Ieri (sabato 30) ho partecipato a un incontro di formazione a Castel del Piano. Sotto riporto in forma schematica quello che ho inteso dire. Mi rendo conto che è un racconto che lascia un po’ assetati ma per il momento è un argomento che preferisco approfondire vis-vis, quando capitano le occasioni, come questa di cui stiamo dicendo.
Prima voglio dire che sono stati molto interessanti i contributi dei compagni di parola: eBook di Angela Iaciofano, mondi virtuali di Gianni Panconesi, LIM di Sauro Baci, il tutto riferito a contesti didattici. Ho imparato diverse cose. Ringrazio loro, Patrizia Matini, Dirigente dell’Istituto Comprensivo Vannini Lazzaretti che mi ha offerto quest’occasione, Nicoletta Farmeschi e Antonella Coppi che vegliano su tutto.

E bisogna anche dire che lavorare in un ambiente così suggestivo come il Palazzo Nerucci è davvero bello. Si deve ringraziare Fiora Imberciadori per questo.
Ora la sintesi del discorso fatto a Castel del Piano

La cultura umana si sviluppa sul substrato di un insieme di linguaggi e strumenti universali, ad esempio lingue naturali e linguaggio matematico fra i primi, carta e penna fra i secondi. Compito primario della scuola è aiutare a comprendere e utilizzare questi linguaggi universali.
Universali perché possono essere appresi da chiunque lo voglia. Il limite è determinato dagli obiettivi che mi pongo, dalla mia volontà, non da fattori esterni. Se voglio imparare il finlandese lo posso fare, non devo chiedere il permesso a qualcuno.
Di fronte a un foglio di carta con una penna in mano, la mia libertà di espressione è totale: un pensiero, un disegno, una poesia. Piego il foglio, lo metto in una busta e lo spedisco a un amico. Lui potrà capire perché il messaggio è espresso in un linguaggio universale. Il tipo di carta, la marca, il mezzo usato per tracciarvi i simboli possono connotare il messaggio, in qualche maniera, ma non possono impedirne l’intelligibilità: l’amico non deve pagare i diritti di uso di quel tipo di carta per poter accedere al messaggio.
Oggi, con le nuove tecnologie non è più così, non per motivi tecnici ma per motivi economici. In realtà la tecnologia dispone di linguaggi e strumenti universali che possono essere usati per esprimersi, creare e comunicare ma i più non ne percepiscono l’esistenza, intrappolati in una sorta di gigantesco supermercato, dove si può avere quasi tutto, non da conquistare con impegno e fatica ma da comprare. Tutto si riduce alla disponibilità delle “risorse” per “avere” il prodotto finito – la soluzione. Un mondo tecnologico ma del quale i più abitano lo strato esterno, la buccia, tanto estesa ma tanto sottile.
Non demonizzo l’economia in sé. Anche il libro di grammatica per studiare il finlandese ha un costo ed è giusto che lo paghi per remunerare coloro che hanno creato e prodotto il libro. Ma una volta pagato il giusto prezzo la questione sta tutta fra me e il finlandese: arriverò dove potrò, quando lo vorrò, per tutta la vita, in piena libertà. E quando non avrò più bisogno della grammatica sarò libero di regalarla a un amico.
Denuncio invece il limite che un numero crescente di tecnologie pongono alla mia libertà di espressione e di comunicazione.
Cerco quindi di sbucciare questo corpo tecnologico, quel tanto che basta per scorgere, subito sotto, i linguaggi e gli strumenti che ne costituiscono l’essenza – linguaggi e strumenti universali. Non lo faccio parlando direttamente di questa o quella tecnologia ma narrando alcune storie di donne e uomini. Storie di minoranze, di persone che ad un certo punto della loro vita hanno rifiutato un’offerta che a tutti sarebbe parso impossibile rifiutare, di persone che non si sono limitate al loro ambito disciplinare e che non si sono limitate a ciò che erano tenute a fare.
Emerge così la dimensione etica – seconda parola chiave di questa esposizione, dopo i linguaggi universali. Una dimensione che si intreccia con quella del profitto in ambiti inaspettati. Non si narra la storia di un mondo che sta diventando buono – sarebbe una bugia – ma la storia di un mondo che sta diventano sempre più complesso – complessità, la terza parola chiave?
Focalizzo l’attenzione su etica e complessità. Faccio esempi significativi nell’ambito scolastico. Enuncio una tesi sgradevole che riporto qui in forma sintetica: riempiendo di congegni alla moda le classi si educano consumatori – carne da macello – anche se si tratta di congegni conditi in saporite salse didattiche.
Suggerisco di volata qualche alternativa. Ce ne sono diverse, buone per tutti i contesti, costano poco e tutte riconducono ai linguaggi universali, o comunque graffiano la buccia delle “interfacce accattivanti”. Sono più faticose: per essere approfondite richiedono più studio e un approccio più artigianale: per la formazione meno convegni e più laboratori, per l’applicazione meno aule scolastiche e più laboratori.
Lo spirito del discorso non è poi tanto diverso da quello che ispirava Don Milani quando insegnava a leggere i giornali: non tanto acquisire le competenze per seguire il giornale di non importa quale parte quanto mettersi in grado di capire quello che ogni giornale non dice.