Un’altra attività (facoltativa) in collaborazione – #edmu14

In questo post proponiamo un’attività alla quale può partecipare chiunque, non solo gli studenti di Editing Multimediale. Questi ultimi ovviamente possono contribuire se possono e vogliono.

Ma prima due parole per ricapitolare come funziona il percorso, anche se per la classe di Editing Multimediale di quest’anno dovrebbe essere già noto, avendo fatto insieme il Laboratorio Informatico due anni fa.

Come in tutti gli altri insegnamenti, alla fine ci sarà l’esame, ma il significato di questo è diverso dal solito. Qui il diritto a conseguire il voto si costruisce cammin facendo e non con una prova finale. L’esame finale servirà a svolgere una discussione, ma l’esito sarà già determinato, al massimo potrà essere ritoccata la valutazione, ma di poco.

Le attività proposte vanno quindi considerate obbligatorie per gli studenti di Editing Multimediale, a meno che non sia esplicitamente dichiarato il contrario, come in quella proposta di seguito. Chi ha dubbi chieda mediante un commento al post pertinente. La valutazione cresce con la qualità e la quantità delle attività. Chi non fa niente pensando di cavarsela rispondendo a delle domande all’esame, avrà certamente una valutazione molto bassa. In tal caso l’esame verterà sui motivi per cui le attività non sono state svolte. In particolare si cercherà di appurare se vi è stato uno sforzo o meno e verranno valutate eventuali difficoltà oggettive.

Veniamo alla seconda attività, che è emersa spontaneamente nel corso della prima. Claude, in un commento al post di introduzione, proponeva di tradurre in italiano il tutorial sull’impiego dell’editore di Amara, il cui originale si trova qui. Mi sembra un’ottima idea e quindi la propongo a tutto il laboratorio, non solo agli studenti di Editing Multimediale, per i quali, ripeto, è facoltativa.

Si tratta di una traduzione collaborativa, esattamente come quella che facemmo insieme dell’articolo Expanding the zone of reflective capacity: taking separate journeys together – Espandendo la zona di capacità riflessiva: unendo percorsi diversi.

Claude ha preparato una pagina apposita, come l’altra volta. Per chi vuole partecipare la pagina è questa (una parte l’ha già tradotta Claude).

Infine una domanda. Considerato che alcuni di voi stavano quasi per finire da soli il lavoro di sottotitolazione del podcast di introduzione, volete un video da sottotitolare?

Domani 25 ottobre dimostrazione PirateBox al Linux Day

Linux Day Firenze

25 ottobre

presso le Murate

Descrizione dell’iniziativa “PirateBox in classe”

10:00 – 10:25

Punto informazione

La Pirate Box in due varianti: una realizzata con router TP-Link MR3020 e distribuzione OpenWrt, l’altra con Raspberry PI e distribuzione ArchLinux

10:30 – 13:00

Elaborazione dei feedback – #loptis

A chi mi chiede:

Ma dove pongo le mie domande sulla PirateBox?

Rispondo, in ordine di preferenza:

  1. Aggiungendo il tuo contributo sul wiki PirateBox in classe
  2. Se hai fretta, con un commento ad un qualsiasi post sulla PirateBox, questo per esempio
  3. Per email, se hai motivi privati, ma è sempre meglio scrivere dove leggono tutti

Continua a leggere…

L’importanza dei feedback – #loptis

Per dare un segno di vita e per ricordarsi il senso della cosa.

I partecipanti all’iniziativa “PirateBox in classe” rimborsano le spese dell’hardware – a proposito, grazie a tutti per la sollecitudine. Il mio lavoro è invece free, per dirla alla Stallman: free as in free speech, not free as free beer. Ovvero, il mio lavoro non è gratis: non chiedo denaro, ma chiedo feedback.
Continua a leggere…

An abstract in English of the “PirateBox in classroom” initiative – #loptis

Ieri ho scritto un tweet sulla presentazione dell’iniziativa “PirateBox in classe” che farò al prossimo Linux Day a Firenze. Yesterday I twitted about a presentation about the “PirateBox in classroom” intitiative we will give at the next Linux Day in florence: Continua… Go on…

Un wiki per condividere le esperienze sulla PirateBox in classe – #loptis

A questo punto sono state consegnate tutte le 34 PirateBox che avevamo previsto. Includendo coloro che se la sono procurata e montata da soli, in totale sono 37.

Questo non rappresenta tuttavia un limite. Se altri vogliono unirsi possono scrivere, qui o per email. Possiamo prepararne delle altre, basta non avere fretta.

Con la consegna delle prime scatoline sono arrivate le prime domande e i primi commenti. Abbiamo aperto un wiki al fine di agevolare lo scambio di idee e di soluzioni ai problemi. Per iscriversi al wiki è sufficiente seguire il link seguente:

https://wikispaces.com/join/9CRHNTK

Questo sistema semplificato di iscrizione scade il 4 ottobre. È un fatto automatico. Lo rinnoveremo. Questa scandenza non deve indurre alla fretta. Ognuno riporterà le proprie esperienza quando avrà senso farlo.

Va da se che l’iscrizione al wiki serve soprattutto per chi sperimenta la scatolina, mentre chiunque lo può consultare al link:

http://bibliobox.wikispaces.com/PirateBox+in+classe+-+loptis

La traduzione in collaborazione è stata completata – #loptis

Il 22 dicembre nel post Servizi di scrittura collaborativa e un primo progetto avevamo proposto l’idea di tradurre in collaborazione un articolo dall’inglese. L’idea consentiva di fare esercizio di editing in un wiki e allo stesso tempo di offrire materia di riflessione sull’aggiornamento professionale degli insegnanti in una modalità particolarmente coinvolgente.

L’articolo si intitola Expanding the zone of reflective capacity: taking separate journeys togetherEspandendo la zona di capacità riflessiva: unendo percorsi diversi. È apparso nel 2009 sulla rivista Networks – An Online Journal for Teacher Research.

Una settimana dopo, con il post Traducendo e collaborando…, abbiamo ripreso l’argomento per darci qualche regola, perché il lavoro era partito come una fiammata. Dopo un’altra settimana anche Claude è intervenuta, dando utili consigli sulle modalità di editing di un testo bilingue.

Poi il lavoro è andato sobbollendo grazie alla collaborazione di varie persone e alla cura continua di Claude. Ora è stato completato, grazie al contributo finale di Simona che ha estratto una versione ripulita dall’intrico di pagine che si era formato cammin facendo.

Intendiamoci, come dice Claude – che di traduzioni e di Lettere se ne intende – una traduzione non finisce mai. E noi lasceremo che chiunque voglia, possa contribuire a migliorarla, ove opportuno. Ma qui non dobbiamo dare qualcosa alle stampe, bensì solo consentire a tutti di accedere al contenuto dell’articolo – è in questo senso che possiamo ritenere completato il lavoro. Per chi volesse controllare la traduzione sulla carta, ecco i file pdf della versione inglese e della versione italiana. Chi volesse poi intervenire sulla versione finale oppure commentarla, può accedere alla versione preparata da Simona nel wiki.

Se non vado errato, al lavoro di traduzione hanno collaborato 13 persone,  che hanno creato 8 pagine revisionate in totale 133 volte, e che hanno comunicato fra loro nel wiki con 191 commenti. Non male! Ringraziamo quindi:

Se ho dimenticato qualcuno o qualcosa segnalatelo, aggiornerò conseguentemente questo post.

Quanto al contenuto, l’articolo narra del lavoro conclusivo di un percorso formativo, nel quale un gruppo di insegnanti, eterogeneo per disciplina e scuola, accetta di confrontarsi filmando alcune lezioni nelle rispettive classi e discutendole criticamente insieme. A me era parso un approccio formidabile e coraggioso, che faccio fatica ad immaginare nel nostro contesto – sto pensando al mio, naturalmente, ma credo che nella scuola non sia molto diverso. Mi piaceva sapere cosa pensavano le persone… ora lo possono leggere tutti.

Studiare e poi fare è più difficile che studiare e basta – #loptis

Sì, mettiamola così: studiare e poi fare è più difficile che studiare e basta.

Agire in ambienti nuovi, in collaborazione, e per di più online, può risultare difficile e può dare la sensazione di procedere lentamente – il tempo ossessiona un po’ tutti – è difficile per coloro che giocano il ruolo di studenti ma anche per coloro che fanno i docenti.

Il nostro proposito è quello di farsi beffe del tempo e di concentrarsi invece sulla qualità. Lavorare bene, quando possibile. Se volete, è un modo intelligente di frenare quella che è sempre più una corsa insensata – non si sa poi verso cosa.

Abbiamo due lavori in corso. Vorremmo che venissero bene, anche se ci vuole più tempo, anche se nel frattempo metteremo qualche altro piatto in tavola. I lavori sono:

  1. La traduzione collaborativa di un articolo sull’espansione della zona di capacità riflessiva di un gruppo di insegnanti – pagina wikiarticolo originale (pdf)
  2. la raccolta di pratiche tecnologiche a scuola – pagina wiki

Per quanto riguarda la traduzione collaborativa, in realtà il lavoro è andato molto avanti anche se con delle fasi caotiche e qualche pasticcio nella gestione delle pagine, anche per colpa mia, che non sono proprio uno preciso. Stamani ho provato a ristrutturare un po’, grazie anche ai suggerimenti di Claude, sempre solerte e immaginifica.

Fra le novità, Martina e Claude hanno creato un glossario di termini difficili da tradurre alla prima. Uno strumento che può servire a riflettere e a negoziare la traduzione più appropriata.

Questo è il link del modulo per inviare un termine e le relative informazioni: http://goo.gl/ATXV5D

Questo è il link del glossario vero e proprio, al punto in cui si trova ora: http://goo.gl/FHL6m6

Per quanto concerne invece la raccolta di pratiche tecnologiche nella scuola, abbiamo raccolto 5 contributi sino ad ora, a parte il mio che fungeva da suggerimento.

Può essere che ad un certo punto ritroviate i vostri contributi rimaneggiati graficamente oppure spostati. Questo può succedere in seguito al mio lavoro di “giardinaggio” del wiki e di mantenimento dell’ordine cronologico dei contributi. In seguito vedremo se sarà il caso di riorganizzare altrimenti la pagina.

Invito vivamente coloro che possono farlo ad aggiungere i loro contributi. Credo che le esperienze dei colleghi siano un incentivo formidabile per altri che desiderino cimentarsi nella sperimentazione di nuovi metodi.

Perseveriamo.

Recuperando valore – un secondo progetto – #loptis

Parallelamente alla traduzione del paper in inglese vorrei proporre una seconda attività in collaborazione. L’idea è venuta all’inizio di novembre, leggendo i commenti al post Lo screenshot: ho fatto il blog di classe – io ho usato il flipping – anch’io il blog…

Anche solamente due o tre anni fa questo non sarebbe successo. Oggi il mondo corre – non è mai stato fermo, anche se molti credono il contrario, ma ora corre proprio. Bisogna tenerne conto, come bisogna tener conto del fatto che ti puoi ritrovare valore dove non te lo saresti aspettato, magari valore in quantità, che sarebbe sciocco trascurare. Ecco quindi l’idea di comporre insieme un quadro delle esperienze compiute e di quelle che sono ancora in corso.

Ho aperto una nuova pagina wiki per ospitare questo secondo lavoro: Pratiche tecnologiche a scuola. A titolo di esempio ci ho messo quella che potrebbe essere la descrizione delle mie attività, che ho strutturato nelle voci

  • Tecnologia
  • Metodo
  • Periodo (Attività in corso, terminata, periodica…)
  • Scuola
  • Classe
  • Lezione appresa

È solo una proposta che voi potete anche migliorare. In ogni caso invito coloro che hanno fatto delle esperienze del genere ad aggiungerle nella pagina wiki. Per ora si tratta di aggiungere il proprio contributo uno dietro l’altro, editando ammodino. Provvederemo successivamente a dare alla pagina una struttura adeguata.

Suggerisco di editare nel modo codice, almeno in parte: vi è maggiore garanzia che si riesca a fare un editing omogeneo. Per fare questo, cliccate in alto a destra su Edit. tasto edit di wikispaces

Poi sulla freccia a sinistra del tasto Save e, sul menu che si apre, Wikitext Editor. tasto wikitext editor in wikispaces

Andate in fondo al testo e aggiungete il vostro. Potere anche copiare pari pari il testo che ho messo qui, sotto la barra, alterandolo poi opportunamente.

Un consiglio. La reattività del wiki non è immediata, per noi che popoliamo la terra dalla banda stretta. Questo accade perché un bel po’ delle sue funzionalità sono realizzate mediante non poco codice Javascript che cala nel computer alla bisogna. Se i nostri beneamati governanti avessero investito un po’ di energie in pianificazione infrastrutturale a suo tempo (ormai un decina di anni fa e oltre), ora avremmo una cosa che si chiama banda larga e strumenti come questi funzionerebbero a razzo, ma così non è. Quindi? Beh, bisogna considerare prezioso ogni singolo clic: magari sembra che non succeda nulla ma lui – il computer – sta facendo del suo meglio per ciucciare gli agognati codici dai rubinetti striminziti delle italiche infrastrutture… cliccate, rilassatevi e abbiate fede, sempre…

Copiare da sotto la riga in poi…


—-
=Pinco Pallino=
==Tecnologia==
E qui viene la descrizione delle tecnologie usate.

==Metodo==
Qui il metodo

==Periodo==
===Attività in corso, terminata, periodica…===
Qui la durata dell’esperienza, se è ancora in corso oppure se è terminata, se avrà un seguito, se è divenuta routine eccetera.

==Scuola e classe==
Scuola…

==Lezione appresa==
Ogni tipo di considerazioni sugli esiti dell’esperienza

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Traducendo e collaborando… – #loptis

Clicca qui per scaricare la versione in pdf


Una settimana fa abbiamo proposto di tradurre insieme un articolo scientifico utilizzando lo strumento del wiki. In 16 hanno chiesto di essere iscritti al servizio e in 8 hanno contribuito traducendo circa la metà dell’articolo. Nella sezione di discussione della relativa pagina wiki sono stati scritti 83 commenti i quali sono stati visti 213 volte. I temi discussi spaziano dall’organizzazione dell’editing collaborativo – negoziazione sul metodo di marcatura delle parti tradotte ecc. – a questioni inerenti alla traduzione o anche al contenuto di alcuni passi dell’articolo.

Non immaginavo che la cosa partisse con questa velocità. Ho avuto difficoltà a scrivere questo che pensavo dovesse essere un post-lampo, a causa della velocità con cui state lavorando! Molto probabilmente, i numeri che leggerete saranno comunque obsoleti. Molto bene.

Benché poco incline ad avere il controllo totale degli accadimenti, ma molto più a mettere legna dove pare che il fuoco tiri, nel mio piccolo una minima parvenza d’ordine avevo provato ad immaginarla: prima quelli che sanno l’inglese traducono e poi tutti insieme si discute. Macché! Lo spazio di discussione s’è immediatamente intricato di discorsi sia di metodo che di merito. Ma ci metto un attimo a mollare i propositi di far ordine, che mi paion subito tanto pretenziosi quanto patetici: che avvampi dunque questo bel fuoco, e vediamo d’entrare a festa nell’anno nuovo!

Però provo a fare qualche considerazione sia sulle faccende di metodo che di merito – a dire il vero solo su uno degli spunti proposti. Per quanto attiene al metodo sintetizzo alcuni suggerimenti distillati dalle negoziazioni emerse nelle discussioni, mica tanto per sancire delle regole ferree, quanto per illustrare i modi emersi spontaneamente per collaborare in un wiki.

  • Decidere il passo che si vuole tradurre
  • Copiarlo in un altro luogo, magari creando una nuova pagina nel wiki; in questo momento vedo le seguenti pagine: articolo problema, articolo processo, articolo documentare processo, articolo percorso
  • Segnalare in qualche modo sulla pagina wiki la propria intenzione di tradurre quel passo, come ha fatto per esempio Claude. Questo è interessante perché riproduce la tecnica fondamentale usata dai database per mantenere l’integrità dei dati nel caso di transazioni simultanee: quando parte una transazione – la prenotazione di un posto sul treno – il sistema blocca l’accesso ai dati potenzialmente coinvolti nella transazione, e se arrivano nel frattempo altre richieste, queste dovranno attendere che sia chiusa la precedente. Claude ha impostato qualcosa di simile, che naturalmente funziona se sostenuto dall’autodisciplina dei partecipanti: chi vuole tradurre un brano lo “blocca” e gli altri “rispettano” il blocco.
  • Inserire nella pagina principale Articolo da tradurre e discutere i passi tradotti colorandoli in blu
  • Includere in una coppia di parentesi quadre la versione inglese dei brani tradotti che si vogliono lasciare visibili per facilitare la revisione e la discussione della traduzione – come ha fatto per esempio Martina.

Ora qualche considerazione sul merito, partendo da uno dei numerosi spunti proposti da Martina:

3 – Cosa intendono per Educators world-wide have embraced the notion that engaging in action research can empower teachers as classroom researchers who improve their teaching practices and encrease their students’ learning outcomes?

Lavorano sull’ipotesi di un insegnante ricercatore che lavori progettando proposte educative e attività, ne analizzi i risultati osservando quello che accade in classe durante la loro realizzazione, si confronta con i colleghi e gli esperti per aggiustarne il tiro, per valutarle e modificarle con il fine di migliorare la resa e la competenza dei propri alunni? Se sì … sarebbe bellissimo!

Sì Martina, sarebbe bellissimo, e non solo nel contesto che stiamo commentando. Double-loop learning (dall’action research di Argyris), expansive learning (Engeström), zone of reflective capacity (derivazione forse un po’ leggera da un’idea di Vygotsky), reflective practice (Schön) – banalizzando un po’, thinking outside the box: uscire dalla “scatola” per cercare un’altra prospettiva sotto la quale riconsiderare il problema – sono alcune delle prospettive suggerite da vari studiosi che da almeno una trentina d’anni stanno cercando di comprendere meglio l’apprendimento, il suo ruolo all’interno dell’organizzazione in cui l’individuo opera e come ciò ne influenzi la capacità  di affrontare i marosi della contemporaneità – immaginando la cosiddetta learning organization,  l’organizzazione adattabile al mutevole contesto, l’organizzazione capace di apprendere. Una cosa della quale mi pare ci sia molto bisogno e della quale non ho visto praticamente tracce, in tutte le organizzazioni pubbliche e private con le quali ho avuto a che fare direttamente – a me sono parse tutte inadeguate, ivi incluse le scuole e l’università, dove poi sono rimasto a fare il ricercatore. Ecco, quest’ultime mi sono parse tragicamente inadeguate, in relazione al loro compito istituzionale.

Edgar Morin nel suo Metodo – p. 7, a proposito dell’università, dice che la Scuola della ricerca è una scuola del Lutto, laddove essa si ostina a tenere disgiunti i saperi mentre il mondo ci sta urlando di non poter essere descritto così.

Saperi disgiunti, conservati…

È ben protetta la Scienza, ve lo dico io, la Facoltà, è un armadio ben chiuso. Vasetti in quantità, poca marmellata. [Céline – p. 227]

E giusto ieri sera, leggendo Learning by Expanding [Engeström – p. 50]:

Retreat into the safe world of academic discourse is today almost a guarantee of distorted observation. – Rifugiarsi nel porto sicuro del discorso accademico, significa oggi quasi sicuramente osservazione distorta.

Tutti riferimenti all’Accademia, è vero. Ma poi è l’atmosfera di quell’Accademia quella che viene proiettata sull’intero apparato dei sistemi di istruzione di tutto il mondo, quasi come se il vero obiettivo di tali sistemi fosse solo quello di sfornare professori universitari [Sir Ken Robinson – 9:58]. E il resto, la stragrande maggioranza degli scolari, se ne va affrontando la vita con una preparazione da mini-professore, spesso gravemente carente per affrontare mestieri e arti di ogni sorta. Un sistema rigido, in ogni sua parte, alla deriva in un mondo che richiederebbe invece crescente adattabilità.

Quel lavorare ricercando – come dice Martina, progettando proposte, analizzando risultati, osservando quello che accade, confrontandosi per aggiustarne il tiro, per valutarle e modificarle con il fine di migliorare – significa essere disposti a uscire dallo schema del problem solving convenzionale – dove si deve selezionare una fra un definito numero di possibili soluzioni predisposte – e si è invece disposti a rivedere il set di soluzioni possibili, eventualmente anche a rivedere l’intero contesto in cui si pone il problema, magari finendo col riformularlo nuovamente, magari in una forma completamente diversa.

L’abitudine di considerare il proprio ruolo definito e definitivo, delegando la soluzione dei problemi all’organizzazione, è fallimentare nell’era contemporanea. Le organizzazioni sono ancora oggi quasi sempre prive di strumenti idonei alla percezione del contesto e all’adattamento, anni luce distanti da quella learning organization che gli studiosi vanno immaginando.

La questione fondamentale che deve essere chiarita bene, è che, all’occorrenza, tutti i partecipanti di una learning organization devono essere disposti ad “uscire dalla scatola” dei metodi ordinari, e dal canto loro i dirigenti devono essere predisposti a cogliere e valorizzare gli spunti utili che provengano da qualsiasi altro partecipante, non importa da quale settore o livello dell’organizzazione.

Buon anno nuovo a tutti!


  1. Edgar Morin (2001)
    Il metodo
    La natura della natura
    Raffaello Cortina Editore (Milano)
  2. Céline (1932)
    Viaggio al termine della notte
    La Biblioteca di Repubblica (2002), Roma
  3. Yrjö Engeström (1987)
    Learning by Expanding
    Orienta-Konsultit, Helsinki
    Sto studiando l’opera di questo autore perché sviluppa in modo approfondito e traspone nel contesto attuale del lifelong learning l’idea di Vygotzky di zona di sviluppo prossimale, che il medesimo concepì a proposito dello sviluppo del bambino, ma che lasciò indefinita a causa della prematura morte. Un’idea indefinita ma che ha dato corso ad una ricchissima messe di citazioni, una buona parte delle quali forse troppo superficiali. Ho sempre “sentito” che il concetto di zona di sviluppo prossimale poteva essere di grande utilità per il lavoro che sto cercando di portare avanti ed è indubbio che sia stato fonte importante di ispirazione. Desiderando capire meglio, al di là delle intuizioni, è appunto nel lavoro di Engeström che trovo gli appigli teorici più saldi – consapevole che nell’ambito delle scienze sociali essi siano ancor più mobili di quelli offerti dalle scienze classiche, a me un po’ più famigliari. Purtroppo questo volume non si trova più – almeno io non sono riuscito a trovarlo – ma ho potuto scaricare dalla rete una versione in pdf, senza figure, che sono importanti in quel testo. Ed ecco un fatto interessante: ho scritto ad Annalisa Sannino, una collaboratrice di Yrjö Engeström – non avevo capito se era ancora attivo, pare di sì – chiedendo di questo libro. Dopo pochi giorni mi ha risposto informandomi che nel 2014 uscirà una revisione del libro, ma inviandomi anche un file pdf delle figure, che Yrjö Engeström medesimo si era premurato di passarle per l’occasione, poi da lei annotate affinché le potessi ricollocare nel testo che ho disposizione.
  4. Sir Ken Robinson (2006)