizione, sulla specializzazione, sulla performance, sull’auto-esibizione, non sulla cooperazione, sul piacere di stare insieme, di darsi reciprocamente qualcosa, di arricchirsi a vicenda, di interessarsi al problema dell’altro. La vita di un giovane oggi è congestionata e ritmata al pari di quella di un manager. Di fatto i genitori non sono più educatori bensì manager del tempo e dell’educazione dei loro figli, quest’ultima delegata completamente a figure estranee.

Non si passa più il tempo insieme e invece gli esseri umani hanno un grande bisogno di comunicare con in propri simili, di sentirsi parte di qualche cosa, di sentirsi utili.

A fronte di queste constatazioni abbiamo l’esplosione di una serie di stupefacenti esempi di comunicazione e collaborazione di massa. Fenomeni sorti intorno al 2000 che in pochi anni hanno dato vita a comunità da alcune centinaia di migliaia fino a centinaia di milioni di persone.

La comunità di sviluppatori di software open source, come il sistema operativo Linux o la suite di applicazioni per ufficio OpenOffice tanto per fare solo due esempi famosi, coinvolge oggi molti milioni di persone in un’attività molto specialistica e complessa. Il sistema operativo Linux è risultato il più robusto sistema operativo disponibile nel mercato per funzioni critiche come quelle assolte dai server. IL sistema OpenOffice fa concorrenza nel mondo al corrispondente prodotto Microsoft per la grande facilità ad essere adattato alle lingue locali. La massa ha fatto qualcosa ed è qualcosa che ha valore industriale e commerciale. La IBM ci costruisce i suoi sistemi.

L’enciclopedia in rete scritta dagli utenti stessi, Wikipedia, supera in mole tutte le enciclopedie esistenti di granlunga. L’accuratezza e la profondità delle sue voci è paragonabile a quelle convenzionali ed è certamente più idonea a seguire il ritmo vorticoso di crescita delle conoscenze. La massa fa qualcosa: redige un’enciclopedia.

La comunità degli iscritti a MySpace, uno dei tanti ambienti di socializzazione, molto usato dai giovani, consta oggi di 300 milioni di membri. I giovani cui, nel mondo occidentale, è stato sottratto lo spazio per esprimersi, lo fanno in Internet. Inutile accusarli di svolgere una vita virtuale e paventare tutti i pericoli che da ciò possono derivare. Il tempo è stato loro scippato, i possibili luoghi di socializzazione si sono trasformati in qualcos’altro. Loro si esprimono e comunicano dove possono. Riflettiamo sulla cifra: 300 milioni! Una massa che sente il bisogno di esprimersi e che probabilmente non sanno che farsene della televisione.

Alcune grandi aziende hanno capito per tempo che sta succedendo qualcosa di diverso e di importante.

La IBM, forse la più famosa multinazionale di Information Technology, ha accettato il modello di sviluppo del software libero, via ha investito miliardi di dollari ricavandone prontamente cospicui profitti e rimette in libera circolazione i suoi brevetti software, come farebbe qualsiasi singolo programmatore open source. L’IBM ha riconosciuto la massa come interlocutore.

Scienziati e tecnici di tutto il mondo con tempo libero a disposizione oppure in pensione, collaborano con entusiasmo ai problemi di ricerca offerti in Internet da aziende del calibro della Procter & Gamble. Queste grandi aziende high tech, pur disponendo di veri e propri eserciti di ricercatori nelle loro divisioni di ricerca e sviluppo (la P&G ne ha 9000), trovano proficuo diffondere liberamente in Internet alcuni loro progetti di ricerca perché confidano nella capacità della massa di risolvere i loro problemi: seminano i problemi nella massa e in questa germogliano soluzioni. La P&G ha riconsciuto la massa come interlocutore.

Vi sono molti altri esempi del genere ma rappresentano ancora una piccola minoranza nel panorama industriale internazionale. Sono tuttavia esempi di grande rilevanza che sanciscono l’esistenza di un nuovo tipo di economia nella quale un nuovo paradigma organizzativo affianca e integra quello tradizionale di tipo gerarchico. Un paradigma organizzativo sorto spontaneamente in seguito all’apparizione di nuovi strumenti di comunicazione, gli strumenti Web 2.0, che hanno dato parola e capacità di azione alla massa. La spinta deriva dall’atavico bisogno di aggregazione e partecipazione degli uomini.

Ecco, tutto questo è Web 2.0.

One Laptop Per Child e neuroni specchio

Il Salone de’ Dugento in Palazzo Vecchio a Firenze ha ospitato due bei eventi. Ieri, la presentazione del computer portatile XO immaginato pensando al problema del digital divide, con la partecipazione di Nicholas Negroponte, l’ideatore del progetto One Laptop Per Child. L’undici gennaio scorso, nell’ambito della prima conferenza Luigi Amaducci, la lezione sul sistema dei neuroni specchio fatta da Giacomo Rizzolatti, il ricercatore italiano che ha scoperto questo importante sistema.
Le attività di OLPC Italia prendono le mosse da Firenze con l’intento

di creare un modello pilota di cooperazione decentralizzata intercittadina, city-to-city, supportato da un network di partner pubblici e privati che sostengono azioni ed iniziative create ad hoc per i paesi in via di sviluppo. La cooperazione a livello locale porta ad un sistema di solidarietà civica che oltrepassa le barriere burocratiche create dai Governi centrali.

L’iniziativa presentata ieri si chiama Give 1 Get 1:

Ciascun studente italiano che acquisterà un laptop, donerà un altro laptop ad un suo coetaneo di un’altra città del Sud del mondo.

Il progetto OLPC rappresenta una bellissima iniziativa che purtroppo è a rischio elevatissimo. L’Economist nel numero del 25 novembre 2004, in un articolo intitolato Managing complexity, rivelava che secondo lo Standish Group, un’azienda di consulenza in progetti di Information Technology, ha stimato che il 30% di tutti i progetti software abortiscono, la metà sfondano il budget previsto, il 60% sono considerati un fallimento da parte delle organizzazioni che li hanno iniziati e il 90% disattendono la scadenza prevista.

Il progetto OLPC è molto complesso e concerne gli aiuti ai paesi in via di sviluppo, una cosa che si rivela sempre difficilissima da realizzare, per di più in un settore, quello della formazione, che spesso rappresenta una delle ultime preoccupazioni dei governi e che è di per se estremamente poco incline all’innovazione. Le dichiarazioni d’intenti servono a poco: l’interesse dei governi in termini reali si misura dagli stanziamenti e nelle scuole di tutto il mondo, con qualche differenza, prevale di gran lunga un modello di insegnamento che ben poco ha a che vedere con il pensiero di Seymour Papert cui il progetto OLPC si ispira.

Una bambina ieri ha centrato il problema, come ha ricordato l’amico Antonio Fini:

Scusa, ma COME possiamo usarlo questo computer, a scuola?

Nicholas Negroponte sostiene che XO è molto più di un computer portatile, è un progetto educativo. Il software non è organizzato per applicazioni bensì per attività in una maniera che i bambini trovano naturale comprendere. Il progetto si ispira ai fondamenti costruttivistici ed è fondato sull’esperienza di Logo, un’applicazione sviluppata negli anni settanta da Seymour Papert per l’apprendimento della matematica basato sull’attività personale sulla creatività spontanea.

Logo era una bellissima applicazione che, incidentalmente ho potuto apprezzare insieme ad un mio figlio che allora frequentava le medie: consentiva ad un bambino di imparare con grande rapidità molti elementi basilari della matematica; non solo, in poco tempo si ritrovava a padroneggiare gli elementi fondamentali della programmazione. Tuttavia, l’impatto di Logo nella scuola è stato limitatissimo. Del resto cosa ci si poteva aspettare da qualche floppy disk distribuito in modo casuale nelle scuole e impiegato in attività e tempi marginali? Logo poteva funzionare solo nell’ambito di un metodo completamente diverso dove l’insegnante doveva giocare un ruolo fondamentale imperniato sullo stimolo e sul suggerimento. Invece Logo è stato solo una curiosità fra le tante capitata magari in qualche ora di applicazioni tecniche.

Lo strumento può essere stato pensato in modo costruttivista quanto si vuole ma è completamente inutile se viene calato nella realtà scolastica convenzionale.

Probabilmente il laptop XO è più facile da usare di Logo (peraltro Logo è contenuto nell XO) e i bambini sono già molto più vicini al computer ma questo non sarà sufficiente se non vi sarà un cospicuo impegno degli insegnanti a ripensare i propri metodi e se nel novero delle attività scolastiche non verrano creati spazi e tempi adeguati.

Anche il successo dell’iniziativa Give 1 Get 1 è legata al ruolo delle scuole. Give 1 Get 1 avrà un senso se diverrà qualcosa del tipo Give 1000000 Get 1000000 ma sarà difficile che questo possa avverarsi senza un massiccio impegno da parte del mondo scolastico. Difficile essere ottimisti visti i trascorsi.

Eppure il pensiero che la scuola debba rinnovarsi profondamente è vasto nel mondo e sostenuto da personalità di grande rilievo. In ultimo come non pensare alla scoperta di Giacomo Rizzolati e dei suoi collaboratori della funzione che svolgono i neuroni specchio. Sta emergendo l’evidenza che l’apprendimento cognitivo sia una funzione secondaria, tardiva e superiore dell nostro cervello e che questo sia fatto per imparare principalmente in modo imitativo.

Sarebbe veramente importante che si trovasse il coraggio di metter mano in modo coraggioso e sostanziale ad una revisione dei metodi applicati nelle scuole ma non è sempre e solo colpa degli altri, delle istituzioni. I cambiamenti globali partono da un cambiamento reale degli individui. Tutti possiamo iniziare, nella vita quotidiana.

Per ora contentiamoci del nesso bello e suggestivo fra questi due eventi di qualità che hanno avuto luogo nel Salone de’ Dugento. Grazie a chi li ha organizzati.

Inizia il II semestre

Premessa

Questo post non è una critica agli organi di governo dell’università. Non è nemmeno una critica agli uffici amministrativi e tecnici nei quali ho trovato persone che hanno cercato di darci una mano e che ringrazio ancora.

Questo post rappresenta uno spunto di riflessione sulla cronica inadeguatezza delle nostre istituzioni a seguire i mutamenti del mondo che si avvicendano ormai ad un ritmo vertiginoso. È quindi una riflessione che si riferisce ad un contesto e ad una cultura che caratterizzano un ambito ben più ampio di quello del singolo ateneo. Sta di fatto che il problema c’è ed è grave.

Antefatto

All’inizio del I semestre fui giustamente indotto da molti amici a trasferire le attività online per l’insegnamento dell’informatica di base sui server che l’ateneo ha deputato alle attività didattiche attinenti all’e-learning.

L’operazione è stata semplice e indolore ma l’impiego di questo sistema ha generato un problema cospicuo. In breve:

  1. Per poter utililizzare la piattaforma, il sistema di e-learning richiede a ciascun studente matricola e password assegnate dall’università per poter accedere ai servizi
  2. Per gli studenti di molti corsi di laurea la partecipazione ai servizi di e-learning risulta di fatto impossibile perché le complesse procedure di assegnazione degli studenti ai vari corsi di laurea ritardano l’attivazione delle password anche di molti mesi.

A causa di questa situazione nel corso del I semestre è stato necessario cambiare al volo le procedure previste dal corso cercando di salvaguardare al massimo la qualità dell’offerta didattica agli studenti.

Rimedio

Il problema concerne soprattuto il I semestre ma avendo capito che non sarà facile trovare una soluzione in tempi brevi ed essendo il mio compito primario di docente e ricercatore quello di perseguire tutte le occasioni di innovazioni, risolvo la questione sin da questo II semestre rinnovando ulteriormente l’architettura del corso secondo le più recenti proposte emerse a livello internazionale nel campo dell’applicazione delle tecnologie informatiche alla didattica. Il rinnovamento comporta lo spostamento del fulcro delle attività dall’interno di una piattaforma di e-learning all’esterno verso servizi WEB liberamente disponibili. Seguo in questo modo i più recenti suggerimenti di personaggi del calibro di David Wiley e Stephen Downes, giusto per menzionare gli esponenti di maggior rilievo. Un buon riassunto dell’argomento è stato scritto da Caterina Policaro. La nuova architettura si evince dalla descrizione del corso che si trova nelle pagine wiki del medesimo.

Ripresa della premessa

Ripeto. Mi rifaccio ad un antefatto preciso perché è esemplificativo e perché giova ragionare su cose concrete ma non vi è nessuna critica specifica nei confronti di nessuno. L’inadeguatezza che ho menzionato è strutturale e culturale. Riguarda tutti noi. Le considerazioni di Maria Grazia Fiore sulla valutazione nell’università sono un altro buon esempio.

Vi è la consuetudine di identificare l’innovazione con iniziative top-down che vengono subito istituzionalizzate, prima ancora che esse possano avere mosso i primi passi. Come dire: “Di questo bel neonato facciamo un grande ingegnere!”

Oggi questa è una strategia perdente.

Tutte le grandi innovazioni nate nel terzo millenio sono del tipo bottom-up.

Compito delle istituzioni e delle organizzazioni deve essere quello di favorire al massimo le circostanze affinché nuovi fenomeni sorgano spontaneamente. Codifica, regolamentazione, istituzionalizzazione vengono dopo.

Aziende del calibro di IBM o di Procter & Gamble l’hanno capito bene, per esempio. Varie altre aziende e organizzazioni si sono adeguate prontamente ma siamo solo agli inizi. In tutto il mondo le istituzioni pubbliche stanno arrancando, massimamente quelle didattiche. In Italia, duole dirlo, non brilliamo davvero.

Incredibile!

È incredibile. Ogni tanto nel mondo delle aziende, quel mondo dove la dura competizione, il management spregiudicato, le crude valutazioni economiche dominano la scena, ebbene, proprio in quel mondo vengono fuori delle cose che sembrerebbero non entrarci nulla.

Nell’Economist del 9 Giugno 2007, un articolo intitolato “Lessons from Apple” ci rivela che la Apple (quella che fa il Macintosh e l’Ipod per intendersi) ha impartito quattro lezioni con i suoi recenti successi:

1) non ti affezionare solo alle tue idee, se un altro ha avuto un’idea migliore adottala subito

2) se fai qualcosa per qualcuno, fallo pensando alle sue reali necessità e non a quanto sei bravo a fare quella cosa

3) non mollare una tua intuizione perché estranea al pensiero dominante

4) costruisci sui tuoi errori, anziché viverli come fallimenti usali come punto di partenza per nuovi tentativi

È buffo. Sembrano raccomandazioni da dare ad un giovane che voglia intraprendere un mestiere creativo, così sagge e virtuose da sembrare quasi ovvie. Invece no: su una delle più prestigiose testate economiche si legge che sono “four important wider lessons to teach other companies”!

Viene da pensare all’open source. Il software open source non si è rivelato una bufala e non ha travolto le industrie dominanti, IBM eccetera. Invece tutte le industrie hanno aderito in qualche forma alla filosofia di produzione del software fondata sul valore della condivisione …

Oppure al management che aderisce alla filosofia delle tre T: per avere successo, un’azienda di IT deve tenere conto della Tecnologia, del Talento e della Tolleranza …

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