Distraendomi, e facendo e immaginando esercizi video, mi trovo di nuovo a guardare fra le fronde, e quello che vedo si confonde col già visto, libere associazioni di idee che riprendo e espando così …
… e non lo capivo neanche io ma c’era qualcosa in Mallarmé che mi attraeva …
… e non lo capivo neanche io ma c’era qualcosa in Mallarmé che mi attraeva …
… e non lo capivo neanche io ma c’era qualcosa in Mallarmé che mi attraeva …
…
Quando frequentavo le scuole elementari, avevo un quaderno di “bella copia”. Era un quaderno senza macchia e senza paura, un documento da mostrare al direttore scolastico. E ricordo anche il momento della funerea domanda del direttore, la domanda che ci faceva tremare le gambe. “Su un albero ci sono dieci uccellini. Arriva un cacciatore e ne spara sei. Quanti uccellini rimangono sull’albero?”. Mesi e mesi di calcoli con i ceci e i fagioli non ci avevano messo in grado di dare la risposta che i grandi si aspettavano da noi. E per dimostrare che il lavoro era stato fatto, ed era stato fatto anche bene, la maestra apriva i quaderni senza macchia e senza paura. Seguivano i commenti del caso. Quando il direttore lasciava la classe, la maestra, ferita nel suo onore professionale, ci rimproverava aspramente e ci minacciava di bocciatura. Gli adulti avevano detto, noi no. E di quegli anni passati a far silenzio e a contare gli uccellini morti, mi è rimasta la tristezza del silenzio e la consapevolezza che gli adulti parlavano troppo spesso in nome e per conto dei più piccoli.
Nessuno si sforzò mai di chiedermi cosa pensavo di quei sei uccellini sacrificati in nome della sottrazione e di quei quattro che erano riusciti a scappare. Sull’albero non potevano essere rimasti degli uccellini, era ovvio. Gli uccellini non sono stupidi, questo mi aveva insegnato mio padre cacciatore. A casa lo scrissi su un quaderno ma la cosa rimase tra me e il quaderno.
Il direttore aveva detto quattro, quella era la risposta giusta. Per tutti, maestra compresa, ma non per me. Come sarebbero andate le cose se, per dire la mia, avessi usato un blog invece di un quaderno?
e gli studenti di Claude che trovano senso nell’esercizio che voleva essere insensato …
Ses purs ongles très haut dédiant leur onyx,
L’Angoisse, ce minuit, soutient, lampadophore,
Maint rêve vespéral brûlé par le Phénix
Que ne recueille pas de cinéraire amphore
II
5
6
7
8
Sur les crédences, au salon vide : nul ptyx,
Aboli bibelot d’inanité sonore[,]
(Car le Maître est allé puiser des pleurs au Styx
Avec ce seul objet dont le Néant s’honore).
III
9
10
11
Mais proche la croisée au nord vacante, un or
Agonise selon peut-être le décor
Des licornes ruant du feu contre une nixe,
IV
12
13
14
Elle, défunte nue en le miroir, encor
Que, dans l’oubli fermé par le cadre, se fixe
De scintillations sitôt le septuor.
Una di queste mattine guidavo andando a scuola verso le 7,15, era ancora buio, si vedevano solo confini non definiti di montagne, qualche lumino e la luce che la mia e le altre auto facevano sulla strada. Non erano molte le auto per cui c’erano veramente ampi spazi bui.Ma tra me pensavo: é molto simile, questa situazione, a ciò che capita con i programmi che magari utilizzo ma non conosco ( non vedo ) in tutti i particolari. Navigo ma non conosco a perfezione il linguaggio HTML, XML; anzi a ben guardare tutto ciò che conosco quasi tutta la mia preparazione presenta una situazione a pelle di leopardo: zone bianche e nere intervallate e non quale colore rappresenta la conoscenza completa! Comunque la tranquillità con cui guidavo la mia auto, sapendo dove sarei andato, immaginando le luci che sarebbero apparse dopo pochi minuti è la stessa che provo quando scopro di aver fatto scelte corrette dal punto di vista informatico anche se mi mancano dei pezzi: conosco però dove voglio andare e avendo già percorso il programma come fare per arrivare; se poi scopro strade più veloci, ( aggregatori, rss, permalink , ho ancora dubbi o non ho capito a cosa servano i trackback ) ne sono contento in quanto apprezzo la diminuzione del mio tempo computer giornaliero.
Dove proviamo a pianificare le prossime riunioni online in seguito alle varie proposte
Vediamo di mettere insieme i pezzi disponibili fino ad ora.
Monica & Deborah & Laura
Venerdì 18 gennaio.
per-corsi multi-mediali
Alessandra & Marvi
Venerdì 20 gennaio. Lo hanno proposto loro perché il mercoledì non possono, va bene a tutti, in generale?
Video editing e dintorni
Maurizia & Ornella & Stefano
Mercoledì 25 gennaio
Maurizia: scrittura collaborativa
Dalla scrittura individuale a quella collaborativa, dai testi a più mani a quelli collaborativi
Lavoro in presenza/lavoro online: il contratto
Abitare il Web
I Forum/ il Wiki/ la Lim
Cosa si può fare con i bambini e perché: “Il giallo, il colore del brivido” ( dare importanza al senso per cui si fanno certe attività —- porta anche all’uso consapevole delle Nuove Tecnologie )
Personaggio guida
Indicazioni di lavoro
Stefano: LOGO, ginnastica per la mente
Papert, è entrato ormai nella sfera dei pedagogisti più conosciuti, tutti gli studenti di Formazione Primaria della Bicocca conoscono Papert come pedagogista ma nessuno conosce il linguaggio Logo da lui ideato.
Il logo è stato una rivoluzione per l’informatica a scuola. Fino agli anni 80 il computer era utilizzato per “insegnare ai bambini”. I software utilizzati erano soprattutto di tipo Drill and practice
Papert capovolse l’impostazione: non è il computer che deve insegnare ai bambini ma i bambini che devono insegnare al computer.
Metafora della tartaruga. Inizialmente era un piccolo automa che disegnava sul pavimento, in seguito per motivi economici si è passati ad un piccolo triangolino isoscele che, sullo schermo, simula l’automa. Il bambino si identifica con l’attività motoria della tartaruga.
Esempi di comandi e loro sintassi: predicato + argomento
iterazione
una funzione (quadrato)
funzione con parametro (le variabili)
quadrato :lato
classe dei resti: il modulo 360
un esagono modulo 360/6
poligono con parametro 360/ :lati
la ricorsione (esempi di poesie, filastrocche, giochini)
la spirale
il salto condizionale SE (condizione) ALLORA (esegui)
UTILIZZO COLLABORATIVO IN CLASSE E/O TRA CLASSI
sfide in logo
disegno a più mani:
negoziare il titolo
negozioare le parti da fare
costruire il disegno
Ornella:la storia insegnata al tempo del digitale
La società della formazione
Dalla Galassia Gutenberg alla Galassia Internet
L’ambiente di apprendimento
L’inventario degli attrezzi di lavoro
L’apprendimento significativo
Un esempio di conoscenza storica
La ricaduta del digitale nel processo di insegnamento e di apprendimento
Domanda: ma ce la fate a fare tutte queste cose nello spazio di una sola sessione? O converrebbe suddividerle almeno in un paio di sessioni?
Benedetta & Gaetano
Forse 8 febbraio
L’argomento è da definire
È divertente l’idea che Benedetta e Gaetano si trovino agli estremi della distribuzione geografica della blogoclasse: Enna – Ginevra! Si pone tuttavia il problema della gestione della classe online, perché il ruolo di “teacher” può essere svolto da un solo computer; sono andato a ricontrollare stasera ma mi pare che sia proprio così. Questa difficoltà non ci deve impedire tuttavia di realizzare un’idea così simpatica. Riassumiamo gli estremi della questione.
Una sola persona, o meglio, computer, può svolgere il ruolo di teacher
Il ruolo di teacher comporta:
Prenotare la classe. Questo lo posso fare anche io.
Caricare i materiali nella classe. Questo si può fare quando si vuole durante tutto il tempo che intercorre fra la prenotazione della classe e l’inizio della medesima, anche in più riprese. Per materiali si intendono immagini, video, presentazioni di slide, documenti di vario tipo (qui ci sono i vari tipi di file), o inclusione di video Youtube. Queste operazioni possono essere fatte dai due conduttori, in fasi alterne, basta che si mettano d’accordo, un giorno per uno o qualcosa del genere.
Condurre di fatto la riunione usando il mio account che ho messo a disposizione. Questo si può fare da un solo computer. Le possibilità potrebbero essere:
Uno solo di fatto conduce, magari lasciando il microfono sempre aperto al partner, presente in classe come studente con il proprio account,echi permettendo
Condurre la prima parte uno e la seconda l’altro. Per esempio, Benedetta conduce nella prima metà usando il mio account, mentre Gaetano è in classe come studente con il suo account. Alla fine di questa parte Benedetta si slogga dal mio account e Gaetano dal suo account, per poi rientrare in classe, Benedetta con il poprio account di studente e Gaetano con il mio account di teacher per condurre la seconda metà dell’incontro. Credo che si possa fare, anche se è un po’ macchinoso e forse si perde il caos piacevole delle due voci che si alternano
Deborah aveva suggerito di discutere la questione dell’impiego dei telefonini a scuola, magari all’interno della sessione di Maurizia, Ornella e Stefano, che però, come ho scritto sopra, mi sembra già piena zeppa. Tuttavia l’argomento è interessante e magari qualcuno ha qualcosa da raccontare …
Avanti con aggiustamenti, correzioni, proposte … 🙂
Su Il Sole 24 Ore del 23 dicembre è stato pubblicato un articolo interessante, scritto da Pier Luigi Celli, direttore generale della LUISS. L’articolo, Per i professori stage in azienda ogni cinque anni, affronta la questione dell’adeguatezza del sistema di istruzione accademico a fronte delle esigenze di un mercato del lavoro che è oggi in mutazione continua. Il discorso sviluppato da Celli è alto e orientato agli sbocchi professionali nel mondo delle imprese. Tuttavia la sua articolazione ha validità generale e presenta nessi importanti anche con lo specifico che può essere quello di un operatore del settore, che vede le cose dal basso.
Vale la pena di andarsi a leggere per intero l’articolo di Celli. Qui mi limito a citare un paio di brani, per poi calare su di un esempio particolare.
Ciò che emerge è una sistematica sottovalutazione del problema centrale nella preparazione dello studente al suo futuro lavorativo: che tipo di testa gli servirà, nel tempo, per misurarsi con questa mobilità di prospettive occupazionali che lo sfiderà senza tregua. La “flessibilità”, tanto evocata come petizione salvifica per esorcizzare la precarietà, è, in realtà, un problema culturale, di modelli di lettura e di interpretazione dei fenomeni da affrontare, prima che una pratica comportamentale di resa all’inevitabile. Una “testa ben fatta”, dunque: esige dei maestri che “quella testa” sappiano aiutare a costruirla , rimettendo in discussione uno schema didattico fondato su rigidità disciplinari quasi incomprensibili e su processi di “assemblaggio” di conoscenze spesso astratte.
Qui ci si riferisce alla mobilità delle prospettive occupazionali, ma altrettanto può essere detto del contesto all’interno di una qualsiasi occupazione, dove è sempre più comune che metodi, strumenti e anche interi paradigmi di azione siano mutati rispetto ai tempi dello studio.
Non è sufficiente trasmettere conoscenze e strumenti concettuali; bisogna creare condizioni per sperimentare la loro applicazione, e avere, per esempio, consapevolezza dei contesti in cui si andranno ad applicare, sapendo che i climi, i valori, le criticità operative, i sistemi relazionali, la lettura dei segnali deboli, avranno spesso lo stesso peso, e forse anche maggiore, della stessa preparazione teorica. Per arrivare a questo, l’intreccio tra interno e esterno dell’università va forzato inevitabilmente, rendendo il più possibile porosi i loro confini, oggi ancora così ferocemente presidiati in nome di una autonomia e di una sacralità della professione accademica che oggi non ha più ragione di porsi nelle forme tradizionali.
L’articolo di Celli si conclude con una proposta forse tanto provocatoria quanto salutare, se fosse presa sul serio: l’introduzione di stage semestrali destinati ai professori, da svolgersi per esempio ogni cinque anni, in contesti lavorativi esterni reali; stage pratici quindi, non di studio o di ricerca. È interessante come quest’idea sia simmetrica rispetto a quella espressa da Peter Brucker in un’intervista rilasciata su Forbes nel 1997 (qui una versione stampabile):
I tell all my clients that it is absolutely imperative that they spend a few weeks each year outside their own business and actively working in the marketplace, or in a university lab, in the case of technical people. The best way is for the chief executive officer to take the place of a salesman twice a year for two weeks.
A me sembrano ottimi suggerimenti. Se poi siano effettivamente praticabili non so. Possiamo anche prenderli come provocazioni, ma più si prendono sul serio e meglio è. Facciamo un esempio terra terra, tipo l’insegnamento di base di informatica (tecnologie informatiche, abilità informatiche, alfabetizzazione informatica …), di pochi o pochissimi crediti, ma spalmato in modo sostanzialmente indiscriminato sulla maggioranza dei curricoli universitari.
Cosa deve fare colui che deve predisporre un insegnamento del genere? La cosa normale? Ovvero, vedere un po’ i programmi che ci sono in giro, quindi gettare nella pentola un po’ di codifica dell’informazione, componenti hardware tipici, cenni sull’architettura di base, sistemi operativi, alcuni applicativi che vanno per la maggiore, elaborazione testi, fogli di lavoro, qualcosa sulla connettività, indirizzi Internet, pericoli malware, poi un quiz …
Oppure lasciar perdere la completezza, cercando di scendere più a fondo in una manciata di pratiche, necessariamente poche, ma che siano attinenti alla natura del curricolo? Saper frugare nei database di letteratura pertinente, utilizzare il proxy di ateneo per raggiungere gli abbonamenti altrimenti inaccessibili, gestire una piccola agenzia stampa personale per drenare le fonti di informazione preferite, condurre un incontro in aula virtuale, creare una comunità online per l’aggiornamento professionale e via dicendo.
Il primo metodo è più tranquillo: senza grande fatica, eccetto che per la routine delle lezioni e degli esami, si fabbrica un prodotto molto ben valutabile all’interno del sistema, ma molto poco nel suo reale impatto sui fruitori del servizio, ovvero gli studenti. Si deve aver cura che il programma rientri nei canoni correnti, che il numero di lezioni frontali sia proporzionale ai crediti previsti per il curricolo, che gli studenti adempiano agli eventuali obblighi di frequentazione, che gli esami si svolgano secondo le liturgie correnti. Il prodotto finisce però qui. Quello che succede dopo, sino all’effetto reale sulla vita degli studenti, rimane fuori dell’incarto, fuori controllo. Ad esempio, niente che misuri cosa cambia, spalmando gli stessi crediti su 300 studenti anziché 30. Cosa avranno capito realmente dopo avere risposto bene a quei quiz? Ma soprattutto, come se la caveranno di fronte ad un nuovo problema che coinvolga quel tipo di competenze? Quelle nozioncine spicciole, frettolosamente affastellate e per nulla approfondite, non sono forse prontamente reperibili, aggiornate, da chiunque abbia un minimo di familiarità con le tecnologie, oggi? Quei sistemi operativi e quegli applicativi di vastissima diffusione, non erano già stati descritti una ventina d’anni fa da De Crescenzo, quando scriveva dei computer di Steve Jobs, che si spiegavano da soli grazie alle innovative interfacce grafiche? E noi ora, su quelle competenze così a portata di mano, ci fabbrichiamo corsi universitari? È veramente questo che dobbiamo fare? Spalmare il metodo – forse – valido per un corso fondamentale di analisi matematica o di glottologia su un simile tritume di fatterelli spiccioli, mai fermo?
Il secondo metodo, è invece più incerto: va ogni volta ricostruito cammin facendo, è più difficile da codificare secondo i canoni convenzionali, basati su programmi e crediti, ma consente di arrivare più vicino allo studente mediante una strategia affine all’apprendistato cognitivo, con il quale l’insegnante tratteggia il quadro in cui si deve operare, mostra come si opera, induce l’allievo ad esercitarsi, lo supporta nei primi tentativi, per poi lasciarlo agire progressivamente in modo sempre più autonomo. Se questo metodo da un lato si quantifica con difficoltà all’interno dei meccanismi accademici, si valuta invece molto più facilmente nei suoi effetti reali: lo studente deve mostrare di operare autonomamente e, se ci riesce, sarà più probabile che operi autonomamente anche in futuro, quando molte condizioni saranno mutate. È un metodo più faticoso, seppur molto più interessante, proprio perché richiede che l’intreccio tra interno e esterno dell’università vada forzato inevitabilmente, rendendo il più possibile porosi i loro confini. È più faticoso perché occorre prima uscire dall’aula, in qualche maniera, per andare a vedere e capire quali siano le capacità che consentono agli studenti di operare con successo nei contesti reali, sempre più complessi e mutevoli.
È in atto la campagna di iscrizioni 2012 ad Agorà Digitale, associazione impegnata nella
promozione di iniziative volte a rendere più trasparenti istituzioni e pubbliche amministrazioni, attraverso la pubblicazione di documenti e di dati aperti. Nella convinzione che proprio tale conoscenza possa garantire ai cittadini un effettivo controllo sull’efficienza e l’efficacia dell’attività svolta dagli eletti, ma anche per garantire il riutilizzo di tali dati per fornire nuovi servizi ai cittadini.
Iniziative del genere sono perfettamente in linea con i principi che ispirano questo edublog. Oltre ad aderire cercherò, nel mio piccolo, di rendermi utile nel supportare le iniziative di Agorà Digitale.
Dei prossimi possibili passi dopo la riunione online di giovedì 22 e del raccontarsi le proprie pratiche
Aggiorno via via in base ai vostri commenti
Vediamo insieme i prossimi passi, correggete e proponete …
Riunioni online
Le coppieI gruppi seguenti si sono proposti per le prossime riunioni on line
Alessandra & Marvi: argomento da definire, forse le esperienze con software specifici di editing video a cui aveva accennato Marvi nella riunione, ma non sono sicuro. Alessandra conferma
Maurizia & Ornella & Stefano: impiego cooperativo LIM; forse qualcosa su Logo? sarebbe bello non dimenticarlo … sarebbe in armonia con il mio tentativo di trascinare un poco indietro-avanti le persone dal mondo click-only al mondo dei codici … la scrittura collaborativa anche con le LIM, Logo, ginnastica per la mente, Storia a mappe.
Elena & Samantha: forse vogliono utilizzare una sessione online per commentare il tutorial su Animoto? E per “completare” la sessione troncata a 60 minuti … 😉
Altri?
Chiedo a Alessandra & Marvi e Maurizia & Stefano:
anche voi avete la possibilità di condurre la sessione davanti ad uno stesso computer, come hanno fatto Elena & Samantha? La cosa andrebbe appurata perché se così non fosse, dobbiamo affrontare in qualche modo il fatto che con il mio account Wiziq il ruolo di conduttore lo può assumere uno solo. Fateci sapere. Maurizia & Ornella & Stefano possono riunirsi ad un computer, ottimo.
Per quanto riguarda le date disponibili, se manteniamo la consuetudine del mercoledì alle 21 (non obbligatoria), abbiamo …
11 gennaio
18 gennaio
25 gennaio – Maurizia & Ornella & Stefano?
1 febbraio (non sono sicuro di esserci in quella settimana)
8 febbraio
… se vogliamo ripartire dopo la Befana e finire entro la fine del I semestre, il 10 febbraio, come specificato nel calendario didattico IUL – condizioni osservabili ma non necessariamente in modo stringente per quanto mi riguarda.
Invito gli aspiranti conduttori a manifestare delle preferenze per prenotare queste o altre date.
Prossimi argomenti
Durante la riunione abbiamo concordato di di darci una pausa, nel seguente senso: io non metterò ulteriore carne al fuoco, in modo che voi possiate recuperare, riflettere e approfondire con calma approfittando delle feste. Seguirò sempre i vostri eventuali contributi e eventuali discussioni, e mi potrà di capitare di scrivere qualcosa, come sto facendo oggi, ma non aggiungerò niente di nuovo.
Riprenderemo dopo la Befana, anzi riprenderà Claude che ha offerto di condividere la sua esperienza sulle questioni di sottotitolazione, traduzione e accessibilità dei video. Da lì ci verrà spontaneo gettare uno sguardo su cosa rappresentino oggi i diritti d’autore per tutti, non solo per gli “autori ufficiali”.
In ultimo, accoglierei il suggerimento di Laura di considerare il cloud computing e le faccende relative alla sicurezza dei dati contenuti nella “nuvola”.
Come sempre, tutto ciò non è definitivo, chi vuole affrontare qualche altro argomento può farsi avanti.
Tracce
Aggiungo qualche considerazione emersa nella parte finale della riunione di Giovedì scorso, che si è svolta nell’aula IUL, come hanno raccontato Elena e Samantha. Quell’epilogo estemporaneo ha preso un’ottima piega perché le persone hanno iniziato a chiedere – Ma io, per ricomporre le mie tracce, potrei fare questo o quello ? – Ah, certo!!!
Per dare un’idea a chi non era presente, sono venute fuori la proposta di fare dei file audio con la recitazione di proprie poesie e quella di mostrare delle attività utilizzando un telefono.
Queste sono ottime idee. Creazione di contenuti con metodi e tecniche diversi. Ognuno può raccontare le proprie, ognuno impara così dagli altri, ognuno può chiedere chiarimenti ad altri, ad ognuno rimarranno riferimenti che potranno essere utilizzati in futuro per ulteriori scambi.
Invito
Lo chiamo così perché la parola “compito” mi fa venire l’agitazione, e non rispecchia ciò che ho in mente.
Se nel comporre le vostre tracce, o nel preparare del materiale per una riunione online, vi servite di qualche strumento, servizio web, software o strumento di qualsiasi tipo, spiegate nel vostro “quaderno” come avete fatto ad utilizzarlo e, al tempo stesso, andate a curiosare nei quaderni degli altri, domandatevi, rispondetevi, senza alcun timore di non sembrare sufficientemente competenti, ma con lo spirito di darsi una mano nell’usare praticamente questi strumenti.
Le descrizioni e le eventuali susseguenti discussioni nei quaderni degli altri, rappresenteranno dei riferimenti che potrete all’occorrenza riprendere successivamente, dopo e al di fuori di questo (per)corso, riallacciando magari un dialogo proficuo.
Per me questo tipo di attività vale molto di più dell’esecuzione dei “compiti” che mi è capitato di assegnare …
Dei prossimi possibili passi, di vostre possibili idee, delle vostre presentazioni online
Io un’idea del percorso che potremmo seguire da ora alla fine ce l’ho, ma voi la potete cambiare. Chiedo quindi a tutti se vi fossero delle altre proposte alternative. In particolare: c’è qualcuno di voi che vorrebbe vedere affrontato un qualche argomento preciso? Qualche problema emerso nel proprio lavoro? Qualche desiderio? Se qualcuno di voi si fa avanti con qualche proposta potremmo provare ad affrontarla. Non è affatto detto che io sia adeguatamente preparato, vista la vastità delle possibilità, ma sono disposto a prepararmi in tempi utili. E l’approfondimento richiesto potrebbe venire da una partecipazione corale, potrebbe essere che qualcuno di voi, su quel certo argomento ne sappia più di me, o sia in grado di organizzarsi meglio di me. Poco importa, ci interessa piuttosto esercitarci ad affrontare nuovi problemi. Fa bene anche me, mi tengo in allenamento 😉
Detto questo, accenno a due o tre punti che potremmo toccare,
Partirei con delle considerazioni su alcune caratteristiche dei video in Youtube, molto visti ma forse non abbastanza utilizzati nelle loro possibilità, specialmente didattiche.
Da qui potrebbe partire un approfondimento curato da Claude, su aspetti di sottotitolazione, traduzione e accessibilità dei materiali da parte di soggetti con vari tipi di disabilità. Può essere che Claude a sua volta coinvolga altre persone in questo, ma sarà lei a dire come e quando.
Dal tema della manipolazione dei video, potrebbe essere naturale scivolare su quello dei diritti di autore e sul nuovo ruolo, anzi novello ruolo, di fruitori-autori che le donne e gli uomini del XXI secolo hanno l’opportunità di assumere, dopo la deriva che ha caratterizzato il secolo passato, il secolo degli spettatori e dei consumatori. Le questioni inerenti ai diritti d’autore possono avere particolare rilievo nella preparazione dei materiali didattici per i propri studenti, per esempio.
Un altro tema potrebbe essere quello relativo alla protezione dei propri dati. Qualche accenno alle meraviglie della nuvola (the cloud), ma anche ai problemi inerenti all’affidamento di informazioni a terzi. Potremmo dare un’occhiata a qualche strumento di crittografazione. Porre la questione di cosa significhi mandare a giro per il mondo un’email. Cose del genere.
In ultimo vorrei citare le proposte di conduzione delle serate online, che è naturale riallacciare all’idea di accogliere eventuali vostre proposte: diciamo che le “vostre” serate sono intrinsecamente proposte alternative, perché i temi li decidete voi.
Per esempio Maurizia e Stefano hanno proposto di condurre una riunione un mercoledì di gennaio, e mi pare di ricordare (da un’email passata) che intendessero affrontare il tema dell’impiego cooperativo della LIM. Benissimo. Potrebbe succedere che altri avessero esperienze simili da raccontare. Nulla ci vieterebbe di approfondire.
La prossima riunione, come già sappiamo, sarà gestita domani da Elena e Samantha, e poi anche Marvi mi aveva scritto di voler partecipare.
Ecco, va bene, quello delle tracce chiamatelo pure compito, o microtesi, o come vi pare, ma vorrei fare la seguente esortazione. Anche se questa cosa la componete ciascuno per conto proprio, non limitatevi a recuperare ciascuno solo le proprie tracce, bensì tenete conto anche delle tracce degli altri, contestualizzate le vostre nell’insieme delle altre, appendetele ai punti di contatto che avete avuto fra di voi, ai commenti che vi siete scambiati sui post, ad eventuali contatti email, ad episodi occorsi durante le riunioni, che anche proprio per questo auspico siano condotte spesso da voi. E tenete in eguale stima le tracce dei cyberstudenti e gli eventuali incontri che avete avuto con loro. E se poi, a qualche cyberstudente piacesse scrivere anche le sue, nessuno si opporrebbe. Chissà che non ne emerga un qualcosa di unico, qualcosa al quale si possa apporre un involucro, un contenitore.
Ecco, un po’ da tutte le parti circola l’ossessione di creare contenitori immaginando i contenuti che vi potrebbero stare, ma poi, chissà come, ci ritroviamo con un mondo pieno di scatole vuote. La maggior parte dei progetti che ho conosciuto, in varie forme, per partecipazione diretta o indiretta, hanno prodotto un eccesso di scatole vuote, delle volte scandalosamente grosse e scandalosamente vuote. Leggendo la stampa economica e tecnologica, emergono da diversi anni i sintomi, spesso ben documentati, di una crisi del progetti, in special modo del grande progetto, della concezione medesima di progetto. L’uomo inizia a fare fatica a progettare, a causa della complessità del mondo globalizzato, oramai quasi tutto interconnesso, della complessità delle organizzazioni che vi debbono operare, della complessità dei sistemi che occorre immaginare. Apertura, trasparenza, condivisione, collaborazione fra pari, ecosistema, conoscenza generativa, relazioni a rete sono termini che una ventina – ma forse anche meno – di anni fa non ci saremmo aspettati di trovare in libri o giornali di economia. Non è che il “mondo stia diventando buono”, tutt’altro. Piuttosto, in quei settori dove i risultati delle decisioni e delle innovazioni si vedono presto, magari sotto forma di crudi indicatori di vendite di un nuovo prodotto, tanti operatori si sono accorti che ingredienti quali ambiguità, imprevedibilità, caos, in determinati contesti, magari anche limitati, e in dosi adeguate, possono fare la differenza. Sta emergendo in altre parole che il classico paradigma di progettazione e gestione basato esclusivamente su gerarchia e controllo mostra frequentemente di avere il fiato corto, e che è necessario immaginare approcci diversi, che non consistono in un rovesciamento del paradigma in una direzione per così dire anarchica, bensì nel suo arricchimento mediante una certa quantità di indeterminazione. Quanta? È molto difficile saperlo e fortemente dipendente dal contesto. Certo è che questa è una domanda che arrovella la mente di molti politici e strateghi ai massimi livelli. Un esempio per tutti le oscillazioni dell’amministrazione statunitense fra la difesa a spada tratta della libertà della rete, quale incubatore di innovazione e lubrificante della macchina economica (e forse nuovo strumento di colonizzazione), da un lato, e la repressione e il controllo quando la rete piccona malaffari governativi e nefandezze diplomatiche, come nel caso di Wikileaks. Certo è che chi ha azzeccato i luoghi e le dosi di iniezioni di caos, sono andati incontro a successi clamorosi, come quando l’IBM decise di cooperare con il mondo del software libero anziché di combatterlo.
A parte una varietà di casi clamorosi, in genere domina ancora la ritrosia ad accettare un certo grado di indecidibilità, seppur in misura limitata. E domina maggiormente laddove le conseguenze delle decisioni sono meno evidenti oppure sono destinate a palesarsi in ritardo. I tanti contenitori vuoti disseminati nin giro derivano quasi tutti dall’incapacità di sapersi adattare al mondo, alla sua intrinseca nebulosità, caoticità, varietà, ricchezza, dinamicità, dall’incapacità di fermarsi e mettersi in ascolto. Spesso, la questione non è versare in un contenitore preconfezionato un po’ di mondo, il quale magari non ci si adatta, spiffera fuori, lo infradicia, lo sfonda, o addirittura ci scivola sopra perché quel contenitore non corrisponde niente di reale! La questione invece può esser quella di individuare una parte di mondo, nutrirla senza perturbarla troppo, intervenendo con parsimonia e prudenza, aspettare quanto basta, e poi eventualmente accorgersi che il contenitore si è formato da sé, sotto forma di pelle, cresciuta spontaneamente e adeguatamente, a partire da forze endogene.
E sfortunatamente, ma forse abbastanza comprensibilmente, il sistema dell’istruzione, che tale è di fatto, praticamente ovunque, non formazione ma istruzione, ebbene tale sistema è proprio uno di quelli più impermeabili all’introduzione di pur minime dosi di indeterminazione. Eppure la materia prima delle scuole di ogni ordine e grado è la più viva che si possa immaginare, nell’universo a noi noto, trattandosi di esseri umani all’inizio della loro vita. Ciò nonostante, l’inerzia è smisurata, forse perché gli effetti sono difficilissimi da valutare, attuandosi vari decenni più tardi, più o meno una generazione, venti o trent’anni dopo.
E questo spiega l’enorme prevalenza di pensiero lineare, rigidamente causale, se non banalmente dicotomico, dove tutto viene ridotto a giusto o sbagliato. Una prevalenza che genera pensiero statico, o poco pensiero. Molta riproduzione e poca creazione. Molta inerzia e poco adattamento. E il mondo per ora si limita a bussare, anche se sempre più forte. Probabilmente è tardi ma sarebbe bene darsi da fare prima che sfondi la porta tout court. Meglio farsi sorprendere attivi piuttosto che cascare dalla nuvole.
Siamo a metà del percorso, più o meno. Emerge, ricorrentemente il meta-discorso: come stiamo procedendo? Le contrapposizioni fioriscono, ordine, disordine, lineare, reticolare … è chiaro che non stiamo procedendo in fila indiana, tutti dietro al conduttore, ma dovrebbe iniziare anche a essere chiaro che non domina il caos, come sarebbe se, partendo tutti da uno stesso luogo, ognuno andasse in una propria direzione, finendo ciascuno col perder di vista tutti gli altri. Non domina il caos perché una direzione c’è, la si sente, credo, e questo è testimoniato dal fatto che le persone ogni tanto si ritrovano, si incontrano, si scambiano opinioni, talvolta si danno una mano. Non è quindi un andare ognuno da una sua parte, indipendentemente dagli altri, bensì è un andare grosso modo insieme. Questo non è caos. Direi piuttosto che questo è un andamento piuttosto naturale, dove si procede sì in una direzione ma con una certa dose di caoticità, e quindi con possibili rallentamenti, passi indietro, pause, accelerazioni improvvise, deviazioni, forse anche eventuali correzioni della meta finale. Chi procede più spedito e chi nicchia, chi ora corre avanti e poi si attarda. Questo è un andamento abbastanza naturale in quanto risultante delle azioni di tutti i partecipanti. Certo, per tutor e insegnanti il ruolo di conduttori è predeterminato, e possono naturalmente esercitare un forza predominante, ma non è un ruolo esclusivo, che invece può essere assunto temporaneamente, in circostanze varie e in varia misura, da qualsiasi partecipante. La molteplicità degli incontri, degli scambi, delle relazioni, la condivisione di un insieme di metodi e di strumenti comuni, l’aspirazione ad un obiettivo generale comune, sono fattori che generano qualcosa di nuovo e vitale, anche se effimero e fragile: una comunità, più precisamente una comunità di pratica. Ripeto, magari giusto una fiammella fugace, ma pur sempre vitale. Le comunità, si sa, sono una cosa molto naturale e mentre producono degli effetti sui loro membri, sono al tempo stesso alimentate e modulate dalle azioni di questi ultimi. Le comunità funzionano, vale a dire riescono ad esistere, se i loro membri sono attivi e in una certa misura autonomi. Da qui la necessità di garantire una congrua dose di caoticità. La caoticità sembrerebbe controproducente in un contesto scolastico o accademico, per come questo è stato vissuto dalla maggior parte di noi, perché quindi accettarla? Ma perché siamo tutti diversi, perché partiamo tutti da un punto diverso, abbiamo esigenze magari simili ma non eguali, e perché tutti devono arrivare a un punto in qualche misura diverso dagli altri, anche se all’interno di un obiettivo generale comune. Un certo grado di autonomia e la libertà di aggiustare in una certa misura il proprio percorso sono fattori che migliorano le probabilità di rendere più significativa la partecipazione di ciascuno in relazione alle proprie esigenze.
Non siamo però su Marte, e la blogoclasse deve infine riquadrarsi in una classe, perché io potrei anche andarmene fischiettando e girando il bastoncino alla Charlot, ma gli studenti (che hanno pagato) devono ritrovarsi un numerino su un libretto.
L’idea sarebbe quindi che ciascuno scriva una sorta di diario che documenti il proprio percorso, includendo le cose fatte ma anche difficoltà, perplessità, scoramenti, entusiasmi, proposte, e tutto questo in piena libertà, anche per quanto concerne i mezzi. Quindi può essere un testo, con link ad eventuali altre risorse, ma anche un video, o un finto video fatto solo di audio, o un audio. O una combinazione di queste cose. Il materiale così prodotto alla fine dovrà essere caricato nell’apposito spazio della piattaforma IUL, affinché le tracce siano disponibili all’interno dell’ambiente IUL. La cosa veramente interessante sarebbe che ciascuno sviluppasse tutti i nessi possibili fra le cose vissute nel (per)corso e il proprio lavoro, magari espandendo, andando fuori tema, magari prospettando nuove possibili escursioni che non non abbiamo potuto fare o che non ci sono venute in mente.
Coloro che preferiscono ravvisare categorie note, possono pensare a una sorta di microtesi (micro eh …). Poiché il sistema ci impone di fare comunque un esame alla fine, ma come vi ho già detto e come dissi alla conferenza alla IUL, io NON farò domande dirette essendo disinteressato al giochino delle risposte giuste-sbagliate, quelle microtesi potranno costituire un’ottima base per intavolare una discussione interessante e personalizzata, che renda l’esame un episodio magari addirittura gradevole, una conversazione fra persone appassionate del loro lavoro.
P.S. Mi trovo nuovamente ramingo e erraticamente connesso per due o tre giorni. Cercherò di essere reattivo ma potrà succedermi di perdere qualche colpo.
… continuando a intrecciare fili diversi e acquisendo qualche molto sana abitudine. Piccoli hacker crescono.
A sinistra: italian.xml; a destra: english.xml; sopra: prime 20 righe; sotto: ultime 20 righe.
Eravamo rimasti qui. Ho riportato qui sopra una composizione grafica che mette a confronto l’inizio e la fine dei due file, anche se auspico che abbiate fatto l’esercizio nel post precedente, scaricando e installando l’editore di testo per frugare in questi file. Se cliccate sulla figura ne potete vedere una versione più nitida. In questa composizione, per facilitare il confronto, ho eliminato l’intestazione con le informazioni sull’autore della traduzione, nel file italian.xml, che tuttavia ho riportato in fondo.
Un inciso prima di tutto, sul tema degli editor di testo possenti. Ho fatto questa composizione con Vim, l’editore di testo integrato nei sistemi Linux e anche Mac OSX. Vim, è nipote di vi, editore di testo integrato nei sistemi operativi Unix (di cui Linux è una versione) praticamente da sempre: è stato scritto per la prima volta nel 1976. In questa composizione si possono scorgere alcune potenzialità: la suddivisione dello schermo in sezioni con parti diverse di stessi file o diversi file (a me serviva in quadranti ma si possono aggiustare come si vuole), l’evidenziazione sintattica, i numeri di riga (naturalmente si possono togliere se si vuole). Nel preparare questa figura mi sono tornate utili altre possibilità. Per esempio la regolazione della tabulatura (gli spazi lunghi) che avevo trovato troppo ampia perché le singole righe potessero rientrare nello spazio di un quadrante; con un solo comando ho portato la tabulatura da 8 spazi ad 1. Oppure la possibilità di cancellare rettangoli di testo anziché singoli caratteri o righe; questo è servito a sbarazzarmi di spazi disseminati qua e là che ingarbugliavano l’ordine dei rientri (indenting), che sono molto utili per orientarsi nei codici basati su costrutti del tipo <tag>…</tag>, nidificati gli uni negli altri.
Questo inciso non rappresenta un’esortazione a usare attrezzi del genere, ma solo a dare un’idea che per lavori di editing di testo (compresi i codici di embedding di figure o video o altro, che sempre di testo son fatti) ci sono degli strumenti appositi, che sono liberamente disponibili per tutti. Potrei dire che sono intrinseci a Internet. Se uno sa che esistono, il giorno che ne sentisse il bisogno, potrà iniziare ad usarli.
E ora guardiamo questi file e prima di porci domande precise sulla loro struttura, interroghiamoci sulla loro finalità. Ebbene, in questo semplice esempio è chiaro che i file english.xml e italian.xml, servono a contenere e trasmettere un certo tipo di informazione con una certa struttura. Sono facili da capire, con un minimo di abitudine alle cose informatiche, ed è abbastanza comprensibile che chiunque conosca un po’ l’inglese, partendo da english.xml non trovi grande difficoltà a confezionare un file analogo per un’altra lingua che sia di sua conoscenza. Come dire che il file in XML si spiega da sé. Ecco questi sono i fatti fondamentali: il codice XML è il veicolo che trasporta informazione strutturata in Internet in modo che possa essere decodificata da chiunque. Questo non significa che sia facile da leggere. Ci sono documenti XML assai intricati. Significa invece che all’occorrenza sia possibile recuperare tutta l’informazione contenuta in un documento XML senza ostacoli di sorta al di là di un certo impegno e un certo lavoro.
Riassumiamo, XML …
è un codice di markup simile a HTML
ma serve a trasportare informazione, non a mostrarla
come HTML è basato sul’impiego dei tag, ma anziché essere predefiniti e fissi questi vengono creati per ciascuna tipologia di documento
è concepito per essere autodescrittivo
Mentre HTML, o meglio i browser che sono gli strumenti che interpretano le pagine scritte in HTML, perdonano le sbavature sintattiche …
<html>
<head>
<title>Questo è HTML poco buono</title>
<body>
<h1>HTML poco buono
<p>Questo potrebbe essere un paragrafo
<p>ma vedete che dimentico di chiudere quasi tutti i tag?
<p>i browser perdonano ma non è una buon pratica ...
</body>
… con il codice XML la sintassi deve essere rispettata rigorosamente, sintassi peraltro semplice; ecco le regole, che scrivo perché sono singolarmente poche:
i documenti devono avere un elemento radice che contiene tutti gli altri
tutti gli elementi devono avere un tag di chiusura, tipo
<tag>...</tag>
minuscole e maiuscole fanno differenza, per esempio
i valori di eventuali attributi degli elementi devono essere specificati fra virgolette:
<tag un_attributo="suo_valore"></tag>
Quando un documento XML soddisfa queste semplici regole allora si dice che è ben formato e questo è un fatto obbligatorio.
Un documento XML può essere, oltre che ben formato, anche valido. Questo significa che il documento si attiene ad un insieme di regole, predeterminato per una data tipologia. Le regole descrivono i suoi elementi, medianti i relativi tag e eventuali attributi, e anche le relazioni che possono esistere fra di essi. Per esempio le relazioni di nidificazione: certi tag figli possono stare solo dentro a certi altri tag genitori. I modi con i quali tali insiemi di regole possono essere specificati, sono vari e abbastanza ingarbugliati, a causa dell’evoluzione impetuosa dello standard. Non è utile qui disperdersi in dettagli del genere. Ci basti sapere che, pur nelle varie modalità, la specifica delle regole per un certo tipo di documenti viene reperita in qualche luogo della rete.
Per dare sostanza a queste parole vediamo un tipico esempio di informazione codificata in XML, prendendo l’esempio dei feed che ormai ben conoscete. Voi già sapete che i feed sono “bocconi” di informazione che i siti web offrono affinché possano essere trasportati negli aggregatori di feed, i quali consentono così di seguire le novità pubblicate in quei siti. Ebbene, ho estratto l’ultimo feed dei post del mio blog e l’ho ripulito di tutte le informazioni inutili per una comprensione immediata del frammento di codice:
<?xml version="1.0" encoding="UTF-8"?>
<rss version="2.0"
xmlns:content="http://purl.org/rss/1.0/modules/content/"
xmlns:wfw="http://wellformedweb.org/CommentAPI/"
xmlns:dc="http://purl.org/dc/elements/1.1/"
xmlns:atom="http://www.w3.org/2005/Atom"
>
<channel>
<title>Insegnare Apprendere Mutare</title>
<atom:link href="https://iamarf.org/feed/" rel="self" type="application/rss+xml" />
<link>http://iamarf.org</link>
<description>
yearning for a society where knowledge and learning are public goods,
available to everybody without any constraint of social or financial nature
</description>
<lastBuildDate>Sun, 18 Dec 2011 13:57:48 +0000</lastBuildDate>
<item>
<title>Codice Forma Contenuto</title>
<link>https://iamarf.org/2011/12/17/codice-forma-contenuto/</link>
<description>
<![CDATA[Dove si intrecciano fili diversi e si acquisisce
qualche molto sana abitudine. Piccoli hacker crescono.
Non finisce qui &#8230; Vi ricordate il video postato da Marvi?]]>
</description>
</item>
<item>
...
</item>
<item>
...
</item>
</channel>
</rss>
Così ripulito e semplificato non dovreste avere difficoltà a “leggere” questo codice. Aggiungo solo qualche breve commento.
Il primo tag, <xml>, ha due attributi che specificano la versione usata per il codice XML e il tipo di codifica, UTF-8, e voi sapete già cosa significhi questo.
Gli attributi del secondo tag, <rss>, specificano la versione dello standard RSS, ed anche una serie di indirizzi nei quali si trovano le regole che servono per questo tipo di documenti, quelle che dicevamo prima. Ne ho lasciati solo alcuni, per semplicità. Questo metodo si basa sui cosiddetti xmlns, xml namespaces, ma non ci serve sapere altro a riguardo.
Come vedete, il tag <rss>, è padre del tag <channel>, che a sua volta è padre degli altri che vediamo. Il tag <channel>, specifica l’emittente, in questo caso il mio blog. Tralascio poi le cose evidenti per arrivare al primo elemento item, che contiene il feed vero e proprio di un singolo post. Ho lasciato solo le cose essenziali ma sono più che sufficienti. Per esempio queste sono le uniche cose che uso nell’aggregatore di feed che mi sono costruito. Anche dentro al primo item vedete tutte cose facilmente riconoscibili. I feed successivi li ho eliminati perché non ci dicono nulla di più.
Come vedete, non ci sono tanti misteri. Ora sappiamo compiutamente cosa è un feed: una manciata di informazioni essenziali relative ad un frammento di contenuto, che potrebbe essere un post di un blog, un commento a un post, un articolo di giornale online, un podcast – uh … – frammento che è codificato in XML in armonia con un adeguato insieme di regole.
Il cosiddetto web 2.0 è un sistema dinamico sostenuto dalla fluida circolazione di frammenti di informazione codificata in XML. I feed sono solo un esempio. Abbiamo visto che i gestori di Notepad++ usano file in XML per gestire le traduzioni del loro editore. I file OPML che conoscete, sono codificati in XML. Tutte le volte che esportate dati da un sito web, da un blog, da un wiki o da qualche tipo di social network, questi saranno espressi in file codificati in XML. Anche i vostri blog, sì.
L’esportazione di un blog può essere utilizzata per trasferire i contenuti in un altro blog, anche di un altro gestore. Per esempio questo blog che state leggendo, lo creai in blogspot, nella prima versione, poi dopo un paio d’anni decisi di passare tutto in wordpress. Ebbene, l’operazione è consistita nell’esportare i contenuti dal vecchio blog in blogspot, creare un nuovo blog in wordpress e poi importarci il file scaricato da blogspot. Tutto questo è stato possibile perché il file è scritto in XML con delle regole che tutti i blog capiscono. Ah, mi viene ora in mente, che quel vecchio blog esiste ancora, lo rendo nuovamente pubblico per qualche tempo, con l’occasione, eccolo qua!
Nella blogoclasse è stato menzionato alcune volte il fatto che la piattaforma splinder è moritura. Ebbene, i possessori di blog in quella piattaforma potranno migrare verso altri sistemi utilizzando un meccanismo del genere.
Non c’è molto altro da dire su questo, forse, se non che potremmo costruirci un “compito” 😉 che potrebbe essere il seguente: cercate come si fa ad esportare il vostro blog, wordpress o blogspot che sia. Consultatevi fra voi, via blogoclasse, chi lo sa già fare può scrivere consigli in un post, per esempio. Aprite poi con Notepad++ (Gedit per chi ha Linux, TextWrangler per chi ha Mac, o editori similari) il file XML che contiene l’esportazione del vostro blog. Poi fate uno screenshot dell’inizio del vostro file aperto in Notepad++ e pubblicatelo nel vostro blog. C’è il beneficio collaterale che così imparate a salvare i vostri testi, post e commenti compresi.
Ultima avvertenza: le opzioni Importa blog, Esporta blog, Elimina blog sono vicine: occhio a selezionare Esporta blog!
Autore traduzione in italiano di Notepad++
Italian translation for Notepad++ 5.9.6.1
Last modified Tue, November 7th, 2011 12:00 GMT by Luca Leonardi.
Please e-mail errors, suggestions etc. to ices_eyes(at)users.sourceforge.net.