L’artigiano tecnologico – #linf12

Si diceva di tecnologia e artigianato in un post precedente. Una riflessione stimolata da un post di Sandra e poi ripresa da altri, fra cui Lisa, il cui commento offre diversi spunti. Prendiamo le mosse dai “punti fermi” di Lisa.

Non confondiamo il progresso tecnologico e informatico con l’uso dei video games (wind, psp, xbox… e tutto quello che i ragazzini usano oggigiorno) o esclusivamente dei social network

Certo. Tuttavia anche tenendo ferma questa distinzione assolutamente doverosa, se approfondiamo un po’, si apre un mondo. Distinzione doverosa perché sfortunatamente i giovani sono forse molto “gestiti” ma in molti aspetti della loro vita sono di fatto abbandonati a loro stessi. Non è questione di controllo ma di presenza, magari discreta, magari giocosa, ma presenza, consapevole.

Quello dei videogiochi è uno dei temi caldi della formazione. Molti attori sul mercato delle metodologie e delle tecnologie didattiche stanno immaginando e sperimentando videogiochi didattici, partendo dall’osservazione che in certi videogiochi i ragazzi sfoderano livelli di attenzione e apprendimento che difficilmente si riescono ad ottenere nei contesti scolastici convenzionali. Già Seymour Papert, celebre creatore del linguaggio-gioco Logo, metteva in evidenza la grande differenza che c’è fra l’apprendimento guidato dalla curiosità e quello imposto [1], un’osservazione che inizia ad essere consistentemente avvalorata dalle acquisizioni più recenti nel campo delle neuroscienze [2] e da tanti studi pertinenti all’argomento. Mi viene in mente un articolo apparso su Scientific American che avevo rilanciato recentemente in Twitter (cliccare sul link nel tweet per accedere all’articolo):

Oppure l’ultima tesi IUL di cui sono stato correlatore, dove una vostra collega aveva progettato un video gioco per l’apprendimento di concetti di fisica e di tecnologia internet, un lavoro che sta sviluppando nell’ambito di un progetto educativo del Cern, Cernland.

Da almeno un decennio università famose hanno intrapreso progetti volti ad approfondire l’intreccio fra apprendimento e videogioco. Non solo, vi è anche chi sviluppa videogiochi in grado di raccogliere feedback sui meccanismi di apprendimento dei partecipanti. Quindi il videogioco come strumento di formazione e allo stesso tempo come strumento di ricerca sull’apprendimento.

Naturalmente, tutto questo senza dimenticare quanto possa essere negativo abbandonare i ragazzi ad un uso sconsiderato di questi trastulli.

Anche l’argomento dei social network è suscettibile di essere approfondito. La percezione dominante è polarizzata da Facebook e l’impiego prevalentemente leggero che di questo viene fatto. Nel seguito proveremo ad esplorare insieme Twitter per apprezzare prospettive meno frivole.

– per ciascuna età si devono differenziare e calibrare le proposte e in questo tutta la psicologia con i diversi approcci ci aiuta. Un/a bambino/a di 5/8 anni non ha la struttura mentale per sostituire l’esplorazione e l’esperienza diretta con qualsiasi mezzo virtuale. Si rischia che confonda la realtà con la fantasia. A questo punto é a scuola che si gioca la sfida…rispettare tutti i passaggi necessari per far acquisire le basi (attraverso, appunto l’esperienza artigiana) e avviarli all’uso di quei mezzi che potranno un giorno facilitare le loro conoscenze.

Infatti io credo che non siano tanto le tecnologie di cui dicevamo ad essere potenzialmente dannose, per se, ma l’assenza di un adeguato e preponderante contrappunto nella realtà. E anch’io penso che debba essere proprio la scuola a dare sostanza all’esplorazione, anche mediante pratiche artigianali e cooperative. Personalmente non ho grandi ricordi che non siano solo riconducibili a molta teoria avulsa da ogni contesto. Forse ora le cose sono cambiate? E sono cambiate sufficientemente? Voi lo sapete certamente meglio di me.

– essere artigiani non significa solo lavorare con le mani ma lavorare d’ingegno…

Mi viene in mente L’uomo artigiano di Sennet [3], dove per descrivere l’attualissima forma del programmatore di software libero (Sennet cita l’esempio di Linux) si richiama all’ideale di artigiano cantato nell’inno omerico di Efesto. Il coder, lo sviluppatore di software libero, come l’artigiano dell’antichità, svolge il suo lavoro in una condizione di stretta interdipendenza con la comunità di cui fa parte. Questa rappresenta il contesto nel quale la sua attività acquisisce un senso ed è sempre la comunità che svolge al tempo stesso la funzione di fondamentale catalizzatore del suo apprendimento.

Dove si colloca quindi il discrimine fra pratica artigiana e tecnologia, fra “vecchio” e “nuovo”? E non era forse tecnologia anche il torchio di Gutenberg? Quando è che gli artefatti che l’uomo ha congegnato per aumentare le proprie capacità divengono tecnologia?

Credo che Lisa abbia centrato il punto, spostando l’attenzione da tali dicotomie alla profondità dell’esperienza personale, alla minore o maggiore consapevolezza dell’individuo, quale che sia l’oggetto della sua attenzione:

Non credo quindi che sia colpa del progresso informatico se abbiamo una società omologata ma dell’uso inconsapevole che ne viene fatto.


[1] Papert, Seymour (1993) The children’s machine – Rethinking school in the age of the computer. New York: BasicsBooks.
[2] Medina, John (2010) Il cervello – Istruzioni per l’uso. Torino: Bollati Boringhieri.
[3] Sennet, Richard (2008) L’uomo artigiano. Milano: Feltrinelli.

9 pensieri riguardo “L’artigiano tecnologico – #linf12”

  1. Riflessioni interessanti! Si vaga da una all’altra, da un post all’altro! A volte ci si ferma, ma subito si incontra uno stimolo nuovo! Il tempo vola in quest’esperienza entusiasmante!

  2. Quanti stimoli da questi commenti ! 🙂 in effetti “tutto”sta proprio nel cercare di fare in modo che i nostri figli/alunni non usino in maniera errata i mezzi informatici ! Riallacciandomi a Luisa sta nell’ingegno usato come filtro e strumento di comprensione tra realtà e virtualità la chiave di risoluzione di tutte queste legittime paure .
    Al di là di questa premessa io mi trovo ad affrontare l’esperienza della classe vissuta in toto .. (dopo tanti anni di sostegno) e sarà il primo anno ma a me sembra che noi docenti possiamo abbastanza nelle ore di didattica ma poi c’è sempre da scontrarsi con situazioni difficili delle famiglie dove a volte c’è poca collaborazione e diventa tutto piu’complicato ! Ed inoltre dipende sempre tutto (come in ogni cosa della vita) dalle situazioni o dalle persone in cui ci si imbatte : genitori/colleghi/dirigente la riuscita completa parziale o scarsa di tanti sacrifici .In ogni caso so di poter essere compreso da molti se non tutti voi e quindi (anche se in ritardo ) spero con il passare del tempo di poter interagire e sostenerci sempre meglio in questi due percorsi paralleli : scuola/aggiornamento università iul !
    A risentirci .:)

  3. Caro prof., lei ha ragione a sottolineare come i ragazzi usino questi potenti mezzi informatici senza avere la maturità necessaria per comprenderne la portata e le potenzialità…e l’idea del richiamo all’ingegno come filtro e strumento di comprensione fra realtà e virtualità è una cosa necessaria e assolutamente urgente sia a scuola che a casa….si, a casa, dove i nostri ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo e dove i genitori non possono più essere latitanti e insufficienti demandando solo a questi strumenti-giocattolo la crescita dei loro rampolli…
    luisa.scotto

  4. Sì, Roberta hai ragione, quest’anno a Roma si è svolta la VI edizione del Global Junior Challege, un concorso internazionale che si rivolge a quelle scuole che usano in modo innovativo le tecnologie e ci sono stati due progetti improntati sulla robotica, premiati entrambi “Pinocchio 2.0” e “Robotica.. che passione” .
    Il primo progetto ha coinvolto la scuola dell’infanzia, il secondo la primaria, cmq parlando con le docenti, proprio questo emergeva, i bambini sono protagonisti dei loro progetti e fattivamente creano il “manufatto” robot e questo li porta ad avere competenze trasversali, quindi anche le altre materie ne beneficiano.
    Dovevi vedere l’entusiasmo e la semplicità con cui questi bambini spiegavano i loro progetti alla mostra.
    Se ti interessa guarda il sito http://www.gjc.it/2012/it
    Per quello che riguarda la calligrafia, dal mio punto di vista non va abbandonata, non perché il bambino deve scrivere bene, andiamo verso un mondo in cui i computer stanno sostituendo l’uso della scrittura, ma perché impostare un certo tipo di scrittura insegna al bambino ad orientarsi ed organizzare il suo spazio, quindi porta questa competenza specifica che a mio avviso è estremamente importante per quell’età.

  5. Mi sembra che la strada verso la quale dirigerci ci porti un po’ a quanto sta facendo il gruppo del prof. Cardaci.
    Da alcuni anni, l’Unità di ricerca in “Psicologia Sperimentale e Scienze Cognitive”, attiva presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Palermo, ha avviato numerose ricerche mirate all’esplorazione della robotica applicata all’apprendimento.In particolare, questi studi hanno evidenziato che l’interazione con i robot costruiti dagli alunni stessi, favorisce lo sviluppo di abilità visuo-costruttive e di ragionamento.
    Quindi gli alunni non saranno solo fruitori di applicazioni, ma svilupperanno quelle capacità che erano proprie dell’artigiano (costruire un oggetto in tutte le sue fasi di lavoro..saperlo modificare per migliorarne ne prestazioni).
    Ma a questo punto sorge una domanda:
    -come riprendere, come chiedeva il prof. di linguistica nelle sue dispense del modulo 1, l’insegnamento ad esempio della calligrafia che è stata totalmente abbandonata in questi anni e che secondo lui va rivalutata?
    A presto Roberta

  6. @ Lisa: sapessi quanto mi piacerebbe lavorare nella tua scuola! Pensa che avevo utilizzato le immagini delle vostre aule parecchi anni fa, per far progettare ai miei alunni di quinta, ora giovanotti e signorine, la loro aula ideale. Mi ricordo che erano rimasti molto colpiti! Ispirati dal progetto “senza zaino”, avevano realizzato delle aule quasi futuristiche, ma meravigliose! Pensa che un alunno, me lo ricordo ancora, aveva ipotizzato di costruire un pavimento di vetro per poter ammirare l’acquario sottostante 🙂

  7. a proposito della stessa citazione del Prof commentata da Flavia volevo riportare la mia esperienza per la quale nella mia attività didattica quotidiana mi ispiro al progetto “Senza zaino” (anche se il mio Istituto non aderisce ufficialmente alla rete…ebbene vi invito a visitare il sito per scoprire (se non lo conoscete già) il metodo sul quale si basa e i principi ispiratori, uno dei paragoni che il fondatore, Marco Orsi, continua a ripeterci durante gli aggiornamenti è proprio quello della classe come laboratorio artigiano dove devono essere privilegiate le esperienze dirette, il metodo della ricerca dove si opera per ipotesi e verifica delle stesse per poi accedere ai linguaggi simbolici approfittando tra l’altro anche delle nuove tecnologie come di tutte le opportunità che l’ambiente ci offre. Spero che atri fra voi attuino questo progetto perchè seppur con tanta fatica dà tante soddisfazioni non solo in termini di risultati negli apprendimenti ma per il senso che dà ad ogni giorno passato in classe per gli adulti ma soprattutto per le bambine e i bambini ai quali viene dedicato. chissà se le nuove generazioni avranno un’idea diversa di scuola rispetto ai ricordi che ha gran parte dell’opinione pubblica (Prof. compreso) ;)))

    @ Prof: grazie per il chiarimento sulla pulizia del cache

    @Flavia grazie mille delle indicazioni davvero interessanti!!!

  8. Caro prof,
    che bella la nostra agorà!
    Rispondo ad un tuo passaggio … “E anch’io penso che debba essere proprio la scuola a dare sostanza all’esplorazione, anche mediante pratiche artigianali e cooperative. Personalmente non ho grandi ricordi che non siano solo riconducibili a molta teoria avulsa da ogni contesto. Forse ora le cose sono cambiate? E sono cambiate sufficientemente? Voi lo sapete certamente meglio di me. ”

    Dopo tanti, tanti anni di insegnamento sono arrivata alla conclusione che i cambiamenti partono dal basso, dagli individui, non dal sistema!
    Mi piace utilizzare i videogiochi a scuola, non tutti, quelli che si prestano a far ragionare i bambini e i ragazzi sul loro meccanismo, su come dare ad esempio indicazioni per far muovere una certa cosa, programmare un certo movimento della famosa tartaruga vuol dire che si sta facendo matematica, geometria, logica… lo si fa in un modo accattivante, inusuale, e questo suscita l’interesse degli alunni che così apprendono.
    Cito qui 2 applicazioni poco conosciute almeno dalle mie part, ma che ritengo veramente formidabili per l’insegnamento a scuola:
    MicroMondi JR e il bellissimo Scratch, secondo me vale la pena darci un’occhiata!
    Alla prossima

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