Alla ricerca


Ho appena letto il ricco commento di Monica. Bello. Ne traggo qualche spunto.

Credo che sia chiaro che io amo e uso moltissimo i libri. Eppure non ho mai saputo usare né le librerie né i musei, a meno che non mi rechi in uno di quei luoghi con un’idea precisa in mente: un libro da chiedere, un tipo di libro da cercare, un’opera, o al massimo alcune opere da vedere. In altri modi per me è semplicemente troppo. Potrei dire, parafrasando:

Quando entro in una libreria devo affrontare tre forme di carico cognitivo riguardanti:

  • l’eccesso di titoli palesemente inutili che mi confondono e mi disturbano e mi fanno passare la voglia di rimanerci, anche perché mi viene in mente che in Italia si pubblicano 60000 (sessantamila) nuovi titoli l’anno e allora come disse un mio anziano e saggio collega – Mi vengono i piedi pesanti e mi si svuota la testa …
  • le tecniche commerciali di offerta della libreria che mi disturbano oltremodo.
  • Le strategie di risposta disponibili, del tutto insoddisfacenti, libri chiusi che non si possono sfogliare, del tipo compra o vattene; l’impossibilità di stare tranquilli a sfogliare un libro che potrebbe anche accompagnarmi tutta la vita ma potrei anche volerlo gettare dopo una mezz’ora; se c’è gente perché siamo sotto le feste, la folla turbinante alla greppia che mi indispone.

Questo influisce in modo negativo sui miei processi sia attentivi che di elaborazione sensoriale (eufemisticamente parlando), facendo si che focalizzi la mia attenzione solo su una parte dell’informazione (nei momenti migliori).

Monica, prendilo come uno scherzo, che utilizzo per approfondire 🙂

E beninteso, auspico che le librerie non scompaiano mai; voglio solo dire che la quantità è quantità ovunque, nello spazio e nel cyberspazio, e che per affrontarla bisogna avere un buon disegno in mente.

E insisto, facendo di nuovo un passo indietro e tornando a quello scritto di ieri. Recupero uno degli esempi che avevo in mente e poi lasciato perdere, a proposito dell’affidabilità delle fonti. Con grande facilità tutti concordiamo sul fatto che le fonti debbano essere affidabili. Insisto, la questione non è banale e non ha niente a che vedere con Internet.

Sono sicuro che molti di voi hanno preso qualche medicamento omeopatico. Se per caso nessuno di voi ne avesse preso, non importa, in ogni caso l’omeopatia rappresenta un business colossale, in farmaci, pratiche mediche, letteratura. Quindi c’è gente che ci crede.

Sono sicuro che tutti voi siete fermamente convinti del valore del paradigma fondamentale della conoscenza scientifica, così come si è dipanato dall’epoca di Galileo ad oggi. Paradigma che ha nel cuore quell’idea di verità debole di cui abbiamo ragionato nel post precedente. Poi quel paradigma è esso stesso variato non poco nel secolo scorso, ma nessuno mette in dubbio l’insostituibilità dell’esperimento, quale strumento fondamentale dell’indagine scientifica. Semmai si è ridiscusso sull’interpretazione dei risultati e sul ruolo dello sperimentatore-osservatore, inevitabilmente anche perturbatore dell’esperimento stesso. Ma nessuno nega il valore del metodo sperimentale.

Orbene, l’omeopatia è priva di supporto sperimentale. Andate a cercare nella letteratura scientifica biomedica ufficiale [NOTA] in PubMed (potete imparare ad usarla seguendo il mio minicorso per studenti di medicina, se vi pungesse vaghezza) e non troverete uno straccio di conferma. Domandatene a qualunque ricercatore che la ricerca la faccia per davvero e vi riderà in faccia.

Allora, supponiamo che voi facciate una ricerca e troviate un sito di omeopatia – non provo nemmeno, sono più che sicuro che ve ne siano in giro e anche di ottimi. Ma come la mettiamo con l’affidabilità delle informazioni in questo caso?

Se siete assolutamente fedeli al paradigma scientifico, dovete giudicare inaffidabile qualsiasi sito che riporti risultati positivi di pratiche omeopatiche.

Se siete convinti che quella certa pratica descritta in quel sito web, o in quel libro, abbia valore, allora vuol dire che la vostra fiducia nella letteratura scientifica, riconosciuta universalmente quale la più autorevole delle fonti scientifiche, non è poi così ferrea. O l’uno o l’altro.

O tutte e due. Come? Rinunciando alle idee di verità, affidabilità, autorevolezza, quali assoluti. Lo spirito credo che potrebbe essere quello di Don Milani che si ingegnava di aiutare i ragazzi a capire da soli il fondo di un giornale. Di sicuramente vero, di sicuramente affidabile, di sicuramente autorevole non c’è nulla. La guardia non va mai abbassata.

Provo a buttar giù qualche criterio pratico, in maniera semplice, che la possa capire chiunque, da somministrare ai più giovani con il proprio esempio e con la discussione su casi pratici, non da offrire come prontuario …

Finisco in un sito web e leggo … sarà vero quello che leggo?

  • In primo luogo non ne potrò mai essere sicuro, nemmeno se me lo dice il prof che è vero, o la mamma o il babbo. Se mi viene in mente un’altra verifica bisogna che la provi e non accontentarmi. Se non me ne vengono in mente più, allora forse è abbastanza vero, ma forse …
  • L’autore è riconoscibile? C’è scritto il suo nome? Se metto il suo nome in Google, che succede? Non viene nulla? Non è un buon segno. Vengono molte voci? È un buon segno. È citato da altri articoli? È un buon segno. È un professore di qualche università, un giornalista, insomma uno che opera per un’organizzazione di qualche tipo? È un buon segno, sì, ma sempre un segno in più, non la certezza.
  • Se nel testo ci sono scritte delle fonti, che io posso raggiungere subito, o comunque facilmente – non nell’irraggiungibile giornale parrocchiale di una paesino della Nuova Zelanda – allora questo è un buon segno. Le fonti hanno un autore? No? Non è un buon segno. Sì? È un buon segno … valgono gli stessi discorsi fatti per l’autore principale. Uffa che fatica però? Eh ragazzi, inseguire la verità è un affar serio!
  • Trovo due pagine sullo stesso argomento, una in inglese e una in italiano. Mi dispiace amici, ma quella in inglese è probabilmente meglio. È frutto di un mondo molto più ricco semplicemente perché più grande. Nella mia personale esperienza questo è un criterio assai valido, mai in assoluto, naturalmente, e fatte salve eccezioni che certamente ci sono … mostro esempi …
  • Sobrietà. Pagine sobrie, nel testo e nella grafica, sono un buon segno, non sicuro ma molto buono.
  • Linguaggio accademico o gergo esclusivo. Pessimo segno, specialmente in pagine destinate alla lettura web, ma non solo. Gli scritti di valore non hanno bisogno di complicazioni linguistiche. L’autore di valore non ha paura di parlare troppo semplicemente, anzi. Io diffiderei di quello che usa molti paroloni.

E voi, avete da aggiungere qualcosa a questo piccolo elenco? Da togliere? Da cambiare?


[NOTA] Per mantenere nitido il discorso, ho semplificato dando per scontato che la letteratura scientifica sia affidabile. Da ciò che ho scritto nei post precedenti è evidente che anche questo è solo parzialmente vero, anzi sempre meno vero. In un articolo scientifico di qualche anno fa, Publish and be wrong, gli autori hanno verificato che di una cinquantina di risultati di grande rilevo pubblicati sulle più importanti riviste e largamente accreditati nel mondo scientifico, un terzo sono stati contraddetti nel giro di pochi anni.

19 pensieri riguardo “Alla ricerca”

  1. ERO UN’ALUNNA…
    Con una certa nostalgia, guardo al passato e ricordo quando, ai tempi della scuola, salendo su una sedia tiravo giù dalla libreria un “enorme e pensante” volume enciclopedico per una delle tante ricerche che mi venivano assegnate! Quando si doveva fare una ricerca ci si affidava all’enciclopedia (casa o biblioteca): cercare, sfogliare, leggere, sottolineare, riassumere, trascrivere in “bella grafia” (a mano) sul quaderno… “verità codificate”, dogmi! E non dico che non lo fossero! Non era necessario chiedersi se l’informazione fosse o meno “veritiera”!

    SONO UN’INSEGNANTE DI SCUOLA PRIMARIA…
    Oggi invece ci si abbandona, facilmente, all’ “immensità” del web, tutto corre veloce, ci sommerge e ci travolge… sembra che le parole chiave di tutto siano: “quantità” , “velocità” e “semplicità” (reperimento). Quando si chiede agli alunni di fare una “ricerca” ci si ritrova sommersi da centinaia e centinaia di pagine scaricate da internet IN TUTTA FRETTA(Spesso da fonti inaffidabili)!!! Ritengo sia indispensabile affrontare l’argomento qui proposto, “Alla ricerca” quanto prima possibile, già dalla scuola primaria.
    Ho trovato, girovagando, un supporto per insegnare loro (scuola primaria…per me) ad effettuare ricerche sul web in modo corretto… http://www.kyvl.org/kids/homebase.html

  2. “Finisco in un sito web e leggo … sarà vero quello che leggo?” scrive Andreas
    Questo è il pegno da pagare alla “democrazia” della conoscenza auspicata da Levy e da De Kerchove

  3. Claude, hai perfettamente ragione sottolineando la vetustà dei criteri contenuti nella guida che ho segnalato, ma nel presentare l’informazzione il mio intento era dettato dal piacere di storicizzare un tema non già quello di proporre soluzioni conclusive. 🙂

  4. Grazie a tutti – però quel che continua a turbarmi è che parliamo di valutazione di informazione come se fosse un atto puramente individuale. Non era nemmeno così nell’era pre-digitale: mio marito faceva il giornalista culturale e l’insegnante di letteratura comparata allora. Lui e i suoi colleghi avevano tutti enormi classificatori a cartelle pensili dove mettevano i propri appunti ma anche recensioni scritte da loro ed altri. Poi quando ci voleva muovevano il sedere e andavano a controllare le riviste specialistiche in biblioteca. E ovviamente, come avveniva già almeno sin dal medioevo, corrispondevano con colleghi.

    E adesso, con il Web, e soprattutto con il Web 2.0, tutte queste procedure di valutazione sociale sono diventate molto più facili, utilizzabili da tutti. Allora perché comportarci come romiti in caverne? I motori di ricerca attuali permettono facilmente di trovare se una data informazione è già stata commentata da altri, anche su forum online ai quali possiamo anche noi partecipare.

    E un forum tira l’altro. La mia formazione online è iniziata quando sono stata invitata – per motivi che non ho mai capito – a una lista di discussione chiamata Triumph of Content, mi pare nel 98. Lì, la gente si scambiava e commentava tantissime informazioni su tecnologia e politica e arte e letteratura e diritto e insegnamento. Sempre lì, Bonnie Bracey non solo ha pazientemente risposto alle mie domande tecniche, sapendosi mettere al mio posto: cioè di qualcuno che l’internet lo usava soltanto da suole con aule computer configurate in modo idiosincratico (eufemismo), ma mi ha anche suggerito di iscrivermi a WWWEDU – the Web and Education discussion list, allora diretta da Andy Carvin. E quando lui ha lanciato il progetto Digital Divide Network, ho partecipato anche a quello. Ecc.
    Inoltre oggi, ci sono Facebook, Twitter, i gruppi di social bookmarking, che tutti consentono discussioni su una data informazione.

    Ovviamente, sono anche utilissime le liste di fattori e criteri per la valutazione individuale che abbiamo condiviso, perché sì, servono a farci una prima idea sia di cos’è ottimo sia di cos’è pessimo. Però la lista della biblioteca dell’Università del Missouri – Kansas City proposta da Serena è rivelatrice: per ogni fattore di validità, la maggior parte dei criteri valgono per qualsiasi informazione, digitale o meno, con solo da 0 a 3 criteri che riguardano soltanto l’internet per ciascun fattore. E questi criteri internet – poiché la lista risale al turno del millennio – sono in parte obsoleti oggi (1)

    Invece rimangono validi gli altri, quegli che valgono per qualsiasi ricerca seria da secoli. Noi adulti impegnati nella formazione li abbiamo interiorizzati, e questo ci consente di reperire a naso cosa puzza di fasullo e cosa val la pena continuare ad annusare: e meglio farlo assieme ad altri.

    (1) Tra quei criteri internet diventati obsoleti nella lista proposta da Serena:
    A.6 presenza di un indirizzo e-mail: dal1996-7 sono apparsi altri modi di consentire il contatto senza farsi spammare fino alle orecchie.
    2.3 se si tratta di un compito scolastico: non so nemmeno se era veramente pertinente per determinare i destinatari intesi nel 97-8
    3.4 confronto con fonte stampata affidabile: dal 97-8 gli strumenti di digitalizzazione delle opere stampate sono diventati molto più precisi, e l’aumento di velocità di connessione consente di offrire anche le immagini del testo originale. Inoltre, molti testi affidabili vengono ormai offerti direttamente – a volte soltanto – in formato digitale.
    4.4 data dell’ultimo aggiornamento: oggi il browser – almeno Firefox (click destro > informazioni sulla pagina) – dà questa informazione , che sia data o meno nella pagina stessa.
    4.5
    6.6 motore di ricerca per il sito: molto meno necessario oggi che i motori di ricerca generali indicizzano l’intero contento dei siti web pubblici.
    6.7 siti disegnati per un solo browser: rimangono ancora in giro alcuni esempi di questo malcostume, ma per fortuna è quasi scomparso.
    6.8 opzioni per una visualizzazione lineare del sito, senza tabelle né cornici: non più necessario, adesso che questa visualizzazione si può comandare dal browser.
    Il ché lascia i criteri 4.7 (aggiornamento del sito) e 4.8 (link funzionanti): utili ma non sempre determinanti: un testo pubblicato dal progetto Gutenberg dopo un iter di varie revisioni di solito non viene aggiornato, e quanto ai link morti, è una cosa che può capitare alle migliori risorse: l’imminente scomparsa dei blog Splinder e dei knol di Google ne causerà un mucchio, ad esempio.

  5. @Alessandra : Sì. Anche perché un motore di ricerca non è un umano, quindi non potrebbe fare la differenza tra una versione modificata legittima nel mondo accadeico e una versione modificata a fin di spam: i motori di ricerca indicizzano meglio di noi con la sola nostra testa, ma non capiscono ciò che indicizzano, mentre noi sì. Allora loro devono essere programmati per una maggiore tolleranza in campo accademico che non sul web normale, altrimenti boccerebbero troppe cose.

    Sta a noi umani poi determinare se una versione modifica è legittima o meno. Un po’ come con i software antiplagio tipo Turnitin che ti segnalano corrispondenze tra il lavoro di studente che sottoponi e ciò che hanno nel loro database (1): quei software segnalano come “matches” sia i passi legittimamente citati sia quelli rubacchiati. Sta all’insegnante determinarne la natura esatta. In tutti e due i casi c’è il pericolo che un utente inesperto si affidi acriticamente ai risultati rozzi forniti dal software.

    (1) cioè oltre al web che indicizzano anch’essi, tutti i lavori di studenti già sottoposti prima ad essi – il ché pone un problema non indifferente di diritto d’autore ma questa è un’altra storia.

  6. @Claude, se ho capito bene, dunque, la possibilità di manipolare i risultati viene offerta al ricercatore “a fin di bene”, come si suol dire, e forse soprattutto in relazione alla vastità del materiale a disposizione che dev’essere organizzato, in qualche modo. Poi, magari, come sempre accade, c’è chi ne fa un uso poco corretto…

  7. Oops! Grazie, Alessandra, e scusami. Però come riconoscono anche Joeran Beel and Bela Gippin Academic Search Engine Spam and Google Scholar’s Resilience Against it (il paper accademico da cui quel post sulla manipolazione, citato da Serena, sembra tratto):

    Finally, and most importantly, researchers are not anonymous. In Web search, a website’s domain might be banned by the search engine if the site is identified as spam but the spammer could register a new domain within seconds (with a fake identity, if necessary). In contrast, researchers need to think about their reputation. If a researcher doing academic search engine spam were exposed, the academic search engine would ban all his articles permanently, and his reputation in the academic community would likely be permanently damaged.

    (Infine, ed è la cosa più importante, i ricercatori non sono anonimi. Nella ricerca web, anche se il motore di ricerca può bandire il dominio di un sito che viene identificato come spam, lo spammer può sempre registrare un nuovo dominio in pochi secondi (usando una falsa identità se necessario). Invece i ricercatori devono badare alla propria riputazione. Se un ricercatore venisse beccato a spammare un motore di ricerca accademico, quel motore bandirebbe definitivamente tutti i suoi articoli e la sua riputazione nella comunità accademica verrebbe definitivamente danneggiata).
    È vero che Beel e Gippin proseguono sulla linea di “ma ci sono sempre pecore nere che ci proveranno lo stesso”. Tuttavia, se è facile falsificare i risultati di motori di ricerca accademici, è ancora più facile reperire queste falsificazioni, soprattutto per un essere umano dotato di QI normale. Se qualcuno si imbattesse in qualsiasi caso di falsificazione dei tipi da loro descritti, si accorgerebbe subito che qualcosa non quadra.

    Può sembrare paradossale che Google Scholar abbia meno barriere antispam di Google normale. Però questo è dovuto ad alcuni costumi propri al mondo accademico che risalgono all’era pre-internet: riciclare paper, addirittura libri interi, aggiungendo qua e là una frasetta o un paragrafuccio col pretesto di aggiornamento è considerato normale. Idem per l’autocitazione e per le citazioni incrociate che a volte si iscrivono apparentemente in una logica che rileva più del “scratch my back and I’ll scratch yours” che non della necessità informativa. Ecc. Quindi se Google Scholar imponesse le stesse barriere di Google normale, finirebbe con l’escludere come spam gran parte dei testi accettati come legittimi dall’accademia. Specie nelle discipline umani e letterarie. Forse non sarebbe un male, però non credo che l’accademia sia pronta ad accettare un repulisti così radicale da parte di terzi.

  8. Claude, non mi riferivo a RG, ci mancherebbe e, anzi, concordo con te. Mi riferivo alla seconda parte del post di Serena e alla possibilità di manipolare i risultati di un motore di ricerca. Mi sembra che questo ponga un problema in più sul versante dell’affidabilità delle fonti.

  9. Su ResearchGate:

    @ Andreas, facci sapere cosa espellerà RG quando avrà finito di ruminare le tue pubblicazioni 😉
    @ Alessandra e mvcarelli: in che senso RG annullerebbe ogni ragionamento? Sembra offrire possibilità di mettersi in reti con colleghi, ed è nelle reti che avvengono i ragionamenti, no? E anche i blog di RG sembrano offrire questa possibilità.
    Detto ciò, condivido un certo scetticismo: come se RG cercasse di occupare la nicchia lasciata vuota dal fortunato abbandono dei knol da parte di Google: però se i knol sono diventati quel che sono diventati, malgrado un concetto di partenza interessante, è incerto che RG riesca a far meglio.

  10. Serena, il mondo accademico e la sua espressione, la letteratura accademica, ha molti gravi problemi, etici e di adeguatezza ai tempi. Non alle mode, si intenda bene, bensì ai formidabili problemi posti dall’esplosione delle conoscenze e dalla massificazione della produzione di pensiero, soluzioni, idee. tutto questo indipendentemente dalla rete, da Google, da Google Scholar.

    Stamani, mi sono subito iscritto a Research Gate. É lì che rumina alla ricerca delle mie pubblicazioni. Ora devo andare via. Racconterò quello che mi succederà.

  11. Ciao Andreas,
    mi ero ripromesso (come new entry nella tua stimolante blogoclasse) di restare silente ed interessato osservatore ed ascoltatore le vivaci sollecitazioni che te e i brillanti interlocutori offrite (menzione speciale per Claude), ma la mia formazione (storico-medioevo), nonché il concreto e succoso dibattito sull’attendibililità della “rete” (lascio perdere la tentazione del tema “vero” “verità” e “percezione del vero” che porterebbe lontano… forse tanto come al “nulla”..) mi han fatto cedere e allora ecco, scrivo qualcosa.
    Inizio sostenendo che quelle regole che poni alla fine del post se ben assimilite e capite son già ottime per chi vuol darsi dei criteri seri. Un semplice rinforzo. Dal mio punto di vista e torno al mestiere di storico (che “vive” di prove a supporto di tesi), che la regola base nel valutare le notizie è su tutte la verificabilità delle fonti. Ossia un’affermazione è attendibile quando è citata la fonte, ma (anche per la rete) questo è solo il primo passo verso un serio lavoro di ricerca (non a caso wikipedia ha affrontato questo tema ampliando lo spazio delle citazioni, si veda anche le indicazioni che offre wikipedia stessa http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Attendibilit%C3%A0_dei_testi ). Ovvero, non basta che qualcuno citi un testo, un documento o quant’altro; dobbiamo “andare” a vedere il passo citato (fonte diretta, bibliografia, sitografia) e da lì avremo certezze e lì forse scopriremo anche molto altro…. Certo la “rete”, come del resto il mondo della carta stampata, non ospita solo testi scientifici, anche scritture divulgative, interventi di figure meno professionali, semplici racconti di appassionati, di esperienze di vita… Riguardo al nostro tema che fare? Vanno lette? Vanno prese in considerazione? Assolutamente sì, per tornare a quanto dicevi sui detentori della verità assoluta (che concordo non ci sono), perché anch’esse sono fonte importantissima di suggestioni, stimoli, riflessioni, idee, intuizioni che possono essere decisive nel crere ragionamenti e ipotesi tanto come i testi scientifici… Ho avuto la fortuna di conoscer bene Giovanni Cherubini (grande storico fiorentino) ed a proposito ho sempre ammirato la sua grande attenzione e “fame” di lettura per ogni minima cosa lo interessasse non solo scritti di accademico, ma ogni piccola cosa, dal semplice scritto di uno studente al modesto giornale di appassionati, quante volte, mi faceva capire, aveva colto da quelle piccole letture spunti e intuizioni per i suoi studi…
    Ecco per me la rete non è altro che questo, una grande ricca offerta di idee e suggestioni, dove però la selezione consapevole fa la differenza..
    Segnalo come lettura (per avviare al tema studenti e docenti alle prime esperienze) gli scritti di Michele Crudele, docente di Informatica presso la Scuola di Formazione Continua Università Campus Bio-Medico di Roma e direttore del centro ELIS, http://www.crudele.it/ ed in particolare http://www.crudele.it/affidabilita
    Un saluto e grazie per il tuo lavoro…
    Maurizio

  12. Mi viene immediatamente in mente la presenza o meno di qualche forma di marketing che certamente andrebbe a inficiare le intenzioni di chi scrive, ma anche la capacità di rivolgersi a un ampio target di destinatari seppur alla presenza di un oggetto specifico quale la medicina omeopatica. Quest’ultima caratteristica, probabilmente, racchiude in sé le ultime tre dell’elenco sopra: la pagina in inglese sarà migliore proprio per questo motivo e il linguaggio non sarà certo di nicchia, ma sarà sobrio ed economico perché poche ed efficaci parole funzionano meglio di un discorso inutilmente ridondante. Diciamo che una segnicità troppo accentuata restringe gli orizzonti culturali di riferimento e questo potrebbe non essere un buon segno.

  13. Ascoltando radio3scienza ho appreso dell’esistenza di un social network per ricercatori, si chiama ResearchGate, e ha già superato quota un milione di iscritti.
    Pur non considerandomi una scienziata ma un’inguaribile curiosa, sono stata tentata di iscrivermi, ma qualcosa mi ha trattenuto, ho letto tuttavia alcuni post di ResearchBLOG. Ne segnalo uno perché attinente al tema oggetto di discussione.
    È intitolato Do you trust Google Scholar? e riferisce di alcuni test effettuati su Google Scholar che è risultato facilmente ingannabile. Sembra infatti che si possa facilmente incrementare il conta citazione degli articoli, aggiungere parole chiave invisibili agli articoli rendendoli rilevanti per le ricerche. Nonostante ciò, afferma l’estensore del post, Google Scholar resta il miglior motore di ricerca accademica sul mercato. Come per tutti gli altri motori di ricerca, suggerisce redattore, si deve essere consapevoli che ci potrebbe essere spam e informazione manipolata.
    Forse che fa difetto l’etica anche nel mondo accademico?

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