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Come sono comparsi i MOOC?
Oggi i MOOC (Massive Open Online Courses) vanno di moda. Tutti ne parlano e esistono già società le quali, fungendo da intermediari, li offrono per conto delle università. È bene tuttavia chiarire che questo acronimo può indicare cose molto diverse fra loro. In questa sezione cerco di illustrare la questione.
I primi MOOC non si chiamavano così. Nel 2007, grazie ad una provvidenziale segnalazione di Antonio Fini, mi capitò di iscrivermi al corso online “Introduction to Open Education”, tenuto da David Wiley, a quel tempo presso la Utah State University. Il corso rappresentava una clamorosa novità: chiunque poteva iscriversi liberamente, accedendo ad una semplice pagina wiki e scrivendovi le proprie generalità, eccola. Se scorrete la pagina trovate anche le iscrizioni di Antonio e di altri amici italiani.
Trovai subito affascinante quell’esperimento che ricordo come la più bella e proficua esperienza di tutta la mia carriera di studente: scoprire compagni di scuola, persone mai viste, dalle storie sconosciute, grazie all’affinità degli ideali e alla risonanza dei pensieri. Un’emozione che non avrei immaginato. Tecnicamente il metodo era di una semplicità disarmante. I partecipanti erano tenuti ad usare un blog come fosse un quaderno, l’insegnante suggeriva i temi sul suo blog e tutti leggevano e commentavano i testi degli altri [1]. Il corso partì subito bene, come si può vedere dai primi commenti di Wiley ai pensieri dei suoi studenti sparsi nel mondo, fra cui quello dove avevo accennato alla storia di Don Milani.
Alla fine delle 15 settimane di corso, coloro i quali, secondo il giudizio di Wiley, avevano partecipato attivamente, potevano ricevere un certificato di completamente del corso, a fronte di un modesto pagamento – mi pare 50 $ – alla Utah State University.
Qual è il valore legale di questo titolo? Credo che sia nullo.
Qual è il valore di questo titolo per me? Diciamo così: se per un qualche incanto, fossi costretto a fuggire in un altro mondo, portandomi dietro uno solo dei miei titoli di studio, allora mi porterei questo, lasciando tutti gli altri.
Misi subito a profitto l’insegnamento ricevuto, applicandolo nella primavera del 2008 alla classe di medicina e introducendo insieme a Maria Grazia Fiore l’idea di blogoclasse [2].
Sull’onda dell’entusiasmo, partecipai al corso “Connectivism and Connectivist Knowledge” (CCK08), tenuto nell’autunno del 2008 da George Siemens e Stephen Downes, il primo con un numero inusualmente grande di iscrizioni. Il corso fu offerto in forma online dalla University of Manitoba con due tipi d’iscrizione: una a pagamento, che prevedeva l’assegnazione di crediti, l’altra libera: le iscrizioni convenzionali furono 24, e quelle libere 2200. Jenny Mackness, Sui Fai John Make e Roy Williams, tre partecipanti del corso riferirono [3] di avere stimato un numero di partecipanti attivi pari a 150. È un dato plausibile, anche se ricordo di avere interagito in maniera significativa con circa una ventina di “compagni di classe”.
Pare che il termine MOOC sia emerso in una conversazione fra George Siemens e Dave Cormier, un esperto di tecnologie web che fu coinvolto nel corso CCK08, come lo stesso Cormier ha raccontato in un suo post. La gestazione è stata breve. Oggi esistono MOOC gestiti da aziende specializzate ai quali si iscrivono decine o addirittura centinaia di migliaia di studenti. Non è del tutto chiaro come, ma sono in molti a ritenere che i MOOC debbano risolversi in un grande business.
E qui occorre intendersi bene. Questi ultimi MOOC non hanno quasi niente a che vedere con le prime edizioni pionieristiche. Distinguiamo.
Nei MOOC “prima maniera” l’enfasi è sulle relazioni fra i partecipanti e sull’effetto di rete che ne scaturisce. Si assume che l’apprendimento emerga non solo dallo studio e dalla riflessione personale ma anche dal confronto con i pari e dalla condivisione di problemi e di soluzioni. L’insegnante interagisce anche con i singoli partecipanti ma non perde mai di vista la cura della comunità che va costituendosi, ritenendola il contesto fondamentale per favorire l’apprendimento di ciascuno. In questi corsi la tecnologia è un mezzo per mettere in opera nuovi modelli di insegnamento, motivati da considerazioni epistemologiche e pedagogiche. I primi esperimenti MOOC derivano dal connettivismo, la teoria dell’apprendimento formulata da George Siemens e Stephen Downes. Per questo motivo vengono designati dall’acronimo cMOOC: connectivist Massive Open Online Course.
Nei MOOC “seconda maniera” le tecnologie vengono invece applicate per estendere il modello convenzionale di insegnamente universitario alla massa. Gli studenti reperiscono i materiali didattici online e eseguono test online automatizzati. Per distinguerli dai precedenti, questi vengono designati dall’acronimo xMOOC. In effetti la “x” è appropriata, perché questi corsi possono essere progettati in una varietà di sfumature, magari avvicinandosi più o meno alla visione connettivista o anche ad altre prospettive. Ma il modello che sembra prevalere è quello industriale.
Bene, con questo ho detto il minimo che occorre per prendere posizione: i cMOOC costituiscono una grande occasione per sperimentare modalità didattiche che siano adatte alle esigenze della società contemporanea; gli xMOOC rappresentano invece l’ulteriore industrializzazione di un modello di insegnamento che già da anni mostra pesanti limiti, un modello che privilegia l’idea di insegnamento quale mero trasferimento di contenuti.
Quasi quasi, quello che stiamo proponendo dovrebbe designarsi CmOOC, dove l’enfasi è sulla cura delle relazioni piuttosto che sul fatto di essere potenzialmente “di massa”. Per chi vuole capire meglio, nella sezione seguente propongo la lettura delle testimonianze di alcuni studenti che hanno seguito un percorso affine a quello che stiamo proponendo.
Il cMOOC sarà molto simile a quello seguito da questi studenti, ma avrà l’incognita del numero di partecipanti: la dimensione della “M” è sconosciuta, e quindi i metodi che verranno applicati non sono del tutto prevedibili. Fa parte del gioco: ricerca in azione.
Ringrazio gli studenti #linf12 per avere dedicato parte del loro tempo a scrivere questi contributi.
Testimonianze
Propongo qui di seguito la lettura delle testimonianze degli studenti del “Laboratorio Informatico” #linf12. Questi studenti sono insegnanti e amministrativi che lavorano nella scuola primaria e secondaria e che stanno frequentando il primo anno del corso di laurea triennale “Metodi e Tecniche delle Interazioni Educative” presso l’Italian University Line. L’esperienza che stanno vivendo questi studenti è simile a quella che hanno vissuto tutti gli altri, nei corsi che ho proposto dal 2008 ad oggi, in una grande varietà di contesti , corsi di fatto CmOOC, in quanto, sebben innestati in curricula convenzionali, sono sempre stati aperti a chiunque e ispirati al modello MOOC “prima maniera”.
Beatrice
Insegnante tardiva. O come ho scoperto, ritardataria. Ogni volta che cerco di capire, esattamente, chi sono e qual è realmente la mia professione, comodamente, preferisco giudicare la scuola; trovare limiti e colpe nell’inadeguatezza di una struttura. Ma l’insegnante sono io e chi non sa imparare non può dare tanto. Sono io che devo guardare; prendere e dare. Imparare. Un corso di laurea scelto per caso, un corso (ops, per-corso) di linguaggi e comunicazioni virtuali, la superficialità del credere che un manuale potesse bastare. Poi si è aperto un mondo. Io ritardataria che rincorro contatti senza fili. Un libro senza pagine, senza l’ultima pagina, perché l’educazione non ha l’indice e nemmeno la copertina. L’ultima pagina è sempre da scrivere. Sapere che le parole non vanno sprecate, che in un tweet posso chiedere aiuto in modo efficace, che un archivio virtuale di esperienze ed informazioni è a portata di mano. Sapere che posso scambiare, ricevere, gridare senza filtri, senza pregiudizi o vizi di forma (di formalità). Sono riuscita, alla mia età, a creare un blog. Ed ho scritto. Io ho finalmente “detto”. E mentre scrivo mi pongo il problema di chi mi legge. Perché le parole hanno un peso, e non vanno sprecate. Non devo apparire, devo esserci. E citando il prof: io sperduta fino ad oggi, attaccata alla mia chiavetta fragile, forse mi sento libera dal peso dell’Eccellenza. Il mio essere in ritardo mi mette, oggi, di nuovo in viaggio. Il mio aggiornamento continuo e reale in una comunità di menti e non di volti. Virtualmente operativa. L’eleganza della parola, la bellezza del linguaggio, la grazia di una nuova conoscenza.
Errica
Essere un’insegnante con 22 anni di esperienza, significa essere stata studentessa negli anni ’80-’90, in un altro mondo, in realtà , quello delle lezioni frontali, dell’estremo riconoscimento delle competenze individuali. Non “era tempo” per il Coperative Learning, l’utilizzo delle tecnologie, gli stage.. ma era il nostro tempo, adeguato, colmo di entusiasmo, ricco di pensatori e progetti (da e per l’estero), con eclatanti cambiamenti di rotta in campo progettuale e di programma (i programmi ministeriali della scuola primaria dell’85 pare li abbiano ritenuti validi perfino in Cina!).
Persone come me, con un tale percorso alle spalle, però non “vogliono” aver appreso.
È il mondo che bisogna continuare a comprendere, e con esso ciò che ne è l’anima: i giovani.
Con coraggio, ed è una strada ardua, ci si ritrova ad iscriversi ad un corso di laurea, questo, alla “scoperta” di metodi e tecniche…quelle nuove…o forse, già vecchie… Ma è il metodo che interessa e sprigiona grandi capacità : qui non c’è niente di “rigido”, nemmeno il disco! Poche nozioni espresse in modo laboratoriale, non sufficienti, per altro, ad arrivare alla fine del “compito”: va di scena il “cervello”; e poi si crede nella sterilità della “macchina”!
Faccio un esempio: tutti sanno usare un programma di testo; certamente, ma utilizzando le impostazioni predefinite! Chi si sognerebbe di conoscere in profondità il “codice”? E allora penso, penso, penso: mi viene in mente la mia infanzia (sono di quella generazione che viveva all’aperto senza giochi se non la corda, la palla, e noi stessi: gruppo del quartiere. Codice, linguaggio: i giochi di un tempo: l’alfabeto farfallino, ve lo ricordate? A cosa serviva? A comunicare, ma in maniera creativa!! Non ci si può fermare a utilizzare ciò che ci appartiene, creare è la via!
Pensiero – Linguaggio – Sviluppo Cognitivo risiedono nell’html!!
O se volete:
Penfesifieferofo – Linfigufuafaggifiofo – Svifilufuppofo Cofognifitifivofo rifisifiefedofonofo nellfe’ html!
Flavia
Cosa spinge un’insegnante alla soglia dei 50 anni a rimettersi in gioco? Per quale motivo decide di cambiare rotta? Che cosa la spinge a farlo? E … lo può fare? Queste sono domande che mi pongo ora, dopo aver già intrapreso il cammino, fermandomi a riflettere sulla scelta compiuta. Far parte del gruppo #linf12 è straordinario, è un’esperienza che coinvolge culturalmente ed emotivamente. I rapporti cosiddetti “virtuali”, che spaventano molti educatori non si sono per niente dimostrati asettici, ci siamo affiatate, ci siamo conosciute attraverso i nostri post e i nostri commenti e la riprova per alcune di noi è stata quando ci siamo viste per la prima volta in carne ed ossa e abbiamo cominciato a parlare: sembrava di conoscersi da sempre! Si parla tanto di pluralità di esperienze, pluralità di culture, pluralità di lingue, … beh l’università telematica, e nello specifico questo laboratorio informatico, ha permesso tutto ciò. Io ho seguito diversi corsi blended e pensavo che anche questo percorso avesse le stesse caratteristiche degli altri, ma invece si è dimostrato qualcosa di diverso, di sostanzialmente diverso! Abbiamo sperimentato un modo di apprendere veramente collaborativo che ci ha unite, ci siamo venute in aiuto quando ne avevamo bisogno, ci siamo date appuntamento nel pad per scambiarci informazioni immediate o solo per fare quattro chiacchiere, siamo cresciute all’ombra del regista che piano piano, giorno dopo giorno, ci lasciava più spazio, si ritraeva per concederci la libertà che avevamo conquistato.
Ecco io ho trovato questo modo di apprendere diverso rispetto alle altre esperienze compiute: la conoscenza è stata veramente costruzione collaborativa, non individuale. Il prof ci ha parlato della metafora del bosco, uno ci deve entrare e poi piano piano conosce tutto ciò che forma quel bosco; se dovessi utilizzare un’altra immagine per raccontare il nostro per-corso utilizzerei l’immagine dell’oceano: ecco noi siamo state portate nell’oceano, qualcuna di noi aveva i braccioli, altre il salvagente, altre ancora il giubbotto di salvataggio, qualcuna era su una barchetta e si guardava intorno timidamente; piano piano utilizzando le nostre dotazioni abbiamo preso conoscenza dell’oceano e non ci ha più spaventate, nonostante i pesci strani che ogni tanto ci giravano intorno.
Poi ognuna di noi ha cominciato a staccarsi dal suo appoggio, che a un certo punto limitava i nostri movimenti, e si è tuffata, riemergendo soddisfatta da quell’enorme massa d’acqua che rappresenta la conoscenza. Stupendo. Ecco la nuova sfida della scuola, la sfida che coinvolge direttamente noi insegnanti. La buona scuola secondo me non parte dall’Istituzione, dall’alto, ma dalla base, dai suoi attori, in primis gli insegnanti, i veri artefici del cambiamento. La scuola delle nuove generazioni dovrebbe essere un po’ come il nostro per-corso, un nuovo modo di apprendere e di imparare facendo.
Laura
Lisa
Mariantonietta
“SANA FOLLIA ”
“Voglio capire ciò che è vero e distinguerlo da ciò che è falso – Oggi ho iniziato un’avventura… il Laboratorio informatico – Occasione per misurare i miei limiti ed eventualmente superarli“
Così scrivevo il 6 Gennaio 2013 sul mio Blog.
Avevo scoperto da pochi giorni un mondo che pensavo fino a quel momento freddo, grigio, senza colore e sapore… forse anche senza forma.
Voglio farvi capire quello che ho vissuto in 60 giorni, quello che ho capito, che mi ha entusiasmato, che mi ha fatto avvilire, che mi ha fatta crescere… E già , a 42 anni suonati, 14 d’insegnamento… mi sentivo una bambina di primo anno della scuola primaria. Bene, quando aprendo l’email, trovai il benvenuto del prof mi sono sentita coccolata, ma non le solite mielosità, percepivo attenzione, pazienza e un progetto pensato a misura per me.
Andando su http://iamarf.org, il nostro “nido”, vidi subito un video di presentazione, bello, affascinante… ma dopo 5 minuti mi ritrovai con la testa fra le mani. Unico pensiero: “queste cose non le so fare”. Silenzio, provai a rivedere il video, aprivo e chiudevo. Poi iniziai a esplorare. In seguito il prof disse a noi tutte che dovevamo esplorare un “bosco”. Capii che all’inizio era una grande foresta piena di pericoli, appena sbagliavi, dovevi provare e riprovare. Notti intere a dipingere una tela che subito rischiava di sbiadire in un niente.
Ma c’era sempre un aiuto: un post, un commento, un articolo, un consiglio… e la rabbia di ognuna di noi; ci cercavamo… Da lì sicuramente la “genesi” del gruppo, forte e compatto che oggi siamo: #linf12. Per non parlare delle “favolose interazioni”.
Dodici disperate, tutte donne, tutte con un medio-basso livello di competenze informatiche. Non me ne vogliano le mie “amiche”… forse basso, bassissimo!!!
Sin da subito un blog! Ma chi ne aveva mai sentito parlare nei dettagli?
Eppure creai il Blog di Wittgens, giorni a cambiare, provare e poi è venuta fuori una creatura. Potevo cambiarne l’aspetto, i colori, farlo “mio”, farlo mutare.
Piano piano, mettere le foto, inserire articoli, anche qualche cavolata (dolce tipico del mio paese…), ma ogni volta era qualcosa di magico. Andavo a rivedere sempre quelle poche e misere cose che avevo inserito con fatica.
Il blog è stata la spinta, da quel momento iniziò la corsa… e che corsa! Che salita!
Post, foto, diario di bordo, screenshoot, aggregatori, feed, Rssowl, reader, codice, html, twitter, scrittura collaborativa, pad… boschi e marmellate e tante altre cose.
Ora qui, a Didamatica a raccontare un sogno, un’impresa, una sfida… una vittoria.
Si, ha vinto l’intelligenza di un percorso nuovo, fatto su misura, non un abito uguale per tutti, ma qualcosa fatto per noi, fatto per plasmare ed ammorbidire le menti irrigidite dal “sistema” oramai becero, stanco, arrugginito, superato… che vuole vedere le menti inzuppate di teorie, discorsi vuoti, povere del “fare”, del gusto di sfidare se stessi, di conoscere i propri limiti e le proprie potenzialità.
Concludo con una frase che mi è tornata spesso in mente in questi 60 giorni pieni di vita, di sensazioni, di emozioni, di crescita professionale e umana, di ricerca:
“Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto: pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi”
Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1509
Noi di #linf12…siamo tra le pochissime.
Roberta
Sono un’insegnante di scuola primaria con 28 anni di esperienza.
Come è iniziata la mia storia interattiva di questo percorso informatico all’interno della piattaforma IUL?
Era da troppo tempo che, professionalmente parlando, sentivo una certa rigidità e fissità del mio ruolo. Mi sembrava di aver creato una barriera tra l”io insegnante” e i miei studenti. Questa parola mi ha fatto scattare il campanello d’allarme: barricata-barriera. Allora che fare? Nell’interazione educativa (e non solo) le barriere non portano a nulla di buono. Forse la soluzione era di tornare di nuovo studente: provare a vari livelli (emozionale, pratico…) quello che vivono i miei alunni: ciò potrà essere solo un Bene, perchè sono convinta che non ci sia altro modo per costruire relazioni proficue di ogni specie e per ogni scopo:provare sempre a mettersi in gioco stando nei panni degli altri. La parola chiave dunque per me è stata relazione. Nella mia pratica quotidiana ho sempre ricercato la relazione con gli studenti, i genitori e l’istituzione, perché l’apprendimento può passare solo da una spinta relazionale, motivazionale. Allora mi sono chiesta: – Come si stabiliscono nella nostra società odierna le relazioni? E mi sono data questa risposta: – Soprattutto con l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Io partivo letteralmente da zero. Le mie competenze si fermavano ad un corso lontano. Come è d’uopo per una ricerca di carattere storico, sono andata a rileggermi i documenti: i post del professore e i commenti che mi riguardavano all’inizio che poi si sono miracolosamente trasformati nel ci riguardavano. Ricordo ancora a dicembre quando timidamente ho inviato una e-mail a tutti i componenti della classe;non sapevo letteralmente da dove partire per rispondere alla prima richiesta: apertura di un blog. È ancora vivo lo stupore che ho provato nel leggere un post in cui il prof mi citava e chiedeva di utilizzare il blog iamarf per le nostre comunicazioni. Così ho iniziato a postare dei commenti, prima in forma anonima, dato che ancora non possedevo gli strumenti. Poi piano piano con l’apertura del mio blog, la mia identità si è resa presente e la cosa è stata reciproca con le altre corsiste. Guidate dal prof siamo riuscite a costituire un gruppo, che ora opera a livello di apprendimento cooperativo, scambio di materiali, condivisione nello studio, ma soprattutto di una relazione interpersonale, arricchente dal punto di vista umano. È possibile trasporre questa esperienza nella pratica quotidiana di apprendimento? Credo proprio di sì, anzi ne sono convinta, altrimenti non sarei qui a raccontarlo. Quindi mettermi nei panni degli altri è stato utile per arricchire il mio bagaglio professionale al fine di tentare l’esperienza della blogoclasse con i miei alunni, superando e vincendo pregiudizi sull’uso delle nuove tecnologie che noi, non nativi digitali, ci portiamo dentro. Il titolo di un post del prof era abbiate fede che qualcosa germoglierà: queste parole me le porterò sempre dentro!
Rosaria
Insegno nella scuola primaria da appena diciottenne, sono tanti anni, ne ho 40! Ho iniziato a studiare all’università di Palermo e contemporaneamente iniziavo a lavorare presso un istituto religioso della mia città, cominciando ad insegnare in una seconda elementare. Facevo la maestra! Volevo farlo da sempre…Insegnare deve essere per forza qualcosa che se lo fai, devi proprio volerlo dal profondo, come dire una “passione”; questo perchè di ostacoli ne ho incontrati diversi, forse non li chiamerei ostacoli, ma percorsi obbligati, casi della vita… un incrocio di scelte dovute e volute. Quella di iscrivermi alla IUL è stata proprio una scelta voluta! Ponderata, avevo già chiesto l’anno accademico scorso… ma l’unica perplessità era stata la paura di non poter coinciliare tutti gli impegni: figli, lavoro, casa… anche marito. Alla fine è stato proprio mio marito che nella sua visione lineare, ottimistica e motivante, mi ha convinto che dopo tutto non sarebbe stata una cattiva idea ultimare un corso di studio, pensare un po’ di più a me stessa. Ed eccomi qui con voi a condividere la mia voglia di conoscere, imparare e crescere. Emblematico è stato l’incontro, il giorno del primo esame, con la collega fino a quel punto “virtuale”: ci siamo guardate, “riconosciute”…. “Ma tu sei…?” e abbracciate! Come si fa proprio con i vecchi amici. Questo fa capire la relazione che si è instaurata nel nostro gruppo. Il senso di appartenenza lo dobbiamo al creatore del gruppo #LINF12, il prof, che già dai primissimi contatti, si è prodigato a fare in modo che tale esperienza non restasse una trasmissione di sapere unidirezionale, ma che diventasse circolare! I continui feedback, chiamate esercitazioni, la sua giornaliera “presenza” nonostante i km che ci dividono, con stimolanti sfide, occasioni per… è la vera rivoluzionaria differenza di questo per-corso!! Adesso non siamo più un elenco di iscritti, ci lega un rapporto di scambi continui, di confronti e di esperienze di vita da condividere con gli altri.
Questo è “Cooperative Learning”: positiva interdipendenza, interazione, responsabilità individuale, uso appropriato delle proprie abilità nella collaborazione.
Il clima collaborativo che è nato è davvero speciale, in questo particolare momento di esami lo è ancora di più, il sostegno e la “vicinanza” di qualcuno che sa in prima persona, come te , cosa provi e come ti senti, ti rafforza!
Sabrina
Contrariamente alle altre io non sono una docente, sono un’amministrativa, tutto il giorno tra Dare/Avere, bilanci, registrazioni. Ho intrapreso questo percorso per curiosità, volevo conoscere il mondo scolastico dall’interno e non solo come appare a noi genitori. La volontà di iscrivermi a questo corso di laurea è una cosa che è cresciuta lentamente dentro di me, un bisogno di mettermi di nuovo in gioco e per insegnare a mia figlia che non è mai troppo tardi per fare una cosa a cui tieni, ma che è sicuramente meno faticoso ed impegnativo farlo nei tempi giusti.
Mi ricordo ancora il primo collegamento in sincrono, sull’Ipad, non avevo l’audio, quello che riuscivo a capire era che, ad eccezione di una o due colleghe, le altre erano tutte docenti di scuola elementare. Al termine ho pensato, ma che cosa ho fatto? Cosa ci faccio io qui? Che cosa ho io in comune con loro? Come potrò mai relazionarmi sui problemi lavorativi o di studio?
Poi il 9 dicembre 2012 mi è arrivata la prima mail del prof che esordiva così:
Cari studenti, sono “quello” del Laboratorio Informatico, uno degli insegnamenti del corso di laurea al quale vi siete coraggiosamente iscritti: Metodi e Tecniche delle Interazioni Educative” – omissis – Leggendo questo primo post, non vi fate prendere dall’ansia delle istruzioni per l’uso. Esplorate semplicemente. Durante il (per)corso, benché forzatamente breve, cercheremo di fare varie cose ma non sarà mai questione di studiare prima le istruzioni per l’uso, bensì di scoprirle insieme.
Cari saluti
Andreas
Ora la parola ansia in quel momento per me era un eufemismo …. terrore, non ansia. L’ansia fai due o tre respiri razionalizzi e la superi, il terrore no, non lo razionalizzi.
Il panico era già iniziato dal giorno in cui per caso ero andata a vedere sul sito della IUL il programma del laboratorio informatico. La presentazione era un video dove venivano illustrate le attività che avremmo dovuto imparato a svolgere con alla fine una schermata dove ruotavano parole come: Blog, open source, Web feed, twitter, social network, editing, linguaggio e chi più ne ha più ne metta. Fitta alla bocca dello stomaco ed il pensiero fisso: “My God! come farò io che il computer lo uso solo per lavoro e per ogni programma che imparo ad utilizzare, sia office o zucchetti, mi sembra sempre di aver fatto una delle fatiche di Ercole, se non tutte insieme?”
Non faccio in tempo a calmarmi e ripetermi come un mantra non ti preoccupare tanto c’è tempo adesso vedrai che piano piano le cose si faranno che il 10, dico 10 dicembre, appena 24 ore dopo, mi arriva una seconda mail con un “semplice” invito da parte di “Quello” del Laboratorio Informatico ovvero “…Vi propongo quindi uesto primo post dove siete invitati a leggere una riflessione sui servizi web in generale e quindi ad aprire un blog”. Le gambe sono diventate gelatina, la salivazione si è bloccata, i capelli dritti già li avevo dal giorno prima, quindi non si sono abbassati e ho preso visione di una cosa… Si stava facendo sul serio! Che fare? Dovevo provare. Così il 10 dicembre stesso è nato il mio blog. Semplice, semplice ma mio. Che conquista! Ero orgogliosa di me stessa. Ma era solo l’inizio dell’avventura.
Da quel giorno,sono trascorsi poco più di due mesi, in ordine ho imparato ad usare Google Reader; i famosi feed; lo screenshot, inserire nel blog link, immagini, video; mi sono sporcata con i colori come dice il prof, passo da un tweet ad una chattata sul piratepad, sembro posseduta dall’animo di Bill Gates. Ma soprattutto, sono diventata una #linf12 dipendente.
Perché all’interno di tutto questo percorso sono stata accompagnata, guidata, sostenuta dal prof, da Claude e dalle altre mie care compagne di avventura.
Oggi le mie domande iniziali: “Che ci faccio io qui? Che cosa ho in comune con loro?” hanno trovato una risposta: dovevo far parte del #linf12, dovevo essere anch’io all’interno della creatura del prof; un gruppo unito, curioso di scoprire cose nuove. Perché tramite questo modo di insegnare ho testato che niente è impossibile se uno viene portato a fare piuttosto che a memorizzare sterili concetti fini a se stessi. La teoria è utile ma solo se complementare alla sperimentazione, quando diventa caratteristica unica dell’insegnamento perde efficacia. Se oggi tutte noi siamo un gruppo unito che si cerca, trova, aiuta, operando in una sorta di apprendimento cooperativo con scambi quotidiani di sensazioni, emozioni, lavori e questo grazie ai mezzi ed alla passione donataci dal prof. Il suo modo dinamico di insegnare ci ha incoraggiato a misurarci in cose nuove, sconosciute e quando ci siamo trovate titubanti c’è sempre stato il conforto che se avessimo fatto qualche “guaio” ne saremmo sicuramente venute fuori tramite la forza del gruppo guidato dal suo Capitano.