6 pensieri riguardo “Evento presso il Centro di Medical Humanities”

  1. @Deborah. Anche a me di solito il circo mette l’angoscia, ma ci sono eccezioni sperimentali belle. Poi in quel caso, facevo parte del Club 74 dell’ospedale che aveva organizzato l’attività con il circo Lollypop, quindi ovviamente colevo vedere com’era, anche se appunto, non avevo voglia di parteciparvi attivamente (invece ho partecipato ad attività teatrali). Poi mi ero portata in ospedale un dittafonino a meno di 100 euro che funziona bene per il parlato. E i file audio sono molto più facili da editare e trascrivere dei video: da qui l’intervista dopo lo spettacolo.

    @mvcarelli: che belle attività – e ottima l’idea di coinvolgere anche gli stranieri!

  2. mi associo a quello che dice Deborah la vita è arte diceva Pirandello. Da “giovane” ho fatto tante esperienze di teatro con una compagnia di dilettanti del mio paese, lo scopo principale era quello di costruire “ponti” per stare insieme e di coinvolgere persone sia ragazzi che adulti che avevano problemi di relazioni sociali. La nostra attività si divideva in più parti prima nella ricerca di una copione teatrale che potesse essere significativo per l’eventuale pubblico,e poi l’adattamento di questi alle reali capacità del gruppo. Abbiamo fatto diversi lavori: tradotto l’avaro di Moliere nel nostro dialetto, per consentire la partecipazione di tutte quelle persone anziane che vivevano da sole, avevamo trascritto un opera di Petito in copione teatrale, rappresentato Liolà di Pirandello e rappresentato molte commedie di Eduardo. Da ultimo poi abbiamo iniziato a rappresentare delle consuetudini tradizionali ormai perse, uno spettacolo che ancora facciamo tutti gli anni in estate è la rievocazione di un tradizionale matrimonio cilentano, “a zita”, facciamo partecipare tutti a questo evento anche gli stranieri che ultimamente la mia comunità ha accolto.

  3. Anch’io penso che il teatro sia molto importante in questi casi, Claude. Due anni fa ho avuto l’opportunità di poter svolgere il ruolo di “assistente” per un anno intero ad un corso sperimentale di teatro, condotto da un esperto che, oltre ad essere un infermiere e un educatore, insegnava recitazione presso la scuola Steiner. Era stato, infatti, il docente di mia nipote. Con lui abbiamo condotto un corso per i miei ex allievi della scuola serale. Ricordo che diceva sempre loro: un attore deve continuamente indossare e togliere la maschera, perchè, in fondo, anche la vita è recita. La differenza sostanziale è che quando reciti nella realtà non ti senti inibito, ma quando ti viene detto di recitare davanti ad un pubblico, allora le inibizioni emergono.
    Avevamo in mente grandi cose, come ad esempio organizzare uno spettacolo nel quale alcuni di loro avrebbero potuto recitare dei monologhi. Purtroppo, però, tutto questo non è stato possibile. Gli adulti, molto spesso, anche se hanno delle sorprendenti capacità, si bloccano e si fanno prendere dalla “paura”, dicendo poi di non essere all’altezza. Ed è qui che io noto la grande differenza fra i cosiddetti “normodotati” e i “diversamente abili”. Questi ultimi, invece, non si preoccupano affatto del “non saper fare” questo o quello. Spesso agiscono d’istinto, e quell’istinto li porta ad essere naturali e spontanei. Dieci anni fa, quando decisi di dare un “colpo di coda”, cambiando radicalmente la mia posizione professionale, mi capitò di lavorare inizialmente per i minori immigrati (una esperienza bellissima, che rifarei ancora) e poi, come una manna dal cielo, mi venne offerta questa opportunità di lavorare presso le scuole, di ogni ordine e grado, come educatrice per i minori diversamente abili o con problemi relativi alla sfera emotiva e relazionale. Sinceramente il mio desiderio sarebbe quello di occuparmi di formazione, ma io penso che questi otto anni di esperienza mi abbiano dato moltissimo e mi abbiano arricchita non solo professionalmente ma anche, e soprattutto, umanamente.
    Ho letto la tua trascrizione, interessante questa tua esperienza dell’intervista. E pensare che a me il circo fa una tristezza… E’ sempre stato così, da quando ero bambina. Ma perchè mai mi domando io?

  4. Anche a me sarebbe piaciuto assistere, Deborah: quando ero ricoverata all’Ospedale sociopsichiatrico di Mendrisio nel 2008, il teatro era un’attività molto importante. Ad esempio c’era stato uno spettacolo di circo molto bello. Non ci avevo partecipato, ma dopo, avevo intervistato due partecipanti (registrazione audiotrascrizione). Ma anch’io sto troppo lontana da Firenze, poi l’intestazione di quel “Corso di pedagogia della marginalità e della devianza giovanile” mi fa un po’ impressione.

  5. Sarebbe proprio interessante per me che mi occupo di minori diversamente abili da otto anni. Ma Firenze non é dietro l’angolo, purtroppo, e i miei ragazzini lunedì mattina mi aspettano a scuola. Peccato.

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