Scoprendo e riscoprendo… [3] (valutazione)

In questi giorni sono impegnato in varie commissioni di tesi. Vivo questa mansione come un momento doloroso perché si è costretti a dare i numeri: misure prese con metri di gomma. Invidio i colleghi che con mano ferma manovrano raffinate macchine docimologiche, mentre io provo disagio e vorrei essere altrove. Mi sovvengono voci dalla rete. Torno, ma prima di rimettermi a seguire tracce di #lits13 voglio ritrovare ciò che ho ricordato. Frugo nel pentolone magico, ecco: uno scambio di idee fra Sabina e Lucia, in Casca l’asino e Cercare significato nella valutazione. Me lo rileggo tutto avidamente e mi rincuoro. Ci sono persone che dubitano, che si interrogano. Non importa se sono poche. Bastano per tirarsi su.

A me piace praticare un flipping della valutazione: dare voti agli studenti per sapere come sono andato io – questo lo trovo molto utile – mentre allo studente vorrei poter dire, semplicemente: – Ok, puoi andare oltre… – oppure: – Stai ancora un po’ con noi… – tutto il resto dell’accanimento docimologico non lo capisco. E pensando alla complessità della valutazione mi viene in mente il bilancio visivo-narrativo di Giuliana

12 pensieri riguardo “Scoprendo e riscoprendo… [3] (valutazione)”

      1. Non so, in questo blog non c’è niente che distingua un post dall’altro nelle possibilità di commento, e soprattutto non c’è alcuna forma di restrizione o di moderazione.

    1. E infatti mi sono guardato bene dal dichiarare alcunché a proposito dell’inferenza di parametri specifici della distribuzione, né avevo necessità di farlo.

      Sta di fatto che 50 numeri dicono più di un numero.

  1. Va aggiunta anche la suite di post sulla valutazione [Nota] di Marina.

    È rincuorante leggere tutte queste riflessioni. Le parole di Ivan Illich citate sopra da Laura si attagliano perfettamente al mio pensiero.

    La pratica di valutare con i voti ha per me un che di offensivo, di osceno, direi quasi. Si parla di rivivere un nuovo umanesimo ma dare voti va esattamente nella direzione opposta. Dare voti vuol dire misurare: definire in maniera inequivocabile il procedimento di misura, stabilire una unità di misura, esprimere i risultati in una scala. La misura di un numero serve a dimensionare in maniera inequivocabile una quantità che sia totalmente caratterizzabile mediante un solo numero: dire che un rettangolo misura un metro è già privo di significato, ci vogliono due numeri. Poi, anche per la misura di quantità meramente monodimensionali, la branca della fisica che si chiama teoria degli errori provvede a definire i modi per la determinazione e la dichiarazione degli errori. La quantificazione degli errori attesi su di una misura non è meno importante della misura medesima perché ci dice quanto ci possiamo fidare di quel numero.

    Cosa misura dunque un buon voto? Quanto uno è bravo? Come gli ha funzionato la memoria? Quanto è stato abile a girare intorno agli argomenti critici? Quanto ha capito cosa voleva l’insegnante? Quanto era in buona condizione psicofisica al momento della prova? Quanto era stato fortunato ad incappare nelle domande che sapeva, o nel tema giusto per lui, o…? Quanto è limitato nella curiosità e si accontenta di eseguire…? Quanto è poco incline al dubbio, sì da non perdersi…? Quanto sta simpatico all’insegnante?

    E poi, di questo numero, che non si sa che cosa realmente esprima, cosa ce ne facciamo? Al di là della demenziale e diseducativa ambizione al risultato esteriore? A cosa serve veramente scrivere che su 10 problemi di matematica Pierino ne ha fatti bene 6 oppure 10? Intendo, a cosa serve a Pierino, a parte farlo diventare un insicuro o uno strafottente? E se Pierino ne ha risolti 6 e Paolino 10, che significato ha dichiarare il corrispondente voto quando, magari dopo 20 anni, si scopre che nella vita reale Paolino ha risolto più problemi di Pierino, anche attinenti per l’appunto alla matematica. Lo dico perché accade, eccome se accade. A che serve il voto del tema: – O come mai Pierino in prima prendeva tutti 6 e in seconda, con il nuovo insegnante, prende tutti 8? Accade, eccome se accade.

    E che dire di quei 60/60 spuntati alla maturità da un furfante matricolato – che tale è rimasto – e che ha solo capito molto bene le regole del gioco, mentre quello che era stato giudicato “maturo” con 48/60 successivamente si è dimostrato un pervicace ed efficace inseguitore della verità, perché attento cultore del Dubbio? Che vuol dire essere maturo per i 5/6? Maturo… un numero… Questa è la strada verso un nuovo umanesimo?

    E quel 27 preso ad analisi II senza avere capito praticamente nulla? Ovvero: senza avere la minima idea di dove e come applicare le cose studiate? E che voto avrà dato il Prof. Persico (Che cos’è che non va?) a quella sua studentessa che sapeva descrivere a meraviglia le complesse equazioni dell’elettromagnetismo di Maxwell ma non sapeva spiegare come mai non fosse il caso di far passare 20000 Watt in una lampadina?

    I valori istituzionalizzati che la scuola inculca sono valori quantificati. Valori utili in una società tecnocratica, guidata dalla logica esclusiva del profitto, quando funziona bene impietosamente liberista, come quella anglosassone, quando funziona male kafkiana mostruosità burocratica, come la nostra. In questi sistemi è necessario misurare prestazioni, intabellare risultati, stilare classifiche, incanalare flussi. In questi sistemi sono utili mercenari competenti (caso US), furfanti e leccapiedi (caso I). Ma non si parli di umanità, non si parli di creatività, non si vaneggi di nuovo umanesimo.

    I voti li dà la vita. La scuola se ne astenga. Stabilisca il minimo necessario per dire: – Vai avanti – oppure – Aspetta ancora – e valuti questo con grande attenzione e severità. Minimo che può essere anche tanto, ma semplicemente una soglia oltre la quale si possa dire che sai di matematica quanto basta, che sai scrivere quanto basta, che sei un medico quanto basta. Ripeto: il “quanto basta” può essere anche tanto, e valutato con estremo rigore. Ma non si misuri l’immisurabile, é un pessimo insegnamento.


    Nota Questo è un esempio di uso estemporaneo del tagging: mi faceva comodo collegare un gruppo di post con un unico link; per fare questo ho taggato nel gruppo ltis13 di Diigo i post di Marina che volevo citare insieme con un tag estemporaneo, che difficilmente esistesse già: m.passerini.

    Così, con l’URL

    http://groups.diigo.com/group/ltis13/content/tag/m.passerini
    

    ho ottenuto il risultato.

    1. wow! nessuno mi aveva mai dato del “tag estemporaneo”! Suona bene però! Grazie!

      Avevo appena finito di postare un’altra riflessione sul mio blog e ho letto questo commento. Sono sostanzialmente d’accordo: sarebbe bellissima una scuola impostata così….ma quando cerco di immaginarmela nella reale realtà faccio un po’ fatica…. E se la strada fosse un’altra? Se si potesse almeno cominciare a rapportarci diversamente con questa brutta bestia della valutazione?
      Mi sa che ci penserò ancora un po’ su e magari scriverò qualcosa più avanti…..
      Nel frattempo,la mia “casetta” è sempre aperta!

  2. eccomi di nuovo qui dopo un periodo di “latitanza” per cause di forza maggiore. La valutazione é un tema che mi affascina da sempre ma lavorando con tipologie di corsisti diversi e ambiti diversi per me volte é un qualcosa a metà tra la croce e la delizia. Come far coincidere tutta una serie di indcatori che spesso sono decisi da altri (almeno questo é quello che capita a me) con tutto il percorso che io e i miei corsisti abbiamo fatto e farlo coincidere con un numero da 1 a 5, con un numerdo da 18 a 30 o a volte con un giudizio. Concordo con Andreas sulla difficoltà di valutare uno studente in commissioni di esami, per me é terribile dover decidere nell’arco di pochissimi minuti che voto dare e guardare la faccia dello studente e dover poi spiegare la scelta del mio voto che all’occhio dello studente resta sempre soggettivo ma tale non é. E in quei occhi rivedo me studentessa universitaria quando il prof. scriveva sul libretto il voto e mi chiedevo perché 29 e non 30? dove é la sottile differenza, brava ma non perfetta? in cosa ho sbagliato? cosa non lo ha convinto? Quesrio é uno dei motivi per cui spesso con alcuni corsisti o studenti, ove possibile, chiedo di autovalutarsi ma non sempre i ritmi serrati degli esami o delle giornate di test lo pemettono. cco perché la valutazione diventa “un mero giudizio di valore numerico che non semre corrisponde alla reale situazione” (citaziione del io incredibile prof. di Letteratuta tedesca a Ca’ Foscari).

    Un conto credo che sia la teoria e un’altra la pratica. La valutazione di un percorso di apprendimento prevede non solo il cosa si è appreso, ma il come lo si è appreso e il quanto si è in grado di applicare il tutto; per questo motivo, di solito, cerco di sviluppare una riflessione critica sul processo di apprendimento, di miglioramento, sull’attitudine al compito, sui problemi affrontati e risolti, sul grado di impegno personale e all’interno del lavoro di gruppo, etc. Partendo dalla considerazione che non sempre la competenza è tangibile, ma parafrasando Pellerey è da intendersi come la capacità di attivare, orchestrare o combinare risorse interne possedute a quelle esterne per far fronte a situazioni nuove, valutare significa anche rivalutare sempre il pregresso. In quanto docente devo tracciare e stabilire delle linee guida per il raggiungimento degli obiettivi prefissati; se queste linee guida tracciate e stabilite sono efficaci, risulta molto più semplice anche il processo della valutazione, in quanto conferma degli obiettivi comuni da raggiungere da tutti i partecipanti, pur con modi e tempi diversi.
    Le azioni da tenere in considerazione, tra le tante, sono:
    Focalizzare ciò che mi preme valutare maggiormente in una fase ben determinata del processo;
    Decidere da quali indicatori far partire il processo;
    Analizzare e interpretare il percorso in base agli indicatori scelti.
    Diventano a questo punto oggetto di valutazione anche i livelli di qualità e quantità della partecipazione, l’adeguatezza e la pluralità dei registri utilizzati, la capacità di sapersi relazionare nei confronti del docente e dei pari.
    E infine, come valuto un corso on line? Quali sono i punti da tenere in considerazione tra verifica e valutazione?
    Scusate il papello ma vorrei continuare questa discussione che mi preme tanto ultimamente ma credo di aver scritto troppo!
    Rosanna

  3. Il tema della valutazione è davvero complesso e per fortuna ci sono insegnanti che si interrogano e si mettono in discussione.
    Credo che a tutti faccia bene, di tanto in tanto, tornare dall’altra parte, ad essere di nuovo studenti e sottoporsi a valutazione altrui. Si riscoprono ansie, stress da prestazione; si capisce come, in pochi istanti, ci si possa giocare un lavoro che ha richiesto fatiche e riflessioni.
    Quante volte abbiamo valutato con leggerezza o ci siamo lasciati impressionare da una “buona performance” ?
    Uscire dal ruolo fa bene e aiuta la comprensione degli altri.
    Concludo con una riflessione di I. Illich, un “libero pensatore”-così si definiva- che sulla scuola aveva alcune idee precise e che mi trovo sempre di più a condividere:
    “I valori istituzionalizzati che la scuola inculca sono valori quantificati. La scuola inizia i giovani a un mondo dove tutto è misurabile, compresa la loro immaginazione e anzi l’uomo stesso.
    Ma lo sviluppo della personalità non è un’entità misurabile. Avviene in una dissidenza disciplinata, che non può essere misurata da nessun metro e da nessun corso di studi, ne può essere paragonata ai risultati raggiunti da qualcun altro. In questo processo d’apprendimento si possono emulare gli altri solo nello sforzo immaginativo, seguendone le orme anziché scimmiottandone i passi. L’apprendimento che io apprezzo è una ricreazione incommensurabile”.

    1. L’immagine della dissidenza disciplinata è proprio calzante.
      “Seguire le orme e non scimmiottare i passi”: vorrei proprio dirlo a chi so io, ma intanto so già che non capirebbe.

      Grazie per le illuminanti parole…
      Grazie prof, per la citazione.

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