Dove, con una certa fatica, cerco di dire delle cose utili per chi vuol dire qualcosa con le immagini e i suoni

Prologo
Ero partito con l’idea di sbrigarmela in un pomeriggio, scrivendo due o tre consigli che, nella mia non proprio vasta esperienza di video si sono rivelati utili. E l’idea era quella di arrivare al massimo a una sorta di micromanuale del video, davvero piccolo. Ma pensandoci, tutto questo si è rivelato talmente riduttivo da indurmi a generalizzare anche il titolo: narrare con immagini e suoni. Il fatto è che i mezzi di registrazione e elaborazione audiovisiva oggi elargiscono una gamma di possibilità così smisurata che il limite è veramente costituito solo dalla fantasia, e dalla fantasia di chiunque possa acquistare con relativamente piccole quote del proprio stipendio uno di questi oggetti. Per fare un discorso che sia appena sensato, invece di affogare subito in poche delle innumerevoli possibili disquisizioni tecniche, occorre prendere coscienza di questa potenzialità e occorre appellarsi a quelle risorse creative, ai quei lampi di poesia, che in ciascuno di noi covano sotto le ceneri dell’istruzione.
[Modifica 10 aprile: il paragrafo seguente aveva senso durante lo svolgimento del corso, vale a dire durante il semestre autunnale del 2011]
È molto probabile che abbiate delle cose utili da aggiungere. Considero quindi questo post in divenire. Ho trascritto il testo in un pad che chiunque di voi può aggiornare. Se ci troverò degli aggiornamenti, provvederò ad integrarli in questo post. Ignorate i codici HTML che ci troverete. Voi limitatevi a porre i vostri eventuali testi nei punti pertinenti, alla formattazione provvederò io. Ho visto che sono già arrivati dei suggerimenti fra i commenti in Aspettando il post che non viene. Se alcuni degli autori di tali commenti lo desiderano, possono integrare e sviluppare le loro proposte nel testo del suddetto pad.
E colgo anche l’occasione per dire che il (per)corso potrebbe essere finito qui, per quasi tutti voi, stando alla mera contabilità dei prodotti disseminati lungo le vostre tracce, che è la cosa che mi interessa di meno, ma che invece io continuerò per un po’ a depositare in questo blog spunti e approfondimenti che possano essere in qualche modo attinenti ai temi dell’editing multimediale, e dell’impiego delle tecnologie in generale. Ognuno può cogliere ciò che gli serve e che gli interessa. Da ora in poi il ritmo sarà quindi più rilassato e casuale.
Dipingere con la luce
Il mio amico Andrea era un valentissimo cameramen e montatore. Tante volte mi ha spiegato come in realtà il suo vero mestiere, e la sua grande passione, fosse la fotografia. Pensavo di metterci al massimo un pomeriggio a scrivere qualcosa sulla creazione dei video. Sono passati diversi giorni e non ho scritto una riga, incalzato da ricordi, idee e collegamenti, che ora faccio fatica riordinare. Se Andrea fosse ancora tra noi sarei certamente andato a trovarlo, ma purtroppo non è più possibile.
Fare un video è narrare mediante suono e immagini. Fare immagini è fotografia. Il fotografo di National Geographic, Richard Olsenius, ha intitolato Dipingere con la luce, un capitolo del suo Corso di fotografia in bianco e nero. Leggerlo mi ha aiutato a recuperare tante azioni viste compiere a Andrea e anche tante sue spiegazioni, ma anche un certo numero di esperienze dirette. Tuttavia, la cosa interessante è che, dopo avere raccontato come la luce diretta appiattisca troppo, e quindi come la luce del mezzogiorno sia la meno indicata per dipingere le immagini, come invece il primo mattino e il tardo pomeriggio possano essere magici per dipingere il mondo, come addirittura le brutte giornate possano arricchire mirabilmente di toni preziosi l’immagine, mediante l’uso sapiente di obiettivi luminosi e post-elaborazione, o come negli interni convenga illuminare i soggetti con luce diffusa, magari la luce che viene da una finestra, alla fine concluda (P. 74):
Ora divertitevi, violate le regole, sperimentate. Lasciate che la vostra visione personale sia il vostro punto di vista, ma ricordate che, come tutto, il successo non si ottiene da un giorno all’altro.
La foto della locomotiva all’inizio del post è dipinta? Sì, perché non è tal quale. Ad essere franchi l’idea che esista una realtà tal quale è di per sé peregrina. Lorenzo Viani scrisse che
il pittore che si propone la rappresentazione del vero è sempre nel falso
Vale anche per la fotografia, quello che viene fuori è figlio di innumerevoli fattori, tutti potenzialmente sotto il controllo del fotografo: inquadratura, formato, obiettivo, esposizione, pellicola o chip fotosensibile, operazioni condotte in camera oscura o post-processing digitale. Uno scatto, illimitati risultati. La foto della locomotiva sputata dalla mia macchinetta fotografica non descriveva ciò che aveva invaso la mia mente e che mi aveva spinto a fare quello scatto: quel fumino evanescente sulla destra, appena visibile ma sorprendentemente sprigionato dalla grande macchina quiescente. E il campo della foto molto più ampio, i parametri di rappresentazione e i colori medesimi, rendevano quel fumo ancor meno visibile. Invece il fumo, che effettivamente sortiva da pertugi reconditi per svanire quasi subito, irrilevante fra quelle tonnellate di ferro, era proprio quello che aveva invaso la mia mente, perché pur nel suo svaporare effimero, era la testimonianza diretta della presenza del disordine, del caos, che anche la macchina simbolo della scienza e della tecnologia ottocentesca, simbolo dell’irruento incedere dell’industrializzazione meccanica, non può fare a meno di rivelare. Disordine e caos dell’irruenta combustione del carbone nel forno della macchina. Disordine e caos dell’agitazione molecolare che impone il suo pesante dazio alla produzione del lavoro meccanico. Disordine e caos faticosamente e ingegnosamente confinati per svariati decenni, forse per un secolo, nel secondo principio della termodinamica, quello secondo cui non si può impedire che qualsiasi macchina in grado di produrre lavoro meccanico, dissipi una sostanziale quota di energia in calore, ovvero disordine: la polvere del disordine e del caos spazzata sotto il tappeto del secondo principio della termodinamica! Nella fotografia, la luce aveva dipinto quel fumo, seppur in modo lieve. Ecco allora che lavorando sui meri contenuti numerici dei pixel prodotti dalla macchina fotografica, limitando e aggiustando l’inquadratura, scomponendo l’immagine nei suoi colori fondamentali, utilizzandoli in modo da produrre una scala di grigi e regolandone luminosità e contrasto, quelle pennellate sono emerse. Ma, come sempre, si potrebbe fare di più. Si potrebbe per esempio, creare un duplicato dell’immagine in un altro livello (layer) del software di fotoritocco, poi cancellare in questa seconda immagine tutto ciò che non è fumo, con mano leggera e consapevole manovrare la “gomma sfumata”, e quindi assegnare una scala di colori caldi, arancio-rossastri, evocativi delle calde fucine che generano caos, per poi sovrapporre le due immagini. E chissà quante altre cose si potrebbero fare ancora …
Raccontare
Anche le immagini raccontano, ma a partire da un punto fisso, dal quale l’osservatore può estrapolare una storia, con un processo non lineare. Il video invece racconta per sua natura. Potrebbe sembrare banale, si prende una videocamera – o un software di screenshot – e si riprende qualcosa che si dipana nel tempo. In realtà questo accade raramente. In gergo cinematografico, è raro che un’intera storia venga realizzata mediante un piano sequenza, ovvero mediante la scansione temporale del “girato”. Il video finale ha un suo tempo, diverso dal tempo naturale del piano sequenza, nel quale vengono collocate sequenze diverse, a prescindere dalla loro origine, magari anche singoli fotogrammi o immagini sintetizzate in altri modi. Questo processo è quello del montaggio, o più precisamente del montaggio non lineare, con il quale si possono andare a prendere sequenze qualsiasi, in modo del tutto arbitrario all’interno del girato. Un metodo questo che è peculiare degli strumenti di montaggio software, con i quali si possono applicare anche effetti particolari alle sequenze senza distruggere il girato, potendo cioè sempre fare un passo indietro. Prima dell’avvento del digitale, il montaggio rappresentava – e rappresenta – un lavoro defatigante: tipicamente, per produrre un cortometraggio di dieci minuti, potevano occorrere mesi di lavoro taglia-incolla eseguito su di ore o decine di ore di girato. Anche per chi usa il digitale il montaggio è un lavoro molto lungo ma oggi ci sono possibilità e flessibilità che prima erano inimmaginabili.
Nei software per montaggio è invalso l’uso di chiamare le singole sequenze clip e la successione delle clip storyboard. In realtà la storyboard è nata ben prima che tali sistemi vedessero la luce. Si trattava di una serie di bozzetti che venivano – e spesso vengono – disegnati, per tratteggiare la successione delle scene più significative. Esiste anche un software che serve a comporre storyboard, celtx, scaricabile in una versione free piuttosto articolata, da quello che ho potuto vedere in cinque minuti. Simpatico, ma penso che si possa fare benissimo anche a mano. Può essere che organizzare una storyboard a priori sia utile ma mi guardo bene dall’enunciare regole in proposito. Anzi, colgo l’occasione per allargare la visione, menzionando l’esperienza di un grande italiano: Vittorio De Seta, scomparso lo scorso novembre. Facciamoci introdurre De Seta da Martin Scorsese (copertina posteriore del DVD):
Avevo sentito parlare dei documentari di De Seta come accade per i luoghi leggendari: qualcuno li aveva visti, nessuno sapeva dove. De Seta stesso era una figura leggendaria e misteriosa. A New York all’inizio degli anni sessanta avevo visto Banditi a Orgosolo. Uno dei film più insoliti e straordinari… De Seta era un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta.
Da dove veniva questa voce? Qualche tempo fa ho ricevuto un regalo inaspettato, le copie in 35mm dei documentari diretti da Vittorio De Seta tra il 1954 e il 1958. Titoli incantevoli: Lu tempu di li pisci spata… Isole di fuoco… Contadini del mare… Parabola d’oro…
Li ho proiettati, e sono rimasto stupefatto, sopraffatto da un’emozione intensa, come se, oltrepassato lo schermo, mi fossi ritrovato in un mondo mai conosciuto, che improvvisamente riconoscevo.
Era l’Italia del Sud, la mia cultura ancestrale che volgeva alla sua fine, a un passo dal suo ingresso nella sfera del mito. Un tempo in cui la luce del giorno era preziosa e le notti completamente buie e misteriose. Erano i figli di Prometeo, che aveva rubato il fuoco agli dei per donarlo ai mortali, e per questo erano stati puniti. Gente che cercava la redenzione attraverso il lavoro manuale: nelle viscere della terra, in mare aperto, tagliando il grano.
Gente che sembrava pregare attraverso la fatica delle mani.
Ebbene, come aveva proceduto Vittorio De Seta per realizzare questi straordinari documenti? Premetto solamente che, in primo luogo si recava sul posto mesi prima, per familiarizzare con le persone e assorbire l’atmosfera dei luoghi, poi lavorava praticamente da solo con l’aiuto di un ragazzo, manovrando macchine pesanti e complesse, tecnicamente limitate, per esempio con sensibilità di 25-50 ASA, in situazioni complicatissime, su piccole barche, o in miniera, manovrando sia la registrazione del sonoro che del video, sperimentando allo stesso tempo la grande novità del cinemascope che richiedeva due successive messe a fuoco di due diversi sistemi di lenti, il tutto senza poter vedere il video, ma solo sentire il sonoro, per mesi, prima di entrare in sala di montaggio. Un gigante. Ma un gigante anche per avere avuto l’intuito di andare a cogliere le ultime espressioni di un mondo che fu prestissimo irrimediabimente perduto. E anche per avere colto quell’intuizione e non avere aspettato di avere acquisito le competenze. Per il resto lasciamo parlare De Seta stesso, in questo brano di una conversazione con Goffredo Fofi, che ho tratto da La fatica delle mani, a cura di Maro Capello, allegato al DVD Mondo perduto, p. 23:
Chiede Goffredo Fofi a De Seta
Il tuo passaggio alla regia , dopo una prima “prova” [come secondo aiuto regista nel 53, quando De Seta era trentenne], è radicale sia nella scelta di un ambiente sia nell’approccio a esso.
Nel ’54, in Aprile feci La Pasqua, in bianco e nero, 16 mm, assieme a Vito Pandolfi…
…in quegli anni Pandolfi mise insieme un libro interessante, Copioni da due soldi, che era una perlustrazione di tutto il teatro minore: dai venditori di strada ai cantastorie, dalla sceneggiata alle feste. Tutto un percorso nella realtà italiana povera, un mondo che è stato poco raccontato, trascurato dallo stesso neorealismo…
…in realtà Pandolfi lo conosceva mia moglie, che faceva teatro. Non ci fu un grande legame, né io possedevo una grande consapevolezza culturale. Il documentario era convenzionale, ma venne a vederlo Zavattini, e il suo entusiasmo mi incoraggiò. Di lì a pochi mesi, ho fatto Lu tempu di li pisci spata che era un lavoro difficile, visto che già era difficile stare sulla barca a fare riprese. Per me la cosa determinante fu l’abolizione del commento. Incominciai a girare le prime inquadrature senza avere un chiaro progetto. Alla sera ascoltavo il sonoro, che avevo registrato con ricchezza, voci, suoni, canti, musiche, rumori del mare, atmosfere. Sentivo che era un elemento determinante perché, abolendo lo speaker, che rappresenta l’ossatura ideologica del documentario, il film si deve reggere sulle proprie forze. Così viene in primo piano il sonoro; tutta la struttura deve essere fondata sul ritmo. Sulla base del sonoro, che non era un suono “sinc” ma ricostruito, mi componevo in testa la struttura del documentario, prima di poter vedere finalmente le immagini.
E queste immagini De Seta le potè vedere solo una volta tornato a Roma, dopo avere sviluppato le pellicole in studio. Ricordo di avere sentito un’altra sua intervista, dove raccontava di essersi messo a piangere dopo avere visto che le immagini c’erano, perchè avrebbero potuto essere anche tutte vuote!
Quel sonoro di cui parla De Seta, è stato il percorso sul quale dipinse le sequenze disponibili, che non erano mai in sincronia perchè non era possibile, in quelle condizioni, registrare contemporaneamente il video e il sonoro. Ecco, in questo esempio si percepisce appieno la forza creativa che può essere espressa nella fase di montaggio.
Calando nel microcosmo, anche nei bricovideo che ho proposto nel post precedente, il sonoro ha giocato il ruolo portante: prima ho disegnato con calma come se fossi alla lavagna gli schemi, usando una tavoletta grafica e Gimp, registrando allo stesso tempo con un software di cattura dello schermo. Poi facendo scorrere a mano le clip così ottenute, ho pronunciato i brani del discorso, come se fossi stato a lezione. Successivamente, con un programma di editing ho tagliato, ripulito e ricomposto le sequenze video, aggiustandone la velocità in base alla temporizzazione del parlato. Nella sequenza iniziale e in quella finale, ho invece aggiustato la velocità del video cercando di ritrovare un po’ il ritmo della musica (coperta da licenza CC, ma su questo tema ritorneremo), per tentare di ravvivare un po’ l’atmosfera del parlato, a dire il vero un po’ anestetizzante. Se lo dovessi migliorare, mi preocuperei di dinamizzare molto di più le sequenze video, nello stile del video di Sir Ken Robinson, che abbiamo visto insieme, ma per fare questo ci vuole molto molto tempo. Per inciso, per fare uno di quei video, di circa dieci minuti, ci vogliono due o tre mesi di lavoro da parte di uno staff specializzato, per la modica cifra di 10000-15000€. Io non avevo le competenze né il tempo né i denari per fare una cosa del genere! Tuttavia si può sempre provare a fare qualcosa …
Quali strumenti
Qui c’è da perdere la testa con l’enorme strumentario che oggi è a disposizione di quasi tutti. Proviamo a stare inizialmente alti per poi calare in qualche particolare.
La video camera, gli apparecchi fotografici, gli smartphone offrono opportunità sconfinate, che ben pochi sfruttano, e di cui ben pochi educatori fanno tesoro, a tutti i livelli. Naturalmente le eccezioni non mancano. Paolo Beneventi fa uno splendido lavoro con i bambini, che documenta nel suo blog Bambini Oggi, anzi che ha documentato, perché scopro in questo preciso momento che il blog è stato sospeso dall’11 gennaio scorso. Un’altra triste notizia, questo sta diventando un post triste. Paolo Beneventi fa un bellissimo lavoro nel quale sfrutta la fantasia dei bambini per guidarli all’impiego creativo e attivo delle tecnologie. A titolo d’esempio segnalo fra i tantissimi post La fotografia, la meraviglia, la tecnica”, GREYC’s Magic Image Converter per GIMP: un antidoto contro la “immaginazione corta”! e Oggi non si può fare il video con le ombre, perché non c’è il sole!. Quelli che narrano le scoperte degli insetti sono particolarmente interessanti.
Sono assolutamente straordinarie le cose che si possono fare con le macchine digitali che oggi troviamo sugli scaffali di un qualsiasi supermercato. In Digital Film Making, Mike Figgis descrive la propria esperienza di regista cinematografico che decide di esplorare a fondo il nuovo universo digitale. Digital Film Making è un ottimo libro da leggere per chiunque voglia cimentarsi con il video. Non poteva mancare un capitolo sulla luce, nel quale Figgis espone una tesi interessante. Con le prime tecnologie, il cinema era affamato di luce. Hollywood è la patria del cinema perché nella California del sud c’è quasi sempre molta luce. Antonino Delli Colli, direttore della fotografia anche in Totò a colori, il primo film italiano a colori, racconta come per gli attori fosse una vera tortura recitare negli interni con la quantità di luce necessaria a tirare fuori i colori dalla pellicola Ferraniacolor, che aveva un sensibilità di soli 6 ASA! In pratica arrostivano. Sebbene con l’evolversi della tecnologia le pellicole divenissero sempre più sensibili e le lenti più luminose, questa atavica fame di luce ha lasciato una traccia profonda: fare cinema richiede una grande luce e quindi un grande direttore della fotografia. Mike Figgis, sostiene che fare un video è diverso da fare cinema, anche in virtù della straordinaria sensibilità – e non solo – delle videocamere, e critica l’abitudine di predisporre grandi luci anche quando si usano videocamere: una luce artificiale extra può ingoiare una luce naturale che avrebbe potuto contribuire significativamente all’espressione di una scena. E sostiene anche che i registi dovrebbero smettere di continuare a illuminare quando fanno cinema con macchine digitali. È interessante la convergenza con i suggerimenti di Richard Olsenius per la fotografia: meno luce può essere meglio.
E già che siamo con Figgis, rimaniamoci ancora a proposito di un altro pezzo di stumentazione: il software di editing video.
My experience with iMovie was interesting. I had it on my computer and I never used it. Then, one day, I shot something that I didn’t really want anybody else to cut at that stage. I just wanted to look at it. And I had no idea how to use the iMovie system. I am not someone who could be described as computer literate. I don’t love computers. I have been dragged to them reluctantly, and have been delighted by what they can do, but I had some difficulty in learning the system initially. So I would say I represent the low end of capability here. Compared to anyone under thirty, who will have had far more experience with computers than I have ever had, I’m in the Stone Age. So I turned the system on and there was a little demo reel that came with it just to help one through the process. I found out how to plug in my camera so that I could use the camera as a playback machine and as an importing machine. That seemed very straightforward.
Then I started importing some shots, and I saw very quickly how they aligned themselves into a sort of catalogue. within a couple of hours I’d cut a sequence. I started to think about how I could do a little sound dissolve here, and I went into the menu that said what was available in terms of effects for sound and effects for visuals. And it was so obvious and so self-explanatory, even to a novice like me, that I cut a really rather sophisticated five-minute film. Starting from zero, I did it in one day. And I immediately thought I could cut a whole features like this.
Successivamente, Mike Figgis ha montato interi film con iMovie. Dopo faccio una piccola e molto carente disanima degli strumenti disponibili, ma ciò che conta veramente è il vostro obiettivo e il vostro atteggiamento di fronte allo strumento, qualsiasi esso sia.
In pratica
È difficile entrare nei dettagli considerata l’enorme varietà e variabilità dei vari sistemi e componenti. Proviamo comunque a estrapolare alcune indicazioni pratiche, in buona parte desunte da varie conversazioni avute con esperti.
- Nelle riprese video dedicare del tempo, se possibile, a cercare l’inquadratura: punto di ripresa, profondità del campo, luce. In pratica quello che si fa prima di scattare una foto, solo che qui questa ricerca si traduce in una parte di girato che, ovviamente, non finirà – salvo sorprese – nel prodotto finale.
- Essere ariosi nell’inquadrare… Non è detto che il soggetto principale debba essere piazzato al centro della scena. Questo vale anche per lo scatto di immagini; è una faccenda di composizione. Immaginare di dividere il campo di vista con due linee parallele orizzontali e due verticali, che lo dividano quindi in una scacchiera 3×3. Provare a piazzare gli elementi o le linee importanti – orizzonti eccetera – sui punti o sulle linee di tale griglia. Per esempio, un soggetto posto in posizione decentrata potrebbe essere messo in maggiore enfasi da un gioco di prospettive. Affidarsi quindi alla propria ispirazione.
- Vero è che la luce è la carta su cui si scrivono foto e video, ma non è detto che la miglior carta sia quella candida. Se si ha libertà nella programmazione di una ripresa esterna, porsi il problema della luce, privilegiando le ore con luci radenti e soffuse. Pensare alle tonalità assunte dall’atmosfera nei luoghi dove vi trovate, nella diverse fasi del giorno, nelle particolari condizioni metereologiche. Magari poi non decidete niente di preciso, ma non pensarci potrebbe significare perdere un’occasione. O, banalmente, come nel post Oggi non si può fare il video con le ombre, perché non c’è il sole! E se il sole c’è, porsi la questione della lunghezza delle ombre …
- Cercare di utilizzare le luci naturali dell’interno; con la sensibilità delle macchine di oggi si può lavorare in condizioni incredibili. Se la luce fosse veramente troppo carente, provare a utilizzare la luce diffusa da una finestra, se possibile. Oppure, se dovesse essere necessario aggiungere luci artificiali, non illuminare mai il soggetto con luce diretta, ma dirigere le luci su qualche superficie chiara circostante. Sperimentare. Seguire l’ispirazione.
- Non c’è dubbio che lo zoom sia una trovata formidabile per controllare il campo, ma non usarlo come effetto speciale nel video! Zoomate pure girando, per cercare il campo giusto volta volta, ma poi durante il montaggio tagliate via le zoomate. A meno che lo zoom non venga utilizzato con progressione sapiente e con intenti molto precisi.
- I file video sono molto grandi perché contengono una quantità enorme di informazione. Volendo fare una scala a braccio, la Divina Commedia richiede 0.5 MB, una foto in buona risoluzione 10 MB, un video di una decina di minuti 500 MB. Non è una buona idea manipolare file molto grandi, i trasferimenti possono essere troppo lunghi, altrettanto le operazioni di “rendering” o di codifica. Le operazioni di editing vengono rallentate da attese che possono rivelarsi molto lunghe, durante le quali non si può fare niente. Con la mole di dati di una clip troppo lunga non è difficile ritrovarsi con il sistema inchiodato per delle ore. E i sistemi inchiodati su calcoli troppo lunghi possono essere fonte di instabilità per tutto il sistema operativo, talvolta anche solo perché l’utente non interpreta correttamente lo stato della macchina e, cliccando inconsultamente altrove, finisce col paralizzare tutto. Inoltre, se le clip sono memorizzate in file separati, magari perché sono state acquisite già così – buon idea interrompere ogni tanto le registrazioni – allora , meglio ritrovarsi con un solo piccolo file pasticciato, fra tanti, che con un unico grande file pasticciato. Abituarsi quindi a fare clip relativamente brevi.
- Se il sonoro contiene la voce di un narratore, come può essere anche il caso di un banale tutorial, conviene “ripulirlo” da una serie di accidenti antiestetici che allungano inutilmente i tempi: balbettamenti, attacchi strascicati in cerca della parola, colpi di tosse, schiocchi eccetera. I sistemi audio o video mostrano usualmente la traccia del sonoro sulla cosiddetta timeline – delle due tracce se l’audio è stereo. Si tratta di un grafico in funzione del tempo che esprime l’andamento delle onde di pressione con il quale si propaga il suono. Ma a prescindere dal significato tecnico del grafico, ci si abitua rapidamente ad associare la forma delle onde alla struttura delle frasi e anche a certi particolari tratti del parlato. Per esempio, le vocali allungate nella ricerca della prossima parola hanno la forma di una sorta di salsiccia allungata, che è molto facile individuare anche solo visivamente e eliminare con i comandi dell’editor. In un video successivo vedremo questo fatto in pratica. Anche in questo caso, non si deve essere rigidi, può essere che certi difetti del parlato di una persona contribuiscano a caratterizzarla espressivamente, e allora l’editing ne dovrà tenere conto. In generale comunque la pulizia dell’audio è un’operazione che viene fatta comunemente. Ricordo un commento radiofonico nel quale si raccontava come Pasolini lavorasse puntigliosamente insieme al montatore per ripulire l’audio di una certa intervista, cercando di ridurre al massimo i tempi morti, timoroso che gli spettatori si annoiassero. Quando l’audio accompagna un video, questo è associato alla traccia video. I sistemi di editing che siano minimamente sofisticati consentono di “sganciare” la traccia audio e di lavorarci separatamente, per poi riaccoppiarla appropriatamente a quella video. Tuttavia, gli interventi di pulizia a cui abbiamo acennato possono essere fatti direttamente sulle due tracce accoppiate, perché i tagli che vengono fatti sono solitamente di durata abbastanza piccola da non essere percepiti nella visione.
- Salvare, salvare tutto frequentemente, ossessivamente. Questa è una regola aurea del digitale ma quando i materiali e le elaborazioni sono complesse allora è veramente pericoloso non osservarla. Sommersi di software come siamo – dal telefono al computer è tutto software – non ci badiamo ma talvolta usiamo con nonchalance delle applicazioni che sono delle vere mostruosità. Probabilmente un software di editing video di oggi è molto più complesso di quello che servì a controllare la missione sulla luna di Apollo 11 del 1966. E il software, tutto il software del mondo è sempre pieno di errori. Non esiste un software privo di errori, a meno che non sia assolutamente banale, ma allora anche probabilmente del tutto inutile. Ci sono invece software che hanno meno errori di altri, e anche software che probabilmente hanno davvero pochi errori. E dove si trovano questi ultimi? Fra quelli molto vecchi! Il software è come il vino buono, migliora con il tempo, a condizione che venga usato costantemente e che vi sia una comunicazione ininterrotta fra chi lo usa e chi lo ha prodotto e lo mantiene. Nei casi in cui le prestazioni sono critiche, per esempio nei software utilizzati nelle missioni spaziali o anche in quelli utilizzati per la gestione delle transazioni finanziarie o bancarie, si tende ad utilizzare software delle generazioni precedenti perché è più importante la minore incidenza degli errori piuttosto che un maggior numero di brillanti opzioni nuove. Per tante applicazioni meno critiche, il requisito di solidità cozza con gli interessi di mercato, e quindi i regimi economici frenetici privilegiano la diffusione di applicazioni che sono straricche di strumenti ma anche piuttosto instabili, talvolta sorprendentemente instabili. E naturalmente, l’instabilità cresce con la complessità del software e dell’informazione che questo deve processare. È esattamente il caso delle applicazioni di editing multimediale. Quindi salvare, salvare salvare. Nel video successivo mostrerò anche come.
- Se l’ispirazione vi induce ad infrangere alcune di queste regole, eccetto l’ultima, fatelo.
Piccola e incompleta lista di strumenti vari
- Strumenti per l’elaborazione delle immaginiSarebbe pazzesco volerli menzionare tutti. Ce ne sono anche nella forma del web service: Picnik (che migrerà presto su Google+), sumo paint, splashup, giusto per menzionarne tre, potete googlarvi gli altri. Per fare qualche ritocco al volo possono andare benissimo.
Invece, per fare qualcosa di appena più impegnativo, conviene utilizzare una qualche applicazione installata sul computer. È importante prima distinguere fra due tipologie di strumenti: quelli che lavorano su immagini tipo bitmap (utile pensare alla traduzione letterale mappe di bit) e quelli che lavorano su immagini di tipo vettoriale. I primi sono noti anche come bitmap o raster graphics editors e i secondi come vector graphics editors. La differenza sta nel modo nel quale le immagini vengono memorizzate, nei rispettivi sistemi. Aiutiamoci con un esempio. Supponiamo prima di disegnare una circonferenza con un software di tipo bitmap, poi immaginiamo di ingrandire molto l’immagine: prima o poi la circonferenza rivelerà la struttura in pixel, che le darà un aspetto frastagliato. Disegnate ora la stessa circonferenza con un software di tipo vettoriale e provate a ingrandire l’immagine a piacimento: la circonferenza sarà sempre lì, con gli stessi identici attributi che le avrete assegnato all’atto della sua creazione. Magari ne vedete solo un piccolo arco perché avete ingrandito l’immagine veramente tanto, ma lo spessore del tratto sarà sempre quello. Perché questa differenza? Il software di tipo bitmap parte da un’immagine che ha una data dimensione: tanti pixel alta e tanti pixel larga. Dopodiché qualsiasi cosa facciate, il software si preoccupa di riempire i pixel come dite voi. Altro non fa. Se avete chiesto di disegnare una circonferenza, lui utilizza l’equazione matematica della circonferenza
dove
e
sono le coordinate del centro e r è il raggio della circonferenza, per riempire appropriatamente i pixel, ma poi se ne dimentica, ovvero dimentica i suoi parametri,
e
e r (nota per chi si terrorizza alla vista di un’equazione). Invece, il software di tipo vettoriale, utilizza l’equazione della circonferenza per disegnarla sul vostro schermo, con i parametri di rappresentazione dell’immagine correnti, ovvero riempie di fatto i pixel che voi comunque vedete sullo schermo, ma non ne memorizza i contenuti, bensì memorizza l’equazione della circonferenza, sotto forma dei suoi parametri
e
e r, e di altri eventuali attributi grafici, quali spessore e colore della linea. Poi, ogni volta che voi rinfrescate l’immagine sullo schermo, o perchè ricaricate l’immagine da un file o perchè ne avete variato le dimensioni, lui ricalcola i contenuti dei pixel a partire dall’equazione della circonferenza. E così per tutti gli altri oggetti.
Quale di questi due oggetti usare? Dipende da quello che volete fare. Se si tratta di ritoccare una fotografia, ci vuole certamente un software di tipo bitmap, se dovete fare un disegno schematico, può valere la pena di usare un sistema di tipo vettoriale.
- Elaborazione immagini
- Software bitmap
- Gimp, bellissimo software libero, di livello professionale, valida alternativa a Photoshop, software commerciale di riferimento, nella categoria. Gimp è disponibile per tutti i sistemi operativi, non ci sono scuse!
- Photoshop: oltre 1000 €
- Microsoft Paint. Giusto per dire che è un software di tipo bitmap che avete nel vostro sistema, se usate Windows.
- Qui ne trovate altri.
- Software vettoriale
- Software bitmap
- Elaborazione audio. Qui non vedo grossi motivi per non usare Audacity, software libero disponibile per tutti i sistemi che funziona benissimo. Lo mostrerò un attimo nel video. Se volete proprio cercare altro, qui ci sono le alternative. Aneddoto: un mio amico per un certo periodo nel suo blog postò file audio perché s’era fatto male alla mano dominante.
- I software di Screencasting sono quelli che consentono di registrare in un video quello che accade sullo schermo di un computer. Sono utilissimi per mostrare procedure di ogni tipo al computer. La rete è popolata da una quantità smisurata di tutorial costruiti a partire da uno screencast.
- CamStudio è un software free (nella pagina c’è scritto Open Source anziché Free Software, ma poi la licenza è la GPL, quella di Stallman per intendersi) per Windows ma si può installare anche in Linux. Salva i video solo in AVI e SWF e non ha tante opzioni ma può andare benissimo in molte occasioni. In questo corso ho visto che Deborah l’ha usato ottimamente.
- Jing è prodotto dalla TechSmith per Windows e Mac, ma viene offerto anche in versione free con alcune limitazioni fra cui: durata massima 5 minuti e se uno vuole salvare il video, anziché condividerlo su Youtube, in formato flash (tipo swf). La versione Pro consente di abbattere il limite temporale e di salvare i video in formato MP4, ma 15 $ all’anno
- Camtasia. Prodotto commerciale. È interessante perché in realtà è anche un sistema di editing più che soddisfacente, in particolare nella versione Mac, Camtasia for Mac, che curiosamente costa notevolmente meno: sotto a 100 €. La versione per Windows, Camtasia Studio, costa intorno a 280 € e probabilmente è più ricca di opzioni. Io conosco solo la versione per Mac e sono a conoscenza di un’opzione che le differenzia, quella che consente di cambiare la velocità di una clip. Probilmente ve ne sono altre.
- Qui ne trovate altri.
- Montaggio video. La prima osservazione che vale la pena di fare è che, purtroppo, appena le ambizioni crescono, anche di poco, tocca pagare qualcosa. È un’osservazione che faccio con fatica, perché sono sempre tutto contento quando posso suggerire qualche prodotto software valido creato nel mondo del software libero, e ce ne sono veramente di eccellenti. Non è purtroppo il caso dei prodotti destinati alla manipolazione dei video, dove le soluzioni free o sono troppo limitate, o sono troppo lente nelle operazioni di elaborazione, o offrono scelte limitate nelle codifiche esportate. Peccato, magari con il tempo qualcuna migliorerà. Sarò felice di cambiare questo paragrafo. Per ora mi limito a citare ciò che mi è capitato di usare fin qui.
- Windows Movie Maker è l’applicazione di video editing che si trova(va) in Microsoft Windows Me, XP, e Vista. Lo sviluppo di Windows Movie Maker è stato abbandonato dopo il rilascio di Windows Vista. È stato sostituito con Windows Live Movie Maker, che pare sia incluso in Windows Live Essentials, un insieme di applicazioni scaricabili da Windows Live, il tentativo di Microsoft di offrire una piattaforma con software scaricabile e servizi Web. Pare che la nuova versione sia notevolmente diversa e, taluni lamentano, troppo semplificata. Di tutto ciò altro non so, sennonché Windows Movie Maker è molto instabile. Vari studenti in passato si sono lamentati, riferendo tutta una serie di disavventure. Il più pessimista diceva di starne più lontano possibile, la più ottimista aveva invece raccontato di essere riuscita a fare un bel lavoro con i suoi bambini, ma a condizione di tenere sempre tutti i file in una stessa cartella senza spostarli mai e di fare salvataggi frequenti. Norma quest’ultima che è comunque sempre consigliabile, come abbiamo già detto.
- iMovie è invece l’applicazione di editing video inclusa nel sistema Mac OS X. A dire il vero, quando ho aggiornato il sistema sul mio Mac a Mac OS X Snow Leopard, perché me l’aveva regalato un amico, non ci ho più trovato iMovie. Pare che se uno compra un Mac nuovo allora ce lo dovrebbe trovare, ma non è il mio caso, sul momento. Qui c’è tutta la storia. Se ce lo volessi rimettere dovrei acquistare la suite iLife per circa 40 €. Qualche anno fa l’ho usato abbastanza. Sufficientemte potente e ragionevolmente solido.
- Il mio amico Andrea, che era un professionista (i professionisti di audio e video usano quasi sempre prodotti Apple) usava Final Cut Pro, un’applicazione da più di 1000 €. Un giorno, in un grande magazzino trovai in vendita un cd, Final Cut Express, che costava qualcosa meno di 100 €. Final Cut Express era una versione più abbordabile ma non doveva costare così poco. Mi resi conto di essere inciampato in un’offerta perché l’Apple aveva smesso di produrlo. Ora esiste solo Final Cut Pro X: 230 €. Per fare i bricovideo ho usato Final Cut Express perché avevo bisogno di qualcosa che mi facesse cambiare la velocità delle clip. Mi pare che si possa fare tutto quello che si vuole, o perlomeno tutto quello che può venire in mente a me. Anche questo ragionevolmente stabile e sufficientemente veloce nelle operazioni.
- Camtasia l’avevo già citato come applicazione di Screencast. Mi limito a ricitarlo qui perché può essere davvero soddisfacente anche come applicazione di editing video. Da ricordare la strana differenza fra Camtasia for Mac (~100 €) e Camtasia Studio, per Windows (~280 €).
- Avidemux. Software libero per tutti i sistemi. Se basta, meglio.
- Kdenlive. Software libero Linux. Se basta, meglio.
- Animoto. Questo è un servizio web. Una specie di tritacarne dove butti dentro immagini, clip, audio e lui ti confeziona una sorta di trailer. Può essere utile per avviarsi al mondo del video ma ti perdi il piacere di creare.
- Qui trovate qualche altro riferimento.
E infine concludo con un video dove cerco di mostrare alcune delle pratiche suggerite in questo post.
Per fare un video bene occorre tempo, invece questo video è stato fatto di fretta. Fra i tanti difetti ha anche quello di essere un po’ lungo. Metto qui sotto un indice per chi volesse andare direttamente a vedere alcuni punti specifici del video. Sotto, in versione embedded, trovate il video intero.
- 00:00 Introduzione
- 01:32 Cattura immagine fissa nel Mac
- 02:54Controlli per l’avvio di un screencast
- 04:26Salvataggio screenshot (immagine fissa) in una cartella (folder) che userò per preparare il video
- 05:47importazione dello screenshot nell’applicazione di editing video
- 06:16 Parti principali di un’applicazione di editing video
- 06:52 Inserimento di un’immagine fissa nella timeline e manipolazione nella timeline
- 08:22 Registrazione di una traccia audio con un’altra applicazione
- 09:55 Ripulitura audio
- 11:18 Distinzione fra salvataggio di un progetto (audio o video) e esportazione dell’audio (o video) in un formato standard aperto
- 12:38 Altri esempi di frammenti audio da ripulire, sia nell’applicazione audio che in quella video
- 14:54 Importazione audio, accoppiamento audio – immagine fissa
- 17:16 Salvare salvare salvare …
- 19:46 Conclusione e chiarificazione: enfasi sulle pratiche e non sullo strumento specifico …
Riferimenti
- DIPINGERE CON LUCE
CORSO DI FOTOGRAFIA, BIANCO E NERO
Richard Olsenius
National Geographic Society, 2005
P. 62 - SCRITTI E PENSIERI SULL’ARTE
Lorenzo Viani
Mauro Baroni Editore, Viareggio, 1997
P. 95 - IL MONDO PERDUTO
I cortometraggi di Vittorio De Seta
1954-1959
Cineteca Bologna, 2008 - DIGITAL FILM-MAKING
Mike Figgis
Faber & Faber
London, 2007
P. 125 - TOTÒ A COLORI
steno1952
Nel cofanetto “Totò, il principe della risata”
Dino De Laurentis – Filmauro Home Video, 2004 - Tranquilli! L’equazione dice molto semplicemente che il risultato dell’operazione a sinistra dell’uguale, deve essere uguale a ciò che c’è alla sua destra, vale a dire uguale a
. L’operazione a sinistra non è altro che una somma algebrica (vale a dire che c’è anche roba col segno meno) di alcuni termini, a loro volta prodotto di alcuni fattori:
vuol dire
moltiplicato
,
vuol dire
moltiplicato
moltiplicato
, eccetera.
,
e r sono le cose fisse, i cosiddetti parametri. Sono fisse nel senso che se io attribuisco a ciascuna di esse un valore, allora ho definito una precisa circonferenza, all’interno del mondo di tutte le infinite possibili circonferenze possibili. Rimangono
e
. Queste sono le variabili, quelle che servono a disegnare la circonferenza su un pezzo di carta o sullo schermo del computer, in questo caso. In sintesi, il software considera
e
come le coordinate dei pixel sullo schermo, esattamente come nella battaglia navale o in una carta geografica. Poi si “diverte” a “provare” vari valori della
, risolvendo l’equazione, cioè trovando la
in modo che valga l’
. Trovata così la
per ogni
, usa tali valori per individuare il pixel di tali coordinate e lo riempie di colore. Così viene fuori la circonferenza. Questa è una descrizione un po’ semplificata ma è corretta.
- Elaborazione immagini