Lo strano modo -> #ltis13 <- di trovare le cose

Locandina del connectivist Massive Open Online Course: Laboratorio di Tecnologie Internet per la Scuola - #LTIS13

Questo testo ha qualche anno (2007) ma può ancora funzionare…


Tre marmellate su uno scaffale: more, prugne e mirtilli. Se non avessi messo delle etichette sui barattoli sarebbe un pasticcio, dovrei andare per tentativi perché sono tutte e tre più o meno blu scuro.

Buona idea quella di mettere le etichette. Continuo a fare marmellate.

Trenta marmellate di cinque tipi su più scaffali, messe tutte alla rinfusa. Dov’è finita quella di rosa canina? Ho fretta … mi arrabbio …

Faccio ordine: raggruppo tutte quelle di more su uno scaffale, poi quella di prugne su un altro e così via. Perfetto, ora non ho più problemi.

Non solo, mi rendo conto di avere realizzato un concetto importante: assegnando uno scaffale ad ogni tipo di marmellata ho fatto una classificazione dove ogni scaffale rappresenta una categoria.

Se mi lancerò nel business della marmellata ed avrò centinaia o migliaia di barattoli, magari di venti tipi diversi, sarà sempre un gioco da ragazzi andare a trovare a colpo sicuro la marmellata di arance amare, basterà scegliere lo scaffale etichettato “arance amare”.

Ecco cosa ho fatto: ho generalizzato l’impiego delle etichette associandole alla categoria anziché ai singoli barattoli e appiccicandole ad un luogo fisico, scaffale, cassetto o quello che volete.

Un’innovazione che mi consentirà di gestire una situazione che sarebbe altrimenti andata fuori controllo. Una cosa assolutamente positiva. Anzi, con questo sistema, potrei mettermi a produrre miele e classificare mieli di tanti tipi diversi e magari anche altri prodotti senza avere problemi per reperire quello che mi servirà. Basterà istituire categorie di categorie, per esempio una scaffalatura “marmellate”, una “mieli” e così via. Non c’è limite a questo procedimento di generalizzazione. Posso pensare a delle categorie di categorie di categorie, tipo una stanza “prodotti alimentari” che contiene tutte le scaffalature con mieli, marmellate eccetera, poi una stanza “abbigliamento” e via dicendo.

È proprio così che funzionano le classificazioni e, riflettendoci bene, mi rendo conto che il mondo è pieno di classificazioni. Si potrebbe dire che le classificazioni, in un certo senso, costituiscono lo scheletro della conoscenza. Esempi come la tavola periodica degli elementi, la tassonomia degli esseri viventi, la classificazione Dewey per le biblioteche sono ben noti e molto importanti e, a ben vedere, siamo ormai così abituati a questo modo di descrivere il mondo che non ci facciamo nemmeno più caso. Appena si presenta la necessità di gestire una certa quantità e varietà di oggetti, di qualsiasi tipo essi siano, procediamo senz’altro ad istituire categorie partendo da una categoria generale iniziale, madre di tutte le altre che via via si annidano le une nelle altre per arrivare a descrivere tutti gli oggetti possibili che possono essere inclusi in quella certa categoria madre, libri, marmellate, articoli di un magazzino, pratiche nello studio di un commercialista, piante, animali, letteratura scientifica, file in un file system e via dicendo.

Anche gli ideatori di un famoso motore di ricerca in Internet, Yahoo!, affrontarono nel 1995 il problema della ricerca come un problema di classificazione. L’idea era quella di offrire una lista di tutto quello che c’era nel web. Affinché la lista fosse consultabile fu necessario organizzarla in una struttura gerarchica generata a partire da un piccolo numero di categorie principali. Una cosa del tutto logica dopo quello che abbiamo appena detto. Yahoo! mantiene ancora questa lista e la potete trovare all’indirizzo http://dir.yahoo.com/.

Di prim’acchito non sembra complicato fare una classificazione del genere. Si tratta in fin dei conti di compilare una lista di tutti i siti web esistenti e di piazzare ciascuno di essi nella sua categoria. In realtà la cosa non si è rivelata così semplice. In primo luogo c’è un problema di dimensione: il numero di siti presenti in Internet si valuta sull’ordine dei miliardi. Tuttavia finché la questione è di mera quantità tutto si riduce ad una faccenda economica: se il business lo giustifica si tratta semplicemente di pagare uno staff adeguato. In realtà c’è anche un altro problema che è invece puramente di natura qualitativa e quindi non è detto che possa esser ridotto ad una questione economica.

Finché l’ambito è relativamente ristretto, le categorie sono facilmente ed univocamente identificabili, gli oggetti da classificare sono stabili, altrettanto facilmente identificabili e senza sfumature, allora non è difficile fare una classificazione di tali oggetti. Con il nostro esempio delle marmellate non ci sarebbero problemi. Ma fra miliardi di siti web di ogni tipo immaginabile e le marmellate fatte in casa c’è una differenza non trascurabile!

Classificare un oggetto in una categoria, all’aperto per così dire, dove l’oggetto può essere una qualsiasi cosa al mondo, può rivelarsi un compito molto difficile. Così difficile che per designare colui che svolge tale compito si è fatto ricorso ad un vocabolo che normalmente alberga nel mondo della filosofia: si dice infatti che chi svolge questo tipo di lavoro, per esempio per sviluppare e mantenere la “directory di Yahoo!” fa l’ontologo.

L’ontologia concerne la proprietà dell’essere delle cose e le relazione che le cose, nella loro essenza, possono avere fra loro. Come probabilmente iniziate ad immaginare, la faccenda si fa pesante, infatti l’ontologo non ha vita facile. Molto meglio disquisire di questioni ontologiche davanti al camino, magari bevendo un buon vino, che trovarsi sul campo a fare l’ontologo!

Andiamo a vedere un po’ la directory di Yahoo! in proposito.

Queste sono le 14 categorie generali che includono tutte le altre. Possiamo scendere in ognuna di queste fino a trovare quella che ci interessa. Facciamo un esempio scegliendo “Science” e limitiamoci ad estrarre un piccolo frammento della lista che viene fuori.

Qui a destra riporto un frammento della lista. Il numero fra parentesi a fianco di ogni sottocategoria rappresenta il numero di link che ciascuna di esse può offrire qualora esse vengano selezionate. Tuttavia si vede come alcune siano invece seguite dal carattere @ invece che da un numero. Ebbene, queste sono sottocategorie che non fanno parte della categoria madre in questione secondo la classificazione Yahoo! e che tuttavia gli ontologi di Yahoo! non se la sono sentita di non menzionare. Per esempio, la medicina non è inclusa direttamente nella categoria “Scienze” ma non si può disconoscere che essa abbia dei nessi sonstanziali con il dominio delle scienze, per numerosi motivi, e se andiamo a vedere troviamo che la medicina è stata piazzata nella categoria “Health”. Qualcuno di voi potrà essere d’accordo con la scelta degli ontologi di Yahoo! mentre altri non lo saranno ma non ha tanto importanza cosa sia “vero”. Ha invece importanza il fatto che la risposta non sia manifesta e condivisa e che non si tratta neanche di essere più o meno esperti della materia. Un ricercatore biomedico e un direttore sanitario potrebbero avere opinioni differenti a riguardo, pur essendo molto competenti.

Due anni dopo Yahoo!, nel 1997, appare Google, un altro motore di ricerca, apparentemente dimesso rispetto agli altri, ormai sulla strada di divenire portali in grado di offrire una varietà di servizi. Google si presenta invece con una semplice pagina bianca dove nel centro campeggia una casella di testo per inserire le chiavi di ricerca sormontata dall’ormai celebre logo variopinto. Malgrado ciò il successo di Google è stato travolgente arrivando oggi a dominare stabilmente il mercato dei motori di ricerca. Secondo una ricerca della Compete.com, un’azienda americana specializzata nell’analisi del traffico web, attualmente Google detiene il 74% del mercato, seguito da Yahoo! con il 17%, Bing (il motore di ricerca “della Microsoft) con il 7%, Ask con il 2% e AOL con 1%, con una tendenza ad un ulteriore crescita del divario.

È evidente che nell’approccio di Google ci doveva essere qualcosa di sostanzialmente diverso e che potremmo esemplificare con il motto: un tempo esistevano le classificazioni, ora esistono i link! Un’idea che Clay Shirky nel suo articolo Ontology is Overrated: Categories, Links, and Tags descrive particolarmente bene.

Nella figura seguente è rappresentata una generica gerarchia. Ognuno può pensarla nel modo che gli è più congegnale, per rappresentare la struttura di un’azienda, una tassonomia, la classificazione dei libri di una biblioteca, un file system o altro.

Abbiamo visto prima che nella directory Yahoo! le categorie sono state affiancate dalle pseudo categorie, per esempio la sottocategoria “Medicine” è citata anche all’interno della categoria “Science” malgrado il fatto che appartenga alla categoria “Health.” Ponendo all’interno della categoria “Science” la voce “Medicine@”, si crea di fatto una connessione fra “Medicine” e “Science,” una connessione che la classificazione gerarchica di Yahoo! non avrebbe altrimenti descritto.

Non è difficile immaginare che la quantità delle connessioni possibili travalica ogni possibilità di previsione e che la loro rilevanza è fortemente dipendente dal contesto. Qualsiasi classificazione può essere arricchita da connessioni e la questione se esse possano essere ritenute da taluni più rilevanti di quelle inerenti alla classificazione diviene una questione di visione del mondo. In altre parole, la classificazione proposta da Yahoo! riflette la visione del mondo dei suoi ontologi ed è probabilmente veramente ozioso domandarsi se la loro visione sia più o meno vera della visione del mondo che altri potrebbero avere.

A nessuna autorità può essere impedito di proporre la propria visione del mondo mediante un’accorta classificazione ma non si può nemmeno impedire che qualsiasi utente dell’oggetto di quella classificazione valorizzi certi collegamenti che essa non prevede.

Insomma, non possiamo fare a meno di avere classificazioni e connessioni, classificazioni e link:

Sino ad ora le tecnologie disponibili hanno imposto di lavorare prevalentemente con le classificazioni essendo la realizzazione di queste già di per sé molto onerosa ed essendo assolutamente impossibile contemplare tutti i collegamenti possibili.

Uno degli aspetti importanti di Internet è che le connessioni sono intrinseche alla sua natura: Internet è fatta di link. Gettate un insieme di oggetti in Internet. Oggetti di qualsiasi natura in qualsiasi numero. Ebbene, i link cresceranno spontaneamente in un intrico non dissimile da quello della piante in una foresta lasciata crescere indisturbata. Poco importa che quelli oggetti siano stati collegati a priori fra loro da una struttura gerarchica. I link vi cresceranno sopra comunque e, se la numerosità lo consentirà, alla fine da quello che sembrerebbe solo caos finirà per emergere una struttura e questa struttura emergente potrà alfine mascherare e rendere inutile lo scheletro gerarchico iniziale. A quel punto, forse, lo scheletro si potrà anche buttar via:

L’intuizione cruciale degli autori di Google è stata riconoscere che in Internet non è necessario piazzare per forza tutto sugli scaffali prima ma è invece sufficiente lasciare crescere le connessioni da sole ed utilizzarle dopo che queste sono spontaneamente emerse. Insomma, in Internet non c’è bisogno di scaffali.

In pratica quando sfoglio un catalogo mi fido della visione del mondo di chi ha fatto la classificazione, quando uso Google mi fido della struttura di link emersa dal caos di Internet.

Sono abbastanza sicuro che se in era pre-Google avessimo fatto un sondaggio su quale fosse ritenuto il sistema più affidabile, avremmo assistitito ad un plebiscito a favore del catalogo; sarebbe interessante farlo anche oggi un sondaggio del genere.

E invece il mondo usa Google. Malgrado il fatto che tutti fossero abituati ed educati a confidare nelle classificazioni tutti hanno preferito affidarsi a quella piccola magica scatolina di ricerca offerta da Google. Perfino Yahoo!, che pochissimi anni prima aveva iniziato a “fare ordine” in Internet mettendo mano ad una grande classificazione, la Yahoo! directory per l’appunto, ha dovuto accettare la magia di Google, e nel vero senso della parola perché per un certo periodo, prima di sviluppare un sistema di ricerca proprio, ha usato proprio il motore di Google.

Già vedo gli apocalittici insorgere a difesa del valore dell’ordine minacciato dal caos, dell’autorevolezza minacciata dall’incompetenza e forse infine della cultura minacciata da una nuova forma di anarchia. Non ci tengo particolarmente ad essere annoverato tout court fra gli entusiasti ma se si è animati da un minimo desiderio di capire come stanno le cose è difficile esimersi dal domandarsi perché, malgrado questi allarmi, le persone con Google trovano quello che cercano.

L’apparentemente innocua affermazione che “le persone con Google trovano quello che cercano” ha in realtà la forza dirompente della massa. Vale a dire che centinaia di milioni di volte, anzi miliardi di volte, quelle ricerche funzionano, per il semplice motivo che di solito le domande si fanno volentieri a chi ha dimostrato di dare risposte utili.

Questa si chiama autorevolezza, un’autorevolezza conquistata sul campo dalla massa di attori che in Internet che costruiscono inconsapevolmente ciascuno il proprio peso semplicemente abitandovi. Un nuovo tipo di autorevolezza che certamente fa rabbrividire una schiera di apocalittici ma che inevitabilmente affianca l’autorevolezza convenzionale, basata su di un accreditamento di qualche tipo, per esempio accademico.

Ho detto prima che non ci tengo ad essere annoverato fra gli entusiasti, non perché questi non mi piacciano ma perchè sono convinto che sia il dichiararsi apocalittico che il dichiararsi entusiasta si risolva in un esercizio del tutto ozioso. Le cose accadono, sono sempre accadute in modo assolutamente indifferente alle sorti delle battaglie fra apocalittici e entusiasti. Le cose accadono quando maturano le condizioni favorevoli. Punto.

Questo nuovo concetto di autorevolezza è insito per esempio in una nuova parola: la folksonomia, della quale riporto qui la definizione data in Wikipedia:

Folksonomia è un neologismo derivato dal termine di lingua inglese folksonomy che descrive una categorizzazione di informazioni generata dagli utenti mediante l’utilizzo di parole chiave (o tag) scelte liberamente. Il termine è formato dall’unione di due parole, folk e tassonomia; una folksonomia è, pertanto, una tassonomia creata da chi la usa, in base a criteri individuali.

Nel caso delle ricerche in Internet il meccanismo – non è l’unico – escogitato da Google, denominato PageRank e basato sull’assegnazione di un peso (ranking) calcolato dal numero e dall’importanza dei link che richiamano le pagine, ha eliminato d’un tratto la necessità di ricorrere ad una classificazione.

In molti sistemi invece si ricorre ad una classificazione che è realizzata dall’utenza nel suo insieme mediante la pratica del tagging. Ognuno memorizza gli oggetti che gli interessano attribuendo loro le etichette che ritiene più appropriate. Ecco, la classificazione spontanea che ne emerge si chiama folksonomia; Delicious e Diigo sono sistemi del genere.

Ho già osservato come le classificazioni gerarchiche si applichino con maggiore facilità quando l’ambito è relativamente ristretto, le categorie sono facilmente ed univocamente identificabili, gli oggetti da classificare sono stabili, altrettanto facilmente identificabili e senza sfumature.

Quando invece si tratta di classificare oggetti che possono riferirsi ad un ambito arbitrariamente ampio, come oggetti Internet o libri, possono emergere problemi veramente difficili da risolvere. Consideriamo l’esempio della classificazione di libri in una grande biblioteca dove vi sia la categoria “Unione Sovietica”. Che fare dello scaffale “Unione Sovietica” dal 1991 in poi? Possiamo lasciare tutti i libri in quello scaffale? O forse ha senso lasciarvi solo quelli strettamente pertinenti all’Unione Sovietica nella sua interezza ponendo per esempio quelli che in realtà si riferiscono all’Ucraina in una nuova categoria apposita? Oppure, se la categoria “Ucraina” esisteva come sottocategoria di “Unione Sovietica”, ha senso lasciarla come sottocategoria di uno stato che non esiste più? E che fare dei nuovi ingressi post 1991?

O, per fare un altro tipo di esempio, come affrontare la classificazione di libri che sono evidentemente interdisciplinari? Vi sono degli autori che rappresentano un incubo per chiunque si trovi a classificarne i libri. Uno di questi è Stefano Beccastrini che ha una vera e propria passione per scrivere libri inclassificabili, caratteristica questa, sia detto per inciso, che li rende molto interessanti.

More about Matematica e geografia. Sulle tracce di un'antica alleanzaMore about Il cammino della matematica nella storiaL’ultimo, che ha scritto insieme alla moglie Maria Paola Nannicini, si chiama Matematica e Geografia, che affianca deliziosamente il precedente, Il cammino della matematica nella storia. Come classifichiamo questi due libri? Tutti e due in “Matematica”? O uno in “Geografia” e l’altro in “Storia”? Oppure nuovamente tutti e due insieme in qualcosa tipo “Insegnamento interdisciplinare”? O “Insegnamento” tout court? sono sicuro che se li leggessimo tutti quanti siamo e dopo ci mettessimo ad immaginare tutte le classificazioni possibili ne verrebbe fuori qualcosa di simile ad un caos.

Tuttavia da questo caos finirebbero per emergere delle regolarità, prevalenze, pesi reciproci, schemi, tutte regolarità lecite e descrittive della varietà dei punti di vista possibili. Insistendo sull’esempio appena fatto, sarebbe veramente limitante piazzare questi due libri nelle categorie più ovvie, storia, geografia o matematica, perché uno dei loro pregi sta proprio nel fatto di mettere in luce come sia importante contaminare le discipline scolastiche convenzionali e ad un ricercatore interessato a questioni di metodologia didattica potrebbero sfuggire, con simili classificazioni.

Arrivati a questo punto vi lascio riflettere e vado a riorganizzare la cantina, è un lavoro che impegnerà tutta la domenica. Ho deciso di fare questo lavoro perché mi hanno regalato una macchina nella quale, mediante una tastiera, posso inserire parole chiave, per esempio more, mature, ciliege, 2005 e via dicendo. Una volta inserite le parole tutte le etichette corrispondenti alle parole chiave inserite si illuminano magicamente così da individuare in un attimo le marmellate che desidero. Non mi chiedete come funziona, so solo che funziona. Ho deciso quindi di levare le etichette dagli scaffali e di iniziare da capo ad etichettare le marmellate direttamente sui barattoli, come facevo all’inizio di questo discorso. Anzi, su ogni barattolo potrò appiccicare nuove etichette tutte le volte che mi verrà in mente un attributo che potrebbe rivelarsi interessante: tipo di frutta, anno di produzione, troppo cotta, poco cotta, meno zucchero, poco matura … anzi, tutti in casa potranno fare lo stesso, se saremo in più di uno a fare marmellate, e tutti potremo trovare rapidamente le marmellate preferite.

Il problema poi sarà un altro: chi le mangerà tutte queste marmellate?

63 pensieri riguardo “Lo strano modo -> #ltis13 <- di trovare le cose”

  1. Articolo interessantissimo, che fa riflettere sulla necessità di dover classificare tutto ciò che ci circonda, tutte le informazioni da cui siamo sommersi. Fino a questo momento, alla parola Tag ho associato la condivisione di foto su facebook…e invece, si è aperto un mondo! Una volta classificate ed ordinate tutte le marmellate, sicuramente finiranno presto 😀

  2. La prima cosa che mi è venuta in mente dopo aver letto questo post è quanto davvero siamo vincolati a vivere per “classificazione”!

    Ce lo hanno insegnato sin dalla Scuola dell’infanzia le maestre: “Bambini/e mi raccomando imparate a sistemare e ordinare per bene le vostre cose e quelle degli altri, altrimenti non ritroviamo più niente!” Alla scuola Primaria mi ricordo che avevamo bisogno di più quaderni per le varie materie e per la stessa materia più di uno! (es:italiano: antologia, grammatica, letteratura…)
    Ecco… questo classificare ci circonda da ogni parte… anche nel web con yahoo! Per mettere una lista di tutto quello che c’era nel web ha dovuto organizzarla in una struttura gerarchica generata a partire da un piccolo numero di categorie principali.

    Anche noi se ci penso bene abbiamo un piccolo computer nella testa: il nostro motore di ricerca è il cervello! Da quando studio all’università ho cercato un mezzo per studiare in modo più semplice: le mappe mentali! Non sono altro che delle classificazioni gerarchiche che collegano ciascun elemento con quello che lo precede oppure, associano più elementi disposti in punti diversi della mappa.

    Quello che infatti vorrei fare in classe con i bambini è quello di creare mappe mentali per semplificare l’iter di immagazzinamento e memorizzazione di un argomento… però farò notare loro che i nostri cervelli viaggiano in più direzioni, non è possibile classificare tutto quello che troviamo. La curiosità – soprattutto quella dei bambini – è troppo grande per inscatolarla in categorie. Credo che terrò di conto dell’esempio delle marmellate!
    Veramente simpatico 🙂

    1. Sì, la curiosità dei bambini è troppo grande. Anche la nostra se ci liberiamo di un po’ di sovrastrutture, forse non sempre tutte così utili. E il mondo è troppo meravigliosamente complesso e dinamico per essere archiviato.

  3. Sembra quasi di sentire il mio cervello rimproverarmi : “Ecco, lo vedi quanto è semplice descrivere come penso?”
    Si, il mio cervello ragiona come Google…va per ‘link’, per connessioni; organizza e riorganizza le idee in modo sempre nuovo, quasi spaventandomi. Annienta le categorie, le rimuove e ne crea altre. La mia testa viaggia in più direzioni, non posso classificare tutto quello che trovo. Ci provo, sono come gli ontologi di Yahoo!, ma è troppa la mia curiosità per inscatolarla in categorie.
    Punti fissi ? Si, qualcuno.
    Connessioni ? A miliardi.

    Metafora limpida, schietta, elementare… ancora troppo GRAZIE !

  4. Interessantissimo questo testo! Proprio perché “il mezzo è il messaggio” e il messaggio trasmette, insegna, forma le menti e cambia i modi di pensare, è evidente, secondo me, quanto il modo di conoscere per “link” contrapposto al modo di conoscere per “cataloghi” sia passato dalla mente di qualche informatico ai motori di ricerca e da questi alla mente di tutte le persone, in un percorso circolare all’interno del quale può essere difficile ragionare in una logica di causa-effetto. Effettivamente, in una realtà complessa come questa, sarebbe difficile “raccogliere informazioni e organizzarle in cataloghi”; molto più semplice, invece, è costruire, anzi co-costruire, percorsi di conoscenza, facendo connessioni. Credo che sia utile riflettere su questo anche per noi come future insegnanti, per vedere la lezione, non come l’ “offerta di un pacchetto di saperi preconfezionati”, ma come un processo di costruzione in divenire, dove tutti, docente e allievi, sono attivi e fanno connessioni. Così apprendere diventa un’attività più vicina ai processi di vita, in quanto caratterizzato da libertà e da un po’ di “sana” imprevedibilità.
    Bellissimo! 😉

  5. “Gettate un insieme di oggetti in Internet. Oggetti di qualsiasi natura in qualsiasi numero. Ebbene, i link cresceranno spontaneamente in un intrico non dissimile da quello della piante in una foresta lasciata crescere indisturbata (…) e, se la numerosità lo consentirà, alla fine da quello che sembrerebbe solo caos finirà per emergere una struttura…”.

    Ecco, questo è il nostro villaggio, questo è lo spirito del cMooc!

  6. @antonellarubino#43 Il link ti manda semplicemente al sito dell’applicazione (da dove puoi scaricarla) di cui mi son servito per estrapolare dal PDF completo degli Atti di Didamatica il PDF l’intervento di Andreas, così come vedi pubblicato sul mio Blog

  7. Carissime, al commento #44 e #45 vi lamentavate per essere in ritardo… io cosa devo fare?!?
    E’ il 12 maggio è sto cercando a fatica di rimettere insieme i pezzi che ho perso per strada! Potrei dire di essere in buona compagnia, quindi, ma voi mi avete già passato di ben tre giorni! Ok, bando alle ciance! Mi rimetto a correre!
    Mi fermo solo un attimo ancora per dire che anch’io adoro le marmellate fatte in casa, ma non ho molta fantasia: pesche o albicocche… una volta anche prugne e cannella (davvero buona!) Quindi le etichette per pesche e albicocche mi servono davvero! A tal proposito ho appunto aperto un profilo su Diigo quando mi sono stancata di inserire quantità innumerevoli di pagine, link e permalink di questo percorso sull’area di bookmarking del pc… il problema, effettivamente, è che la mia etichettatura è poco professionale… Ho una bella scatolona con scritto “link utili ltis 13” e caccio tutto lì dentro, sempre con la solita scusa del “poi sistemo”…
    Magari è davvero venuto il momento di dare una sistemata…

  8. @Map85 #44: ma mi hai preso per Google?! (ricette.giallozafferano.it) 😉
    La cucina o è naso e occhio o non è: a copiare sono capaci tutti!!! Chi cucina e non si limita a preparare cibo (e io giuro: CUCINO) non può usare le ricette se non alla scoperta di qualche utile suggerimento sul quale poi mettere del suo: creare! Personalmente non faccio mai nulla due volte allo stesso modo, nemmeno le uova strapazzate. Anche se devo ammettere che – rispetto ai comuni mortali – ho un grande vantaggio, una sorta di dono che rende possibile tutto ciò: una memoria da elefante… con l’altzheimer! 😉 O meglio: ho una memoria ferrea per tutto ciò che ha una struttura logica, il resto si disperde come nebbia al sole. Non solo non ricordo la ricetta, ma nemmeno dove l’avevo trovata! Per cui imparare a improvvisare ha significato fare di necessità virtù.
    A parte gli scherzi nel link a fianco dell’introduzione trovi una ricetta che al volo mi pareva plausibile e qui (http://www.peperoncino.org/old/ricette.html) la crostata del diavolo anche se non mi pare (!!! 😉 ) sia proprio come l’ho mangiata io…

  9. Anch’io da domenica riapro oggi casa sul villaggio- e trovo naturalmente che chi si ferma non è perduto, solo un pò indietro…anch’io sono di quelle che comincia col dire “adesso voglio fare un pò di ordine” ma cammin facendo mi perdo dietro qualcosa che mi cattura più di tutto il resto, e il mio ordine rimane come una torre mai finita, ne riesco ad aggiungerci qualche mattone per volta, e tutto rimane da rivedersi…vallo a capire il signor ordine??!! 🙂 – grazie anche per farmi scoprire una marea di programmi che solo chi li usa e li sperimenta può relamente capire…

  10. Sono stata cinque giorni senza internet: il sistema wifi in rosso e nessun collegamento! 😮
    Poi, stamane, sono arrivati a casa due tipi della TIM e dopo due minuti hanno sentenziato che il router era andato…
    bruciato, forse a causa di un temporale che si è scatenato la scorsa settimana nella zona…
    E così sono rimasta indietro, non tanto con gli scaffali e le catalogazioni,(in un precedente corso Andreas ce ne aveva
    già parlato, anche se in modo meno esauriente e particolareggiato).
    Sono rimasta indietro con le ricette di cucina: le marmellate e le crostate!!!
    Amo molto il peperoncino, ma non sapevo che se ne potesse fare una marmellata…
    Se qualcuno ha la ricetta, con ingredienti e dosi, (non a naso o ad occhio, Francesco 😉 è pregato di divulgarla! 🙂
    ___________________________________________
    PS. Avrei voluto anch’io fare gli auguri per Didamatica ad Andreas & Company, ma mi sa di essere ormai
    fuori tempo massimo… 😦

  11. Non sapendo come fare ad avere informazioni…e non avendo capito l’invito di Gianni con quel PDFTK_Builder (ma prima il link ad Andreas nn c’era, o sbaglio?) da buona “cMOOCchiana” me le sono andate a cercare un pò qua ed un pò là.
    Ecco il risultato (se mi ricordo come si fa…)
    altrimenti qui http://wp.me/p3fnes-87
    p.s. la foto l’ho “rubata” su twitter!
    😉

  12. Io a Didamatica c’ero insieme ad altre 4 “matte” come me! Datemi il tempo di rientrare nella normalità :)) si fa per dire, e metterò a disposizione di tutti il video, anzi 2 (ufficiale e ….. )

  13. @Francesco #39: hai ragione. Se disattivo Javascript in Firefox, come dici, Gmail mi suggerisce di passare alla versione semplificata. E in WordPress.com non noto la differenza, posso persino fare per le operazioni admin del blog.

    Invece com Amara.org, il servizio di sottotitolazione collaborativa online che uso spesso, è un bordello: mi aspettavo di non poter vedere le cavolate nascoste in “mouseover” dell’editor, ma è peggio: non vedo manco i player, né riesco ad aprire l’interfaccia di editing.

    Con DotSUB.com idem, inoltre l’apertura del link per il login in cima è javascript-dipendente, anche se lo posso fare dall’URL diretto http://dotsub.com/login . E nell’interfaccia di sottotitolazione, almeno il player mi dice “Get the Flash Player to see this movie. ” con link su Get the FlashPlayer.

    Volevo provare con Subtitle-Horse.com ma per ora sembra nel pallone, con o senza javascript attivato.

    Ecc. Forse si potrebbe fare una di quelle aggregazioni di cui parla Andreas in https://iamarf.org/2013/05/05/post-audiomobilistico-2/ , intorno a questa tematica della fruibilità dei contenuti con tecnologie compensative? Ci sono diversi insegnanti di supporto nel villaggio #ltis13 e, come te, altri che conoscono gli aspetti tecnici dell’accessibilità. Cioè senza andare così tanto nei dettagli tecnici, ma creare una specie di checklist che consentirebbe ai docenti di sostegno di intervenire al momento della scelta dei materiali didattici per dire, se del caso: “Guardate che questo e-libro di testo, oppure questa app, rischia di essere adoperabile da parte di chi ha tale disabilità: facciamo fare un rapporto da un esperto oppure scegliamo qualcos’altro.”

    Le checklist dell’accessibilità da sole lasciano il tempo che trovano, certo. Ma la capacità a mettersi al posto dell’altro, che è più utile, gli insegnanti di sostegno ce l’hanno già. Una checklist li potrebbero aiutare a far passare il messaggio a chi non è abituato a pensare in questi termini, forse.

    1. @Claude #41: certo che ci sono “comportamenti” differenti a seconda del contesto: è abbastanza ovvio che determinate soluzioni non possano in alcun caso avere alternative a “bassa interattività”, del resto ad ogni nuova tecnologia che appare vediamo proliferare nuove soluzioni che semplicemente prima non erano possibili, per cui non possono offrire condizioni più semplici.
      Poi ovviamente può essereci anche una questione di utilità e non ultima una di rispetto. Sviluppare alcune cose per un non vedente potrebbe risultare del tutto assurdo e inutile, che ne so: un’applicazione per taggare le foto non ha senso che possa funzionare anche con uno screen reader! (magari poi mi sbaglio e scopro che qualcuno…. ;-D)
      Quanto al rispetto – purtroppo! – siccome costa fatica sviluppare tenendo in considerazione necessità particolari, ad un certo punto si fa un confronto costi/benefici: c’è chi capisce che non potrebbe starci dentro (plausibile e “perdonabile” soprattutto nel lavoro di volontariato) e chi invece semplicemente valuta che la fetta di mercato che viene a perdere non è così redditizia da meritare la fatica.
      Poi è vero che se ne sa poco e qui vengo alla tuia proposta che mi pare interessante. Magari anche semplificandola e partendo dal basso: tenendo un blog (tanto per fare un esempio) si possono usare piccoli accorgimenti per nulla costosi (in termini di fatica) che permetterebbero ad un non vedente di fruirne con meno problemi: questo non lo fa praticamente nessuno (io si ovviamente) semplicemente perchè non ci si pensa o non lo si sa. In un contesto scolastico dove il mancato rispetto di queste piccole cose può significare emarginazione, diviene tanto più importante diffonderne la consapevolezza. E non si tratta di cose tecniche si badi bene!
      Premettendo che so abbastanza, ma non sono un luminare in materia, sono ben contento e disponibile (con calma però!!! ;-D) a mettere in comune la conoscenza delle tecniche, degli accorgimenti e dei bisogni e ercare di trarne qualcosa di utile per tutti: non solo per gli insegnanti di supporto/sostegno!!!

  14. folksonomia … gli esperti di google non hanno fatto altro che mettere in rete ciò che forse succede nella mente, quando costruiamo prodotti mentali… i link creano collegamenti e questi collegamenti producono pensieri secondo una triade ben organizzata: correlato – correlatore – correlato, agito da una funzione che possiamo chiamare attentiva… secondo Ceccato il nostro pensiro (di occidentali) agisce su 150 categorie, forse qualcuna di più, fatte da combinazioni di stati attentivi … la più generale di tutte è quella di cosa e quella chiamata di mantenimento che non ha un nome vero e proprio ma tiene insieme due cose … triade su triade si costruisce un pensiero; link su link si crea un peso nella rete che rende visibile quel contenuto… sempre più visibile, ma non sempre strettamente correlato a quel dominio specifico che si cerca …
    Un riferimento nel mio blog mi permetto di offrire un testo che penso possa aiutarci a chiarire questo studio di Ceccato che ritengo più che mai attuale e non “molto superato” anche oggi … come nella rete alcuni link pesano più di altri perchè cercati da molti, così alcuni pensieri si fanno ossessivi e ricorrenti nella mente, perchè noi continuiamo a dare peso a quei pensieri che a volte ci ingabbiano …
    potremmo discuterne … ma foorse non ci azzecca molto?
    facciamoci coraggio

  15. @Claude #36 Post Scriptum: grazie del link ai dati: interessanti! Noto comunque che al 5° posto delle situazioni considerate negative c’è “Screens or parts of screens that change unexpectedly”.
    E dimenticavo di dire una cosa. WordPress usa JavaScript come del resto la maggior parte delle interfacce web ormai – credo che le eccezioni siano molto rare – ma non è detto che lo usi forzatamente. Non ho mai fatto la prova, ma è possibile (direi quasi probabile) che se stoppi l’esecuzione di JavaScript sul tuo browser sia possibile operare comunque, magari con un’interfaccia più “povera” di effetti speciali, ma comunque operativa!
    Ad esempio Google Mail ha l’opzione di accesso con interfaccia ridotta all’osso (una volta devo anche averla provata con una connessione lentissima in situazione precaria), penso che tutti i sistemi “maturi” forniscano questa possibilità

  16. @Vincenzo Bitti #35: hai ragione sulla necessità di tener conto dei rischi inerenti alla posizione dominante di Google. E in effetti in questo laboratorio si è discusso più volte di “googlocrazia“.

    Però per quanto riguarda il modo di piazzare gli annunci annunci pubblicitari, Google offre una ricca documentazione accessibile a tutti. E a differenza dei modelli di reddito pubblicitario dei precedenti motori di ricerca, dove pagando si otteneva un posizionamento migliore nei risultati della ricerca, con Google gli annunci pagati sono sempre stati chiaramente separati dai risultati, annunciati come tali e contraddistinti da uno sfondo di colore diverso.

    Inoltre questo modello ha fatto scuola: nemmeno Bing mischia i risultati a pagamento con quelli della normale ricerca: perché se lo facesse, nessuno lo utilizzerebbe.

    I rischi sono altrove, nei dati personali che possiamo fornire a Google per adoperare i suoi vari servizi, e anche per ottenere risultati di ricerca personalizzati in funzione delle nostre ricerche precedenti. Ma possiamo, non dobbiamo, fornirli, e quando decidiamo di farlo, dichiariamo di aver letto le condizioni di uso e la dichiarazione sulla privacy che spiegano in chiaro le implicazioni di questa decisione. Se in realtà non abbiamo letto queste cose, problema nostro, come se firmassimo un contratto proposto da un venditore ambulante di pentole o di enciclopedie senza leggere lo stampato piccolo.

  17. @Francesco #33

    Grazie della risposta. Però se le linee guida per lo sviluppo di interfacce adatte per i non vedenti indicano di escludere l’uso dello scripting, allora tutte le cose Web 2.0 le violerebbero, compreso questo blog. Ma se ricordo bene, Andreas, in un corso precedente, aveva chiesto a un partecipante cieco se riusciva ad accedervi e lui aveva risposto di sì.

    Un tempo, se ho capito bene, quando si usava uno script, si poteva aggiungere una parte sotto, tra <noscript> e </noscript> per indirizzare a una versione alternativa senza script. Però recentemente, quando ho controllato una pagina con WAVE di WebAIM, su un indicazione “noscript” del genere dopo uno javascript, c’è stata un’annotazione WAVE che diceva che era “deprecated” perché gli screen reader oggi possono leggere i javascript, con riferimento all’ultimo sondaggio di WebAIM sull’uso degli screen reader (2012). E in effetti quel sondaggio dice che il 98.6% delle persone che hanno risposto usano screen reader con javascript attivato.

    Però lo stesso sondaggio dice anche che il 73.1% delle risposte proviene dall’America del Nord: mica è sicuro che la proporzione sarebbe la stessa in Europa.

    Mi ricorda quel che diceva Luca Mascaro in un’intervista su screen reader e DRM nel 2007: “Comunque c’è gente che ci lascia dei begli stipendi ad attrezzarsi, per potere acquistare la tecnologia. E non tutti possono aggiornarsi all’ultima generazione.” Forse questo rimane tuttora vero.

    1. @Claude #36: come premettevo si trattava di informazioni un po’ datate (direi 2008/9 a naso…) per cui è possibilissimo vista la velocità di aggiornamento delle tecnologie che adesso le cose siano diverse. Comunque mi sono reso conto di aver detto una cosa almeno in parte sbagliata: non era indicato di non usare lo scripting, quanto piuttosto di garantire che la pagina non perdesse la funzionalità nel caso in cui l’uso dello scripting fosse disattivato sul lato client (alla fine significa o la stessa cosa – disattivarlo – oppure avere due pagine diverse a seconda che sia attivo o meno)
      Il ragionamento era: siccome lo screen reader non fa funzionare lo script (o almeno non tutto: alcuni eventi mancano certamente, all’epoca sicuramente!) nel caso questo sia disattivato (si può disattivare ed il software sul server può “capire” se il browser che accede ce l’ha attivo o no) tutto deve funzionare comunque.
      Diciamo che questo è quello che posso dare per certo al 100%: si tratta(va?) di un “must” per poter fornire software basato su interfaccia web alle P.A. Poi magari molti se ne fregavano (molte delle P.A. intendo!), ma questo diceva la norma

  18. E’ indubbio che Google si adegua alla natura della Rete in modo sicuramente più efficace di qualsiasi catalogo preordinato, ma credo bisogna tener presente che Google è pur sempre un’ impresa privata, un’attività commerciale (anche se particolarissima e potentissima) e tra i fattori concorrenti ai suoi risultati di ricerca, ci sono anche logiche pubblicitarie e commerciali (il suo business principale). Questo rende i suoi risultati non del tutto “trasparenti”, come la logica dei liberi collegamenti vorrebbe.

    Direi quindi che accanto al lato “luminoso” della forza dei link dobbiamo tener presente anche il suo lato “oscuro” !

    http://www.progettocrescere.it/wp-content/uploads/2012/03/Darth-Vader.jpg 🙂

  19. @Giovanna Danza #31, Lucia Bartolotti (amentia verna) e @ chi lavora con studenti che hanno bisogni educativi speciale, su Pearl Trees

    Grazie per il suggerimento di Pearltrees, Giovanna e Lucia: sembra che come Prezi (per le slide), potrebbe essere particolarmente congeniale a chi pensa visivamente e spazialmente, ad es. a chi ha una lingua dei segni come lingua madre, e forse a certi dislessici.

    Inoltre, se di primo acchito sembra inaccessibile a chi adopera la sintesi vocale per leggere (ciechi, persone fortemente dislessiche…) perché essenzialmente visivo, se si disattivano gli javascript, si ottiene una versione testuale normale che può essere letta dalla sintesi vocale, mi sembra.

    Ma appunto, ho aggiunto sopra “@ chi lavora con studenti che hanno bisogni educativi speciale” (e siete diversi partecipanti a questo laboratorio a farlo) perché non ho una vera sintesi vocale sul computer, quindi non posso controllare [1].

    Però – a parte quel dubbio sull’accessibilità – da una breve esplorazione di Pearltrees, non sembra che consenta di etichettare i link. E questo sembra confermato da un commento firmato “(Community Manager at Pearltrees)”, alla recensione Pearltree: a bookmarking and visualization tool di Dianne Rees. Traduzione mia:

    “(…) Solo una precisazione rispetto a Diigo: non miriamo a sostituirli, vediamo i nostri servizi come complementari. Mentre loro ti consentono di raccogliere, evidenziare e ricordare qualsiasi cosa tramite etichette, noi ti offriamo la possibilità di organizzare, condividere e scoprire quel che ti piace sul web, con un’organizzazione visiva.

    E lì avrei un’altra domanda, a Lucia, visto che ha già fatto un bellissimo “albero di perle” per l’inglese: si possono trasferire i bookmark del proprio browser in Pearltrees? O bookmark fatti con un altro servizio, tipo Diigo, appunto?

    [1] Uso invece l’addon Fangs di Firefox che imita, ma approssimativamente, l’output di una sintesi vocale. E secondo Fangs, la home page pearltrees.com, letta con javascript attivati, dice soltanto “Page has three frames and no links Pearltrees dash Internet Explorer”. Ma forse le vere sintesi vocali passano automaticamente in modalità senza javascript davanti a un output del genere?

    1. @Claude #32: per quanto ne so (ammetto non tantissimo ed un po’ datato) nei PC dei non vedenti che usano la sintesi vocale il JavaScript, quantomeno di default, viene disattivato perchè il sistema di sintesi non sarebbe in grado di rendere eventuali modifiche della visualizzazione legate a tale software.
      Quantomeno posso dire che le linee guida per lo sviluppo di interfacce adatte per i non vedenti indicano di escludere l’uso dello scripting. Per un software di elearning realizzato qualche anno fa avevo fatto una seduta di test a fianco di un non vedente che usava il suo PC proprio per verificare a fondo la compatibilità ed anche lui mi aveva sottolineato la cosa.

      @Andreas #33: quando poi si tratta di divagazioni così piacevoli… 😉

  20. bellissimo post! Stimola il mio animo da archivista. Ho sempre etichettato tutto nella vita, creando anche scompensi psicologici nelle mie figlie alle quali etichettavo tutti i contenitori dei balocchi in maniera maniacale . “bambole”, “vestiti per le bambole”, “borsette”, “accessori per borsette”, “tegamini”, “costruzioni”, “trenino”, “animali di plastica”, “Animali di stoffa” e potrei cotinuare…………..
    Amo le categorie, le sottocategorie, le sotto-sottocategorie ecc. Per questo la inutilità degli scaffali mi inquieta, e non mi giostro tanto bene con i tag. Detto in altre parole mi trovo meglio con scoop.it che con diigo anche se riconosco che procedere per tag è un sistema che alla lunga si rivela molto più potente ed efficiente per ritrovare le cose. A questo proposito vi ribloggo qui il suggerimento di amentia verna su un programma di social bookmarking dal nome poetico e accattivante. Mi sono già iscritta!

  21. @Gianni #22

    Grazie per il lavoro e l’ottima inclusione nel tuo blog!

    Dovrebbe comunque arrivare una qualche elaborazione video fatta dalle coautrici presenti 🙂 che è costruita in modo diverso dall’articolo, paludatello quest’ultimo – sennò non te li accettano – vera la prima – non si può fermare 🙂

    Tò, chi si vede: il mio vecchio pdftk rivestito a nuovo con l’interfaccia grafica: PDFTK_Builder, non sapevo che esistesse! Il pdftk si usa con comandi scritti a mano, tipo per concatenare il file in1.pdf con in2.pdf in un nuovo file PDF che si chiama out1.pdf, si fa

    pdftk in1.pdf in2.pdf cat output out1.pdf

    È molto potente, si possono fare un mucchio di cose, tipo assegnare una chiave di accesso per scambiarsi documenti al riparo di occhi indiscreti, mettere qualche sorta di timbro sopra ecc.

  22. Forse con questo post il mio ultimo post inserito sul mio blog sarà decifrabile anche dal resto del villaggio che non era in linf12…non mi ricordavo di aver letto un post così lungo due mesi fa?

  23. @Gianni, grazie, ho letto con grande interesse.
    Noto con piacere di non essere l’unica confusionaria; ogni tanto quando il caos degenera, faccio ordine e lì può succedere che butti anche cose utili (raramente ma succede). Nella mia confusione, mi ritrovo, nell’ordine meno. Le catalogazioni mi vanno bene se si limitano a Delicious a Diigo o a strumenti simili.

  24. @Antonella#10
    @valottof#11

    Simbolo dell’Accademia del Peperoncino

    Io faccio parte dell’accademia del peperoncino e una quindicina di anni fa’ facevamo esperimenti con cioccolato, peperoncini e marmellate.
    E’ nato un gioco che chiamavamo” il Cortocircuito del gusto” una sottile fetta di peperoncine calabrese piccante inserito in un gianduiotto tramite un coltello.
    Effettivamente il morbido del cioccolato gianduiotto si imbatteva nel piccante improvvisamente ed era, provatelo, una scoperta per il palato.
    Durante un Festival del Peperoncino vicino a Diamante Palmiro e sua moglie ci fecero assaggiare una torta, la crostata del diavolo, che cercammo in tutti i modi di cambiare ma che incerte proporzioni di marmellata di mandarino e di peperoncino eraed è sublime.
    Miei amici calabresi me la portano quando vengono a trovarmi. Secondo me pure essendo del Diavolo è una crostata Divina.

    Ringrazio per il bellissimo ricordo
    Ciao
    Costantino

    calabria capsicum- accademia del peperoncino-muxed from pasqualinomaraja on Vimeo.

    Colesterolo Club, dura da 30 anni, ci troviamo poche volte all’anno e pranziamo con un solo piatto ricco di Colesterolo.

  25. Io a Didamatica ci sono andato (per conoscere il Sindaco dal vivo….), ma nn ho registrato, nè audio nè video dell’intervento di Andreas
    Così vi posto la relazione, prendendola dagli Atti e usando PDFTK BUILDER per estrarne le pagine 🙂

  26. @Francesco #20
    Appunto: è il contrasto – e la coincidenza quasi esatta tra la tua ricetta raffinata e il messaggio della signora che mi hanno fatto ridere. Poi non so come mangia i marshmallow lei: da bambina, con le scout, li bruciacchiavamo su un fuoco aperto – poco compatibile con il guardare video: rischia di arrostire il computer o perlomeno il tablet 😀

    1. @Claude#21 e Soudaz#25 (malgrado Andreas #29 & 25 stia facendo il possibile per riportarci a bomba! 😉 )
      Si Claude: l’avevo capito che voleva essere un paragone come quello del nobile con il cafone (dal napoletano c’a fune; con la fune, che serviva al contadino per tirare l’asino, non vuole essere un’offesa!). Mi spiace per le tue esperienze da scout, noi giovani marmotte mangiavamo cose più serie! 8-D

      Sounda: proprio da lì mi è arrivata la ricetta, ed anche il primo assaggio della crostata del diavolo originale! Due amici (Gianni e Mimma: originari della Libia ma italiani residenti qui nel trevigiano, magari li conosci) accoliti dell’accademia che non si perdono un raduno, dopo aver invano tentato di coinvolgermi nella stessa (sono refrattario alle organizzazioni, particolarmente a quelle costose!) si sono accontentati di dividere con me la capsicina: ci scambiamo peperoncini, io li rifornisco di Harissa fatta in casa da me e loro di ‘nduja e crostata del diavolo quando risalgono dalla Calabria!

    1. Mi spiace, ma i marshmallows sono una delle cose su cui si fonda la scarsa opinione che ho della cultura americana. In generale naturalmente: faccio sempre le debite eccezioni!

  27. Etichette sugli scaffali, etichette sui barattoli, etichette dappertutto….io proprio non riesco a mettere le mie cose in ordine, se il prof vede come tengo io le marmellate mi caccia subito. Vedremo se usare quei servizi, appena accennati nel post, riuscirà a impormi un certo ordine anche nel computer…
    @francesco valotto la capsaicina è la mia droga: illustra meglio, per favore, quella crostata 😀

    1. @coram populo (o quasi). In fatto di catalogazione sono peggio della foresta amazzonica: le mie marmellate probabilmente si ritroverebbero sparse tra i cassetti dei calzini, la lavatrice e lo stipo del bagno, figuratevi le ricette. tra l’altro non amo seguire i ricettari: ottenuta la prima ispirazione preferisco poi andare a memoria e naso (ed ho una pessima memoria per queste cose!) modificando le ricette secondo l’estro del momento e/o ibridazioni etno-culturali (oppure sulla base del contenuto del frigo: esemplare il mio kebab fatto con coppa di maiale! 😉 ).
      Questo per dire che non so se ritrovo la ricetta. Ma non è un gran guaio in quanto la base è quella di una normale crostata (tenuta un po’ friabile) su cui si spalma una miscela di marmellata d’arance (rigorosamente amara!) tutt’altro che ingentilita da quella di peperoncini. La proporzione dipende dal gusto personale e dalla forza della seconda, ma il risultato dev’essere piuttosto piccante senza raggiungere la pirogenesi 😉
      Metteteci sopra le consuete strisce di pasta incrociate, ma molto rade: hanno solo una funzione di supporto di (e questa è catalogata tra i peccati di gola anche nella Divina Commedia!) con una glassa di mandorle e zucchero sul tipo di quella che si usa sul panettone per intenderci: fatta con le mandorle schiacciate al mortaio (per essere più preciso sulla preparazione dovrei – qui si – ritrovare la ricetta).
      Unire ad un corposo vino del sud: personalmente sarei propenso ad indicare un negramaro o un primitivo di manduria (anche se la crostata è calabrese). Ah: non dimenticate di invitarmi a pranzo se/quando!!! 😉

  28. “Insomma, in Internet non c’è bisogno di scaffali.” Che consolazione! Io non amo troppo le classificazioni e l’ordine. A me piace vagare un po’ nel caos e ogni tanto cogliere qualcosa che mi attira e approfondirlo. Come sto facendo in questo villaggio. Le strade troppo segnate mi disturbano preferisco gironzolare. Ogni tanto però mi fermo e faccio un po’ d’ordine, ma sempre a posteriori. Non sono mai riuscita a seguire qualcosa già dettagliato e precostituito del tutto prima. Anche quando entro in classe con una idea e dei programmi per la mattinata spesso ne esco avendo fatto altro, cogliendo idee e richieste del momento. Basta che sappia dove sto andando. Per mettere in ordine c’è sempre tempo. (frase spesso ripetuta da mio figlio adolescente)

  29. @valottof questa della crostata del diavolo non la sapevo…però si potrebbe provare…le mie marmellate sono rigorosamente homemade e in casa ho sia quella di arance che quella di peperoncini piccanti…la proverò,a me piace sperimentare in cucina…non a caso sono una foodblogger. Grazie per la tua risposta e buona serata

  30. @Francesco #11: ci dai la ricetta? Adoro la capsicina!

    @Sandra #12: hai ragione, però Google riceve e soprattutto digerisce una tale quantità di input da produrre risultati davvero sorprendenti. vedi ad es. la sua mappa interattiva Trend influenzali (dal 2008). Certo, ci sono zone vuote “hic sunt leones” (che stranamente comprendono l’Italia). E certo, a volte sbaglia di grosso: vedi l’articolo di Declan Butler su Nature When Google got flu wrong (13 febbraio 2013). Ma se Trend influenzali non fosse ormai uno degli strumenti riconosciuti, non ci sarebbe un articolo di Nature quando ranza.

    Poi veramente impressionante: Lanyrd.com, che si basa sui tuoi contatti Twitter per dirti a quali conferenze partecipano. Lo usavo per aggiornare il contenuto della pagina Conferences di ETCJournal.com, fino al 2011. Poi ho passato il trucco a Jim Shimabukuro 😉

    Comunque, fai benissimo a tracciare le tue rotte di esplorazione! Perché in effetti, solo così si impara veramente.

  31. Penso che “raccogliere quello che la maggioranza pensa” come fa Google abbia una funzione orientativa per chi cerca informazioni generiche su di un argomento. Quando invece si desideri “conoscere” abbiamo bisogno di altri metodi. Auguri Prof. mi unisco al coro di chi vuole informarsi sul suo percorso nel confezionare marmellate!
    Non so il vero motivo, ma di fronte alla quantità enorme di dati che abbiamo prodotto all’inizio del corso, ho sentito la necessità di una classificazione basata sulla scelta operata dai partecipanti per quanto riguarda i nomi dei blog…quasi una proiezione dei nostri mondi, dei bisogni o dei “luoghi” immaginari di ciascuno.
    Sto tentando di costruire aggregazioni di fantasia che ho chiamato “rotte” di cui tento di verificare la corrispondenza, la dissonanza e altro fra ideazione iniziale e contenuti sviluppati in itinere. Come viene percepito l’insegnate? Quali ruoli? C’è una voglia di cambiamento? e altre domande a cui forse non sarò in grado di rispondere, ma di sentirne il profumo certamente. Una marmellata? Sarebbe felicità!

  32. Comincerò a far ordine nella mia dispensa dove sono riposti tutti insieme barattoli di confetture ( more,ciliege,mele cotogne,prugne,rose} con altri di carciofini e funghi porcini sott’olio ,pomodori pelati … un caos…. quando faccio la crostata,è un’impresa trovare la confettura desiderata tra quelle scure ! grazie per questo post adatto proprio a riflettere sull’utilità e sulla necessita’ della classificazione dei contenuti…anche se per natura sono attartta da quella senza scaffali

    1. @Antonella #10: non affliggerti! Probabilmente è proprio da un caos di questo genere che è nata la “Crostata del Diavolo”: guarnita con marmellata di arance e confettura di peperoncino. Posso assicurare è deliziosa, purché si possieda un palato sufficientemente avvezzo al contatto con la capsicina! 😉

  33. Auguri per Didamatica! “Cintura e bretelle,” però: registrate anche l’audio con il telefonino, per favore, se per caso il video non funzionasse!

    Sul tentare di padroneggiare il mondo tramite categorie e il problema delle loro definizioni, in “L’idioma analitico di John Wilkins” (nella raccolta Altre inquisizioni) Borges scriveva:

    “(…) Queste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a una certa enciclopedia cinese intitolata Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue distanti pagine si scrive che gli animali si dividono tra
    a) appartenenti all’imperatore
    b) imbalsamati
    c) domestici
    d) maialini da latte
    e) sirene
    f) fiabeschi
    g) cani randaggi
    h)inclusi in questa classifia
    i) che si agitano come impazziti
    j) innumerevoli
    k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello
    l) eccetera
    m) che hanno appena rotto lo zio
    n) che da lontano sembrano mosche” (…)”

    E questo elenco di categorie è stato spesso citato, ad es. da Michel Foucault, come esempio dell’eteroclito irremediabile, della sconfitta delle classifiche. Però se si tolgono le lettere ordinanti, le voci di questo elenco potrebbero essere tag di una folksonomia funzionante, tipo la nuvola di tag di ccmixter.org generata dagli utenti oppure, anche se qua è solo Andreas a taggare, quella sulla destra di questo blog 😛

    O ancora, visto che Maria Filomia ha scritto nel commento 25 a Post audiomobilistico restaurato – #ltis13 che usa Diigo, cfr. la sua nuvola di tag in Diigo, che può anche essere riordinata in funzione dell’uso fatto degli stessi tag da tutta la comunità Diigo. Ma non voglio anticipare, visto che in quel audiomobilistico post, Andreas ha detto che presenterà Diigo tra poco.

  34. Anch’io mi associo all’augurio di Buon convegno!… e aggiungo di essere rimasta rapita da tutta questa elaborata, ma comprensibile, spiegazione sul funzionamento di Google e di chi l’ha preceduto..Molto interessante tutta la parte sulla classificazione che muove dal pretesto giocoso, ma calzante, della sistemazione ordinata dei vasetti di marmellata sugli scaffali…Io, che sono una consumatrice quotidiana di marmellate, di sicuro da domani in poi, le guarderò con un altro occhio e affinerò anche il gusto…La lettura mi ha riportato alla memoria tutte quelle fondamentali attività per la strutturazione del pensiero e, conseguentemente del linguaggio, che svolgevamo con i bimbi alla scuola dell’infanzia, quando ci lavoravo diversi anni fa…Per rendere significativi, funzionali ma anche attraenti gli spazi dell’aula, i materiali specifici di ogni spazio venivano classificati -proprio anche col sistema delle etichette – dai bimbi stessi e ciò assumeva molteplici valenze: conoscenza degli oggetti, individuazione delle caratteristiche principali, comparazione con altri oggetti, collocazione in contenitori appositamente contrassegnati…Per arrivare al risultato finale, era necessario tutto un percorso di scoperta, analisi, confronto, rielaborazione dei dati che anche i bimbi da 3 a 6 anni, a loro modo, sono in grado di realizzare specie se se ne valorizza il protagonismo attivo…Perchè vi ho tediato con queste reminescenze? Perché riflettevo sul fatto che classificare è un presupposto fondamentale per lo sviluppo del pensiero, dà ordine e sicurezza, ma come diceva il prof sulla fine del suo articolo, è importante saper problematizzare, quindi non compartimentare, ma saper essere pronti, grazie al pensiero divergente, a trovare soluzioni quando qualcosa ha la plasticità che ne impedisce un rigido incasellamento…

  35. @Andreas, raccontate a tutti noi. Non potremo esserci ma siamo parte di un villaggio e facciamo il tifo per voi. Quando le idee sono buone, occorre farle conoscere, divulgarle!
    Buon convegno a tutti voi.

  36. Lo sapevo, non poteva mancare questo post illuminante! Prof. veramente fantastico. Dimenticavo: io purtroppo non sarò presente fisicamente a Didamatica, ma ci sono con il cuore insieme a voi. Sono fiera di far parte, come una piccola mosca, di un evento così importante. Io vi penserò, mi raccomando: in bocca al lupo!!!

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