Un cMOOC sulle tecnologie internet per la scuola – #ltis13

Iscritti al 14 maggio: 480

Invio a tutti una mail di conferma dell’iscrizione entro 24 ore. Chi non l’ha ricevuta controlli nella cartella “spam” della propria email e segnali il fatto con un commento a questo post oppure scrivendo a andreas(PUNTO)formiconi(CHIOCCIOLA)gmail(PUNTO)com.

Una persona ha inviato l’iscrizione da un indirizzo email di posta certificata (pec): se l’utente non configura adeguatamente la sua pec allora non può ricevere email normali, e quindi nemmeno una mia risposta!!!

Questa è la mappa delle iscrizioni giunte sino ad ora.

Puoi andare direttamente alle seguenti sezioni:


Locandina del connectivist Massive Open Online Course: Laboratorio di Tecnologie Internet per la Scuola - #LTIS13

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Come sono comparsi i MOOC?

Oggi i MOOC (Massive Open Online Courses) vanno di moda. Tutti ne parlano e esistono già società le quali, fungendo da intermediari, li offrono per conto delle università. È bene tuttavia chiarire che questo acronimo può indicare cose molto diverse fra loro. In questa sezione cerco di illustrare la questione.

I primi MOOC non si chiamavano così.  Nel 2007, grazie ad una provvidenziale segnalazione di Antonio Fini, mi capitò di iscrivermi al corso online “Introduction to Open Education”, tenuto da David Wiley, a quel tempo presso la Utah State University. Il corso rappresentava una clamorosa novità: chiunque poteva iscriversi liberamente, accedendo ad una semplice pagina wiki e scrivendovi le proprie generalità, eccola. Se scorrete la pagina trovate anche le iscrizioni di Antonio e di altri amici italiani.

Trovai subito affascinante quell’esperimento che ricordo come la più bella e proficua esperienza di tutta la mia carriera di studente: scoprire compagni di scuola, persone mai viste, dalle storie sconosciute, grazie all’affinità degli ideali e alla risonanza dei pensieri. Un’emozione che non avrei immaginato. Tecnicamente il metodo era di una semplicità disarmante. I partecipanti erano tenuti  ad usare un blog come fosse un quaderno, l’insegnante suggeriva i temi sul suo blog e tutti leggevano e commentavano i testi degli altri [1]. Il corso partì subito bene, come si può vedere dai primi commenti di Wiley ai pensieri dei suoi studenti sparsi nel mondo, fra cui quello dove avevo accennato alla storia di Don Milani.

andreas-certificateAlla fine delle 15 settimane di corso, coloro i quali, secondo il giudizio di Wiley, avevano partecipato attivamente, potevano ricevere un certificato di completamente del corso, a fronte di un modesto pagamento – mi pare 50 $ – alla Utah State University.

Qual è il valore legale di questo titolo? Credo che sia nullo.

Qual è il valore di questo titolo per me? Diciamo così: se per un qualche incanto, fossi costretto a fuggire in un altro mondo, portandomi dietro uno solo dei miei titoli di studio, allora mi porterei questo, lasciando tutti gli altri.

Misi subito a profitto l’insegnamento ricevuto, applicandolo nella primavera del 2008 alla classe di medicina e introducendo insieme a Maria Grazia Fiore l’idea di blogoclasse [2].

Sull’onda dell’entusiasmo, partecipai al corso “Connectivism and Connectivist Knowledge” (CCK08), tenuto nell’autunno del 2008 da George Siemens e Stephen Downes, il primo con un numero inusualmente grande di iscrizioni. Il corso fu offerto in forma online dalla University of Manitoba con due tipi d’iscrizione: una a pagamento, che prevedeva l’assegnazione di crediti, l’altra libera: le iscrizioni convenzionali furono 24, e quelle libere 2200. Jenny Mackness, Sui Fai John Make e Roy Williams, tre partecipanti del corso riferirono [3] di avere stimato un numero di partecipanti attivi pari a 150. È un dato plausibile, anche se ricordo di avere interagito in maniera significativa con circa una ventina di “compagni di classe”.

Pare che il termine MOOC sia emerso in una conversazione fra George Siemens e Dave Cormier, un esperto di tecnologie web che fu coinvolto nel corso CCK08, come lo stesso Cormier ha raccontato in un suo post. La gestazione è stata breve. Oggi esistono MOOC gestiti da aziende specializzate ai quali si iscrivono decine o addirittura centinaia di migliaia di studenti. Non è del tutto chiaro come, ma sono in molti a ritenere che i MOOC debbano risolversi in un grande business.

E qui occorre intendersi bene. Questi ultimi MOOC non hanno quasi niente a che vedere con le prime edizioni pionieristiche. Distinguiamo.

Nei MOOC “prima maniera” l’enfasi è sulle relazioni fra i partecipanti e sull’effetto di rete che ne scaturisce. Si assume che l’apprendimento emerga non solo dallo studio e dalla riflessione personale ma anche dal confronto con i pari e dalla condivisione di problemi e di soluzioni. L’insegnante interagisce anche con i singoli partecipanti ma non perde mai di vista la cura della comunità che va costituendosi, ritenendola il contesto fondamentale per favorire l’apprendimento di ciascuno. In questi corsi la tecnologia è un mezzo per mettere in opera nuovi modelli di insegnamento, motivati da considerazioni epistemologiche e pedagogiche. I primi esperimenti MOOC derivano dal connettivismo, la teoria dell’apprendimento formulata da George Siemens e Stephen Downes. Per questo motivo vengono designati dall’acronimo cMOOC: connectivist Massive Open Online Course.

Nei MOOC “seconda maniera” le tecnologie vengono invece applicate per estendere il modello convenzionale di insegnamente universitario alla massa. Gli studenti reperiscono i materiali didattici online e eseguono test online automatizzati. Per distinguerli dai precedenti, questi vengono designati dall’acronimo xMOOC. In effetti la “x” è appropriata, perché questi corsi possono essere progettati in una varietà di sfumature, magari avvicinandosi più o meno alla visione connettivista o anche ad altre prospettive. Ma il modello che sembra prevalere è quello industriale.

Bene, con questo ho detto il minimo che occorre per prendere posizione: i cMOOC costituiscono una grande occasione per sperimentare modalità didattiche che siano adatte alle esigenze della società contemporanea; gli xMOOC rappresentano invece l’ulteriore industrializzazione di un modello di insegnamento che già da anni mostra pesanti limiti, un modello che privilegia l’idea di insegnamento quale mero trasferimento di contenuti.

Quasi quasi, quello che stiamo proponendo dovrebbe designarsi CmOOC, dove l’enfasi è sulla cura delle relazioni piuttosto che sul fatto di essere potenzialmente “di massa”. Per chi vuole capire meglio, nella sezione seguente propongo la lettura delle testimonianze di alcuni studenti che hanno seguito un percorso affine a quello che stiamo proponendo.

Il cMOOC sarà molto simile a quello seguito da questi studenti, ma avrà l’incognita del numero di partecipanti: la dimensione della “M” è sconosciuta, e quindi i metodi che verranno applicati non sono del tutto prevedibili. Fa parte del gioco: ricerca in azione.

Ringrazio gli studenti #linf12 per avere dedicato parte del loro tempo a scrivere questi contributi.


Testimonianze

Propongo qui di seguito la lettura delle testimonianze degli studenti del “Laboratorio Informatico” #linf12. Questi studenti sono insegnanti e amministrativi che lavorano nella scuola primaria e secondaria e che stanno frequentando il primo anno del corso di laurea triennale “Metodi e Tecniche delle Interazioni Educative” presso l’Italian University Line. L’esperienza che stanno vivendo questi studenti è simile a quella che hanno vissuto tutti gli altri, nei corsi che ho proposto dal 2008 ad oggi, in una grande varietà di contesti , corsi di fatto CmOOC, in quanto, sebben innestati in curricula convenzionali, sono sempre stati aperti a chiunque e ispirati al modello MOOC “prima maniera”.

Beatrice

Insegnante tardiva. O come ho scoperto, ritardataria. Ogni volta che cerco di capire, esattamente, chi sono e qual è realmente la mia professione, comodamente, preferisco giudicare la scuola; trovare limiti e colpe nell’inadeguatezza di una struttura. Ma l’insegnante sono io e chi non sa imparare non può dare tanto. Sono io che devo guardare; prendere e dare. Imparare. Un corso di laurea scelto per caso, un corso (ops, per-corso) di linguaggi e comunicazioni virtuali, la superficialità del credere che un manuale potesse bastare. Poi si è aperto un mondo. Io ritardataria che rincorro contatti senza fili. Un libro senza pagine, senza l’ultima pagina, perché l’educazione non ha l’indice e nemmeno la copertina. L’ultima pagina è sempre da scrivere. Sapere che le parole non vanno sprecate, che in un tweet posso chiedere aiuto in modo efficace, che un archivio virtuale di esperienze ed informazioni è a portata di mano. Sapere che posso scambiare, ricevere, gridare senza filtri, senza pregiudizi o vizi di forma (di formalità). Sono riuscita, alla mia età, a creare un blog. Ed ho scritto. Io ho finalmente “detto”. E mentre scrivo mi pongo il problema di chi mi legge. Perché le parole hanno un peso, e non vanno sprecate. Non devo apparire, devo esserci. E citando il prof: io sperduta fino ad oggi, attaccata alla mia chiavetta fragile, forse mi sento libera dal peso dell’Eccellenza. Il mio essere in ritardo mi mette, oggi, di nuovo in viaggio. Il mio aggiornamento continuo e reale in una comunità di menti e non di volti. Virtualmente operativa. L’eleganza della parola, la bellezza del linguaggio, la grazia di una nuova conoscenza.

Errica

Essere un’insegnante con 22 anni di esperienza, significa essere stata studentessa negli anni ’80-’90, in un altro mondo, in realtà , quello delle lezioni frontali, dell’estremo riconoscimento delle competenze individuali. Non “era tempo” per il Coperative Learning, l’utilizzo delle tecnologie, gli stage.. ma era il nostro tempo, adeguato, colmo di entusiasmo, ricco di pensatori e progetti (da e per l’estero), con eclatanti cambiamenti di rotta in campo progettuale e di programma (i programmi ministeriali della scuola primaria dell’85 pare li abbiano ritenuti validi perfino in Cina!).

Persone come me, con un tale percorso alle spalle, però non “vogliono” aver appreso.

È il mondo che bisogna continuare a comprendere, e con esso ciò che ne è l’anima: i giovani.

Con coraggio, ed è una strada ardua, ci si ritrova ad iscriversi ad un corso di laurea, questo, alla “scoperta” di metodi e tecniche…quelle nuove…o forse, già  vecchie… Ma è il metodo che interessa e sprigiona grandi capacità : qui non c’è niente di “rigido”, nemmeno il disco! Poche nozioni espresse in modo laboratoriale, non sufficienti, per altro, ad arrivare alla fine del “compito”: va di scena il “cervello”; e poi si crede nella sterilità  della “macchina”!

Faccio un esempio: tutti sanno usare un programma di testo; certamente, ma utilizzando le impostazioni predefinite! Chi si sognerebbe di conoscere in profondità  il “codice”? E allora penso, penso, penso: mi viene in mente la mia infanzia (sono di quella generazione che viveva all’aperto senza giochi se non la corda, la palla, e noi stessi: gruppo del quartiere. Codice, linguaggio: i giochi di un tempo: l’alfabeto farfallino, ve lo ricordate? A cosa serviva? A comunicare, ma in maniera creativa!! Non ci si può fermare a utilizzare ciò che ci appartiene, creare è la via!

Pensiero – Linguaggio – Sviluppo Cognitivo risiedono nell’html!!

O se volete:

Penfesifieferofo – Linfigufuafaggifiofo – Svifilufuppofo Cofognifitifivofo rifisifiefedofonofo nellfe’ html!

Flavia

Cosa spinge un’insegnante alla soglia dei 50 anni a rimettersi in gioco? Per quale motivo decide di cambiare rotta? Che cosa la spinge a farlo? E … lo può fare? Queste sono domande che mi pongo ora, dopo aver già intrapreso il cammino, fermandomi a riflettere sulla scelta compiuta. Far parte del gruppo #linf12 è straordinario, è un’esperienza che coinvolge culturalmente ed emotivamente. I rapporti cosiddetti “virtuali”, che spaventano molti educatori non si sono per niente dimostrati asettici, ci siamo affiatate, ci siamo conosciute attraverso i nostri post e i nostri commenti e la riprova per alcune di noi è stata quando ci siamo viste per la prima volta in carne ed ossa e abbiamo cominciato a parlare: sembrava di conoscersi da sempre! Si parla tanto di pluralità di esperienze, pluralità di culture, pluralità di lingue, … beh l’università telematica, e nello specifico questo laboratorio informatico, ha permesso tutto ciò. Io ho seguito diversi corsi blended e pensavo che anche questo percorso avesse le stesse caratteristiche degli altri, ma invece si è dimostrato qualcosa di diverso, di sostanzialmente diverso! Abbiamo sperimentato un modo di apprendere veramente collaborativo che ci ha unite, ci siamo venute in aiuto quando ne avevamo bisogno, ci siamo date appuntamento nel pad per scambiarci informazioni immediate o solo per fare quattro chiacchiere, siamo cresciute all’ombra del regista che piano piano, giorno dopo giorno, ci lasciava più spazio, si ritraeva per concederci la libertà che avevamo conquistato.

Ecco io ho trovato questo modo di apprendere diverso rispetto alle altre esperienze compiute: la conoscenza è stata veramente costruzione collaborativa, non individuale. Il prof ci ha parlato della metafora del bosco, uno ci deve entrare e poi piano piano conosce tutto ciò che forma quel bosco; se dovessi utilizzare un’altra immagine per raccontare il nostro per-corso utilizzerei l’immagine dell’oceano: ecco noi siamo state portate nell’oceano, qualcuna di noi aveva i braccioli, altre il salvagente, altre ancora il giubbotto di salvataggio, qualcuna era su una barchetta e si guardava intorno timidamente; piano piano utilizzando le nostre dotazioni abbiamo preso conoscenza dell’oceano e non ci ha più spaventate, nonostante i pesci strani che ogni tanto ci giravano intorno.

Poi ognuna di noi ha cominciato a staccarsi dal suo appoggio, che a un certo punto limitava i nostri movimenti, e si è tuffata, riemergendo soddisfatta da quell’enorme massa d’acqua che rappresenta la conoscenza. Stupendo. Ecco la nuova sfida della scuola, la sfida che coinvolge direttamente noi insegnanti. La buona scuola secondo me non parte dall’Istituzione, dall’alto, ma dalla base, dai suoi attori, in primis gli insegnanti, i veri artefici del cambiamento. La scuola delle nuove generazioni dovrebbe essere un po’ come il nostro per-corso, un nuovo modo di apprendere e di imparare facendo.

Laura

La prendiamo alla lontana, molti anni fa ero una studentessa che ha sempre contestato la scuola diventata insegnante, sicuramente per la legge del contrappasso; contestatrice da studente, insofferente da insegnante, ma mai vinta; l’unica differenza è che da studente contestavo la scuola e non capivo perché, ora ho capito perché la contestavo e quindi sono insofferente; insofferente all’immobilismo in cui versa la scuola che continua a impostare l’apprendimento come un sapere enciclopedico che l’insegnante versa nel ragazzo, una scuola di stampo illuminista….
L’illuminismo… indubbiamente una grande rivoluzione del 1700 … ma che dite, saranno cambiati i nostri ragazzi da allora?
La mia insofferenza ai modelli preposti, mi ha sempre spinto a ricercare nuovi modelli, nuove strade per l’insegnamento: la ricerca, questo è sempre stato il pallino da passare ai bambini che ho avuto la fortuna d’incontrare, perchè io ho dato a loro, ma loro non sapete quanto hanno dato a me.
Questo è il background che mi ha portato quasi per caso ad iscrivermi alla IUL e frequentare questo corso.
Comincio a seguire il corso in ritardo, la mia idea di università era ovviamente la solita, studio sul libro, sulle dispense, ricerco informazioni, mi presento agli esami… decido di seguire il corso del Laboratorio informatico, l’informatica applicata alla didattica è sempre stata il mio pallino, penso: – Magari trovo qualcosa che m’interessa!
Niente libri, niente dispense, ma cosa richiede questo prof? Cosa devo fare per seguire il corso? Mando una mail, vedo cosa stanno facendo gli altri… non capisco… è richiesto di aprire un BLOG.
Ok so cos’è un blog, ma ne ho mai aperto uno, anche perché un blog è un diario, ho sempre odiato quelle ragazzine tutte fiocchi e scarpette rosa che scrivevano i propri segreti nei diari, figuriamoci se ne apro uno, pure on line.
Ma il gruppo degli studenti era già attivo, comincio a leggere, vedere i blog che aprivano, erano davvero interessanti, post bellissimi pieni di esperienze di vita vissuta in classe, proposte didattiche, sperimentazioni.
Ma mentre sono lì a fare tutte le mie elucubrazioni sul “se fare o non fare il blog”, già il blog era superato e si parlava di aggregatori …non avevo mai sentito parlare di aggregatori, mando ancora una mail, ma in un post leggo che la mail era superata e si parlava solo attraverso i post del blog…io ero indietro, per la prima volta in vita mia annaspavo, niente prof, niente libri, niente dispense, pensavo:
– Ti sta bene! Hai sempre combattuto il sapere enciclopedico? Ecco ora sei servita! Chiedo aiuto? A chi? Le colleghe sono bravissime, ma inarrivabili.. e ora che faccio? Decido di fare quello che ho sempre fatto: cerco su internet!!!
Già internet, grande panacea del nostro tempo! E così apro il blog, mi sentivo un dio, scrivo una cavolata per vedere l’effetto, nessun effetto, nemmeno un commento, penso:
– Ah già, devo mettermi in pari con gli aggregatori, vediamo sul blog del prof cosa devo fare , ma sul blog del prof vedo che l’aggregatore era già superato e si parlava di screenshot… ero all’esasperazione! Ma siccome Dio esiste, ecco finalmente il Natale e con lui le vacanze e mentre tutti parlano di panettoni e torroni, io decisa a non darla vinta, con il mio computer comincio a collegarmi, comincio a rispondere ai post sui blog, comincio ad inserire sul mio blog dei post e ad entrare in relazione con le mie colleghe inarrivabili e capisco che tutte avevamo le nostre incertezza, che tutte avevamo le nostre difficoltà, ma tutte avevamo 3 cose che ci accomunavano: la curiosità, la caparbietà e la determinazione.
Entro così a far parte del famoso #linf12, un gruppo d’insegnanti e non, che sta dimostrando che l’età fisica non corrisponde all’età mentale, che lo studio è esclusivamente ricerca e non può essere fine a se stesso, che ha talmente tanta passione che non può non essere trasportata nella scuola, perché la passione è un vento che travolge, non puoi evitarlo.
Cosa ha insegnato a me #linf12? Il “sapere collaborativo”, sempre proposto e perorato, ma mai sperimentato in prima persona; beh, è qualcosa a cui non puoi mettere confini, l’idea di uno è il punto di partenza per l’altro, è spettacolare poter trasportare questo in classe, è l’entusiasmo della scoperta, del poter contribuire a qualcosa, del saper di essere parte di qualcosa che coinvolge e fa volare le menti. L’artefice di tutto questo? Il nostro comandante che io personalmente ho odiato quando non ho visto i miei solidi appigli, libri dispense e quant’altro, ma non ringrazierò mai abbastanza per avermi tolto i braccioli ed insegnato a nuotare.

Lisa

22 febbraio 2013, primo incontro di formazione per imparare a redigere il Piano di Gestione delle Diversità che ogni Istituto dovrebbe inserire nel proprio Pof. Il relatore, dopo una premessa durante la quale ci parla di ambiente di apprendimento, atteggiamento del docente ecc, ci propone una simulata: tutti in cerchio lui recita una frase e poi esce dal gruppo per registrare la conversazione che scaturirà nel gruppo. “Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova”. Inizia il confronto, da una parte i conservatori dall’altra i progressisti, è tutto molto attuale siamo a tre giorni dalle elezioni politiche. Io inizio il mio viaggio introspettivo, ho provato sulla mia pelle cosa significa lasciare la strada vecchia, fidarsi, lasciarsi andare agli istinti: pura meta cognizione. Chi lascia la strada vecchia è spinto da un bisogno: il migrante, il malato, il ricercatore, io, tutti uniti dal bisogno di qualcosa. Ma il fil rouge non è solo il bisogno, questo è quello che si vede, ma dentro si sente la speranza; speranza di un cambiamento in meglio. La scuola di oggi dà abbastanza speranze? Riesce a trasmettere il bisogno di lasciare le vecchie strade con la speranza che quello che vivremo sarà migliore di quello che abbiamo lasciato? È la base per la costruzione del pensiero divergente, mettere in dubbio quello che ci appare per sperimentare il nuovo. Quanti luoghi comuni sul ruolo della rete, delle nuove tecnologie, dell’uso dell’informatica, alimentati da me per prima; lo spauracchio della perdita delle relazioni, del controllo, dell’incontro dello sconosciuto, magari il diverso. Come se da una parte ci fosse il sentimento, la relazione e dall’altra la razionalità, la freddezza, l’asetticità sentimentale. Mente e corpo scissi ancora una volta, secoli di storia della filosofia, di ricerca sembra siano trascorsi inutilmente. Perché? Eppure è ormai una certezza che la rete abbia dato vita ad una comunità. Comunità: deriva da comune con il senso di scambiare, distribuire, misurare; unito all’altro con l’obbligo di qualche prestazione e col diritto di ricevere beneficio. Allora noi di #linf12 nel nostro per-corso di laboratorio di informatica ci siamo riuscite, abbiamo costruito una comunità dove lo scambio è stato la base dalla quale si è alimentato il nostro lavoro. La novità introdotta è stata la natura della comunità, il tutto è nato e si evoluto in maniera virtuale senza per questo tralasciare le relazioni umane. Questo esperimento è stato la dimostrazione che scegliere la strada nuova non implica dimenticarsi di quello che abbiamo scoperta sulla strada vecchia, significa mettere a frutto le conoscenze pregresse, le conquiste, i principi e le vecchie scoperte in prospettiva di nuove conquiste. Qual è in questo quadro il ruolo del docente? L’educatore, come ci ha dimostrato eccezionalmente il nostro Professore, è quello di accompagnare, suggerire, rassicurare lo studente in un per-corso che dovrà lui stesso inventare. Tutte le colpe non sono dei docenti che guardano con diffidenza le nuove strade ma di chi ci vuol far credere che la rivoluzione sta nella fornitura dei mezzi, non si investe nella scuola assegnando una Lim spesso senza le infrastrutture che la supportino. Oggi assistiamo a realtà in cui si istallano Lim, videoproiettori, pc in plessi dove non arriva la connessione internet o in luoghi fisicamente inaccessibili e a insegnanti che a loro spese e senza alcun riconoscimento dovrebbero utilizzarle senza poter contare su aggiornamenti adeguati. La solitudine inevitabilmente separa, toglie fiducia, inibisce la ricerca. Durante il nostro viaggio abbiamo assistito a cambiamenti epocali solo grazie alla forza del gruppo, favorita dal mezzo; persone come me che anno agito per sfida, grazie alla comunanza. Voglio qui riportare un bellissimo esempio sempre stimolato da questo aggiornamento sul piano di gestione delle diversità tratto dal libro “Natura incompleta” di Terence Deacon. Nella presentazione si parla della scomparsa di un bambino nel mezzo di un bosco e della ricerca di un gruppo di 50 persone che avranno il compito di cercarlo attuando un piano secondo il quale ognuno cercherà da solo senza ripercorrere la stessa strada o la strada di altri. Uno solo troverà il bambino, la ricerca degli altri 49 è stata inutile eppure se lui solo si fosse messo alla ricerca probabilmente non lo avrebbe trovato. In quel bosco noi di #linf12 ci siamo avventurate per due mesi e certi insight sono arrivati alla mente solo di alcune, ma se si fossero avventurate nel bosco da sole avrebbero avuto le stesse intuizioni? Se non avessero potuto sfruttare gli errori delle altre, avrebbero trovato lo stesso il bambino? Cos’è stato allora questo per-corso? La dimostrazione che la scuola deve trovare nuove strade facendo tesoro di quelle percorse fino ad ora, imparare a fidarsi e imparare a gestire il nuovo per re-interpretarlo e utilizzare quello che di buono ci può suggerire. Ma per farlo la scuola deve ritrovare il proprio posto nella comunità ammettere di farne parte, ammettere che gli altri 49 rappresentati dalla famiglia, dalle nuove tecnologie, dalle altre istituzioni, dalle altre agenzie formative, dal territorio locale, nazionale e soprattutto mondiale, hanno pari dignità; spogliarsi della veste autoreferenziale, della presunzione che la connota, perché da quel bosco possiamo uscirne tutti insieme.

Mariantonietta

“SANA FOLLIA ”

“Voglio capire ciò che è vero e distinguerlo da ciò che è falso – Oggi ho iniziato un’avventura… il Laboratorio informatico – Occasione per misurare i miei limiti ed eventualmente superarli“

Così scrivevo il 6 Gennaio 2013 sul mio Blog.

Avevo scoperto da pochi giorni un mondo che pensavo fino a quel momento freddo, grigio, senza colore e sapore… forse anche senza forma.

Voglio farvi capire quello che ho vissuto in 60 giorni, quello che ho capito, che mi ha entusiasmato, che mi ha fatto avvilire, che mi ha fatta crescere… E già , a 42 anni suonati, 14 d’insegnamento… mi sentivo una bambina di primo anno della scuola primaria. Bene, quando aprendo l’email, trovai il benvenuto del prof mi sono sentita coccolata, ma non le solite mielosità, percepivo attenzione, pazienza e un progetto pensato a misura per me.

Andando su http://iamarf.org, il nostro “nido”, vidi subito un video di presentazione, bello, affascinante… ma dopo 5 minuti mi ritrovai con la testa fra le mani. Unico pensiero: “queste cose non le so fare”. Silenzio, provai a rivedere il video, aprivo e chiudevo. Poi iniziai a esplorare. In seguito il prof disse a noi tutte che dovevamo esplorare un “bosco”. Capii che all’inizio era una grande foresta piena di pericoli, appena sbagliavi, dovevi provare e riprovare. Notti intere a dipingere una tela che subito rischiava di sbiadire in un niente.

Ma c’era sempre un aiuto: un post, un commento, un articolo, un consiglio… e la rabbia di ognuna di noi; ci cercavamo… Da lì sicuramente la “genesi” del gruppo, forte e compatto che oggi siamo: #linf12. Per non parlare delle “favolose interazioni”.

Dodici disperate, tutte donne, tutte con un medio-basso livello di competenze informatiche. Non me ne vogliano le mie “amiche”… forse basso, bassissimo!!!

Sin da subito un blog! Ma chi ne aveva mai sentito parlare nei dettagli?

Eppure creai il Blog di Wittgens, giorni a cambiare, provare e poi è venuta fuori una creatura. Potevo cambiarne l’aspetto, i colori, farlo “mio”, farlo mutare.

Piano piano, mettere le foto, inserire articoli, anche qualche cavolata (dolce tipico del mio paese…), ma ogni volta era qualcosa di magico. Andavo a rivedere sempre quelle poche e misere cose che avevo inserito con fatica.

Il blog è stata la spinta, da quel momento iniziò la corsa… e che corsa! Che salita!

Post, foto, diario di bordo, screenshoot, aggregatori, feed, Rssowl, reader, codice, html, twitter, scrittura collaborativa, pad… boschi e marmellate e tante altre cose.

Ora qui, a Didamatica a raccontare un sogno, un’impresa, una sfida… una vittoria.

Si, ha vinto l’intelligenza di un percorso nuovo, fatto su misura, non un abito uguale per tutti, ma qualcosa fatto per noi, fatto per plasmare ed ammorbidire le menti irrigidite dal “sistema” oramai becero, stanco, arrugginito, superato… che vuole vedere le menti inzuppate di teorie, discorsi vuoti, povere del “fare”, del gusto di sfidare se stessi, di conoscere i propri limiti e le proprie potenzialità.

Concludo con una frase che mi è tornata spesso in mente in questi 60 giorni pieni di vita, di sensazioni, di emozioni, di crescita professionale e umana, di ricerca:

“Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo, e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera da entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto: pochissimi sanno quale messi di vantaggi ne derivi”

Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1509

Noi di #linf12…siamo tra le pochissime.

Roberta

Sono un’insegnante di scuola primaria con 28 anni di esperienza.

Come è iniziata la mia storia interattiva di questo percorso informatico all’interno della piattaforma IUL?

Era da troppo tempo che, professionalmente parlando, sentivo una certa rigidità e fissità del mio ruolo. Mi sembrava di aver creato una barriera tra l”io insegnante” e i miei studenti. Questa parola mi ha fatto scattare il campanello d’allarme: barricata-barriera. Allora che fare? Nell’interazione educativa (e non solo) le barriere non portano a nulla di buono. Forse la soluzione era di tornare di nuovo studente: provare a vari livelli (emozionale, pratico…) quello che vivono i miei alunni: ciò potrà essere solo un Bene, perchè sono convinta che non ci sia altro modo per costruire relazioni proficue di ogni specie e per ogni scopo:provare sempre a mettersi in gioco stando nei panni degli altri. La parola chiave dunque per me è stata relazione. Nella mia pratica quotidiana ho sempre ricercato la relazione con gli studenti, i genitori e l’istituzione, perché l’apprendimento può passare solo da una spinta relazionale, motivazionale. Allora mi sono chiesta: – Come si stabiliscono nella nostra società odierna le relazioni? E mi sono data questa risposta: – Soprattutto con l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Io partivo letteralmente da zero. Le mie competenze si fermavano ad un corso lontano. Come è d’uopo per una ricerca di carattere storico, sono andata a rileggermi i documenti: i post del professore e i commenti che mi riguardavano all’inizio che poi si sono miracolosamente trasformati nel ci riguardavano. Ricordo ancora a dicembre quando timidamente ho inviato una e-mail a tutti i componenti della classe;non sapevo letteralmente da dove partire per rispondere alla prima richiesta: apertura di un blog. È ancora vivo lo stupore che ho provato nel leggere un post in cui il prof mi citava e chiedeva di utilizzare il blog iamarf per le nostre comunicazioni. Così ho iniziato a postare dei commenti, prima in forma anonima, dato che ancora non possedevo gli strumenti. Poi piano piano con l’apertura del mio blog, la mia identità si è resa presente e la cosa è stata reciproca con le altre corsiste. Guidate dal prof siamo riuscite a costituire un gruppo, che ora opera a livello di apprendimento cooperativo, scambio di materiali, condivisione nello studio, ma soprattutto di una relazione interpersonale, arricchente dal punto di vista umano. È possibile trasporre questa esperienza nella pratica quotidiana di apprendimento? Credo proprio di sì, anzi ne sono convinta, altrimenti non sarei qui a raccontarlo. Quindi mettermi nei panni degli altri è stato utile per arricchire il mio bagaglio professionale al fine di tentare l’esperienza della blogoclasse con i miei alunni, superando e vincendo pregiudizi sull’uso delle nuove tecnologie che noi, non nativi digitali, ci portiamo dentro. Il titolo di un post del prof era abbiate fede che qualcosa germoglierà: queste parole me le porterò sempre dentro!

Rosaria

Insegno nella scuola primaria da appena diciottenne, sono tanti anni, ne ho 40! Ho iniziato a studiare all’università di Palermo e contemporaneamente iniziavo a lavorare presso un istituto religioso della mia città, cominciando ad insegnare in una seconda elementare. Facevo la maestra! Volevo farlo da sempre…Insegnare deve essere per forza qualcosa che se lo fai, devi proprio volerlo dal profondo, come dire una “passione”; questo perchè di ostacoli ne ho incontrati diversi, forse non li chiamerei ostacoli, ma percorsi obbligati, casi della vita… un incrocio di scelte dovute e volute. Quella di iscrivermi alla IUL è stata proprio una scelta voluta! Ponderata, avevo già chiesto l’anno accademico scorso… ma l’unica perplessità era stata la paura di non poter coinciliare tutti gli impegni: figli, lavoro, casa… anche marito. Alla fine è stato proprio mio marito che nella sua visione lineare, ottimistica e motivante, mi ha convinto che dopo tutto non sarebbe stata una cattiva idea ultimare un corso di studio, pensare un po’ di più a me stessa. Ed eccomi qui con voi a condividere la mia voglia di conoscere, imparare e crescere. Emblematico è stato l’incontro, il giorno del primo esame, con la collega fino a quel punto “virtuale”: ci siamo guardate, “riconosciute”…. “Ma tu sei…?” e abbracciate! Come si fa proprio con i vecchi amici. Questo fa capire la relazione che si è instaurata nel nostro gruppo. Il senso di appartenenza lo dobbiamo al creatore del gruppo #LINF12, il prof, che già dai primissimi contatti, si è prodigato a fare in modo che tale esperienza non restasse una trasmissione di sapere unidirezionale, ma che diventasse circolare! I continui feedback, chiamate esercitazioni, la sua giornaliera “presenza” nonostante i km che ci dividono, con stimolanti sfide, occasioni per… è la vera rivoluzionaria differenza di questo per-corso!! Adesso non siamo più un elenco di iscritti, ci lega un rapporto di scambi continui, di confronti e di esperienze di vita da condividere con gli altri.

Questo è “Cooperative Learning”: positiva interdipendenza, interazione, responsabilità individuale, uso appropriato delle proprie abilità nella collaborazione.

Il clima collaborativo che è nato è davvero speciale, in questo particolare momento di esami lo è ancora di più, il sostegno e la “vicinanza” di qualcuno che sa in prima persona, come te , cosa provi e come ti senti, ti rafforza!

Sabrina

Contrariamente alle altre io non sono una docente, sono un’amministrativa, tutto il giorno tra Dare/Avere, bilanci, registrazioni. Ho intrapreso questo percorso per curiosità, volevo conoscere il mondo scolastico dall’interno e non solo come appare a noi genitori. La volontà di iscrivermi a questo corso di laurea è una cosa che è cresciuta lentamente dentro di me, un bisogno di mettermi di nuovo in gioco e per insegnare a mia figlia che non è mai troppo tardi per fare una cosa a cui tieni, ma che è sicuramente meno faticoso ed impegnativo farlo nei tempi giusti.

Mi ricordo ancora il primo collegamento in sincrono, sull’Ipad, non avevo l’audio, quello che riuscivo a capire era che, ad eccezione di una o due colleghe, le altre erano tutte docenti di scuola elementare. Al termine ho pensato, ma che cosa ho fatto? Cosa ci faccio io qui? Che cosa ho io in comune con loro? Come potrò mai relazionarmi sui problemi lavorativi o di studio?

Poi il 9 dicembre 2012 mi è arrivata la prima mail del prof che esordiva così:

Cari studenti, sono “quello” del Laboratorio Informatico, uno degli insegnamenti del corso di laurea al quale vi siete coraggiosamente iscritti: Metodi e Tecniche delle Interazioni Educative” – omissis – Leggendo questo primo post, non vi fate prendere dall’ansia delle istruzioni per l’uso. Esplorate semplicemente. Durante il (per)corso, benché forzatamente breve, cercheremo di fare varie cose ma non sarà mai questione di studiare prima le istruzioni per l’uso, bensì di scoprirle insieme.

Cari saluti

Andreas

Ora la parola ansia in quel momento per me era un eufemismo …. terrore, non ansia. L’ansia fai due o tre respiri razionalizzi e la superi, il terrore no, non lo razionalizzi.

Il panico era già iniziato dal giorno in cui per caso ero andata a vedere sul sito della IUL il programma del laboratorio informatico. La presentazione era un video dove venivano illustrate le attività che avremmo dovuto imparato a svolgere con alla fine una schermata dove ruotavano parole come: Blog, open source, Web feed, twitter, social network, editing, linguaggio e chi più ne ha più ne metta. Fitta alla bocca dello stomaco ed il pensiero fisso: “My God! come farò io che il computer lo uso solo per lavoro e per ogni programma che imparo ad utilizzare, sia office o zucchetti, mi sembra sempre di aver fatto una delle fatiche di Ercole, se non tutte insieme?”

Non faccio in tempo a calmarmi e ripetermi come un mantra non ti preoccupare tanto c’è tempo adesso vedrai che piano piano le cose si faranno che il 10, dico 10 dicembre, appena 24 ore dopo, mi arriva una seconda mail con un “semplice” invito da parte di “Quello” del Laboratorio Informatico ovvero “…Vi propongo quindi uesto primo post dove siete invitati a leggere una riflessione sui servizi web in generale e quindi ad aprire un blog”. Le gambe sono diventate gelatina, la salivazione si è bloccata, i capelli dritti già li avevo dal giorno prima, quindi non si sono abbassati e ho preso visione di una cosa… Si stava facendo sul serio! Che fare? Dovevo provare. Così il 10 dicembre stesso è nato il mio blog. Semplice, semplice ma mio. Che conquista! Ero orgogliosa di me stessa. Ma era solo l’inizio dell’avventura.

Da quel giorno,sono trascorsi poco più di due mesi, in ordine ho imparato ad usare Google Reader; i famosi feed; lo screenshot, inserire nel blog link, immagini, video; mi sono sporcata con i colori come dice il prof, passo da un tweet ad una chattata sul piratepad, sembro posseduta dall’animo di Bill Gates. Ma soprattutto, sono diventata una #linf12 dipendente.

Perché all’interno di tutto questo percorso sono stata accompagnata, guidata, sostenuta dal prof, da Claude e dalle altre mie care compagne di avventura.

Oggi le mie domande iniziali: “Che ci faccio io qui? Che cosa ho in comune con loro?” hanno trovato una risposta: dovevo far parte del #linf12, dovevo essere anch’io all’interno della creatura del prof; un gruppo unito, curioso di scoprire cose nuove. Perché tramite questo modo di insegnare ho testato che niente è impossibile se uno viene portato a fare piuttosto che a memorizzare sterili concetti fini a se stessi. La teoria è utile ma solo se complementare alla sperimentazione, quando diventa caratteristica unica dell’insegnamento perde efficacia. Se oggi tutte noi siamo un gruppo unito che si cerca, trova, aiuta, operando in una sorta di apprendimento cooperativo con scambi quotidiani di sensazioni, emozioni, lavori e questo grazie ai mezzi ed alla passione donataci dal prof. Il suo modo dinamico di insegnare ci ha incoraggiato a misurarci in cose nuove, sconosciute e quando ci siamo trovate titubanti c’è sempre stato il conforto che se avessimo fatto qualche “guaio” ne saremmo sicuramente venute fuori tramite la forza del gruppo guidato dal suo Capitano.


Note

[1] Antonio Fini, Andreas Formiconi, Alessandro Giorni, Nuccia Silvana Pirruccello, Elisa Spadavecchia, Emanuela Zibordi, Open Educational Resources e comunità virtuali: riflessioni su un’esperienza, Journal of e-Learnin and Knowledge Society — Vol. 4, n. 1, 2008 (pp. 101 – 109)
[2] Maria Grazia Fiore, Andreas Robert Formiconi, Insegnare Apprendere Mutare: la blogo-classe va in scena! (pdf), Journal of e-Learnin and Knowledge Society — Vol. 4, n. 3, 2008 (pp. 51 – 59).
[3] Jenny Mackness, Sui Fai John Mak, Roy William, The Ideals and Reality of Participating in a MOOC (pdf), Proceedings of the 7 the International Conference on Networked Learning 2010, Edited by: Dirckinck-Holmfeld L, Hodgson V, Jones C, de Laat M, McConnell D & Ryberg T, Proceedings of the 7 the International Conference on Networked Learning 2010, Edited by: Dirckinck-Holmfeld L, Hodgson V, Jones C, de Laat M, McConnell D & Ryberg

Il Manifesto degli insegnanti è in rete

Dal blog di Sui Fai John Mak

Sono molto contento perché il Manifesto degli insegnanti è in rete. Sì, lo so che è stato reso pubblico il 2 di luglio, al LSCFcamp di Venezia ma quella è la data di lancio. Una cosa è il lancio e un’altra la visibilità, o meglio, la presenza, la reale presenza in rete.

Nell’OLDaily del 19 luglio, Stephen Downes ha citato il Teacher’s Manifesto, sostenendo che:

It’s the sort of manifesto I can support – it’s about teaching by example, empowering students, and making the world a classroom.

Questo è un fatto che mi fa un grandissimo piacere perché la teoria del connettivismo, della quale Stephen Downes insieme a George Siemens è promotore, rappresenta il mio principale contesto di riferimento da due anni a questa parte, quando ho partecipato in veste di studente al Corso online Connectivism and Connective Knowledge nell’autunno 2008.

Il mio impegno nella Scuola Che Funziona e il mio piccolo contributo per aiutare gli estensori del Manifesto sono il frutto della visione che vo maturando in questi anni e che è molto affine al pensiero connettivistico di Siemens e Downes.

Nella sua nota, Stephen, cita a sua volta il post di Claude Almansi nel blog ETC journal che fa riferimento alla traduzione della “nostra” Luciana Guido.

Va bene così. Il network La Scuola Che Funziona è uno dei fenomeni più interessanti che abbia avuto modo di osservare in questi anni. Deve essere chiaro che l’interesse del network risiede negli obbiettivi condivisi, bene espressi dal manifesto, ma anche nella diversità della sua popolazione.

La diversità può, in certi momenti, causare confusione e rallentamenti ma rappresenta un valore troppo importante perché si possa pensare di indulgere a scorciatoie e semplificazioni. Mi auguro che questo venga compreso da tutti e che si proceda come è stato fino ad ora.

CCK09: How to look at a blogroom (3)

(Versione italiana)

Abstract, A kind of introduction

Beginning to look at numbers

After the kind of introduction it would be natural to give some details about methods and tools but  I prefer to further clarify what we are about first.

I’m reporting data relative to an online class of 21 students who were teachers of primary and secondary schools from all over Italy. The class was about using digital technologies in teaching activities and took part of a three-years graduation in an all-online university called Italian University Line based on the cooperation of five italian universities

and a National Agency devoted to the research and development in education: Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’autonomia Scolastica .

This is the class where the blogroom method was most successful. The students reported this experience as a very rewarding one and all had the feeling to have learned a lot of things in a meaningful way. Furthermore, they felt to be engaged in a community.

The impression of having learned a lot of things is remarkable because the course was organized in a very loose way. I did not declare a “program” as a list of contents but I suggested a number of objectives, partly to be determined in function of the experiences and the needs of students. I claimed that contents would emerge from activities and that the whole course had to be thought of as a path, not necessarily the same path for all the students.

The case of this class was advantaged by the small number of students with respect to the majority of my classes which may reach more than 200 students. However there were also strong adverse factors, such as the busy life of adult students and the 100% online nature of the course, that made the experience significant.

The thesis I’m anticipating here is that, the perception of meaningfulness claimed by the students has to be advocated to the  emergence of a living community, very much akin to a community of practice, a context where the learning process is substantially improved.

The idea is therefore to use this class as a kind of reference to be compared with other classes, in order to understand the most significant factors affecting the learning experience.

The formal part of this course consisted in eight assignments where the students were required to write a short essay or to comment about a specific activity. Therefore, in the conventional perspective, each student was supposed to produce eight posts on its blog, meaning a total of 168 posts for all the students. Instead, the students, wrote 484 posts meaning that 316 posts have been written spontaneously. In other words, we can say that the students wrote about 23 posts each instead of eight.

One could wonder how much pertinent these extra 15 posts per student are. Here comes another reason I have chosen this class among many others. These students are in the range 30-50, therefore they usually have families duties and a job. That is to say that these are highly motivated people and, actually, almost all the posts concerned the topics of the course. Having said that, I do not mean that students are blamed for broadening the subjects of their posts, and very often their blogs are quite reach and colored, indeed. However, for what I’m trying to show here, it is good to know that the extra posts had a high probability of being “meaningful”.

So far, it appears that those 21 people did a great deal of work producing a 200% more of what it was expected. Even if this statement has some value and can be used for comparison with other classes, it is worthwhile to look at the results in more detail.

First of all, the average result may be a significant estimator of the global performance of a class but it is a very poor estimator of individual performances that are by no means homogeneous. Let us look at the distribution of number of posts per student. In reality, the figure shows the number of posts for each blog. In all cases this corresponds to the number of posts per student except in one case were two students shared one blog.  The point is the first one at the left. Keeping this exception in mind, in what follows I will refer to the number of posts per student.

f1_plot_IUL_esplicitaWe see that there are very large differences among the students. As a matter of fact, we found that the 484 posts were distributed among 143 “due posts” and 341 “extra posts”. This is due to the fact that the five students at the right wrote less then eight posts for a number of reasons: some had still to finish at the time of data uptake and some others needed a reduced number of credits for this course. Fifteen students wrote more than the minimum of eight posts, and about half wrote more the double of the required posts.

The 70% figure of “extra posts” (341 over 484) can be thought of as a measure of the community effect, in some way. In fact, it is well known that when a population is just free to undertake something or to contribute actively, the so called 1-9-90 rule holds true. That is over 100 people, one starts contributing, 9 follow the first one and the remaining 90 just look at what’s going on. These last people are the so called lurkers in the Internet. According to such a rule, the plot should be quite different, showing perhaps one or two outstanding contributors and the rest with just eight posts. The plot should therefore be completely flat except for a very narrow peak at the extreme left, instead of being almost triangular.

However, even if the distribution of posts gives an idea of the contributions exceeding the required minimum, we still miss the most important side, which is represented by comments exchanges among the students.  In order to get a visual feeling of such kind of activity it is useful to look at the sociogram of the blogroom.f1_gplot_IUL_esplicita

The sociogram shows the connections among the participants as well as their role. The existence of a line between two nodes means that at least one of the participants relative to that nodes made a comment to the other but it may also mean that multiple comments in both directions were made. Red nodes represents students belonging to the class, blue nodes students from other classes, green nodes educators external to the class that got involved in the blogroom, the light blue one is me, the teacher. The layout of the sociogram was determined by means of an algorithm called “Multidimensional Scaling (MDS)”, which is capable to discriminate somewhat the role of different actors in the network solely on the base the connections.

Actually, the MDS algorithm did a pretty nice job by placing the most active actors to the right and the less active ones towards the left side. However, the most relevant point is the amount of connections among the nodes and, in this respect, it is worthwhile to compare this sociogram with the extreme simulations I  showed in the introduction, were a conventional class and an almost all-connected classes were represented.

The star-like sociogram describing a conventional class is compatible with the plot of the number of posts. At most, we cold add arrows towards the teacher to say that the students produced a significant amount of contents and that this fact made a difference for the teacher.

This represents a conventional were the students produce such a lot of information that the teacher begins to notice it …

This diagram represents a conventional class were the students produced a lot of content, beyond what was required by the teacher.

We could call this a kind of high-performance class with highly performant students but there isn’t any “network effect”, everybody is just working harder, both the students and the teacher. Instead, in our blogroom a great deal of communication took place among the members.

The sociogram of our blogroom gives a spatial perception of the web of connections but it is interesting to go further by quantifying those connections. We can do this by plotting the number of comments that have been made or have been received and, eventually, some measures of the role played by different members in the network.

f2_plot_IUL_esplicitaThe first twenty points at the left represents students belonging to the class and are the same of the precedent plot about the number of posts. The nine points at the right side are relative to students belonging to other classes or educators that engaged spontaneously in the blogroom. The last point at the right is the teacher. The number of posts written by these last members (black line) is not plotted.

The black line corresponds exactly to that of the precedent plot. The difference is that here are reported data for all the members of the blogroom and not only the students, such as students not belonging to this class or educators that became interested in the activities of this blogroom. For these new members the number of posts in their blogs is not reported here so that the black line drops to zero towards right.

The red line shows the number of comments received from other members by each student. In the jargon of social network analysis this is the “indegree” value of a node. The green line shows the comments made to other members blogs by each student, that is the “outdegree” value. Indegree and outdegree are measures of  “centrality” of a node, that is the relative importance of that node in the network. In our case, a high indegree describes a prestigious actor and a high outdegree an outgoing one.

There is a rather loose correlation among the number of posts, the number of received comments and that of written comments. There are people that wrote quite a large number of posts but experienced few contacts with respect to others who wrote a comparable quantity of posts. Conversely, there are someone who preferred to comment others blog instead of writing on its own. Such particular behaviours are worthwhile of careful consideration because they may reveal interesting approaches as well as potential problems. It is difficult to follow all the interactions that are going on within the blogroom, thus this kind of representation may be useful detect relevant situations.

Even more interesting is the quantity plotted as a blue line: the so called betwenness, another measure of centrality which takes into account how much a node “is between” other nodes. The following picture taken from the article Centrality of Wikipedia (in this article you can find also the rigorous definition of betwenness centrality) gives an intuitive idea:

Color (from red=0 to blue=max) shows the node betweenness. Image downloaded from article <a href=

Color (from red=0 to blue=max) shows the node betweenness.

Together with the degree measures of centrality, betwenness is among the “classic” parameters of social network analysis since it was introduced in the seventies, however it is still considered a very effective measure of centrality. The difference with respect to the degree measures of centrality is that these are local, counting how many nodes are connected to a node, whereas betwenness measures how many paths among couple of nodes a node is intercepting, were the nodes may be also many steps apart.

That is, betwenness measures how much a node is connecting different parts of the network and not only neighbour nodes. Actually, I found that this centrality measure was very good at detecting the most active students.

A node with high betwenness acts as a sort of catalyst enabling the spread of  a 1-9-90 kind of participation towards a broader distribution. Thus, the high-betwenness nodes may play a crucial role for the blogroom life. We can think to that nodes as “key nodes” to which it is worthwhile to pay attention in order to facilitate the rise of the community.

It is not to say that those students associated to “key nodes” necessarily will get high grades. This may happen but it is not the point. It is to say that the teacher should spend some time in facilitating the action of “key nodes” because this may foster the health of the whole network improving, in turn, the participation of all its members.

I foresee to use betwenness in much larger classes, where it is difficult to become aware of all potential “key nodes” in time. I would like to detect those nodes at an early stage so as to exploit their potential before the class is going to finish.

The instrumentarium of social network analysis is extremely reach and with the simple examples I have made we have only scratched the set of possibilities. Of course, abundance of possibilities does not mean certainty of success but it is worthwhile to explore them provided we stick to this objective: devising methods to nourish the community in the blogroom giving rise to an experience of meaningfulness in its members.

In successive posts I will tell about other ways to look at blogrooms and as well as about the methods I’m applying.

CCK09: How to look at a blogroom (1)

Versione in italiano

Abstract

A kind of introduction

Why I’m doing this work?

I have been applying the blogroom method during the past four semesters with about 800 students out of a total of about 1400 distributed in 20 different curricula, some of the Faculty of Medicine and some of the Faculty of Education Science.

I have being applying this method when teaching digital literacy or related subjects, so far.

Short description

To describe the method in a nutshell, there are only a couple of conventional lessons at the beginning of the course, where the students are told the basics of the method. Then, the teacher is available for some weeks in a computer room to help students when needed, to engage in discussions or to make seminars.

In the computer room the students are encouraged to help each other. The rest of the course life take place within the blog community. The teacher gives assignments in his or her blog and the students are supposed to write their essays as posts in their own blogs.

The  assignments are not intended to “cover” a range of topics or to assess skills directly but are conceived as stimula to explore autonomously. We may say that assignments are chosen just to address some broad relevant topics.

In online courses where it is impossible to organize conventional lessons and other kind of meetings, the blogroom is supported with weekly virtual meetings.

Peculiarities of a blogroom

Besides the rough participation numbers and the distribution of grades, the teacher is left with a tangle of impressions and feelings, a very strong trace even if a subjective one.

Nonetheless, from such tangle of impressions some clear points emerge regularly:

  • Something very different happens when the blogroom method “works”.
  • The success of the method is very much peculiar to the curriculum. Even the degree of a priori acceptation – that is the number of students that decide to try the new method, since they have the freedom to choose between the new and the conventional approach – is variable, ranging from 10-20% to almost 100% depending on the curriculum.
  • The most striking feature of a working blogroom is the emergence of an emotional component: a significant number of students get involved in a manner that is quite unusual in a conventional class.
  • In a working blogroom a significant proportion of the students would like to continue and, as a matter of fact, the blogroom survives the term of the course.

In short, the blogroom appears to be a living being.

The problem

In the classroom the teacher follows each student separately and usually, the relationships among classmates are kept to a minimum.

In a conventional classroom information flows almost only from the teacher to the students.
In a conventional classroom information flows almost only from the teacher to the students.

On the contrary, in the blogroom, students are encouraged to engage in discussions with classmates and other people and not necessarily about the taught topics.

In a blogroom there may be a rich exchange of information giving rise to a true network. The picture shows a simulation of an extreme situation where everyone is communicating with almost everybody.
In a blogroom there may be a rich exchange of information giving rise to a true network. The picture shows a simulation of an extreme situation where everyone is communicating with almost everybody.

When students get the message, the blogroom comes to life in the shape of a network that is quite difficult to follow since a living network is a chaotic entity.

Of course, I remember well a lot of posts, comments and whole threads of discussions. I know very well many students and often I get a rather clear idea of their personalities. However, for sure a great deal of threads get lost and in my perceptions, the relative proportions may be distorted by my own feelings or preferences.

The idea

However, by its nature, the Internet has memory or, perhaps, is a kind of memory. It hosts life forms and often their traces impressed in the time course can be recovered. This happens to the blogroom, too. All the posts and the comment are retrievable from the feed aggregator and they can be analyzed by means of mathematical and graphical tools.

The idea is to try to construct ways to look at the blogroom in its entirety from different perspectives and having the possibility to focus on specific aspects.

We could put it in the following way. The blogroom is a living entity but its multidimensional nature may be quite complex and therefore we need instruments that allow us to look at it in a reliable way.

I believe that the idea could be interesting being aware that 1) the subjective perception of the teacher remain fundamental, 2) mathematical devices are not magic.

PS: I will be very grateful to anyone willing to tell me about similar works or papers on this subject.

Sociograms have been made with Stanet.

CCK09: Connectivism and Connective Knowledge

(Versione italiana)

Last year I participated to the online course Connectivism and Connective Knowledge given by George Siemens and Stephen Downes. It was a great experience that influenced deeply my practices. It is a good new that they will deliver another version in the fall of this year.

One of the interesting features of these courses is that everyone is free to participate in its own way. This year it will not possible for me to attend the course as I did last year. Nevertheless, I subscribed with the intention of  posting during the course about a work I’m doing that I believe is related to some of the topics  that will be faced in this new version. I will try to listen to those that share similar interests in CCK09.

In this first post I’m going to outline this work.

The objective is to investigate the potential of web 2 technologies to improve the learning experience in a variety of graduate and post graduate courses. Basically, with the method I’m investigating, the teacher tries to facilitate the personal involvement and the practice of the students by keeping to a minimum its own interventions. From the technical point of view, the teaching method is based on the use of blogs and feed syndacation. Both the students and teachers use the blogs to write assignments, to pose questions, to comment and to collaborate. More details are available in this paper (pdf).

My thesis is that by means of the blog community and a sensible conduit of the teacher it is possible to give life to a phenomenon akin to what Etienne Wenger described as a community of practice (CoP), where the feeling of common objectives, the active collaboration among participants and the development of a set of common practices, substantially improve the process of meaning creation and, consequently, the learning experience. However, in my perspective the role of the teacher should not be that of controlling and managing that community as it is often intended when talking about CoPs. Instead, I see this community as something that should grow by itself, free to establish connections with resources, people, organizations and networks that are external to the class environment, much in the sense of connectivism as it has been formulated by George Siemens and Stephen Downes.

Thus, the class is the place where I welcome my students but then I try to bring them “outside” through what I’m calling the “blogroom”. The blogroom is a living community and the teacher has to take care of it as it is common with every newborn form of life. When you are taking care of a living being – it could be a newborn infant  as well as a grove or anything else – the most important thing is to learn to observe it before doing anything.

The blogroom community is a living being because it is composed of humans but it is also a living being in its whole. The teacher should be able to see this creature being aware that its well being is of great importance to improve substantially the learning experience of its components.

The main objective of this work is to explore methods to observe this community, supporting, but not replacing, the complex subjective impressions and feelings of the teacher. Since the life of the blogroom is trackable in all its details, the idea is to use methods of the social network analysis to extract relevant information from its traces.

The method is based on a set of web services and open source tools that allow one to extract the history of the blog community and to perform statistical and graphical network analysis on such data. The tools are 1) Google Reader for feed aggregation, 2) Google Docs for management of students data, 3) a set of Ruby packages to automatically browse the internet and exctract data from web services, 4) the Statnet package of the R environment for social network analysis and, finally, 5) some software I’m writing in Ruby myself to glue all together.

In this method, a variety of social network analysis tools are used to evaluate the part of students activities beyond the minimum trivial level constituted of a standard sequence of assignments. These evaluations may be done both on longitudinal studies as well as to compare different students populations. Conventional measures of networks as well as recent network modelling methods based on exponential-family random graph models (ERGM) are used.

This is a no cost project since all these web sevices, software tools and software languages are free and I will use them as long as they will remain free.

During the next months I will posts on specific aspects of this work.

Compito 7

English (Translated by Ilaria Montagni)

Questo è l’ultimo compito (assignment) che propongo agli studenti dei vari corsi di laurea della Facoltà di Medicina, non è l’ultimo per gli studenti di Teorie della Comunicazione. Naturalmente, se qualche studente della Facoltà di Medicina vorrà entrare nel merito anche di qualche considerazione successiva a questo compito, sarà libero di farlo e ne terrò conto.

Propongo di provare ad usare delicious che è il più noto sistema di social bookmarking. Si tratta di un servizio che consente a ciascuno di memorizzare i propri bookmark (i cosiddetti preferiti) in Internet.

In estrema sintesi questi sono i vantaggi principali.

  • I vostri bookmark sono accessibili da qualsiasi accesso internet e non da un solo computer; li potete quindi reperire dal computer di un amico, da un internet point, da uno smartphone o altro.
  • Quando memorizzate un bookmark potete, anzi dovreste, associarvi delle tag, vale a dire delle etichette, che sono in sostanza delle parole singole destinate a connotare il bookmark. Per avere un esempio potete vedere i miei bookmark.
  • I propri bookmark sono visibili agli altri, avete appena visto i miei per esempio. Se si vuole si possono anche rendere privati ma allora la cosa perde molto del suo interesse.
  • Quando si vuole cercare un certo tipo di bookmark si usano le tag, quindi la scelta appropriata delle tag è importante per ritrovare le cose. In seguito ad una ricerca, delicious non vi rende solo i vostri bookmark, che sono contrassegnati dalle tag che avete usato per la ricerca, ma vi rende anche i bookmark degli altri utenti di delicious che hanno usato le stesse tag. È qui che compare l’aspetto sociale perché così potete scoprire persone o comunità che nel resto del mondo condividono i vostri interessi. Inoltre, dal numero di persone che hanno memorizzato un bookmark potete avere un’idea del suo potere attrattivo, un buon sistema per scoprire siti importanti su argomenti che vi interessano.

Per saperne di più potete andare a vedere due pagine wiki scritte dagli studenti l’anno scorso, una è una guida per fare l’account e l’altra contiene un collage di pezzi tradotti in italiano tratti dalla pagina help di delicious. Per inciso, chi vuole può intervenire su queste pagine per introdurre aggiornamenti, correzioni o integrazioni.

Delicious è un ottimo esempio di uso delle tag. Capire come funzionano le tag è molto importante perché queste sono un elemento importante di molti ambienti di social networking. La classificazione mediante tag anzichè mediante strutture gerarchiche è un po’ l’essenza del social networking, se si vuole: aggregazione per via di connessioni.

Per fare questo compito dovete creare un account in delicious, introdurre i vostri boookmark, usarlo per fare ricerche, esplorare le possibilità leggendo l’help e infine scrivere un post con le vostre impressioni e il link al vostro nuovo account delicious in modo che gli altri possano curiosarvi.

What does it mean to be connected …

(Translation in Italian)

While the poll on social networks is accumulating data, I invite you to read very, very, carefully this article. It is entitled Seven Habits of Highly Connected People and it explains in a very clear way that to be connected is not merely about staying in front of a computer or poking around in some social networks. To be connected in the sense of Stephen Downes, the author of the article, is about something so deep and human that has a lot to do with the attitude we have in physical life, too.

Please, read it really carefully, slowly, pondering each sentence, and post about it in your blogs.

… assignment 5-bis

(Translation in Italian)

In case someone did not follow the comments of the previous post:

First we are going to write in this wiki page provided by Ilaria the social networking tools we are using, therefore go to that page and add the tools you are using …

Successively, Matteo will send a form to everybody to make a survey on how the students of these are on the net …

Assignment 5

(Translation in Italian)

Facebook is invading Italy too. I do not like very much facebook because it is a closed environment. More precisely, I do not like the fact that it is an environment that offers a whole set of web 2.0 functionalities and at the same time it is run by a company. I have nothing against companies, in principle; most of the popular web 2.0 are run by companies. I don’t like the fact that a lot of activities take place in a space that is controlled by just one company. I prefer the most open situation where people use different tools to do web 2.0 activities.

However, it is a fact that many of you are on facebook and I’m there too, in some ways. Therefore, let us try to investigate this fact. I propose the following.

  • If you have a facebook address include it in the google spreadsheet where you are tracking your activities
  • Write a post telling how have you been involved in facebook, what do you think of it and if you use it for some peculiar tasks
  • If you are not on facebook, write a post telling if you know something about it and if you are using some other social networking tools
  • If you have ideas to use facebook in some school-related activities write them; it seems in Internet there is a great deal of stuff like that

Finally, are there some of you willing to organize a survey in this whole classroom to know who is using facebook, myspace, deviantart, windows live, twitter and other social networking tools? If yes, put a comment on this post outlining your intentions: what to include in the survey, how to do it, how to organize data. If more than one would like to do this we will try to cooperate.

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