
Leggo dal Webster’s Ninth New Collegiate Dictionary:
code: a system of signals or symbols for communication. Ovvero, codice: un sistema di segnali e simboli per la comunicazione, in generale.
Per esempio, il numero di telefono è un codice, inserito nel contesto giusto e nel modo giusto dà vita a un contatto telefonico, mentre se lo vediamo scritto su un muro è solo un numero. Potrebbe anche non sembrarci un numero di telefono, se per esempio fosse scritto in maniera un po’ scompaginata. L’IBAN è un codice, un indirizzo email è un codice. I codici funzionano se vengono inseriti nel contesto giusto e nel modo giusto. Noi usiamo codici per dare istruzioni alle macchine che popolano la nostra vita. Un numero di telefono consente di dare luogo ad una precisa sequenza di accadimenti in una rete telefonica. Il numerino stampato su un biglietto di un parcheggio (caro) di Firenze Parcheggi può essere digitato su di una tastiera che consente di accedere alla toilette (sporca) del parcheggio.
Anche Internet è una macchina, una macchina complicatissima sparpagliata per tutto il pianeta, composta da un gran numero di macchine diverse, computer, telefoni, tablet e tanti altri tipi e ibridi possibili immaginabili. Forse molto presto, oppure già ora, anche frigoferi, forni, magari orologi o parti di indumenti … E queste macchine sono tutte collegate fra loro mediante una miriade di connessioni diverse, realizzate con cavi di rame, fibre ottiche, canali radio, anche questi in una grande varietà. Come non chiamare macchina tutto ciò? In fin dei conti tutte le macchine sono composte da tante sottomacchine. Internet è solo tanto tanto più complicata ed eccezionalmente sterminata.
A pensarci bene però non è proprio così. Un’automobile, che è innegabilmente una macchina, funziona se c’è un conducente che la guida, ovviamente. Poi può essere parcheggiata e dimenticata per ore, giorni – mesi no perché la batteria si scarica – per essere poi ripresa e usata. Tutte le macchine sono così. Il decespugliatore ora se ne sta buono in cantina, come inutile e stupidamente aggrovigliata composizione di metalli, cavi e plastiche. Tuttavia, quando lo riprenderò in mano, in primavera, lui ripartirà docile, spero.
Internet non è così. Internet funziona sempre. Se all’improvviso cessasse di funzionare, cioè se improvvisamente, tutti questi nostri browser si congelassero e così tutti i cellulari e tutte queste finestre e finestrine divenissero come la finestra che, qui davanti a me dà sul buio della notte, allora penseremmo che sarebbe successo qualcosa di terribile, penseremmo ad una qualche catastrofe planetaria, un conflitto nucleare, un grande meteorite. In altre parole, noi attribuiamo ad Internet la stessa certezza di esistenza che attribuiamo all’umanità, nel senso che se Internet improvvisamente sparisse, immediatamente paventeremmo un grande pericolo per l’umanità intera, per come noi la conosciamo, per come noi siamo ormai abituati a starci dentro, a questa umanità.
E questo accade perché Internet dà luogo ad un nuovo spazio, che è uno spazio immateriale, ma che gli umani possono colonizzare, esattamente come gli spazi fisici, perché gli umani vivono di materialità ma anche e forse più di immaterialità, generata dai loro pensieri e dai loro sentimenti. Gli umani hanno colonizzato il cyberspazio, substrato immateriale ospitato dal substrato fisico di Internet, come i pensieri popolano la mente, substrato immateriale ospitato dal substrato fisico della rete neuronale del cervello.
Internet quindi non è una macchina e lo è allo stesso tempo. Diciamo che non è solo una macchina, ma qualcosa di più. Molto di più. È una neomacchina. Poiché la neomacchina è nuova, nel senso che non se ne era mai vista una simile prima, essa genera tutta una serie di prospettive nuove. Per esempio presenta molte delle caratteristiche delle cose vive. Parti di essa nascono, crescono, maturano, interagiscono in maniera complessa, spesso solo in parte prevedibile, con altre parti, si indeboliscono, muoiono. Internet è viva ed ha due nature che non possono essere isolate, quella umana e quella della macchina. Se si toglie una di queste due parti dal sistema essa scompare come una bolla di sapone.
Essendo una macchina ci aspettiamo che ad essa si possano comunicare delle cose, come siamo abituati a comporre il numero di telefono all’apparecchio telefonico. Tuttavia, non essendo, allo stesso tempo, una macchina, ci aspettiamo di poterci comunicare come comunichiamo fra di noi, per esempio scrivendo una lettera al direttore di un’organizzazione, o intervenendo a Prima Pagina, Su Radio 3. Ovvero ci aspettiamo di poter scrivere lettere, pronunciare discorsi e così via.
Ma come possiamo fare questo? Come possiamo esprimerci naturalmente attraverso una macchina. Beh, direte come il telefono. Quando si fa una telefonata si instaurano due tipi di comunicazione, la prima banale, con la macchina, che necessita solo l’inserimento del numero di telefono, essa ci risponde attraverso sequenze di toni – libero, occupato … – e, se le cose vanno bene, stabilisce il contatto con la persona che vogliamo chiamare. Da qui in poi parte una comunicazione normale, anche se limitata alla sola voce.
I tecnici chiamano questo modo di comunicare a commutazione di circuito. La macchina si limita a stabilire un contatto, se questo funziona si crea un micromondo virtuale popolato da due persone. La neomacchina è completamente diversa sotto questo aspetto. I tecnici dicono che funziona mediante la commutazione di pacchetto. Con questo sistema l’informazione viene segmentata in tanti piccoli pacchetti che grazie a ciò che è stato “scritto sul loro involucro” trovano autonomamente la loro strada nella rete, anche se questa è sterminata e aggrovigliata. Così, in ogni istante di tempo, lungo un qualsiasi tratto di linea della rete, si trovano una miriade di pacchetti appartenenti a comunicazioni diverse, un pezzo di questo post che sto caricando sui server wordpress, un frammento di voce di una mamma che parla con un figlio dall’altra parte del mondo, una scheggia di un tutorial sulla realizzazione di un calzino e via e via … tutto insieme mescolato in un caotico mostruoso bazar. Come si fa a comunicare a questa cosa senza poter usare un numero di telefono?
Grazie al codice, che è mutato velocemente nel corso del tempo, diversificandosi, stratificandosi e apparentandosi in una varietà di modi con il testo. Le mutazioni del codice stanno avendo luogo ad una velocità crescente, credo in modo esponenziale. Nuovi strati di codice nel giro di pochi mesi dilagano e dopo pochi anni vengono usati da milioni di persone nel mondo.
Ecco perché ci siamo messi a fare dei piccoli esercizi con i quali si può vedere l’HTML. La scrittura in HTML non è certo un obiettivo di un corso del genere, ma qualche semplice esempio di questo tipo di codice è ottimo per dare sostanza ai discorsi che andiamo facendo. Poi, se qualcuno, grazie a questi banali esempi, finisce che riesce a scrivere commenti inserendo parole in grassetto o a confezionare qualche link in un qualsiasi luogo del cyberspazio, tanto di guadagnato.
Ho detto “questo tipo di codice” ma è scorretto. È proprio questo il punto, un documento scritto in HTML non è né testo puro né codice puro, è tutti e due.
Il testo HTML di questa frase dove la parola grassetto è scritta in grassetto è questo:
Il testo HTML di questa frase dove la parola <b>grassetto</b> è scritta in <b>grassetto</b> è questo:
Questa riga è composta da testo, trattandosi di una normalissima frase, ma vi sono degli elementi estranei, <b> e </b>, che non avrei mai incluso in una lettera alla mia nonna. L’insieme di tali elementi costituisce il codice di questo piccolo documento, fatto di una riga sola. Per inciso, il codice che istruisce i browser a rappresentare in grassetto i caratteri è <b> … </b> perché in inglese grassetto si dice bold.
I comandi HTML non concernono solo la rappresentazione del testo ma possono conferirgli funzionalità.
Ecco come si rappresenta il link a questo preciso punto di questa pagina:
<a name="QUESTO_PUNTO">Ecco</a> come si rappresenta il <a href="https://iamarf.org/2011/11/21/la-neomacchina-e-il-codice#QUESTO_PUNTO">link a questo preciso punto</a> di questa pagina:
La parola ecco è circondata dal codice che le assegna il nome QUESTO_PUNTO e la parola link è circondata dal codice che dice dove deve finire chi clicca su di essa.
Così si comunica con la neomacchina: inviando commistioni di testo e di codice.
L’HTML non è l’unico esempio di scrittura codificata. Noi lo usiamo qui perché è molto pertinente, essendo destinato a rappresentare i testi nelle pagine dei browser. Ve ne sono altri e di almeno uno di questi vorrei dire qualcosa, in seguito. Soprattutto, daremo un’occhiata con la stessa semplicità ma con altrettanta attenzione a qualche successiva stratificazione di codice, emersa su HTML. Per ora basta. Meglio magari andare a fare qualche balocco con i link, sulla paginetta sfrucugnata.
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