Seminario

DOORS

Seminario per gli studenti di medicina ma non solo

Mercoledì 31 10:30-11:30

Aula grande Cubo


In un commento ad un mio recente post sul tema delle tecnologie nell’università, Sergio Los ha scritto

Convincere gli individui a essere tanto orgogliosi della propria prigione da potere dar loro la chiave, sicuri che – convinti che essa rappresenti il massimo di libertà possibile – ci torneranno, rappresenta il massimo della funzionalità: una macchina urbanistica perfetta.

e conclude

Eppure non saranno le macchine, belliche o commerciali, a migliorare la salute del mondo che viviamo, ma una maggiore, più profonda, capacità di comunicare.

L’assenza di comunicazione è il tratto che distingue maggiormente la società odierna, anche nei luoghi che parrebbero deputati allo sviluppo della dimensione comunicativa, insieme allo sviluppo delle competenze specifiche, anche per esempio nelle aule universitarie. Non dovrebbe forse essere il medico un maestro della comunicazione per comprendere i propri pazienti, per spiegar loro terapie e stili di vita, per risolvere insieme a numerosi colleghi e collaboratori problemi che solo in maniera collegiale si può aver qualche speranza di affrontare?

Invece tutti a testa bassa in un’insulsa corsa alla conquista di un sapere fatto di sole cose dette ma copia sbiadita di quella complessa composizione di abilità manuali, sensibilità, capacità relazionali, pratiche di lifelong learning, empatia e conoscenze, indispensabile per lo svolgimento della professione medica.

Nel seminario verrà aperta qualche porta, giusto per dare a tutti la possibilità di affacciarsi, magari a qualcuno verrà voglia di uscire a fare un giro …

I Care

Rinfresco il post sul seminario di martedì 31 marzo perché avremo anche gli studenti di Infermieristica, di Terapia della Neuro e della Psicomotricità Evolutiva

Cambia quindi anche il volantino qui sotto

Preparatevi a stringervi!


Seminario


I Care

Per studenti della Facoltà di Medicina e non solo …

Martedì 31 Marzo 2009 10:30

Aula Grande CEP

Viale Pieraccini, 6; Careggi, Firenze

Per gli studenti dei CdL in Medicina, Infermieristica e TNPEE è l’unico evento obbligatorio, per gli altri studenti è facoltativo


Non sono in grado ancora di dare una traccia ma è certamente utile riflettere sul seguente schema.

Slittamento paradigma

Pensiero

Intuitivo

Razionale

Sintetico

Analitico

Olistico

Riduzionista

Nonlineare

Lineare

Valori

Sostenibilità

Espansione

Cooperazione

Competizione

Qualità

Quantità

Partnership

Dominazione

Enfasi

Sistemi aperti

Sistemi chiusi

Tutto

Parti

Connessioni

Oggetti

Forme

Contenuti

Reti

Gerarchie

Coltivazione

Controllo

Donna

Uomo

Propensione

Empatica

Assertiva

I Care

“Non me ne può fregar di meno” 😦

Clown in corsia

Di tanto in tanto mi capita di parlare un po’ con giovani i quali si occupano, a vario titolo, di attività di clown in corsia. Sono cose che entusiasmano. Tuttavia, molto spesso emerge un fatto deprimente: pare che fra le varie organizzazioni che promuovono queste attività vi sia scarsa collaborazione e forte tendenza all’accentramento. Non posso essere certo di questo ma è un fatto che emerge regolarmente quando mi capita di approfondire con qualcuno di questi ragazzi.

Io ho paura delle organizzazioni. Ho paura dei corsi, dei titoli, dei crediti che si comprano frequentando corsi a pagamento. Ho paura degli esami; ne ho avuta come esaminato e ne ho di più ora come esaminatore. Mi terrorizzano. Ho paura dei numeri chiusi, dei test per esservi ammessi, assurdi, privi di senso. Ho paura dei voti, delle micrometriche discettazioni docimologiche sulla costruzione del voto di laurea. Ho paura degli ordini professionali, delle abilitazioni formali. Ho paura dei progetti. Ho paura delle formalizzazioni. Ho paura della didattica formale. Ho paura dei professori; sì, ho paura di me stesso.

Ho paura che qualcuno possa brevemente decidere se quel ragazzo sia adatto o meno ad alleviare la sofferenza col sorriso. Ho paura che si impieghi un metro di misura disastrosamente rozzo, come succede nella stragrande maggioranza dei casi. Magari quel ragazzo che non ha passato il test possiede doti umane imperscrutabili che lo renderebbero straordinario per fare il clown in corsia. O qualcuno ha scoperto nel frattempo il modo di misurare l’attitudine all’empatia? L’amore si misura?

Lo so che al mondo ci vuole struttura, ci vuole organizzazione ma perché succede così spesso che l’uomo finisce per scomparire in questi meccanismi? Così spesso che a me è venuta paura.

So che non è semplice inserire giovani aspiranti clown in un ospedale. Provo a ragionarci un po’.

L’aspirante manovale

Consideriamo un aspirante manovale, cioè colui che dovrà aiutare il muratore nelle attività più faticose caricare e scaricare materiali, impastare la calcina ecc. Nella pratica, l’avviamento al lavoro del manovale è sempre stato ed è ancora molto semplice, avendo luogo sul campo: “La pala è quella la, il camioncino da scaricare è questo, butta la sabbia la dietro …” e via e via.

Oggi sentiamo parlare quotidianamente di un numero impressionante di morti bianche. Una cosa incredibile: siamo in grado di porre domande complesse ad un database dall’altra parte del mondo ottenendo le risposte entro un battito di ciglia e non ci riesce di evitare che gente che lavora si ammazzi cadendo da un ponteggio o facendosi stritolare da una pressa! Evidente che se ad un manovale, che magari sa anche poche parole di italiano, si mette una pala in mano e si manda tout court in cantiere nei pressi di macchine che non conosce bene, il rischio che si faccia male o che faccia male a qualcun altro c’è e forse non è trascurabile. In questa situazione è ovvio che si debba prevedere una fase di formazione al fine di far conoscere le norme elementari di sicurezza. Questo è un tipo di formazione che può essere formale: qualche scheda da leggere, qualche spiegazione, qualche domanda per sincerarsi che si sia capito.

Va da se che ci sarà anche una parte di apprendimento importante che avverrà in modo informale: se il nostro manovale non ha mai usato la pala imparerà guardando gli altri. Figuriamoci poi se il ragazzo è vispo: seguirà il maestro muratore e finirà col diventarlo lui stesso.

Non vi è però dubbio che, in una società civile, attività del genere dovrebbero essere precedute da una fase formativa formalizzata, seppur limitata.

L’aspirante poeta

Vediamo ora il caso di un aspirante poeta. Può sembrare un esempio balordo ma in fin dei conti esistono i corsi di scrittura creativa. Ebbene, quanto possiamo pensare che possa incidere un insegnamento formale sulle future capacità espressive del nostro aspirante poeta? Sì, la conoscenza degli strumenti, metrica, ritmo, stile, potrà avere qualche utilità ma sarà sicuramente secondaria rispetto allo stupore, alla profondità, all’ispirazione e altre cose umane che possono portare una persona ad esprimersi toccando l’anima dell’altro. L’erudizione può costruirsela chiunque ma il resto no. Ognuno di noi ha in se una fiamma che è unica, irripetibile; compito della formazione e far sì che ognuno possa evolvere fino a far ardere appieno la propria unica fiamma. Si può far poco con l’ insegnamento formale su questo. Lo so che è economicamente e organizzativamente scomodo ma non ci sono scorciatoie. Non è possibile incasellare lo sviluppo di una mente creativa in qualche comodo diagramma, stiamo parlando della cosa più complessa e misteriosa che noi conosciamo in questo universo, non dimentichiamolo.

L’aspirante clown in corsia

E che possiamo dire per gli aspiranti clown in corsia? La cosa è complessa perché comprende ambedue gli aspetti esemplificati nei due casi limite che abbiamo appena visto. Per un operatore all’interno di un ospedale il rischio di fare danni è elevato. Chi va ad operare in un ospedale deve essere informato su ciò che si può fare e su ciò che non si può fare. Questo vale a maggior ragione per un clown che per sua natura si avvale di rumori, parole, oggetti e comportamenti inusuali mentre in ospedale vi possono essere attrezzature complesse e delicate, stati fisici e psichici anomali, contesti etnici particolari. Sembra del tutto naturale inquadrare questo tipo di formazione in modo formale.

Tuttavia per fare il clown nelle corsie ci vuole anche ben altro. Qualche capacità circense e artistica ovviamente non guasta ma è fondamentale una buona dose di empatia, cioè di capacità di mettersi nei panni dell’altro. Inutile conoscere tutti i possibili pericoli, tutti i possibili disagi, tutte le possibili patologie del mondo, saper fare tutti i possibili esercizi di giocoleria e suonare tutti gli strumenti del mondo, se manca l’empatia.

L’empatia è un’attitudine e come tale non si può insegnare, certamente non nel senso scolastico. La predisposizione personale dovrebbe essere al centro dell’attenzione di qualsiasi formatore. La predisposizione è un dono inestimabile per la comunità, un dono che è stolto dissipare. In qualsiasi tipo di formazione, la sensibilità del formatore deve essere orientata a comprendere quale sia la fiamma che c’è in ciascun allievo. Lo so, è un modo di pensare utopico; tutti dobbiamo fare i conti con i vincoli imposti dalla realtà ma l’utopia dà un timone all’azione.

Nella didattica non formale il ruolo del formatore non è marginale rispetto alla didattica convenzionale di tipo formale, anzi è cruciale, è meno appariscente ma può incidere moltissimo sul percorso degli allievi. È proprio qui che il formatore ha la possibilità di percepire la predisposizione di ciascuno.

Ho seguito le vicende dei protagonisti del progetto M’illumino d’immenso, un gruppo di studenti guidati da due clown in visite periodiche ad alcuni reparti di un ospedale fiorentino. Trovo che sia un’esperienza di grande interesse anche per il modo nel quale è impostata:

1)ogni uscita in ospedale avviene in coppia, un giovane ed un maestro

2) una volta al mese ha luogo una riunione di un giorno intero dove tutti i giovani ed i maestri lavorano sulle abilità e sulle capacità di espressione.

Non c’è da spendere molte parole, davvero un bell’esempio di didattica informale con un grande impegno da parte di coloro che svolgono il ruolo di docente. E i risultati si vedono: il gruppo è animato da grandissimo entusiasmo, basta leggere qualche post del blog M’illumino d’immenso per rendersene conto. C’è anche un altro risultato che non si può non notare: questa è un’attività che coinvolge più facilmente le ragazze dei ragazzi. Attenzione, ci sono anche alcuni ragazzi e sono bravissimi. Tuttavia sta di fatto che nel corso dei mesi si è consolidata una netta maggioranza di contributi femminili.

L’esperienza di questi ragazzi è un bellissimo esempio che insegna molte cose. Non c’è dubbio che per trarne un modello valido per altre realtà, questo dovrebbe essere arricchito da una fase di istruzione sulle modalità di funzionamento di un reparto ospedaliero, sulle cautele da adottare e sui possibili rischi ma senza deturpare la magia che si realizza quando ad un giovane entusiasta si dà la possibilità di cimentarsi.

A proposito di empatia …

Ancora risuonano gli echi dell’incontro con Patch Adams che mi capita di leggere un articolo sulla rivista Rocca: “Quando il malato non esiste” di Francesco Delicati.

… nell’anticamera della sala operatoria devo aspettare. L’attesa mi sembra interminabile… forse pochi minuti, ma per me un’eternità. Un dottore che passa prova a rassicurarmi, ma non lo sento credibile, è come impacciato. Comincio a sentire freddo, e un tremito continua a scuotermi. Quando entro nella sala operatoria la luce di una grande lampada piatta e rotonda è abbacinante. Getto uno sguardo qua e là, ma i dottori sembrano indaffarati a preparare il tutto: c’è una sorta di frenesia da formica, efficiente, determinata, quasi ansante. Non c’è uno sguardo che mi incroci, né una parola che mi incoraggi. E io mi sento scosso da tremiti sempre più incontrollabili.
Un dottore prova a chiedermi: “Hai paura?”. Certo che ce l’ho. Non lo vedi, il mio corpo lo sta dicendo con tutto se stesso. E mi manca tanto una mano da stringere e uno sguardo di un altro essere umano che mi dica attraverso gli occhi: “Dai, ce la farai! Facciamo il tifo per te. siamo con te!” …

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