Web 2.0 e tecnologie di carta

Web 2.0Il web 2.0 non è poi tanto diverso da un foglio di carta bianca. Un’attrezzatura molto economica, che chiunque può usare.

Su di un foglio di carta si può scrivere un racconto, una poesia, si può fare un disegno o si può anche dimostrare un teorema matematico. È una tecnologia straordinaria. Un foglio di carta costa poco, è leggero e può trattenere una varietà illimitata di forme espressive. Può servire a lanciare un messaggio nella folla, si può mettere in una busta e spedirlo a qualsiasi indirizzo nel mondo per un modico prezzo. Ci si possono tracciare segni e figure con una grande varietà di mezzi, penne, lapis, carbone, acquerelli o colori di altri tipi, oppure vi si possono incollare altri fogli o altri materiali. Può essere anche piegato ad arte per fare sculture e macchine volanti, oppure colorato e tagliato in coriandoli e stelle filanti.

Ma la caratteristica più interessante è che tutte queste cose, e molte altre ancora, possono essere fatte da chiunque e in modo immediato. Può servire avere fatto un po’ di scuola, giusto i primi due o tre anni, ma in realtà il limite è solo la fantasia.

In questo post sostengo due tesi:

  1. il web 2.0 non è poi tanto diverso da un foglio di carta bianca
  2. per imparare a usare il Web 2.0 è bene partire dalle tecnologie di carta

Il Web 2.0 ha due aspetti fondamentali, quello sociale e quello della disintermediazione. Di solito l’enfasi è tutta su l’aspetto socializzante, cioè sulla grande capacità aggregante grazie alla quale intorno agli strumenti Web 2.0 si formano i social networks. Indubbiamente un aspetto nuovo e di grande interesse per la capacità di creare in poco tempo grandi volumi ma è bene avere chiaro che questo non implica necessariamente che si generi qualità, anzi, in generale forse no. L’esempio più chiaro è dato da Facebook, campione di volume e fedele specchio del mondo: un oceano di ciarpame con qualche isola di qualità.

Il secondo aspetto caratterizzante il Web 2.0 è la disintermediazione, con la quale è stata eliminata l’intermediazione tecnica che prima era necessaria per pubblicare qualcosa sul Web. La competenza necessaria per esprimersi in rete, in una delle tante forme possibili, è ormai minimale e tende a coincidere con quella che può servire ad essere creativi con un foglio di carta, competenza acquisibile con i primi anni di scuola, a voler proprio esagerare.

La disintermediazione è quindi il secondo fattore cruciale che sta alla base dell’esplosione dei volumi ma è anche la porta attraverso la quale potrebbe passare la qualità. Il Web 2.0 oggi è tanto facile da usare quasi quanto un foglio di carta. La questione non concerne quindi l’acquisizione di competenze per potersi esprimere, bensì concerne la capacità di esprimersi in generale, di avere qualcosa di esprimere, la capacità di trasformare il mondo osservato in domande, di esprimere tali domande e gli eventuali tentativi di risposta.

Tutte capacità che possono essere sviluppate al di fuori e prima ancora di parlare di tecnologia, a riguardo della quale c’è sempre meno da dire peraltro. Tutte capacità che possono essere coltivate efficacemente nei primi anni di vita e nei primi anni di scuola.

La scuola è oggi nell’occhio del ciclone e non solo in Italia, ma non si deve ignorare che ci sono insegnanti che fanno un gran lavoro e si pongono grandi domande. Una di queste è Cristina Galizia che all’interno del network La Scuola Che Funziona ha creato un gruppo di lavoro chiamandolo Tecnologie di carta. Ha scritto Cristina :

Scuola e web: rapporto odio-amore, a volte estremizzato in un senso o nell’altro. O si esclude a priori tutto ciò che ha a che fare con la rete, per mero preconcetto, o si bombardano i ragazzi con informazioni digitali a pioggia, convinti di iniziarli così all’autonoma navigazione e alla conoscenza reticolare. Per fortuna, i bravi docenti sanno dosare questi estremi e guardano senza strabismi dritto dritto a metà tra l’innovazione mediatica e pratiche didattiche consolidate.
Per aiutare i ragazzi ad usare la tecnologia con sapienza e moderazione, non pensate che anche a scuola, accanto a pc e LIM ci debbano essere TECNOLOGIE DI CARTA, come cartelloni, lavori di gruppo e manipolazioni con materiali di facile consumo?

La questione posta da Cristina è centrale. Le cose che si possono fare con il Web 2.0, e con questo intendo anche la miriade di strumenti per scrivere, disegnare, comporre, schematizzare, organizzare, si possono fare tutte anche con la carta, basti ricordare, fra i tanti esempi possibili, i lavori di scrittura collettiva di Don Milani. Certo, il Web 2.0 aggiunge una dimensione straordinaria, oggi assolutamente necessaria, di percezione globale del mondo e di capacità di rivolgersi a tale mondo, ma sarebbe un errore pensare di sostituirlo agli strumenti tradizionali, che Cristina individua nelle tecnologie di carta.

Agire nel reale, con oggetti fisici, comporta una fondamentale educazione a dialogare con intelligenza con l’ambiguo. Quella a cui mi riferisco è la dimensione del lavoro artigianale che nel corso degli anni è stata progressivamente estromessa dalla scuola e questo io credo che sia stato un grave errore. Un sistema di istruzione sempre più pensato per un mondo dominato da burocrazia e accademia, un mondo cioè ridotto a descrizione verbale, un mondo che si ha l’illusione di poter descrivere e controllare compiutamente. Ken Robinson ha commentato in modo molto divertente la scuola che forma i futuri idraulici come se da grandi dovessero fare i professori; ovviamente dovranno iniziare a imparare a fare gli idraulici per davvero appena avranno terminato la scuola. E non è una questione di specializzazione o di avviamento professionale, bensì di apprendere a trattare con la realtà.

Il mio amico Paolo, il fabbro, mentre mi affila la lama della falciatrice. Sta utilizzando una mola ad acqua che si è fabbricato da solo, utilizzando la vecchia pietra che usava mezzo secolo fa il suo suocero, fabbro di campagna. Per inumidire la pietra Paolo ha escogitato di recuperare una vecchia mezzina per l'acqua applicandovi un rubinetto in fondo. E' triste che nella bottega di un uomo così sapiente non circoli nessun tipo di giovane ...

Trattare con la realtà richiede la capacità di affrontare l’ambiguo, che si può codificare nei manuali solo in modo molto imperfetto e carente. Niente insegna precocemente ad affrontare l’ambiguo come il lavoro manuale. Il muratore, il falegname, il fabbro sanno tante cose che potrebbero essere scritte in un libro ma ne sanno altrettante che non possono essere descritte con le sole parole e certo non col linguaggio tecnico: il muratore conta le palate di sabbia e calcina ma per valutare la bontà dell’impasto ascolta quando questo “canta” sulla pala o nella betoniera, e sa che tali dosi dipendono dagli ingredienti sempre mutevoli; il falegname sa che non vi sono due pezzi di legno eguali, ancorché di dimensione identica, per via del tipo di legno, della maturazione della pianta, epoca di taglio, luna di taglio, stagionatura, condizione atmosferica; il fabbro cerca la tempra dell’attrezzo da taglio che sta forgiando in base alla propria finissima sensibilità cromatica e acustica e sa che non vi sono due acciai eguali. Quello che fa grande un artigiano è la capacità di affrontare e volgere a proprio favore l’ambiguo, una capacità che richiede tanto pensiero razionale quanto osservazione e percezione fine, la stessa che alimenta il lavoro di un artista.

Avere trasformato la scuola, sino all’università, eliminando tutto ciò che non passa da pagine scritte vuol dire averla condannata al fallimento, prima o poi, perché l’ambiguo non concerne solo l’artigianato ma tutti i mestieri. Il medico capace affronta l’ambiguo quotidianamente e spesso in situazioni drammatiche, l’ingegnere che progetta il ponte si affida a calcoli probabilistici sulla resistenza delle strutture alle intemperie, l’architetto ha di fronte il difficile compito di prevedere in cosa consista la reale qualità della vita in una piazza, l’educatore se la deve vedere con la formidabile complessità dell’apprendimento degli esseri umani.

Ma mentre l’ambiguo che caratterizza queste e tante altre complesse professioni non può certamente essere conosciuto in giovane età, ben diverso è il caso dell’ambiguo che si presenta in una qualsiasi attività pratica che può essere affrontata assai presto, come nelle tecnologie di carta citate da Cristina Galizia. L’ambiguo si presenta già in semplici atti quali piegare fogli di carta di diversa consistenza, piegarli a fini diversi, deporre un colore col pennello su carte di diversa grana e consistenza e via e via a non finire.

Abituarsi ad affrontare questo tipo di ambiguità affina lo spirito di osservazione e l’attitudine a confrontare l’effetto delle proprie azioni con i propri intendimenti, l’attitudine a provare ad immaginare prima di agire quali potranno essere le conseguenze delle azioni, e infine esercita ad una sana relazione con l’errore, visto non come un fallimento ma come un’importante fonte di informazione. Abituarsi inoltre ad affrontare questo tipo di ambiguità insieme, cooperando, educa alla fondamentale capacità di lavorare insieme agli altri, capacità che oggi è cruciale in qualsiasi tipo di attività.

Il Web 2.0 amplifica e potenzia a dismisura le possibilità creative ed è impensabile che un cittadino del futuro non ci debba fare i conti. Tuttavia se non vierne adeguatamente preceduto e affiancato da esperienze reali rischia di alimentare superficialità e pensiero debole. Il motivo è molto semplice e si può sintetizzare così: nell’impiego delle tecnologie informatiche esiste (quasi) sempre il tasto di ritorno l’undo. In realtà questa potenzialità va oltre la mera esistenza del passo indietro, nel senso che è intrinseca alla tecnologia. Si potrebbe dire che chi ha sufficiente dimestichezza con queste tecnologie sa che raramente le conseguenze di un errore sono particolarmente gravi. Questa percezione è quella che rende i nativi digitali così agili, consentendo loro di scoprire le cose mediante un gran numero di tentativi poco più che casuali.

Intendiamoci, il comando undo è una grande conquista ma come tante altre utili innovazioni, l’abuso può risultare dannoso. Se sbaglio una piega in un origami lo rovino. Non muore nessuno, si capisce, ma devo ripartire con un altro foglio. Oppure, se dipingendo all’acquerello mi cade un bello schizzo di verde smeraldo concentrato in mezzo alle nuvole di un paesaggio quasi finito, difficilmente lo potrò rimediare e l’opera sarà da rifare. È il confronto ripetuto con le conseguenze ineluttabili degli atti fisici che genera la tendenza alla qualità, all’osservazione attenta, al pensiero profondo, e solamente nelle attività manuali si ha modo di esercitare tale confronto.

La scuola è oggi quasi solo teoria e la grande questione del momento pare che si riduca solamente a come introdurvi le tecnologie ma è una questione mal posta. Se il sistema di istruzione è oggi pericolosamente svincolato dalla realtà non migliorerà molto semplicemente introducendovi tecnologia, non certamente in modo banale sotto forma delle tristemente famose aule informatiche chiuse a chiave, né piazzando una LIM in ogni classe e nemmeno facendo fare bagni di Web 2.0 agli allievi.

È vero che la scuola, tutta, deve aprirsi al mondo ed è anche vero che il Web 2.0 rappresenta un ottimo strumento per farlo, ma prima e contemporaneamente deve aprirsi al mondo reale, con attività pratiche che bilancino adeguatamente l’eccesso di studio teorico, destinato a rimanere in larga misura sterile.

E se è vero che i primi anni sono quelli fondamentali, la cosa deve concernere tutti gli ordini e i gradi dell’istruzione se anche Peter Drucker, economista e padre del concetto di management, in un intervista concessa nel 1997, sosteneva che dopo la maturità i giovani avrebbero fatto bene a lavorare almeno 5 anni prima di iscriversi ad un’università. Anzi, sosteneva di più, e cioè che gli amministratori delegati avrebbe fatto bene a sostituire un venditore delle loro aziende un paio di volte l’anno per una quindicina di giorni!

Come dire: chiunque si trovi nella condizione di dover apprendere, o per giovane età o per necessità di lavoro o per l’ormai inevitabile necessità del lifelong learning, deve necessariamente condire il proprio studio con adeguate attività pratiche, perché la teoria fa presto a divenir sterile a fronte della complessità del mondo.

P.S. E non pensi qualcuno che le tecnologie di carta siano comunque roba adatta giusto per i bambini. Se non li conoscete date un’occhiata qualcuno dei filmati educational della Common Craft, per esempio questo.

4 pensieri riguardo “Web 2.0 e tecnologie di carta”

  1. E’ un pò che mi piace scribacchiare..e per me è strano perché di solito faccio altro…

    Penso che tutto sia riconducibile a “strumento”.
    Da quando siamo nati ci appropriamo di strumenti per raggiungere i nostri obiettivi:

    la sedia per arrivare allo scaffale in alto, finché eravamo piccoli o perché siamo troppo bassi per quel preciso scaffale
    –> compensazione del disagio fisico

    la prima moto –> per farsi vedere dalle ragazze

    i tacchi a spillo per essere sexy e conquistare –> mancata sicurezza personale

    il primo computer personale scrivere la “tesi” –> perché ho una scusa che mi permette di appropriarmi di una tecnologia che mi interessa per ben altro..

    la prima macchina per uscire la sera senza dove ridpendere da amici o parenti –> bisogno di indipendenza

    banalizzo…

    ..Io parlerei più di obiettivi che vogliamo raggiungere rispetto ai mezzi che possiamo usare per farlo…

    siamo importati nel digitale e viviamo il web come una cosa da studiare da infilare ovunque..non serve, a mio parere serve avere ben chiaro cosa si vuole fare e cosa è meglio “usare” per farlo nel migliore dei modi.

    Conosco un Andrea, di piccola statura, che cortesemente mi ha chiesto il supporto al pagamento ad un acquisto su e-bay di 8,50 € commentando “ho ancora 6,50 € da spendere questo mese”.
    ..ah l’oggetto in questione è un BAKUGAN PREYAS DIABLO BLUE no MetalCard no PotenzaG , queste ultime condizioni fa sì che il bakugan costi così poco , a detta dell’esperto.
    Gli ho chiesto cosa era per lui il web, mi ha risposto “google” ed è tronato a giocare con i suoi bakugan.

  2. d’accordissimo con quanto affermi…sopratutto nella scuola primaria si rende necessario ..il bambino e la sua intelligenza richiedono attività pratiche.. il manipolare, il creare attraverso le proprie mani e la propria mente …la tecnologia deve essere un dei tanti strumenti che affiancano tali attività e niente di più ..non è facile oggi far fronte alla richiesta pressante da parte della socetà di un insegnamento più tecnologico che cartaceo …si rischia di essere considerati retrogadi, di essere accusati di sfornare allievi incapaci di muoversi nel mondo ..e allora bisogna saper conciliare le due cose, perchè non è più possibile neanche una didattica che ignori la tecnologia ..ma io credo e penso che docenti preparati e coscienti sappiano coniugare i due mondi mettendo in primo piano sempre l’operosità, il saper fare e la creatività dell’alunno ,cosa che certamente può meglio favorire ..la carta ..non penserò mai di mettere davanti al pc i bambini prima di averli messi davanti al quaderno o a un folgio di carta enorme, dove ognuno possa liberamente laasciare la propria impronta fatta dalle proprie mani e pensata prima dalla propia mente …un saluto

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