Hardware e software, strumenti di pensiero e libertà – Castel del Piano – #linf14

Ieri (sabato 30) ho partecipato a un incontro di formazione a Castel del Piano. Sotto riporto in forma schematica quello che ho inteso dire. Mi rendo conto che è un racconto che lascia un po’ assetati ma per il momento è un argomento che preferisco approfondire vis-vis, quando capitano le occasioni, come questa di cui stiamo dicendo.

Prima voglio dire che sono stati molto interessanti i contributi dei compagni di parola: eBook di Angela Iaciofano, mondi virtuali di Gianni Panconesi, LIM di Sauro Baci, il tutto riferito a contesti didattici. Ho imparato diverse cose. Ringrazio loro, Patrizia Matini, Dirigente dell’Istituto Comprensivo Vannini Lazzaretti che mi ha offerto quest’occasione, Nicoletta Farmeschi e Antonella Coppi che vegliano su tutto.

Preparativi incontro di formazione nel Palazzo Nerucci di Castel del Piano
Preparando i balocchi… (foto di Iangela Iaciofano)

E bisogna anche dire che lavorare in un ambiente così suggestivo come il Palazzo Nerucci è davvero bello. Si deve ringraziare Fiora Imberciadori per questo.

Ora la sintesi del discorso fatto a Castel del Piano


Cercando di collegare passato e futuro
Cercando di collegare passato e futuro (foto di Nicoletta Farmeschi)

La cultura umana si sviluppa sul substrato di un insieme di linguaggi e strumenti universali, ad esempio lingue naturali e linguaggio matematico fra i primi, carta e penna fra i secondi. Compito primario della scuola è aiutare a comprendere e utilizzare questi linguaggi universali.

Universali perché possono essere appresi da chiunque lo voglia. Il limite è determinato dagli obiettivi che mi pongo, dalla mia volontà, non da fattori esterni. Se voglio imparare il finlandese lo posso fare, non devo chiedere il permesso a qualcuno.

Di fronte a un foglio di carta con una penna in mano, la mia libertà di espressione è totale: un pensiero, un disegno, una poesia. Piego il foglio, lo metto in una busta e lo spedisco a un amico. Lui potrà capire perché il messaggio è espresso in un linguaggio universale. Il tipo di carta, la marca, il mezzo usato per tracciarvi i simboli possono connotare il messaggio, in qualche maniera, ma non possono impedirne l’intelligibilità: l’amico non deve pagare i diritti di uso di quel tipo di carta per poter accedere al messaggio.

Oggi, con le nuove tecnologie non è più così, non per motivi tecnici ma per motivi economici. In realtà la tecnologia dispone di linguaggi e strumenti universali che possono essere usati per esprimersi, creare e comunicare ma i più non ne percepiscono l’esistenza, intrappolati in una sorta di gigantesco supermercato, dove si può avere quasi tutto, non da conquistare con impegno e fatica ma da comprare. Tutto si riduce alla disponibilità delle “risorse” per “avere” il prodotto finito – la soluzione. Un mondo tecnologico ma del quale i più abitano lo strato esterno, la buccia, tanto estesa ma tanto sottile.

Non demonizzo l’economia in sé. Anche il libro di grammatica per studiare il finlandese ha un costo ed è giusto che lo paghi per remunerare coloro che hanno creato e prodotto il libro. Ma una volta pagato il giusto prezzo la questione sta tutta fra me e il finlandese: arriverò dove potrò, quando lo vorrò, per tutta la vita, in piena libertà. E quando non avrò più bisogno della grammatica sarò libero di regalarla a un amico.

Denuncio invece il limite che un numero crescente di tecnologie pongono alla mia libertà di espressione e di comunicazione.

Cerco quindi di sbucciare questo corpo tecnologico, quel tanto che basta per scorgere, subito sotto, i linguaggi e gli strumenti che ne costituiscono l’essenza – linguaggi e strumenti universali. Non lo faccio parlando direttamente di questa o quella tecnologia ma narrando alcune storie di donne e uomini. Storie di minoranze, di persone che ad un certo punto della loro vita hanno rifiutato un’offerta che a tutti sarebbe parso impossibile rifiutare, di persone che non si sono limitate al loro ambito disciplinare e che non si sono limitate a ciò che erano tenute a fare.

Emerge così la dimensione etica – seconda parola chiave di questa esposizione, dopo i linguaggi universali. Una dimensione che si intreccia con quella del profitto in ambiti inaspettati. Non si narra la storia di un mondo che sta diventando buono – sarebbe una bugia – ma la storia di un mondo che sta diventano sempre più complesso – complessità, la terza parola chiave?

Focalizzo l’attenzione su etica e complessità. Faccio esempi significativi nell’ambito scolastico. Enuncio una tesi sgradevole che riporto qui in forma sintetica: riempiendo di congegni alla moda le classi si educano consumatori – carne da macello – anche se si tratta di congegni conditi in saporite salse didattiche.

Suggerisco di volata qualche alternativa. Ce ne sono diverse, buone per tutti i contesti, costano poco e tutte riconducono ai linguaggi universali, o comunque graffiano la buccia delle “interfacce accattivanti”. Sono più faticose: per essere approfondite richiedono più studio e un approccio più artigianale: per la formazione meno convegni e più laboratori, per l’applicazione meno aule scolastiche e più laboratori.

Lo spirito del discorso non è poi tanto diverso da quello che ispirava Don Milani quando insegnava a leggere i giornali: non tanto acquisire le competenze per seguire il giornale di non importa quale parte quanto mettersi in grado di capire quello che ogni giornale non dice.

21 pensieri riguardo “Hardware e software, strumenti di pensiero e libertà – Castel del Piano – #linf14”

  1. Ciao, Andreas!
    Come al solito gli argomenti che affronti sono utili a largo raggio e dunque anche per la scuola…
    Se permetti, prendo questo tuo intervento così significativo e me lo porto nel mio diario FB in modo che colleghi e amici possano leggerlo e a loro volta diffonderlo.
    Anche l’intervento e i riferimenti di Claude sono preziosi e andrò con più calma a focalizzare le sue segnalazioni…
    Tra qualche giorno sarò alle prese con gli esami di maturità, quindi devo rimandare a tempi migliori tutti i miei proponimenti…
    Buon lavoro, Andreas!

  2. Mi capita in questo periodo di iniziare a collaborare con alcuni docenti che improntano il loro modo di insegnare secondo i principi dell’educazione attiva e che, approcciando il tema delle nuove tecnologie nell’educazione, riportano proprio le preoccupazioni sui temi chi tu accenni : 1. il problema “economico” di dover utilizzare certi mezzi e certi programmi pensati e venduti da qualche produttore e 2. la mancanza dell’approccio laboratoriale attivo nell’utilizzo di queste tecnologie preconfezionate. Inoltre riportano con preoccupazione che “l’interfaccia accattivante” di questi mezzi “patinati” attira e incanta i ragazzi come un pifferaio magico ma alla fine invece di attivare il loro cervello e i loro interessi li rende dipendenti.
    Tu dici che la risposta può essere “sbucciare questo corpo tecnologico, quel tanto che basta per scorgere, subito sotto, i linguaggi e gli strumenti che ne costituiscono l’essenza – linguaggi e strumenti universali” e mi trovo perfettamente d’accordo con te! E’ quello che si deve fare. Far venire allo scoperto quei linguaggi e quegli strumenti universali che poi permettono un uso consapevole, attivo e creativo delle tecnologie. Non è facile ma questa difficoltà va affrontata, soprattutto nelle scuole. E si deve cominciare da noi adulti, insegnanti e genitori. Rigiro questo tuo post alle persone con cui collaboro e avrei molto piacere che tu potessi approfondire questi argomenti vis-vis con loro quando ce ne sarà l’occasione.

  3. Sarebbe davvero interessante approfondire il tema dell’hardware e del software visti come strumenti di pensiero e libertà ed insieme sperimentare quell'”approccio artigianale”, che può aiutarci a graffiare la buccia delle “interfacce accattivanti”.

  4. Sì, l’apparato educativo è chiamato in causa, prima di tutto per un suo compito eminentemente etico, che è quello di educare al senso critico, sviluppando riflessioni di secondo livello, utili ad inquadrare il problema della complessità socioculturale nell’ottica dell’uguaglianza e della condivisione.

    1. Ciao Immacolata,

      Quel che scrivi mi ha fatto pensare a una discussione in corso sul Modern Web Accessibility Forum, su come rendere accessibile a tutti, ciechi inclusi, un corso online di storia dell’arte (1), in particolare la valutazione, che consiste in parte nell’identificare l’autore, la data e lo stile di un’opera di cui si dà l’immagine.

      L’iniziatrice della discussione fa notare che perché quelle domande siano accessibili a tutti, le immagini delle domande vanno munite di una descrizione alternativa testuale (attributo alt o descrizione lunga collegata), e quella già darebbe la risposta.

      Arrivano risposte tecniche su software che traducono immagini in qualcosa di audio e di tattile. Sì, però quelli sono concepiti per la geometria, la geografia, cose con contorni chiari, mica. per quadri pointillisti di Seurat, ad esempio, mi dico.

      Soprattutto mi disturba la tipologia dell’esame. Non ho fatto storia dell’arte all’università, ma so che i compagni che la studiavano trovavano già esami del genere sommamente cretini, quasi 50 anni fa.

      Perciò faccio notare che oggigiorno, puoi scaricare l’immagine e ricaricarla in Google Images, che ti sputa fuori tutte le informazioni necessarie per rispondere, che tu sii cieco o meno. E faccio l’esempio di http://www.fineartmom.com/wp-content/uploads/2014/05/Georges-Seurat.jpg un cagnolino a puntini, di Seurat, appunto, che ricaricato in Google Images produce info più che sufficienti per rispondere a domande del genere nei primi due risultati. Quindi sarebbe meglio ripensare l’insegnamento e la valutazione in funzione degli strumenti disponibili a tutti coloro che hanno una connessione.

      Risposta dell’iniziatrice: bisognerebbe imporre l’uso di LockDown Browser per impedire quel tipo di barare, bloccando tutta una serie di funzioni del computer. Cioè lei chiama “barare” l’uso di qualcosa che oggi fa parte dello strumentario normale di chiunque abbia una connessione, e in particolare degli studiosi dell’arte?? Inoltre i requisiti tecnici di quel LockDown browser escludono chi usa un computer con sistema operativo GNU-Linux. Oltre al fatto che anche se quel costoso Browser LockDown blocca un sacco di cose, è sempre possibile fotografare l’immagine della domanda con un telefonino e farvi la stessa ricerca.

      Cioè è bellissimo che ci sia quel corso online di storia dell’arte, e che si cerchi di renderlo accessibile anche agli studenti ciechi. 50 anni fa questo non sarebbe stato possibile. Però se la riflessione su quell’accessibilità si limita a soluzioni puramente tecniche, senza un ripensare l’impostazione in funzione di quel che si può effettivamente fare oggi, si ricade in una didattica puramente nozionale, molto antiquata.

      (1) Quel forum è chiuso, però per chi, come Andreas, vi è iscritto, l’URL della discussione è https://www.linkedin.com/grp/post/1605077-6007985695287697408 .

      1. In più breve e meno tangenziale: sulla dimensione etica e il linguaggio, vedi https://www.academia.edu/9792417/Minding_Our_Language_-_why_education_and_technology_is_full_of_bullshit_…_and_what_might_be_done_about_it di Neil Selwyn, 2015. Un po’ più vecchio ma in italiano e sulla stessa linea, sempre di Selwyn: “I Social Media nell’educazione formale e informale tra potenzialità e realtà. ” (2012) http://www.tdjournal.itd.cnr.it/files/pdfarticles/PDF55/Neil_Selwyn.pdf .

        1. Grazie, Claude, per la tua documentatissima risposta. Con te, il dialogo, si arricchisce di echi e rimandi, divenendo suggestivo.
          La disabilità visiva, cui mi richiami, è un ambito, a me caro, che mi ha affascinata moltissimo e a cui ho dedicato alcuni anni della mia ricerca didattica; anni che si legano ad una bella esperienza, purtroppo conclusasi (http://www.educationduepuntozero.it/community/robotica-creativa-disabilita-visiva-4038868524.shtml; http://www.educationduepuntozero.it/racconti-ed-esperienze/robotica-creativa-schema-corporeo-spazialita-strategie-una-didattica-non-vedenti-4050331470.shtml; http://www.educationduepuntozero.it/community/raccontare-braille-4051347550.shtml).
          Ti ringrazio infinitamente per gli spunti di riflessione che mi hai offerto e che approfondirò.

          1. Col senno di poi: i partecipanti al corso Coursera “Miracles of Human Language”, prima che sia concluso, hanno lanciato una bella iniziativa: il Global Independent Student Journal (GIS). Vedi https://sites.google.com/site/globalindependentstudent/home e più in particolare, la pagina Submission Guidelines.

            Aspetti interessanti:

            – “studente” è inteso nel senso lato di chi ha voglia di apprendere
            – si può scrivere nella propria lingua, fornendo una traduzione inglese
            – la pubblicazione avverrà sotto licenza libera https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

            Lieve modifica rispetto a “In addition, the articles will be accessible for free public view in files at this website”: negli ultimi giorni si è discusso di metterli invece in post di un blog multi-autori WordPress.com, e di includervi anche gli articoli non ritenuti per la pubblicazione cartacea dove purtroppo lo spazio è limitato. E di consentire l’aggiunta di video e altri elementi multimediali nella versione blog.

            Chiaro che appunto, chiunque risponda alla definizione di studente di cui sopra può unirsi al progetto. Ma Ilaria, mi chiedevo se in particolare ti andrebbe o di fare un pezzo tradizionale sulla scuola in ospedale, o su un’attività particolare (robotica creativa, narrazione Braille…), oppure se ti andasse, potremmo fare un intervista audio o video, anche asincrona, con domande che ti spedirei in anticipo. Poi la potremmo mettere online e sottotitolarla per ottenere una trascrizione da cui trarre l’articolo. Se ti interessa, la mia mail è claude.almansi@gmail.com .

      2. È veramente interessante questa riflessione. Sbaglio o li hai congelati in quella discussione? 😀 Da tre giorni, dopo che hai proposto di mettere sotto naftalina domande che erano pedagogicamente obsolete mezzo secolo fa 😀 se ho capito bene…

        Mi sono divertito subito a dare in pasto a Google Image il cagnolino di Seurat: è vero, lo digerisce perfettamente! Non sapevo che Google Image fosse così efficiente!

        Vedete studenti IUL? Certo, anch’io sono uno che studia tanto individualmente – credo anche Claude – come voi, ma una buona frequentazione della rete, condita di molta cura e lavoro perseverante, alla fine dà frutti preziosi: Claude che ci apre finestre del genere è un esempio!

        È anche un po’ questo ciò che cerchiamo di imparare insieme: unire utilmente il vecchio e il nuovo.

        1. Mi trovo concorde e credo che in queste stimolanti discussioni si ritrovi un po’ quel clima di condivisione immaginativa e creativa che Lei, Professore, ha cercato di farci rivivere quando ci ha parlato degli albori dell’Informatica (ambiente degli Hacker).

        2. Non ricordo esattamente la cronologia tra la discussione LinkedIn e qui 😀 . Ma la parola “cheat”, barare, per descrivere un uso normale di uno strumento a disposizione di tutti o quasi mi aveva fatto risalire ricordi di pratiche valutative che speravo ormai seppellite. Purtroppo stanno tornando più vivaci che mai – come i prioni della mucca pazza.

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