Tabelline cinesi e non, pensiero matematico e qualcos’altro

"Numeri innamorati" Giacomo Balla 1924, Olio su tela ,  cm 77 x 56, riproduzione in bassa qualità: cm 7.8 x 5.5

I bambini cinesi in matematica ottengono risultati superiori ai nostri, anche quando hanno ancora difficoltà con l’italiano. Tutto il mondo manifesta interesse per il metodo cinese. Maria Grazia, con la sua usuale puntualità, se ne occupa in alcuni post molto interessanti e nell’ultimo si dedica al tormentone delle tabelline.

Il metodo cinese per far apprendere il calcolo mentale ai bambini, ben descritto da Maria Grazia, è concettualmente diverso dal nostro: è matematicamente intelligente mentre il nostro è matematicamente stupido. Vale a dire che un bambino con il metodo cinese ha maggiori probabilità di sviluppare pensiero matematico mentre con il nostro vi sono molte probabilità che il bambino divenga matematicamente ottuso. In effetti, la maggior parte delle persone – istruite e intelligenti – sono matematicamente ottuse. Troppe per essere un fatto naturale, come rilevava Seymour Papert, tanto per essere in buona compagnia.

Caro lettore insegnante, non ti irretire ti prego, sto parlando della metodologia di base. Probabilmente tu sei uno dei tanti ma sparpagliati insegnanti ideatori di pratiche eccellenti e vai ben oltre tale metodologia.

Il metodo cinese necessita di una quantità di memorizzazione bruta molto inferiore poiché si adoprano fin dall’inizio le proprietà matematiche fondamentali, quali per esempio la proprietà commutativa di cui gode la moltiplicazione, oppure il ruolo di “elemento neutro” dell’uno o di “elemento assorbitore” dello zero. Maria Grazia mostra bene come sia facile proporre nel gioco queste idee che i bambini assimilano molto facilmente.

Queste sono idee matematiche e l’uso intelligente di tali idee forma il pensiero matematico. Il pensiero matematico manipola immagini astratte ma recupera concretezza nell’esercizio rigoroso dell’economia: i percorsi inutilmente tortuosi rappresentano il male e le scorciatoie il bene. L’intelligenza matematica consiste nella capacità di cogliere analogie, di intuire scorciatoie (corrette), di trasformare un laborioso calcolo in un singolo illuminante passaggio. Tutto questo nel pensiero matematico è bene perché a causa della natura astratta della materia e della debolezza della mente è facile perdersi errando per i percorsi lunghi e tortuosi. Un matematico, fra una dimostrazione lunga ed una fulminante preferirà sempre di gran lunga la seconda, anche se sono ambedue perfettamente corrette. Infine, il pensiero matematico non serve solo in matematica ma procura una sorta di “igiene mentale” che giova in qualsiasi altro ambito.

Trasformare l’occasione di lasciar fiorire nei bambini il pensiero matematico utilizzando invece un metodo che lo preclude è un vero e proprio misfatto pedagogico.

Tant’è che la quasi totalità dei giovani superano l’inutile ostacolo della maturità senza avere mai conosciuto il pensiero matematico. Non è difficile infatti trovare docenti del primo anno di matematica che dicono agli studenti di dimenticare ciò che hanno fatto al liceo perché la matematica è un’altra cosa. E comunque va detto anche che si può prendere allegramente una laurea in matematica o fisica senza avere capito granché.

Vale quindi la pena forse di domandarsi Perché i bambini cinesi sono più bravi in matematica? (pdf), come ha fatto Mariolina Bartolini Bussi (pdf) nel suo articolo:

… molti bambini cinesi immigrati in Italia con le loro famiglie dopo un periodo – anche breve – di scolarizzazione in Cina si mostrano più bravi in matematica rispetto ai loro coetanei (sia non italofoni che italofoni).

L’articolo  è molto interessante anche perché mette in luce due curiosi paradossi: i risultati eccellenti dei bambini cinesi contrastano con i contesti scolastici, caratterizzati per esempio da classi affollate (fino a 60-70 studenti) e scarsità di strumenti; i metodi di studio, che a noi pare inducano l’impiego di strategie di basso livello, contrastano con il dato di fatto che gli studenti cinesi tendono ad utilizzare strategie di alto livello e basate sul significato. Bene quindi fanno studiosi come Mariolina Bartolini Bussi a cercare di entrare nel merito del metodo cinese; a questo proposito l’autrice medesima mi ha segnalato un interessante sito, East and West: teaching and learning in a multicultural prospective.

E pungolato da tali paradossi, seguendo le tracce, scopro (nel suddetto articolo) che nei librini cinesi di matematica ci sono pochissime fotografie e moltissimi disegni colorati, con una grafica ingenua ma accattivante, dove i problemi sono presentati spesso nella forma di fumetti con protagonisti bambini e bambine e l’insegnante; vari giochi sono presentati con vignette che mostrano un piccolo gruppo di bambini all’opera, alcuni problemi non standard sono presentati da un angioletto o uno scimmiotto o un maialino che pone una sfida. Che vi sono esercizi proposti in forma di gioco, per esempio con tabelle di somme su cartoncino da ritagliare, cosicché su ogni talloncino c’è la somma e dietro il risultato, il gioco consistendo nel trovare tutti i cartoncini che hanno un certo valore. Che l’apprendimento, poi, è comunitario (Il mio compagno? Ha dei numeri!, pdf): più che interrogazioni singole ci sono domande a cui tutti gli alunni rispondono in coro. E chi resta in silenzio viene guardato con rimprovero dal resto dei compagni. Partecipare, condividere le esperienze, essere protagonisti è per i ragazzini cinesi un onore. Per cui vale la pena studiare tanto. Si scopre cioè che, al di là della indubbia maggior tendenza degli orientali al lavoro e al lavoro per la comunità, nella loro scuola dei primi anni il gioco e il lavoro corale hanno un peso importante.

Una cosa salta agli occhi. Mentre là tutto ciò è metodo condiviso, da noi ci sono probabilmente grandi diversità ove non mancano pratiche eccellenti. Per esempio, Renata in un interessante commento al post di Maria Grazia difende la memorizzazione delle tabelline ma poi si scopre che la condisce con assai ricchi ingredienti se propone l’impiego di “coretti” e recitazioni e inoltre si domanda

Quante risonanze emotive ha unire la propria voce a quella degli altri? Prova a chiedere ai piccoli di recitare “arrabbiatissimi” la tabellina del sette, oppure di ripetere “senza quasi farsi sentire” quella dell’otto, fai difficoltà a farli smettere.

Conviene dare un’occhiata al suo sito, Splash Scuola :-), che è davvero ricco di proposte. Ecco, il panorama è veramente molto complesso. A me pare che nelle attività di insegnanti come Renata vi sia il giusto del passato ma vi sia anche parecchio futuro.

Forse, con un atteggiamento aperto verso aspetti di realtà diverse, come quella cinese, e lavorando per coagulare in massa critica le tante pratiche eccellenti diffuse nel territorio, come si sta cercando di fare nel network La Scuola Che Funziona, creato da Gianni Marconato, si potrebbe ottenere un risultato che superi la somma delle parti.

E voglio chiudere con un’ennesima perla che ho scoperto di recente. Come, dicevo nel post precedente sul diritto d’autore, mai avrei immaginato di vedere emergere Akiko dai miei boschi; ebbene, altrettanto mai avrei immaginato che Akiko, giovane documentarista newyorkese proiettata nelle più avanzate forme di espressione artistica, avesse da dire la sua sul tormentone delle tabelline!

Così, Akico-a e Akiko-o, alias Diana e Luciano, alias Sphinx & Gorgò, si sono invece levati di testa La Musimatica delle Tabelline, un “discolibro” dove ad ogni tabellina sono associate una filastrocca e una musica. Il libro offre testi e note e i brani possono essere ascoltati dal CD. Ogni brano propone un genere e un tempo musicale diverso cosicché lo studio delle tabelline diviene un’occasione di studio musicale. Ecco un esempio:

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