Pensiero breve su scuola, tecnologie, eventi e studio

Dicevo in un post precedente (Le tecnologie didattiche non si comprano, si studiano e si fanno) che anche quest’anno non sento il bisogno di andare a Didacta. Ci aiuta ad approfondire la questione la casuale concomitanza con il laboratorio che faremo oggi pomeriggio, intorno alla missione impossibile di misurare il perimetro di Procida.

Come si evince da quella breve descrizione, i partecipanti dovranno recare strumenti convenzionali: carta, matite, compasso e poco altro. Il laboratorio mira a toccare con mano, è il caso di dirlo, l’incerto che scaturisce da un problema apparentemente banale, come quello della misura di una costa o di un confine; incerto scoperto nella prima metà del XX secolo da un metereologo, Lewis Fry Richardson, e formalizzato pochi decenni dopo dal matematico Benoît Mandelbrot nella forma dei frattali. Una delle tante circostanze in cui l’incerto ha fatto irruzione in tutte le scienze nel corso del ‘900, privando di senso locuzioni quali “scienze esatte” o “scienze dure”.

Eppure stuoli di maturati, e temo anche di laureati, escono dagli studi totalmente ignari di tale fondamentale rivoluzione. Rivoluzione peraltro intimamente legata al ruolo essenziale che le tecnologie giocano fra gli strumenti di lavoro degli scienziati contemporanei in matematica, fisica, astrofisica, biologia, chimica, medicina e non solo. Senza il digitale la maggior parte delle discipline si ridurrebbe a museo della storia della scienza.

Oggi, nel nostro laboratorio, gli studenti useranno carta e matita ma arriveranno a comprendere come descrivere l’oceano di incertezza dalle sponde delle nostre sparute isole di certezza, per dirla con Morin, richieda necessariamente il digitale, e se ne renderanno conto senza nemmeno toccare il computer. Questo è il digitale che va insegnato, prima di mettere mano a qualsivoglia artefatto, software o hardware che sia. Ci sosterremo con brani tratti da vari libri e articoli scientifici (chi legge più libri? chi insegna a leggere libri? noi no a quanto pare…).

È urgente colmare le insopportabili lacune generate dalla polarizzazione fra apocalittici e integrati, gli uni intenti a promuovere pur eccellenti pratiche di scuola attiva, gli altri a inseguire le tendenze del momento, ebbri di nuovo fra gli stand di Didacta.

Nel frattempo metà degli studenti che affrontano gli studi di informatica fuggono quando si accorgono che l’informatica è matematica. Ufficialmente maturi, ignoranti di fatto.

Hardware e software, strumenti di pensiero e libertà – Castel del Piano – #linf14

Ieri (sabato 30) ho partecipato a un incontro di formazione a Castel del Piano. Sotto riporto in forma schematica quello che ho inteso dire. Mi rendo conto che è un racconto che lascia un po’ assetati ma per il momento è un argomento che preferisco approfondire vis-vis, quando capitano le occasioni, come questa di cui stiamo dicendo.

Prima voglio dire che sono stati molto interessanti i contributi dei compagni di parola: eBook di Angela Iaciofano, mondi virtuali di Gianni Panconesi, LIM di Sauro Baci, il tutto riferito a contesti didattici. Ho imparato diverse cose. Ringrazio loro, Patrizia Matini, Dirigente dell’Istituto Comprensivo Vannini Lazzaretti che mi ha offerto quest’occasione, Nicoletta Farmeschi e Antonella Coppi che vegliano su tutto.

Preparativi incontro di formazione nel Palazzo Nerucci di Castel del Piano
Preparando i balocchi… (foto di Iangela Iaciofano)

E bisogna anche dire che lavorare in un ambiente così suggestivo come il Palazzo Nerucci è davvero bello. Si deve ringraziare Fiora Imberciadori per questo.

Ora la sintesi del discorso fatto a Castel del Piano


Cercando di collegare passato e futuro
Cercando di collegare passato e futuro (foto di Nicoletta Farmeschi)

La cultura umana si sviluppa sul substrato di un insieme di linguaggi e strumenti universali, ad esempio lingue naturali e linguaggio matematico fra i primi, carta e penna fra i secondi. Compito primario della scuola è aiutare a comprendere e utilizzare questi linguaggi universali.

Universali perché possono essere appresi da chiunque lo voglia. Il limite è determinato dagli obiettivi che mi pongo, dalla mia volontà, non da fattori esterni. Se voglio imparare il finlandese lo posso fare, non devo chiedere il permesso a qualcuno.

Di fronte a un foglio di carta con una penna in mano, la mia libertà di espressione è totale: un pensiero, un disegno, una poesia. Piego il foglio, lo metto in una busta e lo spedisco a un amico. Lui potrà capire perché il messaggio è espresso in un linguaggio universale. Il tipo di carta, la marca, il mezzo usato per tracciarvi i simboli possono connotare il messaggio, in qualche maniera, ma non possono impedirne l’intelligibilità: l’amico non deve pagare i diritti di uso di quel tipo di carta per poter accedere al messaggio.

Oggi, con le nuove tecnologie non è più così, non per motivi tecnici ma per motivi economici. In realtà la tecnologia dispone di linguaggi e strumenti universali che possono essere usati per esprimersi, creare e comunicare ma i più non ne percepiscono l’esistenza, intrappolati in una sorta di gigantesco supermercato, dove si può avere quasi tutto, non da conquistare con impegno e fatica ma da comprare. Tutto si riduce alla disponibilità delle “risorse” per “avere” il prodotto finito – la soluzione. Un mondo tecnologico ma del quale i più abitano lo strato esterno, la buccia, tanto estesa ma tanto sottile.

Non demonizzo l’economia in sé. Anche il libro di grammatica per studiare il finlandese ha un costo ed è giusto che lo paghi per remunerare coloro che hanno creato e prodotto il libro. Ma una volta pagato il giusto prezzo la questione sta tutta fra me e il finlandese: arriverò dove potrò, quando lo vorrò, per tutta la vita, in piena libertà. E quando non avrò più bisogno della grammatica sarò libero di regalarla a un amico.

Denuncio invece il limite che un numero crescente di tecnologie pongono alla mia libertà di espressione e di comunicazione.

Cerco quindi di sbucciare questo corpo tecnologico, quel tanto che basta per scorgere, subito sotto, i linguaggi e gli strumenti che ne costituiscono l’essenza – linguaggi e strumenti universali. Non lo faccio parlando direttamente di questa o quella tecnologia ma narrando alcune storie di donne e uomini. Storie di minoranze, di persone che ad un certo punto della loro vita hanno rifiutato un’offerta che a tutti sarebbe parso impossibile rifiutare, di persone che non si sono limitate al loro ambito disciplinare e che non si sono limitate a ciò che erano tenute a fare.

Emerge così la dimensione etica – seconda parola chiave di questa esposizione, dopo i linguaggi universali. Una dimensione che si intreccia con quella del profitto in ambiti inaspettati. Non si narra la storia di un mondo che sta diventando buono – sarebbe una bugia – ma la storia di un mondo che sta diventano sempre più complesso – complessità, la terza parola chiave?

Focalizzo l’attenzione su etica e complessità. Faccio esempi significativi nell’ambito scolastico. Enuncio una tesi sgradevole che riporto qui in forma sintetica: riempiendo di congegni alla moda le classi si educano consumatori – carne da macello – anche se si tratta di congegni conditi in saporite salse didattiche.

Suggerisco di volata qualche alternativa. Ce ne sono diverse, buone per tutti i contesti, costano poco e tutte riconducono ai linguaggi universali, o comunque graffiano la buccia delle “interfacce accattivanti”. Sono più faticose: per essere approfondite richiedono più studio e un approccio più artigianale: per la formazione meno convegni e più laboratori, per l’applicazione meno aule scolastiche e più laboratori.

Lo spirito del discorso non è poi tanto diverso da quello che ispirava Don Milani quando insegnava a leggere i giornali: non tanto acquisire le competenze per seguire il giornale di non importa quale parte quanto mettersi in grado di capire quello che ogni giornale non dice.

Un cMOOC sulle tecnologie internet per la scuola – #ltis13

Iscritti al 14 maggio: 480

Invio a tutti una mail di conferma dell’iscrizione entro 24 ore. Chi non l’ha ricevuta controlli nella cartella “spam” della propria email e segnali il fatto con un commento a questo post oppure scrivendo a andreas(PUNTO)formiconi(CHIOCCIOLA)gmail(PUNTO)com.

Una persona ha inviato l’iscrizione da un indirizzo email di posta certificata (pec): se l’utente non configura adeguatamente la sua pec allora non può ricevere email normali, e quindi nemmeno una mia risposta!!!

Questa è la mappa delle iscrizioni giunte sino ad ora.

Puoi andare direttamente alle seguenti sezioni:


Locandina del connectivist Massive Open Online Course: Laboratorio di Tecnologie Internet per la Scuola - #LTIS13

Versione pdf da stampare (445 KB).


Come sono comparsi i MOOC?

Oggi i MOOC (Massive Open Online Courses) vanno di moda. Tutti ne parlano e esistono già società le quali, fungendo da intermediari, li offrono per conto delle università. È bene tuttavia chiarire che questo acronimo può indicare cose molto diverse fra loro. In questa sezione cerco di illustrare la questione.

I primi MOOC non si chiamavano così.  Nel 2007, grazie ad una provvidenziale segnalazione di Antonio Fini, mi capitò di iscrivermi al corso online “Introduction to Open Education”, tenuto da David Wiley, a quel tempo presso la Utah State University. Il corso rappresentava una clamorosa novità: chiunque poteva iscriversi liberamente, accedendo ad una semplice pagina wiki e scrivendovi le proprie generalità, eccola. Se scorrete la pagina trovate anche le iscrizioni di Antonio e di altri amici italiani.

Trovai subito affascinante quell’esperimento che ricordo come la più bella e proficua esperienza di tutta la mia carriera di studente: scoprire compagni di scuola, persone mai viste, dalle storie sconosciute, grazie all’affinità degli ideali e alla risonanza dei pensieri. Un’emozione che non avrei immaginato. Tecnicamente il metodo era di una semplicità disarmante. I partecipanti erano tenuti  ad usare un blog come fosse un quaderno, l’insegnante suggeriva i temi sul suo blog e tutti leggevano e commentavano i testi degli altri [1]. Il corso partì subito bene, come si può vedere dai primi commenti di Wiley ai pensieri dei suoi studenti sparsi nel mondo, fra cui quello dove avevo accennato alla storia di Don Milani.

andreas-certificateAlla fine delle 15 settimane di corso, coloro i quali, secondo il giudizio di Wiley, avevano partecipato attivamente, potevano ricevere un certificato di completamente del corso, a fronte di un modesto pagamento – mi pare 50 $ – alla Utah State University.

Qual è il valore legale di questo titolo? Credo che sia nullo.

Qual è il valore di questo titolo per me? Diciamo così: se per un qualche incanto, fossi costretto a fuggire in un altro mondo, portandomi dietro uno solo dei miei titoli di studio, allora mi porterei questo, lasciando tutti gli altri.

Misi subito a profitto l’insegnamento ricevuto, applicandolo nella primavera del 2008 alla classe di medicina e introducendo insieme a Maria Grazia Fiore l’idea di blogoclasse [2].

Sull’onda dell’entusiasmo, partecipai al corso “Connectivism and Connectivist Knowledge” (CCK08), tenuto nell’autunno del 2008 da George Siemens e Stephen Downes, il primo con un numero inusualmente grande di iscrizioni. Il corso fu offerto in forma online dalla University of Manitoba con due tipi d’iscrizione: una a pagamento, che prevedeva l’assegnazione di crediti, l’altra libera: le iscrizioni convenzionali furono 24, e quelle libere 2200. Jenny Mackness, Sui Fai John Make e Roy Williams, tre partecipanti del corso riferirono [3] di avere stimato un numero di partecipanti attivi pari a 150. È un dato plausibile, anche se ricordo di avere interagito in maniera significativa con circa una ventina di “compagni di classe”.

Pare che il termine MOOC sia emerso in una conversazione fra George Siemens e Dave Cormier, un esperto di tecnologie web che fu coinvolto nel corso CCK08, come lo stesso Cormier ha raccontato in un suo post. La gestazione è stata breve. Oggi esistono MOOC gestiti da aziende specializzate ai quali si iscrivono decine o addirittura centinaia di migliaia di studenti. Non è del tutto chiaro come, ma sono in molti a ritenere che i MOOC debbano risolversi in un grande business.

E qui occorre intendersi bene. Questi ultimi MOOC non hanno quasi niente a che vedere con le prime edizioni pionieristiche. Distinguiamo.

Nei MOOC “prima maniera” l’enfasi è sulle relazioni fra i partecipanti e sull’effetto di rete che ne scaturisce. Si assume che l’apprendimento emerga non solo dallo studio e dalla riflessione personale ma anche dal confronto con i pari e dalla condivisione di problemi e di soluzioni. L’insegnante interagisce anche con i singoli partecipanti ma non perde mai di vista la cura della comunità che va costituendosi, ritenendola il contesto fondamentale per favorire l’apprendimento di ciascuno. In questi corsi la tecnologia è un mezzo per mettere in opera nuovi modelli di insegnamento, motivati da considerazioni epistemologiche e pedagogiche. I primi esperimenti MOOC derivano dal connettivismo, la teoria dell’apprendimento formulata da George Siemens e Stephen Downes. Per questo motivo vengono designati dall’acronimo cMOOC: connectivist Massive Open Online Course.

Nei MOOC “seconda maniera” le tecnologie vengono invece applicate per estendere il modello convenzionale di insegnamente universitario alla massa. Gli studenti reperiscono i materiali didattici online e eseguono test online automatizzati. Per distinguerli dai precedenti, questi vengono designati dall’acronimo xMOOC. In effetti la “x” è appropriata, perché questi corsi possono essere progettati in una varietà di sfumature, magari avvicinandosi più o meno alla visione connettivista o anche ad altre prospettive. Ma il modello che sembra prevalere è quello industriale.

Bene, con questo ho detto il minimo che occorre per prendere posizione: i cMOOC costituiscono una grande occasione per sperimentare modalità didattiche che siano adatte alle esigenze della società contemporanea; gli xMOOC rappresentano invece l’ulteriore industrializzazione di un modello di insegnamento che già da anni mostra pesanti limiti, un modello che privilegia l’idea di insegnamento quale mero trasferimento di contenuti.

Quasi quasi, quello che stiamo proponendo dovrebbe designarsi CmOOC, dove l’enfasi è sulla cura delle relazioni piuttosto che sul fatto di essere potenzialmente “di massa”. Per chi vuole capire meglio, nella sezione seguente propongo la lettura delle testimonianze di alcuni studenti che hanno seguito un percorso affine a quello che stiamo proponendo.

Il cMOOC sarà molto simile a quello seguito da questi studenti, ma avrà l’incognita del numero di partecipanti: la dimensione della “M” è sconosciuta, e quindi i metodi che verranno applicati non sono del tutto prevedibili. Fa parte del gioco: ricerca in azione.

Ringrazio gli studenti #linf12 per avere dedicato parte del loro tempo a scrivere questi contributi.


Testimonianze

Propongo qui di seguito la lettura delle testimonianze degli studenti del “Laboratorio Informatico” #linf12. Questi studenti sono insegnanti e amministrativi che lavorano nella scuola primaria e secondaria e che stanno frequentando il primo anno del corso di laurea triennale “Metodi e Tecniche delle Interazioni Educative” presso l’Italian University Line. L’esperienza che stanno vivendo questi studenti è simile a quella che hanno vissuto tutti gli altri, nei corsi che ho proposto dal 2008 ad oggi, in una grande varietà di contesti , corsi di fatto CmOOC, in quanto, sebben innestati in curricula convenzionali, sono sempre stati aperti a chiunque e ispirati al modello MOOC “prima maniera”.

Beatrice

Insegnante tardiva. O come ho scoperto, ritardataria. Ogni volta che cerco di capire, esattamente, chi sono e qual è realmente la mia professione, comodamente, preferisco giudicare la scuola; trovare limiti e colpe nell’inadeguatezza di una struttura. Ma l’insegnante sono io e chi non sa imparare non può dare tanto. Sono io che devo guardare; prendere e dare. Imparare. Un corso di laurea scelto per caso, un corso (ops, per-corso) di linguaggi e comunicazioni virtuali, la superficialità del credere che un manuale potesse bastare. Poi si è aperto un mondo. Io ritardataria che rincorro contatti senza fili. Un libro senza pagine, senza l’ultima pagina, perché l’educazione non ha l’indice e nemmeno la copertina. L’ultima pagina è sempre da scrivere. Sapere che le parole non vanno sprecate, che in un tweet posso chiedere aiuto in modo efficace, che un archivio virtuale di esperienze ed informazioni è a portata di mano. Sapere che posso scambiare, ricevere, gridare senza filtri, senza pregiudizi o vizi di forma (di formalità). Sono riuscita, alla mia età, a creare un blog. Ed ho scritto. Io ho finalmente “detto”. E mentre scrivo mi pongo il problema di chi mi legge. Perché le parole hanno un peso, e non vanno sprecate. Non devo apparire, devo esserci. E citando il prof: io sperduta fino ad oggi, attaccata alla mia chiavetta fragile, forse mi sento libera dal peso dell’Eccellenza. Il mio essere in ritardo mi mette, oggi, di nuovo in viaggio. Il mio aggiornamento continuo e reale in una comunità di menti e non di volti. Virtualmente operativa. L’eleganza della parola, la bellezza del linguaggio, la grazia di una nuova conoscenza.

Errica

Essere un’insegnante con 22 anni di esperienza, significa essere stata studentessa negli anni ’80-’90, in un altro mondo, in realtà , quello delle lezioni frontali, dell’estremo riconoscimento delle competenze individuali. Non “era tempo” per il Coperative Learning, l’utilizzo delle tecnologie, gli stage.. ma era il nostro tempo, adeguato, colmo di entusiasmo, ricco di pensatori e progetti (da e per l’estero), con eclatanti cambiamenti di rotta in campo progettuale e di programma (i programmi ministeriali della scuola primaria dell’85 pare li abbiano ritenuti validi perfino in Cina!).

Persone come me, con un tale percorso alle spalle, però non “vogliono” aver appreso.

È il mondo che bisogna continuare a comprendere, e con esso ciò che ne è l’anima: i giovani.

Con coraggio, ed è una strada ardua, ci si ritrova ad iscriversi ad un corso di laurea, questo, alla “scoperta” di metodi e tecniche…quelle nuove…o forse, già  vecchie… Ma è il metodo che interessa e sprigiona grandi capacità : qui non c’è niente di “rigido”, nemmeno il disco! Poche nozioni espresse in modo laboratoriale, non sufficienti, per altro, ad arrivare alla fine del “compito”: va di scena il “cervello”; e poi si crede nella sterilità  della “macchina”!

Faccio un esempio: tutti sanno usare un programma di testo; certamente, ma utilizzando le impostazioni predefinite! Chi si sognerebbe di conoscere in profondità  il “codice”? E allora penso, penso, penso: mi viene in mente la mia infanzia (sono di quella generazione che viveva all’aperto senza giochi se non la corda, la palla, e noi stessi: gruppo del quartiere. Codice, linguaggio: i giochi di un tempo: l’alfabeto farfallino, ve lo ricordate? A cosa serviva? A comunicare, ma in maniera creativa!! Non ci si può fermare a utilizzare ciò che ci appartiene, creare è la via!

Pensiero – Linguaggio – Sviluppo Cognitivo risiedono nell’html!!

O se volete:

Penfesifieferofo – Linfigufuafaggifiofo – Svifilufuppofo Cofognifitifivofo rifisifiefedofonofo nellfe’ html!

Flavia

Cosa spinge un’insegnante alla soglia dei 50 anni a rimettersi in gioco? Per quale motivo decide di cambiare rotta? Che cosa la spinge a farlo? E … lo può fare? Queste sono domande che mi pongo ora, dopo aver già intrapreso il cammino, fermandomi a riflettere sulla scelta compiuta. Far parte del gruppo #linf12 è straordinario, è un’esperienza che coinvolge culturalmente ed emotivamente. I rapporti cosiddetti “virtuali”, che spaventano molti educatori non si sono per niente dimostrati asettici, ci siamo affiatate, ci siamo conosciute attraverso i nostri post e i nostri commenti e la riprova per alcune di noi è stata quando ci siamo viste per la prima volta in carne ed ossa e abbiamo cominciato a parlare: sembrava di conoscersi da sempre! Si parla tanto di pluralità di esperienze, pluralità di culture, pluralità di lingue, … beh l’università telematica, e nello specifico questo laboratorio informatico, ha permesso tutto ciò. Io ho seguito diversi corsi blended e pensavo che anche questo percorso avesse le stesse caratteristiche degli altri, ma invece si è dimostrato qualcosa di diverso, di sostanzialmente diverso! Abbiamo sperimentato un modo di apprendere veramente collaborativo che ci ha unite, ci siamo venute in aiuto quando ne avevamo bisogno, ci siamo date appuntamento nel pad per scambiarci informazioni immediate o solo per fare quattro chiacchiere, siamo cresciute all’ombra del regista che piano piano, giorno dopo giorno, ci lasciava più spazio, si ritraeva per concederci la libertà che avevamo conquistato.

Ecco io ho trovato questo modo di apprendere diverso rispetto alle altre esperienze compiute: la conoscenza è stata veramente costruzione collaborativa, non individuale. Il prof ci ha parlato della metafora del bosco, uno ci deve entrare e poi piano piano conosce tutto ciò che forma quel bosco; se dovessi utilizzare un’altra immagine per raccontare il nostro per-corso utilizzerei l’immagine dell’oceano: ecco noi siamo state portate nell’oceano, qualcuna di noi aveva i braccioli, altre il salvagente, altre ancora il giubbotto di salvataggio, qualcuna era su una barchetta e si guardava intorno timidamente; piano piano utilizzando le nostre dotazioni abbiamo preso conoscenza dell’oceano e non ci ha più spaventate, nonostante i pesci strani che ogni tanto ci giravano intorno.

Poi ognuna di noi ha cominciato a staccarsi dal suo appoggio, che a un certo punto limitava i nostri movimenti, e si è tuffata, riemergendo soddisfatta da quell’enorme massa d’acqua che rappresenta la conoscenza. Stupendo. Ecco la nuova sfida della scuola, la sfida che coinvolge direttamente noi insegnanti. La buona scuola secondo me non parte dall’Istituzione, dall’alto, ma dalla base, dai suoi attori, in primis gli insegnanti, i veri artefici del cambiamento. La scuola delle nuove generazioni dovrebbe essere un po’ come il nostro per-corso, un nuovo modo di apprendere e di imparare facendo.

Laura

La prendiamo alla lontana, molti anni fa ero una studentessa che ha sempre contestato la scuola diventata insegnante, sicuramente per la legge del contrappasso; contestatrice da studente, insofferente da insegnante, ma mai vinta; l’unica differenza è che da studente contestavo la scuola e non capivo perché, ora ho capito perché la contestavo e quindi sono insofferente; insofferente all’immobilismo in cui versa la scuola che continua a impostare l’apprendimento come un sapere enciclopedico che l’insegnante versa nel ragazzo, una scuola di stampo illuminista….
L’illuminismo… indubbiamente una grande rivoluzione del 1700 … ma che dite, saranno cambiati i nostri ragazzi da allora?
La mia insofferenza ai modelli preposti, mi ha sempre spinto a ricercare nuovi modelli, nuove strade per l’insegnamento: la ricerca, questo è sempre stato il pallino da passare ai bambini che ho avuto la fortuna d’incontrare, perchè io ho dato a loro, ma loro non sapete quanto hanno dato a me.
Questo è il background che mi ha portato quasi per caso ad iscrivermi alla IUL e frequentare questo corso.
Comincio a seguire il corso in ritardo, la mia idea di università era ovviamente la solita, studio sul libro, sulle dispense, ricerco informazioni, mi presento agli esami… decido di seguire il corso del Laboratorio informatico, l’informatica applicata alla didattica è sempre stata il mio pallino, penso: – Magari trovo qualcosa che m’interessa!
Niente libri, niente dispense, ma cosa richiede questo prof? Cosa devo fare per seguire il corso? Mando una mail, vedo cosa stanno facendo gli altri… non capisco… è richiesto di aprire un BLOG.
Ok so cos’è un blog, ma ne ho mai aperto uno, anche perché un blog è un diario, ho sempre odiato quelle ragazzine tutte fiocchi e scarpette rosa che scrivevano i propri segreti nei diari, figuriamoci se ne apro uno, pure on line.
Ma il gruppo degli studenti era già attivo, comincio a leggere, vedere i blog che aprivano, erano davvero interessanti, post bellissimi pieni di esperienze di vita vissuta in classe, proposte didattiche, sperimentazioni.
Ma mentre sono lì a fare tutte le mie elucubrazioni sul “se fare o non fare il blog”, già il blog era superato e si parlava di aggregatori …non avevo mai sentito parlare di aggregatori, mando ancora una mail, ma in un post leggo che la mail era superata e si parlava solo attraverso i post del blog…io ero indietro, per la prima volta in vita mia annaspavo, niente prof, niente libri, niente dispense, pensavo:
– Ti sta bene! Hai sempre combattuto il sapere enciclopedico? Ecco ora sei servita! Chiedo aiuto? A chi? Le colleghe sono bravissime, ma inarrivabili.. e ora che faccio? Decido di fare quello che ho sempre fatto: cerco su internet!!!
Già internet, grande panacea del nostro tempo! E così apro il blog, mi sentivo un dio, scrivo una cavolata per vedere l’effetto, nessun effetto, nemmeno un commento, penso:
– Ah già, devo mettermi in pari con gli aggregatori, vediamo sul blog del prof cosa devo fare , ma sul blog del prof vedo che l’aggregatore era già superato e si parlava di screenshot… ero all’esasperazione! Ma siccome Dio esiste, ecco finalmente il Natale e con lui le vacanze e mentre tutti parlano di panettoni e torroni, io decisa a non darla vinta, con il mio computer comincio a collegarmi, comincio a rispondere ai post sui blog, comincio ad inserire sul mio blog dei post e ad entrare in relazione con le mie colleghe inarrivabili e capisco che tutte avevamo le nostre incertezza, che tutte avevamo le nostre difficoltà, ma tutte avevamo 3 cose che ci accomunavano: la curiosità, la caparbietà e la determinazione.
Entro così a far parte del famoso #linf12, un gruppo d’insegnanti e non, che sta dimostrando che l’età fisica non corrisponde all’età mentale, che lo studio è esclusivamente ricerca e non può essere fine a se stesso, che ha talmente tanta passione che non può non essere trasportata nella scuola, perché la passione è un vento che travolge, non puoi evitarlo.
Cosa ha insegnato a me #linf12? Il “sapere collaborativo”, sempre proposto e perorato, ma mai sperimentato in prima persona; beh, è qualcosa a cui non puoi mettere confini, l’idea di uno è il punto di partenza per l’altro, è spettacolare poter trasportare questo in classe, è l’entusiasmo della scoperta, del poter contribuire a qualcosa, del saper di essere parte di qualcosa che coinvolge e fa volare le menti. L’artefice di tutto questo? Il nostro comandante che io personalmente ho odiato quando non ho visto i miei solidi appigli, libri dispense e quant’altro, ma non ringrazierò mai abbastanza per avermi tolto i braccioli ed insegnato a nuotare.

Lisa

22 febbraio 2013, primo incontro di formazione per imparare a redigere il Piano di Gestione delle Diversità che ogni Istituto dovrebbe inserire nel proprio Pof. Il relatore, dopo una premessa durante la quale ci parla di ambiente di apprendimento, atteggiamento del docente ecc, ci propone una simulata: tutti in cerchio lui recita una frase e poi esce dal gruppo per registrare la conversazione che scaturirà nel gruppo. “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”. Inizia il confronto, da una parte i conservatori dall’altra i progressisti, è tutto molto attuale siamo a tre giorni dalle elezioni politiche. Io inizio il mio viaggio introspettivo, ho provato sulla mia pelle cosa significa lasciare la strada vecchia, fidarsi, lasciarsi andare agli istinti: pura meta cognizione. Chi lascia la strada vecchia è spinto da un bisogno: il migrante, il malato, il ricercatore, io, tutti uniti dal bisogno di qualcosa. Ma il fil rouge non è solo il bisogno, questo è quello che si vede, ma dentro si sente la speranza; speranza di un cambiamento in meglio. La scuola di oggi dà abbastanza speranze? Riesce a trasmettere il bisogno di lasciare le vecchie strade con la speranza che quello che vivremo sarà migliore di quello che abbiamo lasciato? È la base per la costruzione del pensiero divergente, mettere in dubbio quello che ci appare per sperimentare il nuovo. Quanti luoghi comuni sul ruolo della rete, delle nuove tecnologie, dell’uso dell’informatica, alimentati da me per prima; lo spauracchio della perdita delle relazioni, del controllo, dell’incontro dello sconosciuto, magari il diverso. Come se da una parte ci fosse il sentimento, la relazione e dall’altra la razionalità, la freddezza, l’asetticità sentimentale. Mente e corpo scissi ancora una volta, secoli di storia della filosofia, di ricerca sembra siano trascorsi inutilmente. Perché? Eppure è ormai una certezza che la rete abbia dato vita ad una comunità. Comunità: deriva da comune con il senso di scambiare, distribuire, misurare; unito all’altro con l’obbligo di qualche prestazione e col diritto di ricevere beneficio. Allora noi di #linf12 nel nostro per-corso di laboratorio di informatica ci siamo riuscite, abbiamo costruito una comunità dove lo scambio è stato la base dalla quale si è alimentato il nostro lavoro. La novità introdotta è stata la natura della comunità, il tutto è nato e si evoluto in maniera virtuale senza per questo tralasciare le relazioni umane. Questo esperimento è stato la dimostrazione che scegliere la strada nuova non implica dimenticarsi di quello che abbiamo scoperta sulla strada vecchia, significa mettere a frutto le conoscenze pregresse, le conquiste, i principi e le vecchie scoperte in prospettiva di nuove conquiste. Qual è in questo quadro il ruolo del docente? L’educatore, come ci ha dimostrato eccezionalmente il nostro Professore, è quello di accompagnare, suggerire, rassicurare lo studente in un per-corso che dovrà lui stesso inventare. Tutte le colpe non sono dei docenti che guardano con diffidenza le nuove strade ma di chi ci vuol far credere che la rivoluzione sta nella fornitura dei mezzi, non si investe nella scuola assegnando una Lim spesso senza le infrastrutture che la supportino. Oggi assistiamo a realtà in cui si istallano Lim, videoproiettori, pc in plessi dove non arriva la connessione internet o in luoghi fisicamente inaccessibili e a insegnanti che a loro spese e senza alcun riconoscimento dovrebbero utilizzarle senza poter contare su aggiornamenti adeguati. La solitudine inevitabilmente separa, toglie fiducia, inibisce la ricerca. Durante il nostro viaggio abbiamo assistito a cambiamenti epocali solo grazie alla forza del gruppo, favorita dal mezzo; persone come me che anno agito per sfida, grazie alla comunanza. Voglio qui riportare un bellissimo esempio sempre stimolato da questo aggiornamento sul piano di gestione delle diversità tratto dal libro “Natura incompleta” di Terence Deacon. Nella presentazione si parla della scomparsa di un bambino nel mezzo di un bosco e della ricerca di un gruppo di 50 persone che avranno il compito di cercarlo attuando un piano secondo il quale ognuno cercherà da solo senza ripercorrere la stessa strada o la strada di altri. Uno solo troverà il bambino, la ricerca degli altri 49 è stata inutile eppure se lui solo si fosse messo alla ricerca probabilmente non lo avrebbe trovato. In quel bosco noi di #linf12 ci siamo avventurate per due mesi e certi insight sono arrivati alla mente solo di alcune, ma se si fossero avventurate nel bosco da sole avrebbero avuto le stesse intuizioni? Se non avessero potuto sfruttare gli errori delle altre, avrebbero trovato lo stesso il bambino? Cos’è stato allora questo per-corso? La dimostrazione che la scuola deve trovare nuove strade facendo tesoro di quelle percorse fino ad ora, imparare a fidarsi e imparare a gestire il nuovo per re-interpretarlo e utilizzare quello che di buono ci può suggerire. Ma per farlo la scuola deve ritrovare il proprio posto nella comunità ammettere di farne parte, ammettere che gli altri 49 rappresentati dalla famiglia, dalle nuove tecnologie, dalle altre istituzioni, dalle altre agenzie formative, dal territorio locale, nazionale e soprattutto mondiale, hanno pari dignità; spogliarsi della veste autoreferenziale, della presunzione che la connota, perché da quel bosco possiamo uscirne tutti insieme.

Mariantonietta

“SANA FOLLIA ”

“Voglio capire ciò che è vero e distinguerlo da ciò che è falso – Oggi ho iniziato un’avventura… il Laboratorio informatico – Occasione per misurare i miei limiti ed eventualmente superarli“

Così scrivevo il 6 Gennaio 2013 sul mio Blog.

Avevo scoperto da pochi giorni un mondo che pensavo fino a quel momento freddo, grigio, senza colore e sapore… forse anche senza forma.

Voglio farvi capire quello che ho vissuto in 60 giorni, quello che ho capito, che mi ha entusiasmato, che mi ha fatto avvilire, che mi ha fatta crescere… E già , a 42 anni suonati, 14 d’insegnamento… mi sentivo una bambina di primo anno della scuola primaria. Bene, quando aprendo l’email, trovai il benvenuto del prof mi sono sentita coccolata, ma non le solite mielosità, percepivo attenzione, pazienza e un progetto pensato a misura per me.

Andando su http://iamarf.org, il nostro “nido”, vidi subito un video di presentazione, bello, affascinante… ma dopo 5 minuti mi ritrovai con la testa fra le mani. Unico pensiero: “queste cose non le so fare”. Silenzio, provai a rivedere il video, aprivo e chiudevo. Poi iniziai a esplorare. In seguito il prof disse a noi tutte che dovevamo esplorare un “bosco”. Capii che all’inizio era una grande foresta piena di pericoli, appena sbagliavi, dovevi provare e riprovare. Notti intere a dipingere una tela che subito rischiava di sbiadire in un niente.

Ma c’era sempre un aiuto: un post, un commento, un articolo, un consiglio… e la rabbia di ognuna di noi; ci cercavamo… Da lì sicuramente la “genesi” del gruppo, forte e compatto che oggi siamo: #linf12. Per non parlare delle “favolose interazioni”.

Dodici disperate, tutte donne, tutte con un medio-basso livello di competenze informatiche. Non me ne vogliano le mie “amiche”… forse basso, bassissimo!!!

Sin da subito un blog! Ma chi ne aveva mai sentito parlare nei dettagli?

Eppure creai il Blog di Wittgens, giorni a cambiare, provare e poi è venuta fuori una creatura. Potevo cambiarne l’aspetto, i colori, farlo “mio”, farlo mutare.

Piano piano, mettere le foto, inserire articoli, anche qualche cavolata (dolce tipico del mio paese…), ma ogni volta era qualcosa di magico. Andavo a rivedere sempre quelle poche e misere cose che avevo inserito con fatica.

Il blog è stata la spinta, da quel momento iniziò la corsa… e che corsa! Che salita!

Post, foto, diario di bordo, screenshoot, aggregatori, feed, Rssowl, reader, codice, html, twitter, scrittura collaborativa, pad… boschi e marmellate e tante altre cose.

Ora qui, a Didamatica a raccontare un sogno, un’impresa, una sfida… una vittoria.

Si, ha vinto l’intelligenza di un percorso nuovo, fatto su misura, non un abito uguale per tutti, ma qualcosa fatto per noi, fatto per plasmare ed ammorbidire le menti irrigidite dal “sistema” oramai becero, stanco, arrugginito, superato… che vuole vedere le menti inzuppate di teorie, discorsi vuoti, povere del “fare”, del gusto di sfidare se stessi, di conoscere i propri limiti e le proprie potenzialità.

Concludo con una frase che mi è tornata spesso in mente in questi 60 giorni pieni di vita, di sensazioni, di emozioni, di crescita professionale e umana, di ricerca:

“Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto: pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi”

Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1509

Noi di #linf12…siamo tra le pochissime.

Roberta

Sono un’insegnante di scuola primaria con 28 anni di esperienza.

Come è iniziata la mia storia interattiva di questo percorso informatico all’interno della piattaforma IUL?

Era da troppo tempo che, professionalmente parlando, sentivo una certa rigidità e fissità del mio ruolo. Mi sembrava di aver creato una barriera tra l”io insegnante” e i miei studenti. Questa parola mi ha fatto scattare il campanello d’allarme: barricata-barriera. Allora che fare? Nell’interazione educativa (e non solo) le barriere non portano a nulla di buono. Forse la soluzione era di tornare di nuovo studente: provare a vari livelli (emozionale, pratico…) quello che vivono i miei alunni: ciò potrà essere solo un Bene, perchè sono convinta che non ci sia altro modo per costruire relazioni proficue di ogni specie e per ogni scopo:provare sempre a mettersi in gioco stando nei panni degli altri. La parola chiave dunque per me è stata relazione. Nella mia pratica quotidiana ho sempre ricercato la relazione con gli studenti, i genitori e l’istituzione, perché l’apprendimento può passare solo da una spinta relazionale, motivazionale. Allora mi sono chiesta: – Come si stabiliscono nella nostra società odierna le relazioni? E mi sono data questa risposta: – Soprattutto con l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Io partivo letteralmente da zero. Le mie competenze si fermavano ad un corso lontano. Come è d’uopo per una ricerca di carattere storico, sono andata a rileggermi i documenti: i post del professore e i commenti che mi riguardavano all’inizio che poi si sono miracolosamente trasformati nel ci riguardavano. Ricordo ancora a dicembre quando timidamente ho inviato una e-mail a tutti i componenti della classe;non sapevo letteralmente da dove partire per rispondere alla prima richiesta: apertura di un blog. È ancora vivo lo stupore che ho provato nel leggere un post in cui il prof mi citava e chiedeva di utilizzare il blog iamarf per le nostre comunicazioni. Così ho iniziato a postare dei commenti, prima in forma anonima, dato che ancora non possedevo gli strumenti. Poi piano piano con l’apertura del mio blog, la mia identità si è resa presente e la cosa è stata reciproca con le altre corsiste. Guidate dal prof siamo riuscite a costituire un gruppo, che ora opera a livello di apprendimento cooperativo, scambio di materiali, condivisione nello studio, ma soprattutto di una relazione interpersonale, arricchente dal punto di vista umano. È possibile trasporre questa esperienza nella pratica quotidiana di apprendimento? Credo proprio di sì, anzi ne sono convinta, altrimenti non sarei qui a raccontarlo. Quindi mettermi nei panni degli altri è stato utile per arricchire il mio bagaglio professionale al fine di tentare l’esperienza della blogoclasse con i miei alunni, superando e vincendo pregiudizi sull’uso delle nuove tecnologie che noi, non nativi digitali, ci portiamo dentro. Il titolo di un post del prof era abbiate fede che qualcosa germoglierà: queste parole me le porterò sempre dentro!

Rosaria

Insegno nella scuola primaria da appena diciottenne, sono tanti anni, ne ho 40! Ho iniziato a studiare all’università di Palermo e contemporaneamente iniziavo a lavorare presso un istituto religioso della mia città, cominciando ad insegnare in una seconda elementare. Facevo la maestra! Volevo farlo da sempre…Insegnare deve essere per forza qualcosa che se lo fai, devi proprio volerlo dal profondo, come dire una “passione”; questo perchè di ostacoli ne ho incontrati diversi, forse non li chiamerei ostacoli, ma percorsi obbligati, casi della vita… un incrocio di scelte dovute e volute. Quella di iscrivermi alla IUL è stata proprio una scelta voluta! Ponderata, avevo già chiesto l’anno accademico scorso… ma l’unica perplessità era stata la paura di non poter coinciliare tutti gli impegni: figli, lavoro, casa… anche marito. Alla fine è stato proprio mio marito che nella sua visione lineare, ottimistica e motivante, mi ha convinto che dopo tutto non sarebbe stata una cattiva idea ultimare un corso di studio, pensare un po’ di più a me stessa. Ed eccomi qui con voi a condividere la mia voglia di conoscere, imparare e crescere. Emblematico è stato l’incontro, il giorno del primo esame, con la collega fino a quel punto “virtuale”: ci siamo guardate, “riconosciute”…. “Ma tu sei…?” e abbracciate! Come si fa proprio con i vecchi amici. Questo fa capire la relazione che si è instaurata nel nostro gruppo. Il senso di appartenenza lo dobbiamo al creatore del gruppo #LINF12, il prof, che già dai primissimi contatti, si è prodigato a fare in modo che tale esperienza non restasse una trasmissione di sapere unidirezionale, ma che diventasse circolare! I continui feedback, chiamate esercitazioni, la sua giornaliera “presenza” nonostante i km che ci dividono, con stimolanti sfide, occasioni per… è la vera rivoluzionaria differenza di questo per-corso!! Adesso non siamo più un elenco di iscritti, ci lega un rapporto di scambi continui, di confronti e di esperienze di vita da condividere con gli altri.

Questo è “Cooperative Learning”: positiva interdipendenza, interazione, responsabilità individuale, uso appropriato delle proprie abilità nella collaborazione.

Il clima collaborativo che è nato è davvero speciale, in questo particolare momento di esami lo è ancora di più, il sostegno e la “vicinanza” di qualcuno che sa in prima persona, come te , cosa provi e come ti senti, ti rafforza!

Sabrina

Contrariamente alle altre io non sono una docente, sono un’amministrativa, tutto il giorno tra Dare/Avere, bilanci, registrazioni. Ho intrapreso questo percorso per curiosità, volevo conoscere il mondo scolastico dall’interno e non solo come appare a noi genitori. La volontà di iscrivermi a questo corso di laurea è una cosa che è cresciuta lentamente dentro di me, un bisogno di mettermi di nuovo in gioco e per insegnare a mia figlia che non è mai troppo tardi per fare una cosa a cui tieni, ma che è sicuramente meno faticoso ed impegnativo farlo nei tempi giusti.

Mi ricordo ancora il primo collegamento in sincrono, sull’Ipad, non avevo l’audio, quello che riuscivo a capire era che, ad eccezione di una o due colleghe, le altre erano tutte docenti di scuola elementare. Al termine ho pensato, ma che cosa ho fatto? Cosa ci faccio io qui? Che cosa ho io in comune con loro? Come potrò mai relazionarmi sui problemi lavorativi o di studio?

Poi il 9 dicembre 2012 mi è arrivata la prima mail del prof che esordiva così:

Cari studenti, sono “quello” del Laboratorio Informatico, uno degli insegnamenti del corso di laurea al quale vi siete coraggiosamente iscritti: Metodi e Tecniche delle Interazioni Educative” – omissis – Leggendo questo primo post, non vi fate prendere dall’ansia delle istruzioni per l’uso. Esplorate semplicemente. Durante il (per)corso, benché forzatamente breve, cercheremo di fare varie cose ma non sarà mai questione di studiare prima le istruzioni per l’uso, bensì di scoprirle insieme.

Cari saluti

Andreas

Ora la parola ansia in quel momento per me era un eufemismo …. terrore, non ansia. L’ansia fai due o tre respiri razionalizzi e la superi, il terrore no, non lo razionalizzi.

Il panico era già iniziato dal giorno in cui per caso ero andata a vedere sul sito della IUL il programma del laboratorio informatico. La presentazione era un video dove venivano illustrate le attività che avremmo dovuto imparato a svolgere con alla fine una schermata dove ruotavano parole come: Blog, open source, Web feed, twitter, social network, editing, linguaggio e chi più ne ha più ne metta. Fitta alla bocca dello stomaco ed il pensiero fisso: “My God! come farò io che il computer lo uso solo per lavoro e per ogni programma che imparo ad utilizzare, sia office o zucchetti, mi sembra sempre di aver fatto una delle fatiche di Ercole, se non tutte insieme?”

Non faccio in tempo a calmarmi e ripetermi come un mantra non ti preoccupare tanto c’è tempo adesso vedrai che piano piano le cose si faranno che il 10, dico 10 dicembre, appena 24 ore dopo, mi arriva una seconda mail con un “semplice” invito da parte di “Quello” del Laboratorio Informatico ovvero “…Vi propongo quindi uesto primo post dove siete invitati a leggere una riflessione sui servizi web in generale e quindi ad aprire un blog”. Le gambe sono diventate gelatina, la salivazione si è bloccata, i capelli dritti già li avevo dal giorno prima, quindi non si sono abbassati e ho preso visione di una cosa… Si stava facendo sul serio! Che fare? Dovevo provare. Così il 10 dicembre stesso è nato il mio blog. Semplice, semplice ma mio. Che conquista! Ero orgogliosa di me stessa. Ma era solo l’inizio dell’avventura.

Da quel giorno,sono trascorsi poco più di due mesi, in ordine ho imparato ad usare Google Reader; i famosi feed; lo screenshot, inserire nel blog link, immagini, video; mi sono sporcata con i colori come dice il prof, passo da un tweet ad una chattata sul piratepad, sembro posseduta dall’animo di Bill Gates. Ma soprattutto, sono diventata una #linf12 dipendente.

Perché all’interno di tutto questo percorso sono stata accompagnata, guidata, sostenuta dal prof, da Claude e dalle altre mie care compagne di avventura.

Oggi le mie domande iniziali: “Che ci faccio io qui? Che cosa ho in comune con loro?” hanno trovato una risposta: dovevo far parte del #linf12, dovevo essere anch’io all’interno della creatura del prof; un gruppo unito, curioso di scoprire cose nuove. Perché tramite questo modo di insegnare ho testato che niente è impossibile se uno viene portato a fare piuttosto che a memorizzare sterili concetti fini a se stessi. La teoria è utile ma solo se complementare alla sperimentazione, quando diventa caratteristica unica dell’insegnamento perde efficacia. Se oggi tutte noi siamo un gruppo unito che si cerca, trova, aiuta, operando in una sorta di apprendimento cooperativo con scambi quotidiani di sensazioni, emozioni, lavori e questo grazie ai mezzi ed alla passione donataci dal prof. Il suo modo dinamico di insegnare ci ha incoraggiato a misurarci in cose nuove, sconosciute e quando ci siamo trovate titubanti c’è sempre stato il conforto che se avessimo fatto qualche “guaio” ne saremmo sicuramente venute fuori tramite la forza del gruppo guidato dal suo Capitano.


Note

[1] Antonio Fini, Andreas Formiconi, Alessandro Giorni, Nuccia Silvana Pirruccello, Elisa Spadavecchia, Emanuela Zibordi, Open Educational Resources e comunità virtuali: riflessioni su un’esperienza, Journal of e-Learnin and Knowledge Society — Vol. 4, n. 1, 2008 (pp. 101 – 109)
[2] Maria Grazia Fiore, Andreas Robert Formiconi, Insegnare Apprendere Mutare: la blogo-classe va in scena! (pdf), Journal of e-Learnin and Knowledge Society — Vol. 4, n. 3, 2008 (pp. 51 – 59).
[3] Jenny Mackness, Sui Fai John Mak, Roy William, The Ideals and Reality of Participating in a MOOC (pdf), Proceedings of the 7 the International Conference on Networked Learning 2010, Edited by: Dirckinck-Holmfeld L, Hodgson V, Jones C, de Laat M, McConnell D & Ryberg T, Proceedings of the 7 the International Conference on Networked Learning 2010, Edited by: Dirckinck-Holmfeld L, Hodgson V, Jones C, de Laat M, McConnell D & Ryberg

L’artigiano tecnologico – #linf12

Si diceva di tecnologia e artigianato in un post precedente. Una riflessione stimolata da un post di Sandra e poi ripresa da altri, fra cui Lisa, il cui commento offre diversi spunti. Prendiamo le mosse dai “punti fermi” di Lisa.

Non confondiamo il progresso tecnologico e informatico con l’uso dei video games (wind, psp, xbox… e tutto quello che i ragazzini usano oggigiorno) o esclusivamente dei social network

Certo. Tuttavia anche tenendo ferma questa distinzione assolutamente doverosa, se approfondiamo un po’, si apre un mondo. Distinzione doverosa perché sfortunatamente i giovani sono forse molto “gestiti” ma in molti aspetti della loro vita sono di fatto abbandonati a loro stessi. Non è questione di controllo ma di presenza, magari discreta, magari giocosa, ma presenza, consapevole.
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Frugando negli interstizi – #linf12

Riemergendo dalle nebbie dell’influenza, che mi ha obbligato al riposo per cui Lisia si preoccupava (..nel frattempo lei è andato avanti…ma non si riposa mai?) decido di leggere le vostre novità prima di riprendere il filo del discorso. Vengo tuttavia subito distratto dalla lettura di un bel brano di Octavio Paz proposto da Sandra nel suo post Uso e contemplazione.

Il pezzo mi ammalia al primo periodo:
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Twitter non è un social network – Twitter è informazione


Lo afferma il co-fondatore di Twitter, Even Williams (da un tweet di Don Tapscott.

È vero. Anche se ha le caratteristiche di un social network il suo valore emerge quando lo si utilizza come un collettore di informazione.

Tutte le testate giornalistiche, da quelle internazionali, generaliste o tecniche, a quelle nazionali per giungere anche a quelle regionali, incluse le agenzie di stampa come l’Ansa, distribuiscono le notizie su un canale Twitter.

Molti personaggi che ricoprono incarichi istituzionali utilizzano un canale Twitter. Organizzazioni pubbliche e private, aziende. Top manager, esperti famosi in vari campi.

E naturalmente tanti tuoi amici, conoscenti, professionisti, e tante altre persone del cui giudizio ti fidi.

Twitter è un formidabile collettore delle informazioni che ti interessano. La significatività del flusso di informazione dipende dalla tua selezione delle fonti.

Esistono innumerevoli strumenti che arricchiscono o modulano le funzionalità di Twitter. Io sono rimasto realmente sorpreso da paper.li.

Basta fare il solito account, dichiarando e consentendo l’accesso al proprio indirizzo Twitter, per ricevere ogni 24 ore il proprio Daily, con le notizie raggruppate in sezioni tematiche impaginate come in un vero e proprio giornale.

A questo punto, per me The Andreas Formiconi Daily è il miglior quotidiano del mondo!

La stampa convenzionale già da tempo vive un declino che sembra inarrestabile e molti la danno ormai per morta. Azzardo una previsione: Twitter, che all’inizio sembrava il più effimero e inutile dei social network, sarà la colonna vertebrale della nuova stampa.

Sent from my iPad

– Posted using BlogPress from my iPad

Web 2.0 e tecnologie di carta

Web 2.0Il web 2.0 non è poi tanto diverso da un foglio di carta bianca. Un’attrezzatura molto economica, che chiunque può usare.

Su di un foglio di carta si può scrivere un racconto, una poesia, si può fare un disegno o si può anche dimostrare un teorema matematico. È una tecnologia straordinaria. Un foglio di carta costa poco, è leggero e può trattenere una varietà illimitata di forme espressive. Può servire a lanciare un messaggio nella folla, si può mettere in una busta e spedirlo a qualsiasi indirizzo nel mondo per un modico prezzo. Ci si possono tracciare segni e figure con una grande varietà di mezzi, penne, lapis, carbone, acquerelli o colori di altri tipi, oppure vi si possono incollare altri fogli o altri materiali. Può essere anche piegato ad arte per fare sculture e macchine volanti, oppure colorato e tagliato in coriandoli e stelle filanti.

Ma la caratteristica più interessante è che tutte queste cose, e molte altre ancora, possono essere fatte da chiunque e in modo immediato. Può servire avere fatto un po’ di scuola, giusto i primi due o tre anni, ma in realtà il limite è solo la fantasia.

In questo post sostengo due tesi:

  1. il web 2.0 non è poi tanto diverso da un foglio di carta bianca
  2. per imparare a usare il Web 2.0 è bene partire dalle tecnologie di carta

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Ma cosa c’è di veramente nuovo nelle nuove tecnologie? (assignment fuori categoria)

Io sono molto disordinato ma ormai ho cessato di crucciarmi, anzi con il tempo mi sono convinto che una sana quota di disordine favorisca la creatività.

È così che qualche giorno fa, entrando nello studio e guardando il mio tavolo, ho “visto” un collegamento interessante fra vari oggetti che vi giacevano sparsi. Se fossi stato perfettamente ordinato, tenendo la scrivania ben sgombra eccetto l’oggetto sul quale stavo lavorando, non avrei “visto” niente.

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Insegnamento universitario e tecnologie internet

Ho scritto questo post conseguentemente ad una serie di conversazioni sul ruolo delle tecnologie negli insegnamenti universitari. Dopo una breve premessa sulle sorti dell’università, discuto tre possibili modalità di impiego di servizi web in un insegnamento universitario:

  1. Trasferire le “dispense” in un sito web che sia accessibile solo previa autorizzazione da parte del docente
  2. Trasferire le “dispense” in un sito web che sia liberamente accessibile
  3. Creare una comunità in rete

Buona lettura!