Gli strumenti di social networking: il Web 2.0
Dopo aver letto il materiale (in divenire) nel capitolo sul social networking, qualche studente viene da me a chiedere: “Ma insomma, cos’è infine questo Web 2.0?”
Provo a mettere qui insieme ciò che mi capita di rispondere.
Iniziamo dal fenomeno macroscopico: la comparsa di un nuovo attore, la massa. Sì, la massa è sempre esistita ma con pochissime capacità espressive. Difficile che si parli bene della massa: la massa è una cosa che si manovra, che si spreme, che di solito fa cose banali se non addirittura stupide, cose di massa appunto. La massa è muta o quasi. Si esprime attraverso le sue azioni, oggi principalmente attraverso le sue preferenze nel mercato. Quando in passato la massa si era espressa più incisivamente, lo aveva fatto in modo rozzo se non violento. La massa fa fatica a dire cosa pensa e se ci prova è subito manovrata. Insomma è un soggetto passivo che emette qualche grugnito. È giusto molto grande e conviene tenerla buona perché l’economia ne ha bisogno. Almeno così è stato fino ad ora, più o meno.
Agli albori del terzo millenio le cose stanno cambiando. In Internet la massa ha preso a parlare. Non solo, ha preso a fare. Lavora e costruisce delle cose. Cose anche molto complesse e che funzionano molto bene, talvolta meglio delle altre. Chi le aveva fatte fino ad ora le cose? Le aziende, le industrie, le organizzazioni pubbliche. Tutte entità che funzionano in modo gerarchico e rigidamente determinato. Vuol dire che ci deve essere sempre un capo o un piccolo numero di capi che individuano gli obiettivi e dettano le linee guida per poterli perseguire. I dettagli delle operazioni vengono decisi da sottocapi strutturati in un’organizzazione gerarchica. Ai livelli più bassi non si decide quasi nulla, si esegue e basta. Così hanno funzionato tutte le organizzazioni sino ad oggi, ad iniziare da quelle militari. Questo è in effetti il modello militare, sino ad ora riferimento per quasi tutte le forme di organizzazione.
La massa ha preso la parola in Internet o meglio, in quella parte di Internet che si chiama Web 2.0. Come a dire un’altra Internet: prima c’era il Web, ora c’è il Web 2.0. I fenomeni che si svolgono nel Web 2.0 si chiamano fenomeni di social networking: attività svolte mediante la rete che prendono le forme di fenomeni di natura sociale.
Non c’è struttura nella collaborazione di massa. Chi vuole collabora, quando vuole e nella misura in cui desidera farlo. La cosa funziona perché la massa è grande quindi qualcuno che è in grado di collaborare e vuole farlo si trova. Inoltre, la cosa funziona perché la massa è stata “interconnessa”, questo è l’aspetto tecnologico nuovo.
Perché se Internet esiste da quasi vent’anni la collaborazione di massa è esplosa improvvisamente solo da dieci anni? Perché, attraverso una gestazione relativamente lunga, sono infine apparsi degli strumenti che sono realmente facili da usare, per esempio i blog e i wiki, ma non solo. Vale a dire strumenti che chiunque può usare, senza avere particolari competenze e senza bisogno di un “tecnico” del Web, per potersi esprimere in Internet. “Fare il sito” è un operazione che oggi possono fare tutti. La cosa si è rapidamente generalizzata per cui ci sono molte altre cose che chiunque può fare in Internet.
Non è un’iperbole dire che la collaborazione di massa è “esplosa”, infatti tutti i fenomeni che questa ha causato crescono realmente in maniera esponenziale. Per fare un esempio, la cosiddetta blogosfera, cioè l’insieme dei blog attivi nel mondo, annovera oggi 57 milioni di utenti e dal 2004 ad oggi è raddoppiata ogni 200 giorni: tre milioni di nuovi blog al mese, centomila al giorno. Nel linguaggio della matematica questa si chiama crescita esponenziale. La crescita esponenziale caratterizza i fenomeni nuovi che si sviluppano in modo esplosivo. Le dimensioni dei più rilevanti fenomeni di social networking si misurano in decine e centinaia di milioni di partecipanti. Tali numeri ci dicono che le dimensioni saranno, e sono già, di dimensioni planetarie.
I fenomeni di social networking che si possono osservare oggi sono di grandissima rilevanza e investono numerosi aspetti della vita privata, del lavoro e dell’economia. Essi nascono quasi sempre intorno a qualche nuova applicazione di Internet ed è sorprendente il contrasto fra la semplicità dello strumento ed il suo effetto. In effetti ho già commentato come sia importante la facilità d’uso ma questo non basta a spiegare le crescite esplosive che stiamo osservando. Soprattutto rischiamo di trascurare il fattore veramente importante che è quello umano.
È un po’ come quando in un terreno si raggiungono le condizioni per cui i semi si mettono a germogliare. Il terreno c’è e i semi stanno dentro. Magari per mesi non succede niente poi, all’improvviso, quando la concomitanza delle condizioni è adeguata i semi iniziano a germogliare tutti insieme; chi ha erba da tagliare sa bene cosa significhi …
Il ruolo del seme qui è giocato dall’uomo che, appena le condizioni lo consentono, tende ad aggregarsi. L’impulso all’aggregazione è fortissimo e di origini ataviche. Per capirlo bene può essere rivelatore il comportamento di tante specie animali, con le quali condividiamo un’enorme quota di storia del mondo (condividiamo il 98% del DNA con i gorilla e il 90% con il topo).
Qualunque allevatore di erbivori sa che un animale si comporta in modo completamente diverso quando è solo. Un individuo di una specie predata quando è solo si trova in uno stato di ansietà perché il gruppo rappresenta per lui una delle principali difese. Anche molte specie predatrici hanno sviluppato una marcata socialità perché vitale ai fini della sopravvivenza, vuoi per la tecnica di predazione o per le necessità riproduttive. Chi possiede più di un cane sa che in branco l’individuo cambia molti atteggiamenti.
Il successo dell’homo sapiens è strettamente collegato alla sua socialità. L’immagine di un uomo solo e nudo in un ambiente selvaggio contrasta enormemente con quella dell’uomo “dominatore” della terra. Dominatore sì ma perché ciascun individuo si issa sulle spalle di un gigante che è rappresentato dall’umanità presente e passata.
Avvicinandoci a noi ma rimanendo ancora nel passato, diciamo un secolo fa, all’epoca dei nostri bisnonni, i luoghi dell’aggregazione erano fisici. Presso il focolare le grandi famiglie contadine si riunivano a veglia per raccontarsi fatti correnti e storie del passato. Nelle città e nei paesi la piazza e il corso ospitavano lo “struscio” nei giorni di festa, la chiesa le adunanze religiose, l’osteria il riposo dei braccianti. In tutte queste occasioni le vite degli uomini si intrecciavano dando vita a quel tessuto sociale che consente di instaurare legami affettivi, di lavoro, di cooperazione. Erano occasioni importanti e assolutamente necessarie. Un tessuto che si è evoluto lentamente nei millenni.
Poi, improvvisamente, con l’avvento dell’industrializzazione la vita degli uomini si è fortemente delocalizzata ed il ruolo dei luoghi di aggregazione tradizionali si è dissolto. Sì, gli uomini si sono concentrati nelle città ma in realtà si sono allontanati fra loro se pensiamo alla natura psicologica del concetto di vicinanza. Nelle città gli uomini vivono fitti ma le loro vite scorrono molto più parallele, intersecandosi molto meno di quanto non facessero in passato. Esistono anche oggi forme di aggregazione ma sono quasi sempre un debole surrogato di quelle che hanno caratterizzato la vita dell’uomo fino a pochi decenni fa.
Negli ultimi cinquant’anni sono comparsi i “media”, stampa, radio , televisione. I media aggregano, in qualche modo, ma non è la stessa cosa, per un motivo fondamentale: i media concedono poco al ruolo attivo dell’individuo, giusto scegliere il canale informativo, poi l’individuo assorbe le informazioni.
Il lavoro aggrega ma in un contesto estremamente vincolato. Al lavoro vi sono poche occasioni di sviluppo di rapporti umani al di là delle ovvie interazioni richieste dalle attività specifiche. Anzi, non sono trascurabili problemi di natura opposta come quelli del “mobbing”, il fenomeno delle prevaricazioni psicologiche da parte di superiori e colleghi. In ambienti di lavoro più moderni ed ispirati, si tenta di introdurre forme di aggregazione sociali. Per esempio in alcune aziende High Tech particolarmente avanzate sono previsti spazi e tempi per favorire l’aggregazione sociale fra i dipendenti, perché ritenuta un fattore favorevole al profitto dell’azienda anziché una perdita di tempo. In taluni istituti di matematica esiste la “common room”, un salotto accogliente con comode poltrone e attrezzature per bere e mangiare qualcosa insieme, perché si ritiene che questi momenti siano favorevoli allo scambio delle idee e quindi, in ultima analisi, favorevoli alla produttività. Tuttavia questi sono esempi sporadici e poco rappresentativi della realtà lavorativa generale.
Le persone si aggregano nelle attività del tempo libero. Nelle comunità occidentali esiste molto tempo libero che viene trascorso in attività sportive e ludiche varie. Sono però attività nelle quali prevale sempre più la performance: invece di andare a giocare un po’ a tennis si deve lavorare sul rovescio … è difficile trovare luoghi di aggregazione veri e propri.
Ai giovani poi, le possibilità di aggregazione le abbiamo addirittura azzerate. La scuola? Le attività sportive? Quelle artistiche? Le discoteche? Tutti luoghi nei quali l’enfasi è sulla competizione, sulla specializzazione, sulla performance, sull’auto-esibizione, non sulla cooperazione, sul piacere di stare insieme, di darsi reciprocamente qualcosa, di arricchirsi a vicenda, di interessarsi al problema dell’altro. La vita di un giovane oggi è congestionata e ritmata al pari di quella di un manager. Di fatto i genitori non sono più educatori bensì manager del tempo e dell’educazione dei loro figli, quest’ultima delegata completamente a figure estranee.
Non si passa più il tempo insieme e invece gli esseri umani hanno un grande bisogno di comunicare con in propri simili, di sentirsi parte di qualche cosa, di sentirsi utili.
A fronte di queste constatazioni abbiamo l’esplosione di una serie di stupefacenti esempi di comunicazione e collaborazione di massa. Fenomeni sorti intorno al 2000 che in pochi anni hanno dato vita a comunità da alcune centinaia di migliaia fino a centinaia di milioni di persone.
La comunità di sviluppatori di software open source, come il sistema operativo Linux o la suite di applicazioni per ufficio OpenOffice tanto per fare solo due esempi famosi, coinvolge oggi molti milioni di persone in un’attività molto specialistica e complessa. Il sistema operativo Linux è risultato il più robusto sistema operativo disponibile nel mercato per funzioni critiche come quelle assolte dai server. IL sistema OpenOffice fa concorrenza nel mondo al corrispondente prodotto Microsoft per la grande facilità ad essere adattato alle lingue locali. La massa ha fatto qualcosa ed è qualcosa che ha valore industriale e commerciale. La IBM ci costruisce i suoi sistemi.
L’enciclopedia in rete scritta dagli utenti stessi, Wikipedia, supera in mole tutte le enciclopedie esistenti di granlunga. L’accuratezza e la profondità delle sue voci è paragonabile a quelle convenzionali ed è certamente più idonea a seguire il ritmo vorticoso di crescita delle conoscenze. La massa fa qualcosa: redige un’enciclopedia.
La comunità degli iscritti a MySpace, uno dei tanti ambienti di socializzazione, molto usato dai giovani, consta oggi di 300 milioni di membri. I giovani cui, nel mondo occidentale, è stato sottratto lo spazio per esprimersi, lo fanno in Internet. Inutile accusarli di svolgere una vita virtuale e paventare tutti i pericoli che da ciò possono derivare. Il tempo è stato loro scippato, i possibili luoghi di socializzazione si sono trasformati in qualcos’altro. Loro si esprimono e comunicano dove possono. Riflettiamo sulla cifra: 300 milioni! Una massa che sente il bisogno di esprimersi e che probabilmente non sanno che farsene della televisione.
Alcune grandi aziende hanno capito per tempo che sta succedendo qualcosa di diverso e di importante.
La IBM, forse la più famosa multinazionale di Information Technology, ha accettato il modello di sviluppo del software libero, via ha investito miliardi di dollari ricavandone prontamente cospicui profitti e rimette in libera circolazione i suoi brevetti software, come farebbe qualsiasi singolo programmatore open source. L’IBM ha riconosciuto la massa come interlocutore.
Scienziati e tecnici di tutto il mondo con tempo libero a disposizione oppure in pensione, collaborano con entusiasmo ai problemi di ricerca offerti in Internet da aziende del calibro della Procter & Gamble. Queste grandi aziende high tech, pur disponendo di veri e propri eserciti di ricercatori nelle loro divisioni di ricerca e sviluppo (la P&G ne ha 9000), trovano proficuo diffondere liberamente in Internet alcuni loro progetti di ricerca perché confidano nella capacità della massa di risolvere i loro problemi: seminano i problemi nella massa e in questa germogliano soluzioni. La P&G ha riconsciuto la massa come interlocutore.
Vi sono molti altri esempi del genere ma rappresentano ancora una piccola minoranza nel panorama industriale internazionale. Sono tuttavia esempi di grande rilevanza che sanciscono l’esistenza di un nuovo tipo di economia nella quale un nuovo paradigma organizzativo affianca e integra quello tradizionale di tipo gerarchico. Un paradigma organizzativo sorto spontaneamente in seguito all’apparizione di nuovi strumenti di comunicazione, gli strumenti Web 2.0, che hanno dato parola e capacità di azione alla massa. La spinta deriva dall’atavico bisogno di aggregazione e partecipazione degli uomini.
Ecco, tutto questo è Web 2.0.
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