Metafora in laboratorio #ltis13

Locandina del connectivist Massive Open Online Course: Laboratorio di Tecnologie Internet per la Scuola - #LTIS13

Il commento di Elena (Parola @ele57 #34) è esemplificativo di molti altri ed esprime un fatto importante.

Torniamo ora al corso, professore, mi sento una completa imbranata, sono riuscita ad aprire il blog, ma non riesco a vedere i blog degli altri tranne se vado sul suo e clicco su quelli che lei ha messo, non so nemmeno se lei riesce a vedere il mio [certo che lo vedo 🙂 ]. Sono riuscita a riportare i feed nell’aggregatore, ma non i file OPLM. Per ora ho messo solo un post nel mio blog perchè sto facendo l’orecchio peloso (sono sempre stata una buona ascoltatrice), sto cercando disperatamente di capire tutte le parole strane che lei dice [continua così, però sostituendo “pazientemente” a “disperatamente”], andando ad approfondire su internet, ma è dura [non spieghiamo forse ai nostri giovani che lo studio richiede sacrificio? 😉 ].

Tanti di voi si esprimono così. A questo punto mi ci vorrebbe mezza giornata per raccogliere tutti i commenti di questo genere, ma sarebbe un lavoro inutile: mi hanno invaso la mente e tanto basta. Tale poderoso feedback conferma la rotta da seguire.

[Il testo sottostante è stato depennato il 6 maggio; vedi la [nota]]

Colleghiamo ciò con la seguente affermazione di Mario:

10 aprile, mercoledì: continuano i commenti di tipo poetico/onirico/metaforico. Sono io che ho perso ormai questa dimensione della realtà? O sono gli altri partecipanti ad essere gli ultimi poeti rimasti?

Sono molto grato a Mario per offrirmi questa sponda, che è rappresentativa di tanto pensiero dominante, scolastico e accademico.

Qui si aggirano anche un certo numero di “osservatori” che sicuramente si staranno domandando in cosa consista questo percorso disordinato, destrutturato, a tratti poetico/onirico/metaforico, e perciò non classificabile secondo i canoni correnti dell’armamentario istruzionale.

Andate a rileggervi la locandina: ma come sarebbe possibile affrontare seriamente obiettivi tipo “creare comunità di apprendimento e aggiornamento professionale” o “annullare il gap tecnologico fra vecchie e nuove generazioni” con manuale, regole, istruzioni e domandine all’esame finale?

Elena dichiara di sentirsi una completa imbranata e al tempo stesso manifesta la ferma volontà di continuare.  La maggior parte dei commenti che leggo esprimono più o meno esplicitamente questa posizione. Ho lavorato con migliaia di persone e la grande maggioranza di esse esprime lo stesso disagio. Anche i ventenni. Sì, anche tantissimi nativi digitali dichiarano di sentirsi imbranati con le tecnologie, appena escono dai loro territori virtuali, sempre più commerciali e spesso assai ridotti.

Pensate forse che sarebbe stato possibile “trattenere” Elena e molti altri sin qui, se avessimo utilizzato una trattazione tecnica irreprensibile ma arida, al di là della costrizione ovvia di un programma reso obbligatorio dalla necessità di conseguire un qualsivoglia titolo?

Il problema fondamentale della Scuola  – uso il maiuscolo a significare tutto, scuola, accademia eccetera – è quello di avere perso una visione culturale della missione educativa, ormai lacerata in brandelli da una deriva che definirei sostanzialmente burocratica: stiamo affrontando un problema culturale con strumenti burocratici. La divisione rigida dello scibile in discipline, l’organizzazione in settori scientifico-disciplinari del corpo accademico, la lingua imprigionata nei gerghi pertinenti, l’ossessione della quantificazione totale, causano mortificazione del pensiero e morte della cultura.

Se il mio obiettivo è introdurre una persona ad un nuovo mondo è necessario che usi gli strumenti adeguati, il che non significa necessariamente gli strumenti che si suole usare ma gli strumenti che funzionano. La Scuola,  in quanto organizzazione ormai cristallizzata in apparato burocratico, tende a perpetuare metodi e consuetudini ed è ben lontana da ciò che oggi si richiede nel mondo a tutte le organizzazioni: divenire learning organization, ovvero organizzazioni in grado di adattarsi ai sempre più rapidi mutamenti dei contesti in cui operano. Occorre cercare gli strumenti che funzionano.

Usare metafore crea una visione onirica? No, funziona.

La metafora, il racconto, lo scherzo, sono per me strumenti al pari di quelli che usavo e uso nella ricerca, contatori di radioattività, acceleratori di calcolo, supercomputer, teorie matematiche, tecnologie software, decine di linguaggi di programmazione… Uso la metafora, il racconto, lo scherzo, e l’immagine e il video e la prossima cosa che mi viene in mente, con lo spirito del ricercatore (vero), che non si perita di usare un pezzetto di nastro adesivo per far funzionare un apparecchio magari sofisticatissimo, purché funzioni. Per inciso i ricercatori fanno un grande uso dello strumento metaforico. I matematici discutono spesso di matematica più per immagini che per formule.

Uso deliberatamente la metafora, il racconto, l’inaspettato, per agganciare, trattenere e se possibile avviare ai nuovi mondi persone che sono abituate ad altro, ma che di quei mondi potrebbero aver bisogno. Se insistono è segno che ne sentono il bisogno.

Lavoro così da una decina d’anni. I dati sperimentali fino ad ora hanno detto che la metafora funziona.


[Nota] Salvo banalità non cancello mai niente dal blog. Questo non significa non correggere, ma quando (molto raramente) capita, correggo esplicitamente e lasciando traccia del riaggiustamento o errore che sia. Qui ho deciso di cancellare il riferimento a un brano di Mario (@iciaunord) che è risultato scorretto alla luce delle successive valutazioni che aveva fatto sempre nel suo blog. Non è che non le avessi lette ma mi era piaciuta l’espressione poetico/onirico/metaforico. Il problema è consistito nel fatto che mi sono espresso dando l’impressione di stigmatizzare la posizione di Mario. È di idee che si deve parlare e non di persone, quindi mi sono espresso male.

Evidenzio questo mio errore perché può essere utile ad altri, oltre che a me.

80 pensieri riguardo “Metafora in laboratorio #ltis13”

  1. @nadiamoretti #71 infatti rallento, prendendomi tempo per rispondere, per creare un’area del possibile che si intersechi al massimo con l’area di sviluppo prossimale dei più.

    @Mario #70 Ma rileggo anche il commento precedente, di Mario appunto, e rileggendo…

    E come effetto collaterale, mi sta tornando voglia di andar via dall’università e andare nelle scuole. Era un dubbio che mi ha assillato tutta l’estate scorsa, prima di accettare l’attuale incarico, e adesso sta uscendo prepotentemente fuori.

    …riconosco la mia situazione: questo percorso è conseguenza di un desiderio prepotente di uscire dall’accademia e di immergersi nel mondo. Si parla tanto – si parla oggi troppo di tutto, senza che poi si dia corso alle parole coi fatti – di aprire l’università alla società, e a me pare che la si chiuda sempre di più. Questo percorso è un modo, goffo e forse inconcludente, di aprire l’università al mondo, ma è un’iniziativa personale, occasionale, magari irripetibile.

  2. @Andreas: una delle cose più difficili è motivare gli studenti a seguire il proprio/la propria insegnante, a condividere con lui/lei la passione per la materia… beh, saranno le metafore, saranno i 10 anni di esperienza, saranno le persone che ci sono in questo villaggio, sarà quel che sarà ma io mi sento molto motivata a seguire questo percorso e mi sembra di capire che anche i compagni condividono lo stesso entusiasmo… è per questo che il fatto di non riuscire a seguire con costanza mi deprime, perché credo che sia un’occasione dalla quale imparare moltissime cose! Grazie per le riflessioni.

  3. @mariagrazia #65: è semplicissimo andare via da un corso del genere, si cancellano gli abbonamenti ai vari blog, si chiude il proprio, si dimentica… vero è che non si tratta di un corso classico, e neanche io sono qui per prendere cfu (che peraltro dovrei trasformare in ects).
    Il mio “guadagno” somiglia molto al tuo: contatti, conoscenze, scambio di esperienze, scambio di bonnes pratiques.

    Felice che si possa finalmente passare a parlare di formazione e che anche io entri nel merito della questione, visto che finora in questo post ho parlato d’altro.
    Metti molta carne a fuoco, fra il tuo commento, l’articolo del tuo blog e il messaggio g+ di oggi pomeriggio.
    Formazione degli adulti: ho fatto l’ultima sessione giovedi scorso (presentazione della nuova piattaforma Moodle) e non avrei potuto immaginare di farlo con mezzi e forme poco convenzionali. Dipende dal pubblico. Il mio era di professori di ingegneria, magari insegnanti di c++, di piattaforme Lamp, e simili. In passato ho avuto altro pubblico (ad esempio, infermieri che si formavano all’informatica, o meglio alla digitalizzazione degli ospedali) ed effettivamente quando dovevo spiegare un filesystem, o ragionare in binario, mi venivano degli esempi fantasiosi (l’archivio con cassetti, le lampadine sul balcone). Due costanti l’ho sempre notate: 1. la fiducia nel formatore (laddove gli studenti magari ce l’hanno “d’ufficio”). 2. Accanto a questo, cito assolutamente (nel senso inglese di quote) quello che scrivi tu: l’adulto in formazione vuole sapere da subito dove va, a cosa gli serve, quanto sforzo gli costa. Sono le due stelle polari che mi guidano nella formazione degli adulti.
    (Poi ci sono i rischi, soprattutto quando la formazione è imposta: ma non è il caso di parlarne qui, dove è volontaria).
    Qui mi sono ritrovato nel ruolo di formato (lo so, non ci sono ruoli) e probabilmente ho opposto resistenza cognitiva. Ma all’inizio, perché ero venuto con altre aspettative. Poi credo di aver capito il senso, e ho cercato di essere voice per quanto possibile (a parte l’episodio in cui contestavo l’uso che si faceva dei miei dubbi).
    In effetti sto facendo dei ripassi, ed è interessante essere spettatore dei post fatti con linguaggio non convenzionale. A furia di stare con delle grosses têtes temevo di star perdendo questa dimensione. E come effetto collaterale, mi sta tornando voglia di andar via dall’università e andare nelle scuole. Era un dubbio che mi ha assillato tutta l’estate scorsa, prima di accettare l’attuale incarico, e adesso sta uscendo prepotentemente fuori. Credo derivi dalle frequentazioni di questo corso, dove, pur non parlando, tanta gente mi sta dicendo parecchie cose.

  4. Ringrazio Andreas per questo gesto. Era (quasi) quello che mi aspettavo ma che non vedevo, visto che già aveva manifestato dispiacere per l’errore (commento #53) giustificandolo col fatto che pur di aiutare l’insieme trascura il particolare.
    Ci tengo però a precisare che mi prendo la responsabilità di quello che scrivo, nello specifico dei miei dubbi, che peraltro rivendico, quindi per me l’espressione poetico/onirico/metaforico può benissimo restare; ma trovavo bizzarro fare l’associazione miei dubbi –> rappresentare la visione burocratica della Scuola (e ringrazio Claude di averlo capito, #44). Era questo che non mi andava giù.
    Attenuante: Andreas si legge 200 blog almeno, necessariamente ne fa una lettura veloce.
    Pensavo: d’accordo, nella foga di scrivere il suo j’accuse occorreva un rappresentante che giocasse quel ruolo, ma Andreas avrebbe potuto benissimo fare le sue considerazioni (che condivido! sono andato via dall’Italia anche per questo) senza mettermi in mezzo.

    Voglio anche tranquillizzare @giorgiomici che teme di essere capitato in una disputa fra ragazzini: beata l’organizzazione sociale che non ha bisogno di esempi negativi come cemento di coesione; beata la comunità (di insegnanti e studenti in questo caso) che non sacrifica il singolo pur di raggiungere l’Obiettivo Finale! Lo dico da sincero liberal (senza e), non da undicenne permaloso.

    Insomma, una mano tesa non si rifiuta.
    Avevo scritto che mi sentivo deluso, ma una persona che è capace di fare questo gesto è degna della mia massima stima. Ancora maggiore di prima.
    Grazie.

  5. @Andreas Comunicazione Mediata da Computer (scusa, ho dimenticato il link :P)
    Non la devi certo spiegare a me l’importanza che tu attribuisci ai consensi 😀 Però ho colto meno voci critiche rispetto al solito ma è anche probabile che sia un problema di visuale. Del resto, se hai tanti studenti “sovradimensionati”, vorrà pur dire che siamo venuti a cercare altro, no?

  6. @Maria Grazia Cos’è la CMC?

    Credo che il coro dei consensi sia percentualmente analogo ai corsi precedenti, anzi, quasi sicuramente inferiore agli altri corsi simili ma rivolti ad insieme di persone raccolte in un’unica classe della IUL, Quasi tutti insegnanti o dirigenti scolastici fortemente motivati. Lì i consensi marcatamente positivi si aggirano intorno al 70-80% e sono facilmente misurabili perché il campione è perfettamente noto e definito. Qui è meno chiaro cosa si debba considerare per campione, è in ogni caso ancora prematuro, leggendo le discussioni è facile sovra-enfatizzare il consenso per via dell’effetto quantità.

    In ogni caso con questi approcci il consenso è decisamente molto alto, ed è ovvio perché con essi si va diritti (letteralmente) a caccia delle necessità reali di una certa precisa categoria di persone in questo preciso momento storico-sociale – diciamo così… Anche i corsi analoghi, mutatisi mutandis, che ho fatto a migliaia di studenti di medicina funzionano molto bene perché vanno a scovare alcune precise carenze.

    I consensi non mi interessano in quanto tali, non lucrandoci – anzi perdendoci – e non costruendovi alcuna carriera, che per motivi personali, a questo punto di una vita tormentata, non so che farmene. I consensi mi interessano molto invece quale dato sperimentale che conferma o meno un’ipotesi, e che serve, nel bilancio di positività-negatività a formulare la prossima ipotesi. Questa attività fatta di ricerca pura, di ricerca-azione pura, è altamente gratificante, questo sì, per persone che hanno il setting psicologico dell’hacker.

    Dico queste cose perché aiutano a spiegare il fatto seguente. La quantità dei consensi non sono certamente il problema di questi corsi bensì la fattibilità! Per essere onesti devono essere considerati degli esperimenti che si sono resi possibili grazie ad una ben precisa e abbastanza improbabile concomitanza di fattori.

    Tralascio gli ostacoli minori e cito solo quello fondamentale, per quanto attiene alla declinazione MOOC: la gratuità dell’offerta.

    Una società che di fatto riduce tutto a valutazioni di natura econometrica, ivi compresa la cura e la formazione, non sa che farsene di un approccio simile, anzi, lo ritiene dannoso. Questo è il problema, grosso come un macigno.

    Quindi queste esperienze, quando capitano, vanno prese per quello che sono: qualcosa da cui si può trarre qualche informazione utile da mutuare in altri più convenzionali contesti.

    Niente di più.

  7. Mi è giunta la notifica del post di Mario su Google+ mentre ero in campagna e non volevo rispondere con un commento affrettato anche perché mi sono ritrovata un po’ spiazzata. Onestamente non me l’aspettavo e ci ho voluto pensare un po’ offline, dopo aver letto il post (e relativi commenti) qui sopra, anche perché io (che forse ho avuto un rapporto più diretto con lui), avevo notato l’emergere di un diverso approccio a questa esperienza…

    Comunque sia, il mio primo pensiero è stato: ma come si fa a uscire da un corso sciolto in Rete? Cioè, dal mio punto di vista, non recepisco questa esperienza come un luogo in cui si entra o si esce ma una discussione a cui si può partecipare o meno. Però io non sono qui per prendere CFU né ho esigenze formative che possano essere soddisfatte in maniera particolare ma per comprendere e sperimentare direttamente come e se il modello blogoclasse possa essere applicato a un numero così elevato di partecipanti (dato che ogni mia “teorizzazione” ha sempre salde radici nella prassi…)

    Di conseguenza, le mie aspettative non sono quelle di Mario o di altri iscritti. Guadagno sempre da questi percorsi in termini di conoscenze, contatti, esperienze, anche se non tutto mi piace o mi coinvolge. Del resto, io e Andreas abbiamo uno stile molto diverso di fare formazione (da certi punti di vista potrebbe dirsi addirittura antitetico), ma il confronto in questi anni ci ha positivamente e reciprocamente influenzato grazie a ciò che ci accomuna: nessuno dei due “imbroglia” i propri formandi con effetti speciali. Siamo formatori che si mettono in gioco in prima persona, senza infingimenti e con la principale preoccupazione della cura dell’altro. Ciò non mette al riparo dagli sbagli o dalle contestazioni, ma è la vita credo 🙂

    L’11 marzo scorso scrivevo:

    Quando faccio formazione agli adulti, capita spesso che i percorsi e gli strumenti da me utilizzati siano reputati “poco convenzionali”, nella misura in cui è convenzionale ciò che meglio si adatta all’esperienza che abbiamo dell’insegnare e dell’apprendere.
    Gli anni di collaborazione e ricerca con il Laboratorio di Educazione degli Adulti dell’Università di Bari mi permettono di considerare come del tutto naturale un atteggiamento di “resistenza cognitiva” a modalità e strategie diverse da quelle a cui siamo abituati, in quanto il bagaglio di esperienze e di pratiche consolidate fa sì che un adulto debba avere ben chiaro il motivo per cui deve intraprendere nuove strade, in primo luogo per la fatica che ciò comporta.

    Quando ho aggiunto il mio i like a questo post, ho interpretato in tal senso la citazione a quello di Mario.

    Ho riletto anch’io la locandina: c’è molta gente “sovradimensionata” tecnicamente per questo percorso ma l’esperienza (e la consapevolezza) di abitare la Rete è un’acquisizione complessa, mai raggiunta una volta per tutte. Si tratta di “collegamenti tra persone” e non “tra risorse”, come ho scritto in qualche altrove del web.

    Ciò non toglie che esista anche una certa “retorica” comunicativa della CMC che mi pare più marcata in questo corso: rispetto a edizioni passate (anche se non è corretto parlare di edizioni…) il coro dei “consensi” è sicuramente più marcato, tanto da risuonare quasi eccessivo a chi non ci è abituato. Probabilmente, la motivazione va ricercata anche nella gratuità e non obbligatorietà del corso che rende l’opzione exit più naturale di quella voice.

    Per il resto, cosa dire? Mi sembra che questa sia stata un’ottima lezione per tutti. See you

  8. @luigi1957
    grazie dei tuoi interventi, molto belli.
    Andando via vorrei portare con me qualche link di gente interessante, ma wordpress mi dice che il tuo blog non esiste. Sono ancora nel corso poiché ricevo le notifiche mail dei commenti; ma presto arriveranno nuovi post, ai quali non parteciperò, e questo andrà nel dimenticatoio… ce la fai ad aggiustare il tuo url nel frattempo?

    1. ho pasticiiato un po’, non ho deciso di cambiare un vecchio indirizzo ed eccolo:blog di luigi
      spero di raccontare qualcosa di utile su questo mio blog… per ora sto sequendo la discussione qui … io ho poco tempo davvero tra lavoro, famiglia una vecchia madre da accudire etc… etc …
      ma ci proverò… poi sono un immigrato molto legato alla sua valigia di cartone, ma perchè dubbioso di fiumi di parole che mi sembrano travolgere … amo la goccia silenziosa che accarezza ma scolpisce la pietra … alcune volte mi assale il dubbio di dare una mano ad annebbiare la migliore tecnologia che abbiamo: noi stessi, il nostro corpo, i nostri occhi, la voce col suo suono, le mani … perchè ridondantemente giocati su una rete e su strumenti che non sono nati per la scuola e neppure per la comunicazione in sè ma solo (quasi esclusivamente …) per un valore economico …
      poi qualche volonteroso c’è, bravi hacker, persone che ci credono davvero nella possibilità di costruire in rete qualcosa e di condividere idee e progetti … ma i “format” (quanto assomigliano ai “dictat” …) sono nati e pensati da qualcuno e sono davvero liberi? o nella loro stessa natura mi dirigono a dire o fare qualcosa, quel qualcosa? solo dubbi … niente di più. il pensiero del prof. Toschi nel suo testo “comunicazione generativa” dice molto in questo senso …
      facciamoci coraggio
      Luigi

  9. @giorgiomici #55
    vedi, anche io inizialmente (commento #38) ho usato una metafora, o meglio, un esempio: quello di Emmanuel Goldstein, e tu che sei un wise man dovresti saperla cogliere.
    Altrimenti potrei ricorrere ad uno scrittore del mio paese elettivo, Pennac, e tutta la sua saga sul Malaussène che interpreta il ruolo di bouc émissaire. Nel dubbio che non tu non conosca Pennac, o il francese, torno allora al mio paese nativo, e a uno dei miei autori preferiti, Sciascia, in “A ciascuno il suo”, laddove dice che siamo tutti un po’ fascisti se cominciamo a distinguere fra interesse dello Stato e interesse del cittadino, diritto del proprio elettore dal diritto dell’avversario, la convenienza dalla giustizia…
    Per traslazione: vado via dal corso perché qui l’interesse (piccolo) del singolo partecipante è subordinato rispetto all’interesse (supremo) del corso; è necessario che qualcuno interpreti un certo ruolo (negativo).
    Mentalità che non mi piace soggettivamente (l’ho interpretato io) e oggettivamente.

  10. @giorgiomici #55
    Beh in effetti, se si guarda questa discussione con distacco, ci sono aspetti buffi – un po’ come in uno spettacolo del Teatro della Tosse di Genova, anni – anzi decenni – fa: un esperimento di teatro interattivo, dove spettatori volontari improvvisavano le parti di allievi discoli di una classe di terza (?) media durante una lezione d’inglese. L’attrice che faceva la maestra ci aveva detto che la serata più dura era stata quando tutti i docenti di una vera scuola erano venuti a fare gli allievi: quelli lì la sapevano lunga in campo di improvvisazione disruptiva collaborativa.

    E in un cMOOC, c’è effettivamente un elemento di rappresentazione, di messa in scena di noi stessi, che non ci sarebbe, o ci sarebbe meno, in un corso “in presenza”. Però anche se l’effetto prodotto dagli scambi tra queste autorappresentazioni può essere buffo, non è che stiamo recitando la commedia: scegliamo – dobbiamo per forza scegliere – quel che mostriamo qui. E i dubbi, le certezze, le insicurezze, gli entusasmi, sono veri. A volte creano malintesi e risentimenti, come d’altronde avviene anche faccia a faccia. Questo laboratorio cMOOC è anche una buona occasione per provarli e tentare di capirne meglio le cause, perché dinamiche simili potranno prodursi anche tra allievi, se trasponiamo l’esperienza in classe.

    @gianni #52
    Mi è piaciuto molto il video che hai proposto, perché mi ha ricordato le cose che mi spiegava quando ero bambina una prozia che aveva fatto l’operaia orologiaia a domicilio in gioventù.

    Il video è poetico, e anche preciso: la ballerina che piroetta all’inizio è la “corona”, cioè l’ingranaggio che trasmette e regola la forza prodotta dai pesi al primo ingranaggio che fa girare tutti gli altri. Siccome quella parte del meccanismo si chiama “scappamento”, le viene voglia di svignarsela nel mondo fuori. Ma quando lo fa, ovviamente, si ferma l’orologio, si ferma il tempo, e il mondo fuori perde i colori. Allora lei torna a piroettare tra i pesi e il primo ingranaggio, e l’orologio, il tempo, la vita ripartono.

    Bello sì, ma non sono sicura che sia la metafora adatta per un cMOOC, come questo laboratorio che, come dice Giorgio, prevede l’intera libertà dei partecipanti. Compresa la libertà di non partecipare visibilmente, di non farsi il blog, di non farsi l’aggregatore, di non commentare sui blog altrui, o di cominciare a far quelle di queste cose che ci piacciono al momento che ci conviene, nel modo che ci conviene. Insomma di trarne quel che ci pare come ci pare, da soli, con gli altri iscritti o con altra gente.

    Nei falsi MOOC commerciali tipo Coursera, che sono in realtà grossissimi corsi online tradizionalissimi e chiusissimi, anche se gratuiti, i “lurker” che non partecipano visibilmente possono essere un problema, perché è sulla partecipazione visibile che viene valutato il loro “ROI” – dagli finanziatori e dai media. Ma non in un cMOOC come questo. Vabbé, se nessuno avesse commentato, creato il blog ecc., #lint13 non sarebbe decollato.

    Certo, c’è una grossa e coraggiosa scommessa di Andreas nell’offrirlo. Però non è una scommessa alla cieca, ma resa ragionevole dall’esperienza e dall’analisi di precedenti corsi di Andreas, mirati anch’essi all’imparare assieme e flessibilmente; dalla partecipazione a #ltis13 di coloro che hanno già partecipato a quei corsi precedenti – noi del #linf12, ad es., che ci siamo iscritti proprio perché ci piace imparare così. E ci sono gli iscritti che vogliono il certificato. Quindi il rischio della bonaccia totale era piuttosto remoto 😀

    Claude

    PS Adesso chissà se Akamai, il cerbero antispam di WordPress, mi manda anche questo commento in moderazione, come ieri quando avevo fatto 7 (sette) link. Caro Akamai, visto che sono stata brava questa volta? Non ho fatto nemmeno un link!

    1. Merci a lot Claude:)
      In effetti il video nn era riferito al cMOOC, ma era una metafora delle “connessioni” che in generale si creano in ogni relazione, fisica e digitale
      Son grato a Andreas che si fa un ma**o cosí a starci/mi dietro

  11. Questo post dà svariati spunti di riflessione…
    Non ho mai tenuto une lezione usando metafore (né ci ho mai pensato) ma grazie a quest’esperienza sto riflettendo su come introdurre nella mia didattica attività laboratoriali simili a quella che stiamo affrontando in questo momento. All’inizio di questo percorso mi sono trovata in difficoltà nell’entrare nello spirito del linguaggio “giocoso” che è il filo conduttore di tutta l’esperienza. Stiamo affrontando temi importanti: dall’apertura di un blog con una, anche se minima (dipende dalle competenze), configurazione dell’area all’istallazione di un software (feed reader) e l’importazione nello stesso di dati, dal codice HTML e i problemi che possono nascere nei vari ambienti in cui si utilizza all’incorporare risorse utilizzando il codice di embed, ma senza “spaventare” persone che hanno competenze tecniche minime.
    Io possiedo discrete competenze informatiche, anche di programmazione, e quello che mi ha affascinata è che la metodologia utilizzata è “rassicurante” per coloro che vogliono imparare ma sanno di muoversi “nelle sabbie mobili”.
    All’inizio, come ho già scritto, ero dubbiosa circa la mia iscrizione al Mooc a causa dei tanti impegni che devo conciliare… sono molto contenta di averlo fatto… E’ tutto ben calibrato ed è fruibile anche da persone che come me fanno davvero fatica a trovare il tempo da dedicare non solo alla lettura dei post ma anche all’esecuzione delle attività di laboratorio proposte.

  12. Eh, eh, prendiamola con ironia. Dal commento di ivemara55 (@ivemara55 #34) in poi, la lettura dei successivi m’han “risollevato” la giornata: sembra d’esser tornato in classe, un’ordinaria giornata tra undicenni.
    C’è Mario – alias iciaunord (@Mario #38), al quale qualcuno ha risposto con proprie riflessioni. E se ne duole e si offende e, giacché offeso, lascia il corso.
    Il bello è che ci tiene a farlo sapere a tutti, ma proprio tutti (@Mario #40, @iciaunord #46, @Mario #48, @Mario #51), quanto è deluso e offeso, soprattutto con il prof, reo anch’egli d’averlo “incasellato” in un ruolo non suo.
    Già a questo punto, avevo riso un bel po’ (a denti stretti, invero).
    Ma non basta: Rosanna (@Rosanna #41) e più ancora marina.p (@marina.p #49) e Luisella (@luisella #50) si lanciano in un “non ci lasciare” et similia che se non fosse comico, sarebbe assurdo. Non fa ridere?
    Infine Gianni (@Gianni #52) si lancia in una digressione sul tema del dubbio: mi par di capire che anch’egli alberghi dubbi, ma per il “poco dubbio in circolazione” (e poi ha il “dubbio” d’aver offeso qualcuno (@Gianni #54). Una vera e propria ciliegina sulla torta.
    C’è poco da commentare: il pregio di questo corso è che è libero. Chi vuole sta (se vuole), legge (tutto o poco), sperimenta e impara (se gli va), commenta… sempre nella massima libertà. È una di quelle rare occasioni (soprattutto in Italia) in cui qualcuno offre qualcosa a titolo completamente gratuito.
    Per cui… non fate i ragazzini, per favore.

  13. Personalmente nn sono daccordo con nessuno
    Nè con chi interpreta (chiunque sia), nè con chi nn si dispiace della perdita di 1 cittadino su 400 (nn siamo numeri ma persone), nè con chi evita il confronto (il disagio di Mario si è evoluto, nn si è cristallizzato), nè con chi nn manifesta criticità (nn ci credo che tutti meno uno nn abbiano perplessità), nè con chi esprime sempre e solo ringraziamenti (è impossibile che tutti nn sappiano nulla di nulla di tecnologie), nè con chi cerca di far da solista (così si creano dei ruoli verticali, l’esatto contrario della filosofia di partenza), nè con chi tace (e acconsente a tutto).
    Il mio pensiero è libero, anche perchè (come ho già detto, ma senza aver avuto Feedback), sono una delle poche mosche bianche che nn insegna, a fronte di tanti docenti che sperano di acquisire competenze professionali e quindi nn sono “inquinato” da aspettative didattiche.
    Che, peraltro, reputo più che legittime in un contesto in cui ognuno ha poche scelte a disposizione oltre quella di “autoformarsi”, perchè l’Istituzione nn provvede alla Formazione (che nn è un concetto astratto o dispersivo, come nn lo è per gli apprendisti la pratica di bottega).
    E qui sta secondo me il “punto dolens”.
    Perchè così nn cambierà mai nulla in un atteggiamento remissivo che ha questa categoria di “lavoratori” (tali sono i docenti, nn dei “missionari”), finchè nn acquisiranno uno spirito di parte (nn corporativo, ma di “classe”).
    Il focus resterà sulle “eccellenze”, ma la ricaduta metodologica complessiva resterà insoddisfacente.
    Dall’esterno di un’Istituzione (come la Scuola) si vedono meglio le criticità, come potrebbe un genitore più che un insegnante.
    Quelle che noto io sono nella contraddizione che si sta creando nel Villaggio nella cristallizzazione di due gruppi di cittadini ben distinti e separati.
    Da una parte chi esegue i compiti (pochi), dall’altra chi tace (la stragrande maggioranza silenziosa).
    Credo che in questo dovremmo trovare le criticità, altrimenti il villaggio diventerà una bidonville estesa sovraffollata, intorno ad un centro direzionale in mano a pochi.
    Io credo nelle metafore, così come nelle simulazioni, il far da sè e la condivisione.
    E’ anche vero che son passate solo 4 settimane e nn sarebbe giusto pretendere un risultato troppo definito.
    Ma sono anche convinto che una delle attività più nobili che il genere umano possiede, oltre a quelle che tutti conosciamo a menadito, dalle più negative a quelle idealisticamente costruttive, sia la capacità di “dubitare”.
    Se una critica, umile e discutibile, posso fare, è che il “dubbio” è il grande assente in questo villaggio
    Quel tipo di dubbio che nn frena ma stimola, che accoglie nn respinge, che aumenta nn diminuisce, che include nn espelle.
    Mi spiego.
    A volte percepisco la sensazione che il digitale sia una specie di “deus ex machina” (pur sperando che nessuno di noi ne sia convinto) e sento molto entusiasmo riposto nell’aver compreso tanti piccoli segreti informatici, nonostante basti fare una mini ricerca su Google per trovare qualunque codice.
    Ognuno ha il suo mestiere e diffido dei “tuttologi”.
    Fin dall’inizio mi ha entusiasmato l’idea del “Villaggio” e nn provo alcuna delusione oggi, anzi.
    Ma credo che troppe voci restino mute e questo mi fa “dubitare” che ci sia troppo poco “dubbio” in circolazione.
    Sbaglio?
    Nn lo so, sono qui apposta per chiarirmelo e per questo nn esprimo giudizi sui fatti o sulle persone, lasciando al “comune sentire” la definizione delle, eventuali, criticità.
    Grazie dell’ascolto e scusate la prolissità, è un mio difetto….
    Vi auguro una buona domenica con l’attestazione positiva che tutti facciamo parte di uno stesso ingranaggio….:)*

    1. È evidente che ho commesso un errore e ho anche scritto più su che mi dispiace. Nella foga, quasi patologica, di aiutare l’insieme mi capita di trascurare il particolare. Gli errori si commettono, ci si costruisce sopra ma poi se ne commettono degli altri.

      Quanto al discorso di Gianni non ho capito molto. Gianni, la prolissità che dici non è tanto cosa della quale tu debba scusarti, è che si rischia di non capire! Vorrei comunque dire che i MOOC funzionano così, anzi peggio. Quando vanno d lusso hanno il 20% di partecipanti attivi, più facilmente il 5%. Qui per ora siamo oltre il 35%.

      A me pare una cosa meravigliosa poter dare una mano a qualcosa come 160 persone, gratis.

      Altro non voglio sapere.

      È probabile che commetta altri errori.

      P.S. sono in viaggio, oggi ho solo l’androide.

      1. Io nn volevo giudicare niente e nessuno, ho solo fatto una riflessione a voce alta su un mio pensiero
        Mi dispiace se ho interpretato o offeso e se ho detto cose inutili
        Son contento di imparare qcsa

    2. il dubbio e la ragione sono un matrimonio indissoluble … concordo Gianni. più che dare risposte serve a volte fare domenade giuste. la filosofia per esempio da 2000 e più anni cerca risposte a domande sbagliate ( o sbaglio?) mah? lascio un dubbio. io, come docente, ho intrapreso persorsi “tecnologici” dal 1982 nella didattica e quanti dubbi… ora una montagna …
      per esempio fiumi di parole si stanno scrivendo su tecnologie e bisogni educativi speciali (i BES … che mi richiamano un BES…tie) ma forse si sta perdendo la dimensione del tempo (vera misura compensativa nella didattica) differenziato, nella relazione, nell’empatia …
      facciamoci coraggio
      buona domenica …

  14. @luisella (e marina.p)
    è vero, numericamente si tratta di 1 persona su 400. Cosa mi fa pensare che gli altri si facciano una certa idea di me? intanto, questo post è stato scritto il 1 maggio, e sono ancora leggibili cose tipo: Sono molto grato a Mario per offrirmi questa sponda, che è rappresentativa di tanto pensiero dominante, scolastico e accademico. E di seguito tutte le critiche al pensiero dominante, scolastico e accademico, che io rappresenterei (!!!). Un arido burocrate che non capisce i benefici di usare le metafore e di offrire visioni oniriche.

    Da quella stessa data, giusto qualche ora dopo la pubblicazione del post, sto cercando di correggere questa visione che ritengo sbagliata. Dapprima in maniera edulcorata, e poi oggi, dopo l’intervento non gradito sul mio blog, in maniera più esplicita (e quel commento è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso). Ma niente. Quattro giorni dopo, sono ancora il rappresentante dei burocrati. Non ci sono state, modifiche, rettifiche, correzioni, non mi è stata chiesta la mia opinione; ho fatto capire di esserne offeso, ma nessuno mi ha chiesto scusa, né il principale né la commentatrice, che anzi “s’è data” (come puoi dialogare con una persona che scrive un commento e poi sparisce?).
    Oggi Andreas ha pure scritto che il mio ruolo di rappresentante del pensiero dominante scolastico e accademico è necessario al corso. Quindi, non si tratta di un errore. Qui si persevera, scientemente. Su una pagina web pubblica, aperta al mondo.

    Conclusione: non ho più fiducia nel formatore (o ideatore, animatore) e non ha più senso continuare. Questo lo so bene, perché sono anch’io un formatore. Di studenti e di insegnanti.

    PS: tanto per far capire quanto sono burocrate. Alla fine del semestre, alcuni studenti non hanno superato l’esame. Tipicamente degli stranieri arrivati dall’europa dell’est, bulgari, ucraini e bielorussi, molto a disagio con la lingua nel primo semestre del loro primo anno all’estero. Qui c’è una sola sessione di recupero, a settembre, e se non la superi devi ripetere l’anno. Ora ho promesso a questi ragazzi che l’esame lo passeranno: e non facendogli una prova più facile, che tanto è nazionale e non si può barare; ma studiando insieme a loro, ogni sera, a partire dalla terza settimana d’agosto, fino a quando non saremo sicuri che sono in grado di farcela. Non pagato, e rientrando in anticipo dalle vacanze.

    1. questa è relazione educativa …
      e ci siamo con l’idea di errore e sbaglio nel giocarsi le relazioni: la relazione di due persone sul piano cognitivo (in blog siamo solo sul piano cognitivo – linguistico … mancando tutto il resto … o mi sbaglio?) è il risultato delle variabili di miliardi di neuroni della propria testa in rapporto con miliardi di neuroni della testa di un altro e comunicare non è semplice (mettere in comune) se prima non chiariamo i criteri del nostro comunicare. ognuno può interpretare in modo diverso ma non per questo essere nel torto o nella ragione … in secondo luogo la parola scritta è molto generica (se è vero che il linguaggio è generico per sua natura) perchè deve ingabbiare (per economia di lavoro) in poche righe (anche fossero 20 pagine .. sempre poche) una moltitudine di idee che derivano spesso dalle esperienze, molto analitiche e precise perchè agite su un versante globale sensomotorio. sustanziare un’esperienza con lo scritto non è cosa facile! ecco perchè comunicare in situazione col linguaggio(tecnologia di 200000 anni come minimo …) ci permette di comunicare “bene”: a distanza diventa già più difficile, con la scrittura ancora più arduo (l’immagine potrebbe dirci qualcosa e ancora di più!?)…
      per esempio potremmo discutere molto di fronte ad una linea che potremmo vedere sia come linea, sia come striscia: ma linea o striscia non sta nella cosa ma in precise operazioni mentali che facciamo e se prima non chiariamo queste (i criteri) allora potremmo “litigare” per secoli senza renderci conto che nessuno dei due ha torto o ragione ma manca la definizione “pre” di qualcosa che ci faccia comunicare …
      la babele di oggi spesso nasce forse da ciò … poi ci sono gli aspetti emotivi e quelli valoriali (etici) su cui sempre concordare “pre” …
      forse ho dato benzina la fuoco ? spero una pioggerella rasserenante e dissetante …
      facciamoci coraggio
      comunque sia un “salutoso” grazie a Mario

  15. @mario #48 e poi, se SOLO una persona su 400 è venuta a dirti che eri libero di andartene, cosa ti fa pensare che le altre 399 si fossero fatte un’idea (sbagliata) di te?
    Questo qui pro quo fa capire quanto sia difficile comunicare solo on line, senza l’aiuto di quel body language che è cosí fondamentale. Se poi il prof ha sbagliato in un suo citare un tuo commento poco recente, non lo so… Non ricordo il commento a cui ti riferisci, e comunque può succedere no? Se ogni volta che facciamo un passo falso andasse via un nostro studente, molti di noi rischierebbero di trovarsi con classi veramente poco numerose. Errare è umano…

  16. @Mario #48
    Bè, però a me dispiace che tu te ne vada. Io non so se il Prof. ha sbagliato, ma se anche fosse, una seconda chance non si dovrebbe negare a nessuno…
    Magari, stai un po’ alla finestra prima di traslocare definitivamente…
    Quando non ci si conosce e non si ha la possibilità di parlarsi “veramente”, è più facile equivocare le parole, perchè non abbiamo le sfumature del suono, dello sguardo,del silenzio.

    Se invece te vai veramente, porta almeno con te il buono che hai trovato qui!
    buon viaggio!

  17. E per completezza anche io posto qui la mia risposta data ad Andreas sul blog

    Andreas, capisco tutto e reputo il tutto molto lodevole, davvero. Apprezzo molte cose, e tanto per dirne una, io uso solo software libero, a casa come al lavoro.
    Per dirne un’altra, trovo molto interessante questo target (gli insegnanti a disagio con le tecnologie) che hai scelto. Nel mio lavoro mi occupo, fra le altre cose, di formazione degli insegnanti. Quando ho lasciato l’università di Montpellier, qualche mese fa, ero libero di scegliere fra molte sedi: a lungo sono stato tentato dall’idea di accettare l’offerta di un istituto scolastico medie/liceo, convinto che sviluppare le tecnologie della formazione sia molto più interessante a quello stadio del processo educativo. Poi ho accettato di venire qui, fra gli ingegneri, ma l’idea ha ricominciato a balenarmi in testa dopo aver incontrato casualmente un’insegnante di storia di un collège (scuola media) di periferia, e aver parlato con lei di tecnologie della formazione e delle condizioni del suo lavoro: mi sono convinto che potrei essere molto più utile lì, il valore aggiunto sarebbe molto più importante.

    Quindi, ripeto, tanto di cappello.
    Trovo però che sia una piccola scorrettezza citare un mio post scettico del 10 aprile, e non citare i post successivi in cui il mio tono cambia (tant’è vero che avevo deciso di continuare comunque). E per inciso, al 10 aprile non avevamo ancora aperto i blog, quindi quelle considerazioni (che poi ho riportato – poco accortamente – pari pari sul blog) erano il mio diario personale.
    Ti serviva il mio scetticismo, era strumentale al discorso che volevi fare, ecco tutto. Ma così facendo, 400 persone hanno avuto di me un’idea non vera, lontana da quello che sono. E infatti una lettrice mi è venuta a dire che sono libero di andarmene. Forse spinta da eccesso di zelo, o perché plus royaliste que le roi, chissà. Che se poi tornasse qui le spiegherei, restando nella metafora, che cosa mi piaceva di quel ristorante. Vabbè.

    Tutto questo non m’è piaciuto. Quindi ribadisco, non ho più voglia di continuare, ma non per i motivi di inizio aprile (un mese più tardi, stavo iniziando a trovarmi bene nel cMooc).
    Nella formazione professionale, o degli adulti che dir si voglia, ho imparato che uno dei motivi di successo è che il “formato” si identifichi con il “formatore”. Mi dispiace dirlo, ma questa fiducia non ce l’ho più, quindi non ha senso continuare.

  18. Pongo anche qui le considerazioni che ho postato nella discussione del blog di Mario.

    In effetti la metafora del ristorante non calza troppo. Al ristorante si va per stare bene. Questo invece è un luogo dove si offre gratuitamente qualcosa che potrebbe servire a qualcuno. Ognuno è libero di seguire o non seguire, entrare o uscire tutte le volte che vuole.

    È un’offerta nello spirito del software libero, nello spirito hacker. Da più giovane mi intrufolavo nei software proprietari per migliorarli, ora mi intrufolo nei corsi universitari per migliorarli. Sono abbastanza vecchio (e fortunato) da non dover più fare le cose per necessità e abbastanza giovane da abbandonarmi a tutta la creatività che voglio. Nessuno è obbligato ad attenersi ad alcunché ne ad aderire ad alcunché.

    Ho un solo criterio: ciò che propongo funziona o no? Vado avanti e sviluppo ciò che funziona e mollo ciò che non funziona. Cosa vuol dire che funziona? Vuol dire che la gente cui offro qualcosa mi dice di avere imparato qualcosa o di avere conosciuto qualcosa di nuovo o di avere percepito una nuova e utile prospettiva.

    Naturalmente sarei un povero idiota se ritenessi di soddisfare le necessità di tutti quelli che si avvicinano! In seguito ad un lungo e paziente lavoro, dove ho lavorato una decina di anni con migliaia di studenti di una ventina di corsi di laurea diversi, ho selezionato invece un target molto preciso, che è quello di insegnanti che si trovano a disagio con le tecnologie. Io faccio tutto quello che posso affinché il loro disagio diminuisca. Punto.

    In realtà ci sono anche tante persone che partecipano pur non rispndendo a questi requisiti. Persone esperte o che comunque non rientrano affatto in quel target ma che sono interessate al metodo. Queste persone partecipano e diventano talvolta dei formidabili catalizzatori. Per questo non pongo limiti, perché spesso la diversità porta inaspettatamente ricchezza.

    No, non è una navigazione a vista ma è effettivamente una navigazione. Non è invece un binario. È esattamente una navigazione, dove c’è una rotta che punta ad una meta ben precisa, ma dove il timoniere deve tenere conto delle mutevoli condizioni. Invece del vento si ascoltano le persone. Naturalmente è impossibile ascoltarle tutte. Si ascoltano quelle che hanno più bisogno di ciò che si tenta di offrire.

    Gli altri, gli esperti in particolare, a vario titolo, se cercano qualcosa per se medesime è naturale che non lo trovino e quindi fanno bene a dedicarsi ad altro, con tutta la serenità possibile da parte di tutti. Di questi, esperti a vario titolo, intendo, a volte succede che alcuni si interessino molto e partecipino offrendo le loro competenze. Questi sono episodi di grande valore, che contribuiscono in maniera importante alla creazione di comunità di apprendimento.

    È un peccato se Mario decide effettivamente di non partecipare più, perché il suo contributo può essere molto utile. Specialmente nella seconda fase dove si dovrebbe lavorare per aggregare le persone in base ai propri interessi e ambiti professionali.

    Ma se Mario si sente a disagio perché mi sono servito in modo un po’ sbarazzino dell’occasione che mi ha offerto, mi dispiace. Vedete: sono rischi che corro, badando molto al risultato e poco a proteggermi. Ma va bene comunque 🙂

  19. @Mario 40. Mi dispiace ma ti capisco. A me le tue remore rispetto alla metafora del villaggio non sono mai apparse “rappresentativ[e] di tanto pensiero dominante, scolastico e accademico”. E che non sia così appare chiaramente nella tua partecipazione nei commenti a Un tuffo nell’html di Antonella Rubino, ad esempio. Le tue remore sono piuttosto una messa in guardia contro i rischi di un’adesione troppo letteralista e troppo corale a qualsiasi metafora. Comparaison n’est pas raison, insomma.

    Poi la metafora del villaggio conviviale, se non presa con un pizzico di sale, può comportare pericoli propri. Dunblane, nel Regno Unito, era un villaggio conviviale, una comunità “close-knit”, fino a metà marzo 1996, quando un abitante è impazzito e ha fatto una strage nella scuola materna. Idem per Sandy Hook negli Stati Uniti fino allo scorso dicembre.

    Quindi la metafora del villaggio può andare qui, tra adulti motivati che partecipano ad un cMOOC dove la prima O sta per Open, aperto. Ma trasporla in ambiente scolastico, dove il villaggio deve essere chiuso per proteggere i dati di allievi minorenni, come alcuni di noi hanno ipotizzato? Non dico che porterebbe a massacri, però il rischio di dinamiche molto negative, di bullismo, c’è (lo so perché mi è successo in un tentativo di simulazione globale di tipo isola).

    @ivemara55 #34 qui e tuo commento datato 3 mai 2013 à 22:39 sul blog di Mario:
    Se in un ristorante mangi così-così, e vedi che in un sito con valutazioni degli utenti tipo TripAdvisor, quello ha soltanto recensioni entusiaste, aggiungerai la tua più sfumata, nel caso che altri condividano i tuoi criteri (come ha fatto Mario nel suo bliancio del corso), o lascerai che sia il solo pensiero dominante ad esprimersi?

  20. È normale. Le relazioni umane sono caratterizzate da diversità e contrasti che possono essere negoziati, talvolta risolti, talvolta no. Succede in ogni tipo di comunità, fisica e virtuale.

  21. @Mario #38 Il dialogo è utile quando è teso a far volare le idee e quando non è vissuto in maniera personalistica. Hai giocato un ruolo utile e importante nel rappresentare “tanto pensiero dominante, scolastico o accademico”. E per me è meritevolissimo che tu l’abbia rappresentato. Infatti ti ho ringraziato! Poi hai articolato il tuo giudizio, e anche questo è interessante.

    L’osservazione che @ivemara55 è venuta a farti non è affatto fuori luogo. Non la devi pensare come rivolta a te, ma a quella posizione. Ed è perfettamente comprensibile: se frequenti un corso e non corrisponde alle tue aspettative, lo molli, tutto qui. Un altro che ci trova qualcosa di chiede perché ci rimani. Magari non ha letto il resto, ancora, capita. Poi leggerà.

    1. Ma infatti. Me ne vado.
      Andreas, grazie dei ringraziamenti per aver giocato un certo ruolo, ma ne avrei fatto a meno. Quel ruolo non mi piace, non mi corrisponde, non l’ho chiesto, e lo trovo vagamente offensivo. Che serva alla logica del corso lo posso anche capire, ma non è giusto attribuirlo arbitrariamente a un partecipante. Qui sembra che io mi sia lamentato del fatto che in questo corso non ci sia abbastanza burocrazia scolastica. No, tutt’altro, mi sono lamentato del fatto che non imparo niente.
      La prendo sul personalistico e impedisco il volo delle idee? Può darsi, ma dietro ogni schermo e ogni tastiera ci sono delle persone in carne ed ossa. Magari le ivemara55 non sanno esattamente cogliere le sottili distinzioni fra persona e posizione, magari non leggono neanche tutti i commenti prima di formulare dei giudizi, fatto sta che vengono a casa mia (del villaggio) a parlare metaforicamente e allusivamente. Rivolgendosi a me, credendo che io sia portatore di una certa posizione.

      Sul mio blog le mie conclusioni, appena ho tempo.
      Buona continuazione.

  22. @andreas, e per conoscenza @ivemara55

    Ecco Andreas, lo vedi cosa succede ad additarmi (immeritatamente) a rappresentante di “tanto pensiero dominante, scolastico o accademico”?
    Che divento l’Emmanuel Goldstein della situazione, e poi arriva gente che si sente in dovere di venire sul mio blog a fare i suoi due minuti di consigli metaforici non richiesti. E se ne gloria qui, commento #34. Senza leggere quello che ho replicato io, suppongo.

  23. @giorgiomici #31 Sarà perché il mio essere insegnante segue una strada parallela a quella di Andreas (in piccolo, ovviamente)

    Io rovescerei: sono io che “faccio in piccolo”: credo che insegnare in una classe scolastica per 9 mesi sia molto più difficile che tenere un corso universitario…

  24. dopo 37 anni di docenza che dire? a volte mi sembra di essere in una spirale che si sta inviluppando su se stessa in un fiume di parole … la burocrazia c’è; spesso la odio ma … c’è bisogno di un jump didattico e pedagogico che ora non è possibile proprio perchè lacci e lcciuoli legano ancora la scuola. sono certo però di essere all’interno di un processo, una storia che non vedrò ma che andrà avanti: qualcuno, magari un po’ anche noi, guarderà la scuola come il cubo di Necker e vedrà un lato diverso, differente … allora si apriranno vie nuove all’insegnamento. la valutazione? finchè rimarrà il collo di bottiglia di un valore standard e legalizzato di un diploma si guarderà molto di più alle performance che ai processi dell’apprendere ed alle competenze da maturare per saper gestire un processo che ha un input a scuola e procede per tutta la vita… le prove INVALSI un tormentone che diventa svista … la valutazione ricalca le orme di dimostrare la bravura del docente o della scuola più che individuare processi, risultati e criticità nella relazione insegnamento-apprendimento… ci sono cose nuove e cose vecchie; cose nuove accennate e poi perse (si veda l’idea del portfolio … e le pagelle …), un giudizio descrittivo ed i voti disciplinari … c’è da buttare acqua sporca ma stare attenti anche al bambino… poi quelli che hai in classe guardano i tuoi occhi, leggono il tuo entusiasmo o la tua apatia, sentono in profondità il calore della voce e l’agire delle tue mani che si muovono con le loro … perchè non è solo questione di tecnica ma di relazione… forse anche nel villaggio ci tiene insieme la relazione, una relazione “virtuale” (?) ma voluta e cercata, una relazione immaginata e metafora reale di stare insieme per fare qualcosa … un po’ folle ilnostro percorso? ben venga la follia …
    la metafora rimanda ad un significato che attende un’esplicitazione che lo descriva …
    io non so ma ci provo … facciamoci coraggio

  25. @tnt54 #21 È difficile rispondere utilmente… credo che un atteggiamento possibile sia quello del “perseverante perturbatore”. Il sistema (scolastico in questo caso) è molto grande e quindi ha una grande inerzia, come una grande ruota che gira, molto lentamente. Non è pensabile che muti repentinamente il suo lento movimento. È pensabile invece che possa essere perturbato. Certo, la perturbazione di una sua molecola potrà poco, ma se le molecole sono tante e perturbano tutte nella stessa direzione, allora forse… e forse siamo qui per questo… 😉

  26. Questo è il commento che ho lasciato al post “Bilancio del corso” di Mario, alias iciaunord: “Se vado a cena in un ristorante dove ho mangiato così-così…non mi metto a questionare con il gestore…prendo atto che la cucina non è di mio gradimento, decido di non tornarci e non lo consiglio agli amici…”. Ho usato una metafora…

  27. Il motivo principale per cui durante questi corsi divengo latitante per lunghi periodi è perchè quando mi affaccio a questa finestra non riesco a rientrare per ore, perché in queste metafore mi ci perdo, mi ci infilo e comincio a viverle ricevendone tante risorse quante un manuale non potrebbe contenerne…unica controindicazione: c’è un’altra parte del mondo che necessita della mia presenza 😉 grazie mille Andreas e grazie a tutti voi x i vs contributi!!!

  28. Copio e riporto una parte del post (che inserirò nel mio blog) “Il problema fondamentale della Scuola – uso il maiuscolo a significare tutto, scuola, accademia eccetera – è quello di avere perso una visione culturale della missione educativa, ormai lacerata in brandelli da una deriva che definirei sostanzialmente burocratica: stiamo affrontando un problema culturale con strumenti burocratici. La divisione rigida dello scibile in discipline, l’organizzazione in settori scientifico-disciplinari del corpo accademico, la lingua imprigionata nei gerghi pertinenti, l’ossessione della quantificazione totale, causano mortificazione del pensiero e morte della cultura” Pienamente d’accordo! Non vorrei fare una citazione falsa, ma non era Apollinaire che definiva la metafora un “cortocircuito” nella mente? Ho sempre trovato, comunque, questa definizione la più pertinente metafora per spiegare la metafora.

  29. Tra tanti che hanno qualche perplessità, io mi trovo come un topo in una cesta di formaggio… Sarà perché il mio essere insegnante segue una strada parallela a quella di Andreas (in piccolo, ovviamente); sarà perché cerco sempre, con i miei alunni, di uscire dagli stretti ambiti disciplinari; sarà perché metafore, racconti e scherzi, sono il mio pane quotidiano; sarà per tutto questo e molto altro ancora, ma sto imparando moltissimo (e non solo sulle tecnologie applicabili all’insegnamento). Quindi, grazie mille Andreas (e a voi tutti che condividete/sviluppate questo breve tratto di cammino).

  30. per me aderire a questo percorso significa avere l’occasione di modificare e stravolgere ben bene una parte di me (che volevo modificare e stravolgere da tempo): liberarmi dall’ossessione del “tenere tutto in ordine”, del “non fare un passo prima di aver percorso tutti gradini propedeutici al passo successivo”, insomma scardinare tutto e sentirsi liberi di curiosare di qua e di là, seguire una pista e lasciarne indietro un’altra…. Ovviamente cerco di farlo con un minimo di buon senso e coerenza, ma l’idea è quella di sentirsi liberi di spaziare e costruire la propria conoscenza. A volte mi sento un po’ maldestra e incerta, ma piano piano conto di liberarmi da manuali, regole e istruzioni….e liberare da essi anche i miei alunni!

  31. come tanti di voi, mi trovo a “smanettare” come direbbero oggi i miei figli, in questo mare magnum di nuovi vocaboli e significati. come insegnante di scuola d’infanzia mi chiedo: a che pro? ma la risposta me la do immediatamente: perchè mi piace e mi incuriosisce tutto ciò che è tecnologico e frutto di nuove idee per comunicare! non credo che smetterò.
    non riesco però ad avere un feedback su quello che faccio…devo aver ommesso qualche step!…vado a rivedere i filmati del prof. e provo attendendo un cenno da parte di qualcuno…magari un collega dell’infanzia, magari! buon lavoro a tutti

  32. @andreas#19 Concordo pienamente con quanto tu affermi riguardo al modello ottocentesco. a questo proposito ho trovato nel villaggio (questa metafora mi piace veramente tanto) un video fatto molto bene che espone molti dei concetti che tu hai espresso nel post riguardo alla scuola. Lo ho ribloggato come meglio mi riusciva nel mio blog. Guardatelo. Per quanto riguarda le metafore sono convinta anche io, da ricercatrice, che funzionano molto più di tante spiegazioni tecniche minuziose. Del resto come si potrebbe descrivere una cosa totalmente nuova se non ricorrendo a similitudini con cose già note? E come si poterbbero scoprire cose totalmente nuove senza l’aiuto del sogno e della poesia?
    P.S. speriamo che il link scritto in HTML funzioni!

  33. @Luisella, #22. Anche io ho la sensazione del peggioramento, ma lo faccio risalire ad un momento preciso: il pensionamento della vecchia Preside, che aveva una visione didattica oltre che amministrativa. Le nuove leve di Presidi, anzi di “Dirigenti”, hanno avuto una formazione di tipo assolutamente diverso, legal-amministrativa, e sono ossessionati dall’idea di sbagliare e dover poi pagare di persona per regolamenti o circolari involontariamente non rispettati. Questa ossessione “consuma” tutte le energie ma anche i tempi collegiali.
    Proprio qualche giorno fa si commentava, a margine di una riunione pomeridiana, che ormai non parliamo più di didattica perché dedichiamo ogni spazio ai cosiddetti “adempimenti”.
    Sulla valutazione concordo pienamente con te e Daniele. Cosa espliciterà il registro elettronico in arrivo da settembre, però, davvero non me lo immagino. A volte la trasparenza non svela veramente, bensì occulta con una forma limitata (il numeretto/voto) la ricchezza del rapporto in classe, o stringe in un fermo-immagine bidimensionale qualcosa che è in continuo divenire… una storia…

  34. Ho lavorato con migliaia di persone e la grande maggioranza di esse esprime lo stesso disagio. Anche i ventenni. Sì, anche tantissimi nativi digitali dichiarano di sentirsi imbranati con le tecnologie, appena escono dai loro territori virtuali, sempre più commerciali e spesso assai ridotti. (ARF)
    Sì, è assolutamente così! A volte penso che il primo e definitivo segno di intelligenza è la curiosità. Sempre. A qualsiasi età.

  35. @Daniele #17 concordo quasi su tutto, soprattutto relativamente alla valutazione, che dovrebbe essere il più possibile oggettiva e basata su criteri precedentemente esplicitati. Ma perché parli tutto al femminile? Vabbè che i docenti maschi sono una minoranza… e anche qui nel cMOOC siamo probabilmente una maggioranza di donne, però….
    Relativamente ai programmi, vero che sono stati aboliti (e per fortuna) però per chi insegna alle secondarie superiori c’è l’inghippo che la seconda prova è ministeriale… e guarda caso se esce un qualcosa (argomento? competenza?) che non è stato trattato (insegnato? proposto? svolto?) dal docente di quella materia, sono guai…
    Relativamente al red tape, alla paperasse o alle scartoffie che dir si voglia, a me sembra che effettivamente ogni anno aumentino. Mi sbaglio?

  36. Tante belle parole… e alla prova dei fatti? Ieri mi è stato detto per certo che all’esame di stato tra due anni ci sarà la prova invalsi, quiz di italiano inglese e matematica, e il risultato servirà per l’ammissione alle facoltà universitarie. Logicamente oltre alle tre prove scritte ed una orale già presenti. E ora? devo allenare i ragazzi a risolvere quiz, svolgere problemi, risolvere quesiti, argomentare, ecc… riferendomi ad un programma che ufficialmente non esiste più ma in realtà condiziona pesantemente tutto. Unico strumento consentito la calcolatrice scientifica non programmabile… Ma allora ridateci addirittura le tavole logaritmiche, almeno lì c’era qualche formula da poter utilizzare! Alla fine divento un’addestratrice, non trasmetto più cultura.

  37. Leggere i commenti a questo post mi consola e mi rinfranca, perchè capisco di non essere l’unica ad avere difficoltà nel seguire il percorso. Se da un lato, quindi, trovo difficoltà, dall’altro trovo un grande fascino in questo tipo di procedimento che stiamo seguendo col prof. Per me è nuovo, ma voglio continuare. Voglio provarci.

  38. @Daniele #17 Oh no! Non ho assolutamente inteso rifarmi ad un’età dell’oro. Io di anni ne ho 58 e per me la scuola è stata un’esperienza pessima, mitigata dall’incontro di tre o quattro insegnanti straordinari, in tutti quegli anni, da 5 a 23. Forse il resto era un prezzo da pagare per avere conosciuto quelle tre o quattro persone; diciamo così.

    Sì forse “tendenza” è più corretto di “deriva”. Commento in estrema sintesi, perché voglio scrivere ancora un post fra stasera e domattina. Di fatto, scuola e università sono rimaste al modello ottocentesco di impippiamento industriale, a dispetto di tutte le teorie pedagogiche e dell’apprendimento. All’inevitabile sfida posta dalla massificazione il sistema ha reagito con gli strumenti della burocrazia, anziché della cultura, peggiorando ulteriormente le cose.

  39. Mi piace particolarmente il fatto che tu la metafora del villaggio l’hai proposta in parole e non in qualche metaverso tridimensionale tipo Second Life.

    A parte il fatto che io in Second Life non ci torno più da quando il mio avatar è atterrato nudo come un verme e calvo sui gradini del “meta” Berkman Center di Harvard nel 2007 (così imbarazzante!) – con una metafora a parole siamo liberi di concretizzarcela individualmente e/o assieme. Vedi la stupenda galleria di abitanti del villaggio creata da Monica Terenghi, che spiega come in L’html e l’arte di arrangiarsi.

  40. In genere non sto a replicare su tutto quello che leggo e non condivido, ma quando troppi dicono la stessa cosa divento combattivo. La “deriva” burocratica. Deriva cosa vuol dire? Che è una tendenza recente? Ho 56 anni, quindi sono più di 50 anni, dalla prima elementare, che sono nella scuola. Quando mai è stata migliore? Il mito di un’età dell’oro non è che una tendenza automatica del pensiero.
    O forse alcune di voi sono state la coccolina della maestra. Io non lo sono mai stato. Anzi… Quando ho cominciato ad andare a scuola io le maestre erano ancora quelle educate dal fascismo e, nonostante fossi stato un bambino, le percepivo come stupide e prepotenti perché non ci si poteva ragionare.
    Torniamo alla tendenza (non deriva) burocratica. Penso che questa venga dal non volere assumersi responsabilità: qualsiasi decisione o azione intrapresa deve essere rispondente ad una volontà gerarchicamente superiore. Se ho sbagliato, ho obbedito agli ordini. La maggior parte delle insegnanti pensa, dopo circa 14 anni che sono stati aboliti, che esistano ancora i Programmi ministeriali.
    Quanto alla pretesa oggettività della valutazione, non la vedo accompagnarsi alla tendenza burocratica che, al contrario, predilige il più completo arbitrio, in nome di una superiorità di giudizio che, comunque, nessuno è capace di definire. E’ chiaro che una valutazione veramente oggettiva è impossibile, ma, secondo me, sarebbe auspicabile che si basasse almeno su criteri comunicabili. Invece, l’unica oggettività deve essere quella votata a maggioranza, cioè, secondo criteri di potere. Mettere un oggetto su una bilancia per stabilirne il peso non è democratico: va deciso a maggioranza.
    Se l’insegnante è l’ingranaggio di un ordine gerarchico, deve avere a sua volta il potere su qualcuno, e questi è lo studente. Se gli si toglie l’arbitrio in nome di una valutazione basata su criteri, non “oggettivi”, ma, per lo meno, espliciti, che fine fa il suo potere?

  41. Grazie prof dell’incoraggiamento.Non tutti i giorni riesco a seguire, poi faccio delle full immersion per recuperare. Questo corso mi sta dando gratificazioni personali e nella nostra professione servono molto. Io ho cominciato a lavorare con un commodore 64 utilizzando il linguaggio Logo, secoli ormai fa. Quando è arrivata internet ho provato interesse, ma nello stesso tempo paura e mi sono bloccata. Internet è il mondo che ti si apre davanti, misterioso, affascinante, pieno di meraviglie, ma anche pieno d’insidie, dove è facile perdersi. Avevo provato in passato a iscrivermi a facebook, in effetti sono ancora iscritta anche se entro molto raramente, ma lì mi sento come un pesciolino in un acquario.Questo corso mi sta dando la mappa e la bussola per muovermi nel mondo di internet.Non so se capirò del tutto le informazioni tecniche che mi sta dando, ma il senso di appartenenza ad una comunità complessa, varia e cooperativa lo sto capendo bene. Grazie Elena

  42. La metafora ti porta a diventare altro pur rimanendo se stessi e nella nostra esperienza di insegnamento ne abbiamo un disperato bisogno. Questo è per me il senso di appartenenza a questo villaggio che riesco a visitare veramente poco, ma quel tanto che mi basta per dire che è un luogo incantevole.

  43. Che altro aggiungere alle vostre sapienti riflessioni? E’ vero? Il villaggio è variopinto, variegato, ma unito da un comune denominatore: il pensiero che è possibile imparare sempre qualcosa di nuovo, in un modo accattivante, stimolante, piacevole, e non burocratico, ossessivo, imprigionato, schematizzato all’eccesso, gestito dall’alto, ingessato, per non dire camuffato e malfidente.
    Da qui la resistenza a rimanere per “vedere come va a finire”, da qui lo stimolo a contribuire con la sensazione assai vera di fare qualcosa di utile, di proficuo. Non solo per sè, ovviamente.
    Come già ho detto sono un’insegnante a metà, divisa tra il mio compito di direttore e il mio intento di non lasciare il campo “scuola”; quando vi sento lamentarvi di un sistema che non funziona, so benissimo cosa intendete, sono le stesse ragioni che mi hanno tenuta fuori fino ad oggi.
    Ma oggi me ne pento; mi pento di essermi tenuta alla larga. E’ solo da dentro che si possono cambiare le cose.
    Dentro un villaggio come dentro un sistema malgestito che però si può migliorare.
    In quanto alla metafora, benedetta sia, se serve a farci riscoprire/esprimere la nostra umanità vera seria affatto effimera, oltre l’essere impeccabile del professionista o dell’apprendente. :-))

  44. Posso testimoniare che è così!
    Ho iniziato il corso …pentendomi dopo un giorno! Mi sembrava tutto inarrivabile! (basta leggere le prime noiosissime pagine del mio diario di viaggio).Ma se sono ancora qui, (soprattutto avendo imparato un sacco di cose, io, che non sapevo niente) è anche perchè il linguaggio metaforico del Prof. mi ha catturata: ad un certo punto ho sentito che APPARTENEVO al villaggio. Dove abito? In periferia? Nel laghetto? Al mulino? Vi dirò, non mi interessa più, perchè ovunque mi giro, c’è qualcuno con me. E io con lui. Le faccende tecnico-teoriche possiamo andarle a cercare in tanti posti; costruire una metafora che va oltre, non è da tutti.
    Le metafore servono a capire la vita. A volte, poi, servono a vivere anche quando non capiamo.

  45. Ah, ho capito, sono il Lend Support di Andreas 😉
    Sì, ho capito il discorso delle metafore, ne ho parlato con Claude che mi ha fatto riflettere sul loro senso in questa lodevole iniziativa di Andreas. E, a onor del vero, sempre nel mio diario, qualche riga più in basso faccio delle considerazioni di tipo diverso.
    Tuttavia…
    mi sono interrogato sin dall’inizio se avesse senso stare qui, in questo cMooc. Scrive Andreas: …se il mio obiettivo è introdurre una persona ad un nuovo mondo… Ecco, io in questo “nuovo mondo” ci sono da un pezzo, è il mio mestiere, la mia maniera di procacciarmi reddito direbbero gli economisti. Come tutti, mi sono iscritto a questo corso nella speranza di migliorarmi professionalmente, di far crescere le mie competenze; e nei primi giorni ero spaesato e – non ho nessuna remora a scriverlo – deluso. Da cui la domanda: cosa ci faccio io qui? Perché tutti parlano di villaggio con metafore varie quando io voglio imparare cose tecniche, concrete, soluzioni alle mie impasses?
    È chiaro che quello fuori luogo ero io, l’iniziativa di Andreas è bella ma non destinata a me. Pensavo. Ed avevo voglia di andarmene. Ma sono rimasto, nonostante sentissi di avere esigenze diverse dal resto dei partecipanti (e proprio oggi ho aggiunto un nuovo articolo al blog, il bilancio del corso).

    Seconda considerazione di Andreas, sulla Scuola che affronta problemi culturali con strumenti burocratici.
    Non ho idea di cosa stia succedendo nella scuola italiana e ne ho una vaga per quanto riguarda il mondo accademico; ma tendo ad essere d’accordo. Ho fatto concorsi in Italia (nella teledidattica) e ho dovuto studiare principalmente norme giuridiche: leggi di ogni rango, diritto amministrativo, legislazione universitaria, statuti e regolamenti d’ateneo, regolamenti didattici, regolamenti di contabilità e finanza (!), regolamenti di sicurezza del lavoro… e alla prova non chiedevano altro. Ho fatto lo stesso concorso in Francia (technologies de la formation) e ho studiato solo tecnologie della formazione.
    Ma di nuovo, sono in un contesto diverso dagli altri partecipanti. Non credo di aver bisogno di antidoti culturali ad un contesto lavorativo fisiologicamente burocratico. Le persone che si formano qui dove lavoro sono di tipo diverso da quelle formate dai miei colleghi di corso cMooc: sono ingegnieri, iper-specializzati, che trovano lavoro adatto alle loro competenze, e ben pagato, in (mediamente) 3,5 settimane dopo il diploma. E questi standard di qualità devono essere tenuti ad ogni costo: pur in un contesto pubblico e “repubblicano” (tutti sono uguali in partenza) c’è una concorrenza bestiale fra università, bisogna invogliare gli studenti a venire qua; e l’attrattività deve essere assicurata dalla durezza degli studi, e non da un livellamento verso il basso (cd. diplomificio).
    Insomma, poca burocrazia, molta produttività, concorrenza, lavoro. La burocrazia mi fa abbastanza tristezza, se non peggio, ignoro se in Francia esistano i settori scientifico/disciplinari e tassonomie di ogni tipo.
    Ancora una volta mi sono chiesto: che ci faccio qui? Ci resto, ho qualcosa da imparare:
    http://iciaunord.wordpress.com/2013/05/01/bilancio-del-corso/

  46. Condivido pienamente tutto quanto ha scritto Andreas,è per questo che mi sono sentita subito a mio agio tra le sue metafore,i suoi racconti…. questa esperienza mi arricchisce professionalmente e mi dona soprattutto positive emozioni. ..quando mai si riceve un tale feedback nei corsi “tradizionali”?

  47. Caro Andreas, sono daccordo che la scuola scivola sempre più verso una mortificante deriva burocratica, ci lavoro dentro-fino-al-collo, e forse è proprio perchè sono “daccordo” che che ti ringrazio per le tue metafore senza le quali non avrei mai avuto il coraggio di partire con questo corso ed andare avanti. Le metafore lanciano un ponte tra il mondo di qua ed il mondo di là. Tante volte con i miei ragazzi sento il bisogno di usare le metafore per rendere più comprensibili concetti e collegamenti, affiancando il linguaggio specifico con espressioni familiari, quotidiane, più attraenti. Ed oltre alle metafore uso il racconto,la provocazione, lo scherzo l’esagerazione che provoca stupore. Purtroppo questo non basta ma aiuta molto. Per quanto riguarda gli “imbranati”, mi sento a pieno titolo di farne parte ed un po’ mi consola non sentirmi sola, però mi da anche un senso di fierezza ogni piccolo passo in avanti che riesco a fare (con immensa fatica!)

  48. In effetti anch’io mi trovo un po’ spaesata leggendo di villaggi, di sentieri, di laghetti e quant’altro e leggo rapidamente cercando il punto con le “istruzioni per l’uso”… Ma questo non mi disturba, anzi mi incuriosisce.
    E probabilmente è solo dovuto al fatto che sono più abituata ad usare le immagini in modo metaforico e meno il linguaggio verbale. Un’immagine come questa, ad esempio, riassume tutto quello che mi ispira questo percorso. Grazie mille Andreas per questo nuovo approccio 😀

  49. @Elena …non preoccuparti e continua! Anch’io ho provato le stesse sensazioni ai tempi del primo laboratorio con Andreas anzi, ti dirò di più, guardando il programma da lui stilato ( ero iscritta alla IUL) non riuscivo a comprendere cosa volesse fare e poi…cos’era la “blogoclasse”? “Mistero” che metteva ansia! Frequentando, poi, la blogoclasse ( dopo la fatica di comprendere come collegarsi con tutti gli altri!) è stato così piacevole il percorso ed entusiasmante! Le comunicazioni si intersecavano piacevolmente facendo nascere uno spirito di cooperazione in una comunità virtuale che si supportava anche nelle difficoltà, che proponeva agli altri ciò che scopriva ed utilizzava, poi …la Metafora!
    @Mario …la metafora ed il suo utilizzo è stato l’elemento contaminante gli attori della comunità , un elemento che ci ha fatto scoprire la nostra umanizzazione anche nell’uso della macchina; le immagini scaturite dalla metafora “calzavano a pennello” nel nostro intimo, nel nostro essere professionisti, amanti del digitale, ma esseri umani con il compito di “educere” e quale immagine può essere più adeguata di quella della passeggiata in un bosco?
    All’inizio titubanti nell’uso della Metafora, abbiamo scoperto , man mano, un uso naturale, sentito, che rendeva visibili anche i concetti più difficili! Non eravamo gli ultimi poeti rimasti, ma la metafora ci ha fatti ritrovare nella condivisione di finalità educativo/didattiche senza farci perdere “nel bosco” e aiutandoci a scoprire le possibili strade da percorrere!
    Un grazie ad Andreas che ha reso possibile questa meravigliosa esperienza ed anche a qualche compagna di viaggio 😉 …(Maria Grazia Fiore)
    @Per tutti i partecipanti: considerate che , in questo periodo scolastico, stavo attraversando un momento di forte sfiducia e delusione per il clima scolastico venutosi a creare nella mia scuola, una scuola che è sempre stata all’avanguardia, di cui ero fiera, e pur non avendo lo scopo di raggiungere crediti ed avendo , invece, enormi impegni scolastici, non appena ho visto la possibilità di frequentare un luogo virtuale , di comunità di apprendimento con Andreas…mi sono subito precipitata! In me si è risvegliato il desiderio di…”passeggiare per il bosco!” Ci sono sempre cose nuove da scoprire , passeggiando nello stesso bosco!
    Non vi scoraggiate! 🙂

  50. Devo dirvelo!!! Ce l’ho fatta!!! Ho linkato…ho capito dove sbagliavo. Scrivevo in “visuale” invece che in text…eppure , prof, il video era chiaro. Pasticciona che non sono altro…ma ce l’ho fatta!!!

  51. “La Scuola, in quanto organizzazione ormai cristallizzata in apparato burocratico, tende a perpetuare metodi e consuetudini ed è ben lontana da ciò che oggi si richiede nel mondo a tutte le organizzazioni: divenire learning organization, ovvero organizzazioni in grado di adattarsi ai sempre più rapidi mutamenti dei contesti in cui operano. Occorre cercare gli strumenti che funzionano.”

    Sono sicura prof lei ha palla di vetro!

  52. Trovo queste affermazioni molto stimolanti, frequentare questo corso mette alla prova i nostri stereotipi mentali, il nostro metodo d’insegnamento, visto che quasi tutti noi partecipanti al corso siamo insegnanti, ci ritroviamo studenti liberi, senza costrizioni burocratiche ma alle prese con “esercizi pratici” da portare avanti nel rispetto dei nostri tempi di vita e di lavoro, per fortuna sono stata sempre un’insegnante e una studentessa anti-metodica, odio le griglie valutative, la valutazione oggettiva, resisto da anni a pressioni fortissime( a cui tutti gli insegnanti italiani sono sottoposti), nelle scuole) di standardizzazione dei metodi, dei programmi, della valutazione in nome di quelli che si vogliono far passare come valori ormai superati. In sintesi i valori “superati” per me sono invece vitalissimi:alla base di tutto l’idea concretizzabile di una scuola democratica, non selettiva dal punto di vista sociale, cooperativa, basata sul dialogo e non sul voto. Chiaramente chi invece ritiene che la scuola debba essere competitiva e fortemente strutturata si trova a disagio con un corso che potremmo definire “libero”, senza tappe forzate, ma proprio per questo problema il corso può essere molto utile…magari può far cambiare anche metodo d’insegnamento e contenuti…:)

  53. ‘…Se il mio obiettivo è introdurre una persona ad un nuovo mondo è necessario che usi gli strumenti adeguati… ‘ e allora entriamoci in questo nuovo mondo 😀

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