A coloro che non sono sicuri di essere pronti #loptis

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Tutto doveva rendere e rendeva: persino le immense pietraie e le fasce detritiche, le lingue glaciali e i pendii scoscesi, infatti da quando avevano scoperto la natura e qualsiasi imbecille poteva sentirsi un essere superiore nella solitudine dei monti, anche l’industria turistica era diventata possibile: gli ideali del paese erano sempre pratici. (Friedrich Dürrenmatt)

Parafrasando Dürrenmatt:

Tutto deve rendere: persino l’immenso chiacchericcio quotidiano di miliardi di persone, fatto di vuoto pettegolezzo, bisticcio demente, parole in libertà; infatti da quando hanno scoperto l’informazione e qualsiasi imbecille può sentirsi un comunicatore nel bazar di un social network, anche il business del nulla è diventato possibile: gli ideali della società si riducono sempre al profitto.

Il contesto è pessimo. Miriadi di tracce evanescenti producono solidi reticoli di ricchi flussi di denaro. Creazione di ricchezza dal nulla, al di fuori di ogni bisogno reale, di ogni ideale, di ogni edificazione morale. Questo è il contesto in cui crescono le generazioni dei nativi digitali. Il nostro problema non è tanto quanto queste siano diverse dalle precedenti ma il fatto che crescano brade in un mondo imbarbarito, anche un cyberspazio imbarbarito.


Facciamo un passo indietro. Sono gli hacker degli anni settanta che in larga parte hanno creato il cyberspazio:

Gioco. Idee. Ribellione. Competenze. Creatività. Curiosità. Volontà. E necessità di pensare al di fuori dagli schemi. “Thinking outside the box”, direbbero gli americani: “operare al di là delle regole”. (Giovanni Ziccardi)

Questi sono i tratti salienti dell’etica hacker, e questi sono i tratti che hanno determinato le affascinanti atmosfere del primo cyberspazio, quando intelligenza, competenza e creatività aprivano le porte ad un mondo meraviglioso dove le idee potevano essere liberate e condivise come non era mai successo prima, in nessun altro luogo. Poi sono arrivati i colonizzatori che hanno recintato territori, li hanno resi attraenti per la massa, per lo più incline al disimpegno e all’evasione, magari demente, azzerando ogni difficoltà e appiattendo ogni curva di apprendimento. I colonizzatori hanno determinato le regole dei recinti, hanno sedotto le genti con un patto del diavolo [1]: – Voi fate le magie subito, senza fatica, in cambio mi date un po’ d’anima – che poi tutta o un po’ è lo stesso. Per vedere come si gioca nei recinti ci devi essere dentro, da fuori non vedresti niente, ma se entri l’anima non è più tutta tua.

Ai lettori che hanno partecipato a qualcuno dei corsi precedenti – #linf12, #ltis13… – parrà stravagante: prima abbiamo fatto di tutto per condurli nel cyberspazio e poi diciamo loro che questo ormai è un luogo maledetto. È vero, la contraddizione c’è. Come possiamo pensare di risolverla? Gli spazi colonizzati sono ampi ma non esauriscono (ancora) tutto il cyberspazio. Ci sono (ancora) tanti interstizi che potrebbero dilatarsi a volontà, se solo venissero popolati. Gioco, idee, ribellione, competenze, creatività, curiosità, volontà; necessità di pensare al di fuori dagli schemi. Sono proprio questi gli ingredienti necessari per popolare e dilatare gli interstizi al di fuori del conformismo imposto dai social network dominanti.

Non si nega il fatto che anche all’interno di tali recinti vengano condotte iniziative meritevoli e vi operino persone di valore. Anzi, fenomeni del genere sono numerosi ed è bene che esistano, ma rappresentano comunque un aspetto assolutamente minoritario. La mostruosità di un business planetario che tosa greggi sterminati in cambio di tempo dissipato è fuori discussione. E i giovani crescono in quei recinti.

La missione è quindi tanto complessa quanto disperata, e tuttavia ineludibile: l’educatore deve conquistare rapidamente una competenza che lo metta in grado di guidare autorevolmente i giovani fuori da quei recinti o perlomeno di mostrare loro come frequentarli consapevolmente. A ben poco servono le lavagne interattive, gli iQualcosa nelle scuole, in assenza di una chiara consapevolezza del contesto. La missione formativa non può essere confinata in corsetti ridotti a istruzioni per l’uso di nuovi ammennicoli, bensì deve avere un carattere sostanzialmente edificante.

Edificare una casa, edificare un libro, edificare un’anima son lavori che impegnano tutto un uomo, e tutte le sue responsabilità (Giovanni Papini).

Anche un corso dovrebbe essere un lavoro che impegna tutto un uomo, e tutte le sue responsabilità. È l’idea di umanesimo di Edgar Morin, per la quale non si dovrebbe mai ignorare la complessità del mondo e della natura umana, perché una mera molteplicità di competenze tecniche non produce Conoscenza, ma conoscenze verticali, discipline confinate in territori chiusi, conflitti fra competenze diverse, nodi che risultano impossibili da sciogliere, in assenza di visioni ampie unificanti.

Invece oggi nella formazione l’aspetto sostanzialmente edificante è pressocché assente, tutto è concentrato sulle specificità tecniche. Le intersezioni fra discipline, fra vecchio e nuovo, sono terra di nessuno, il contesto sistematicamente ignorato, il quadro generale – la big picture – una chimera.

Da questo tipo di formazione emerge una cultura di rango inferiore. Una sorta di patchwork di culture che confina le menti in spazi chiusi e impedisce loro di sortire dalla trappola della dicotomizzazione banale di ogni problema che sia di qualche rilevanza. Questo tipo di formazione non può assolvere la missione che i tempi e le circostanze ci assegnano.


Mi ero proposto di lasciare il laboratorio socchiuso per quindici giorni e invece è passato un mese. È stato il mio turno di orecchio peloso, e di studio. Esattamente nel modo esposto da Cristina, quando si è chiesta: Ma siamo tutti pronti? Io per nulla. La missione pare immane, le possibilità trascurabili. Tuttavia mi confortano queste riflessioni che sfrucugnano fra il vecchio e il nuovo. Quelle di Cristina ma anche altre, per esempio quelle che ho ricevuto in una densa email inviata da Giulio Falco, un altro partecipante di #loptis. Sono importanti perché rappresentano il fulcro sul quale occorre trovare l’equilibrio per affrontare la missione.

Scrive Giulio:

Così sono sempre affascinato dai nuovi approcci che la rete ci offre, ma nello stesso tempo mi domando se non sia facile cadere nell’errore opposto, credere che tutto ciò che è stato fatto in passato sia destinato ad essere archiviato definitivamente.

E Cristina par che risponda:

Ho sentito il bisogno di incrementare le mie letture di romanzi e saggi (mai abbandonate, ma di sicuro più ridotte nel periodo lavorativo) e soprattutto di scrivere, e poi scrivere tanto su quaderni e taccuini, altro piacere di cui mai mi privo ma che ultimamente languiva dato che la tastiera era stata imperante.

In quello che sto esprimendo, non c’è nessun intento di contrapposizione tra le due modalità -chiamiamole così- di approccio e interazione con il mondo, c’è solo il voler esternare il mio pensiero, l’esperienza di chi non guarda più con diffidenza – anche grazie al cMOOC e all’importante e febbrile villaggio Diigo – alla rete con tutti gli annessi e connessi, ma che nel dibattito di chi ritiene che “carta ed inchiostri” siano da rottamare, sostiene che è ancora prematuro, che siamo in una fase, a mio avviso, dove è necessario trovare un equilibrio, perché ci sono ancora tanti adulti – come me – che non sono del tutto pronti – e ciò sarebbe deleterio proprio sul versante educativo -, ma anche perché non dappertutto – vedi nella mia realtà regionale – le nuove tecnologie sono così diffuse per cui il fatto che ancora una fetta delle nuove generazioni cresca con i sensi primari sollecitati dall’odor di carta da sfogliare e inchiostro che dà forma ai propri pensieri su di un sonoro foglio bianco, non mi sembra debba scandalizzare.

Credo che siano in molti ad avere di questi pensieri. Archiviare, rottamare, no, mai. Perderemmo l’equilibrio che serve per procedere e poi l’orientamento. È facile inebriarsi delle novità che di continuo zampillano dal cyberspazio; è tuttavia altrettanto facile chiudersi a riccio e rifiutare tutto. Assai più difficile è invece sperimentare il nuovo confrontandolo criticamente con il vecchio, poi sintetizzare per migliorare e andare oltre. Forse la visione corretta è quella suggerita da Calvino:

A questo punto Kublai Kan l’interrompeva o immaginava d’interromperlo, o Marco Polo immaginava d’essere interrotto, con una domanda come: – Avanzi col capo voltato sempre all’indietro? – oppure: – Ciò che vedi è sempre alle tue spalle? – o meglio: – Il tuo viaggio si svolge solo nel passato?
Tutto perché Marco Polo potesse spiegare o immaginare di spiegare o essere immaginato spiegare o riuscire finalmente a spiegare a se stesso che quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si trattava del passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto. Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti. (Italo Calvino)

È la visione corretta che scioglie la dicotomia vecchio-nuovo. Per ciò vado appendendo questo scritto alle mie letture estive, per tenere compagnia a chi sente il bisogno degli amati libri e magari, quasi per timore d’esser tacciato di nostalgico, non ne fa parola, come invece ha fatto Cristina. Letture dove domina la narrazione [2]. Riandando con la mente al passato, mi pare sempre più di avere imparato quasi tutto (del poco che so e che so fare) da chi mi ha narrato qualcosa e da chi mi ha mostrato come fare qualcosa, quasi niente da tutti gli altri, fin da bambino.

Dare spiegazioni a un bambino non è affatto necessario, è necessario – incantarlo. E quanto più sono oscure le parole dell’incantesimo – tanto più profondamente si radicano nel bambino, tanto più immutabilmente agiscono in lui: << Padre nostro, che sei nei cieli… (Marina Cvetaeva)

Ma non solo da bambino…

Wenn wir ganz und gar aufgehört haben, Kinder zu sein, dann sind wir schon tot (Nel momento in cui smettiamo completamente di essere bambini, allora siamo già morti). (Michael Ende) [3]

E se non lasci morire il bambino che è in te continui a giocare, con gli “strumenti dell’arte” per esempio. E considerato che Cristina ci racconta di avere sentito il bisogno

… soprattutto di scrivere, e poi scrivere tanto su quaderni e taccuini, altro piacere di cui mai mi privo ma che ultimamente languiva dato che la tastiera era stata imperante.

ecco cosa mi porto sempre nello zaino da un paio di mesi a questa parte:

Frontespizio di un corso di Scrittura Italiana Posata

Sì, mi sono stampato tutte le 24 pagine che ho trovato in questo sito e quando posso mi esercito, cercando di saldare un debito contratto mezzo secolo fa col nonno (operaio), quando mi esortava a curare di più la calligrafia – ma allora non avevo i mezzi per capire, forse anche rintronato da un’idea di modernità posticcia.

È un piacere profondo, lento, artigianale, quello di sostanziare le idee con gesti delle mani. E a me pare che il piacere della manipolazione dei codici informatici sia affine a questo. Qui però si va oltre: non si affidano solo idee ad un mezzo ma si possono tradurre idee in azioni: si predispone una macchina affinché a fronte di certi stimoli si comporti in certi modi – la sensazione di creare è palpabile. È l’hacker il maestro calligrafo del computer, che controlla completamente la macchina scrivendo comandi su uno schermo vuoto, vuoto come il foglio che attende d’essere scritto. L’hacker predilige i semplici caratteri, atti a comporre comandi che definiscono esplicitamente e compiutamente gli ordini da impartire alla macchina [4]. Tende invece a disdegnare le interfacce grafiche, dove ad un click possono corrispondere comportamenti impliciti, talvolta opachi. Insomma, preferisce libertà e indipendenza a comodità.

Richard Sennet ha evidenziato un nesso interessante fra gli antichi artigiani greci dell’età arcaica e i programmatori di Linux, hacker a tutti gli effetti.

Quella di Linux dunque è una comunità di artigiani ai quali può essere applicato l’antico appellativo di “demiourgoi”. Al centro del suo interesse è il conseguimento della qualità, il lavoro ben fatto, che da sempre è il marchio di identità dell’artigiano.

Ma chi sono in fondo gli hacker? Risposta specifica: coloro che hanno fatto internet – in gran parte. Risposta generale: persone che hanno in somma considerazione l’atto creativo. L’hacker detesta tutto ciò che intralcia l’accesso all’informazione, diffida di tutto ciò che è burocrazia, di tutto ciò che è potere sovrastante, istituzionale o privato che sia, diffida in generale di ogni tipo di intermediazione, crede fermamente nella libera circolazione delle idee che ritiene una risorsa primaria, come l’aria e l’acqua, si interroga sul senso delle cose, sulla possibilità di migliorarle e ha un assoluto bisogno della libertà di provare a migliorarle. L’hacker possiede un’etica profonda ed è profondamente onesto. In realtà questi tratti non caratterizzano un nuovo tipo di personalità, perché si ritrovano certamente in una miriade di artisti e scienziati del passato. Di nuovo c’è che, a partire dagli anni 70, grazie alla disponibilità ubiquitaria di computer e reti, una grande quantità di persone ha avuto modo di esprimersi, sviluppando software e liberando così un potenziale creativo che l’istruzione istituzionale tende piuttosto a soffocare.

V’è un enorme distanza fra ciò che computer e rete rappresentano per un hacker e ciò che rappresentano oggi per le masse – purtroppo. Quella cultura è sideralmente lontana dalla percezione che oggi le masse hanno degli stessi strumenti. Un problema fondamentale – e insormontabile? – della contemporaneità è la velocità alla quale succedono le cose che riguardano tutti. La scuola non si è nemmeno resa conto del fenomeno dell’hacking, che ha coinvolto schiere di giovani brillanti: gioco, idee, ribellione, competenze, creatività, curiosità, volontà; necessità di pensare al di fuori dagli schemi. Roba che dovrebbe essere manna per chi si occupa di formazione.

L’intuizione che mi sta allettando – forse erro – è che coloro che qui “non si sentono ancora pronti” si sentirebbero improvvisamente “molto più pronti”, se solo potessero respirare un po’ di quell’atmosfera, se solo potessero conoscere un po’ di quel mondo. Sì, posta in questi termini la missione sembra ciclopica, ma affascinante. Come al solito, non m’è chiaro come condurla, ma m’è chiaro di dove essa debba iniziare: dalla libertà di porsi domande. Una libertà che l’uomo istruito si nega troppo spesso.

Ha scritto Giulio:

Probabilmente occorre un atto di coraggio emotivo, per stimolare una analoga risposta da parte degli studenti. E questo è ciò che ho notato e apprezzato di più nel metodo con il quale ha diretto il cMOOC: un tentativo incessante di generare risposte negli interlocutori.

Si tratta forse quindi di un ‘non metodo’, sacrificare la progettualità di nozioni ordinate, per ricreare quell’ambiente capace di stimolare nei partecipanti una risposta.
Cercare delle risposte a ‘non domande’.

Sì, un “non metodo”, ma per stimolare domande, non risposte. Se con metodo si intende qualcosa che serve a istruire per produrre certe precise risposte a fronte di certe precise domande allora questo effettivamente è un – “non metodo”. Affinché scatti il meccanismo giusto per entrare nel cyberspazio con tutto il proprio potenziale creativo – presupposto essenziale per il successo della missione – è necessario recuperare il bambino che ognuno ha in sé, che si pone domande, caoticamente – il gioco. Un gioco difficile, di costruzione faticosa, che richiede pensiero, immaginazione, dove le domande sono più importanti delle regole.

In quest’avventura, le maggiori probabilità di successo le hanno coloro che son più avvezzi alla ponderazione, alla costruzione lenta, all’approfondimento, al modo antico di procedere.

Coloro che dubitano di essere pronti forse sono effettivamente pronti.


Note

[1] Chi non ha partecipato al cMOOC #ltis13 e vuole capire meglio in cosa consista tale patto col diavolo può leggere il post Non solo luci.

[2] Bello il post Narro dunque sono di Sabina, dal quale riprendo questa citazione:

Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità al suo interno. Se quest’identità manca, l’individuo incespica nell’inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata. J. Bruner “La cultura dell’educazione”

[3] No, non so bene il tedesco. Arranco ma mi sforzo perché mi piace tanto. Ho citato l’opera in lingua originale perché è quella che posseggo e che sto leggendo, seppur con molta fatica.

[4] La quasi totalità degli utenti oggi identifica il computer con la sua interfaccia grafica e dà ordini cliccando con il mouse su icone e link. Sicuramente molti non immaginano che esistano altri modi per interagire con la macchina. Scrivo questa nota per dare una pur minima idea di cosa significhi “scrivere comandi su uno schermo vuoto”. Negli annni 70 il monitor del computer mostrava veramente solo uno schermo nero sul quale tutto quello che si poteva fare era scrivere con la tastiera caratteri, di solito bianchi o verdi. Per far fare una qualsiasi cosa al computer occorreva digitare un comando. Per esempio con il comando “ls /home/arf/Didattica” il computer mostra(va) la lista dei file contenuti nella sottocartella di nome “Didattica” della sottocartella “arf” della cartella “home”. Anche oggi si può lavorare così ma in realtà con un sistema ibrido che funziona nel modo seguente: in tutti i sistemi operativi esiste la possibilità di lanciare un particolare programma – accessibile attraverso i soliti metodi grafici, icona mouse ecc. – che in realtà simula un terminale nero o bianco sul quale si possono scrivere comandi alla vecchia maniera. Di solito si chiama “Terminal” ma vi sono vari sinonimi e varianti. Una volta che si è aperto un terminale ci si può lavorare dentro esattamente alla vecchia maniera, dimenticando il mouse. In realtà la finestra con il terminale si può manipolare e spostare a giro per lo schermo con il mouse esattamente come tutte le altre. Anzi, in questi nostri moderni sistemi, se ne possono aprire diversi di terminali per fare in ognuno di essi un lavoro diverso.

Vi mostro un esempio qui sotto.

Uno screenshot del mio computer, per mostrare una varietà di strumenti gestiti senza interfaccia grafica, solo mediante testo e comandi.

In questo esempio ho aperto 6 terminali, che ho aggiustato in modo da riempire lo schermo: 5 sono giustapposti in due colonne e un sesto, molto piccolo, è sovrapposto in basso. Tutto questo aggiustamento è stato fatto a furia di clic e trascinamenti col mouse, alla solita maniera. Poi però si lavora in un terminale alla volta. In questo momento per esempio è attivo quello in alto a sinistra, lo si capisce dall’iconcina arancione con il segno “x” in alto a sinistra, in tutte le altre finestre – non attive – la stessa iconcina è grigia.

Vediamo prima la colonna di sinistra. In alto, la finestra intitolata “Giulio_Falco_risposta + (~/Didattica/MOOC) – VIM” è quella dell’editore di testo aperto sull’incipit di questo post. L’editore, Vim, è utilizzato molto da sviluppatori di software, amministratori di sistemi Unix (Linux e simili), hacker più o meno stazzonati ecc. Chi ci lavora molto finisce per usarlo per quasi tutto. Ci si scrive solo testo, niente formattazione e niente effetti speciali. I miei testi che dovranno essere resi in HTML – come questi post – li scrivo direttamente in Vim, con i codici espressi esplicitamente. Ogni tanto travaso il tutto nell’editore di WordPress – in modo testo – per vedere l’effetto, ma poi torno a lavorare in Vim.

La finestra subito sotto è aperta su un client di posta elettronica che si chiama Mutt. Svolge un mestiere analogo a Outlook, Eudora e simili, ma in maniera molto più rapida, ecomomica e flessibile – bisogna imparare i comandi ma poi si può fare tutto quello che si vuole. In questo momento Mutt mostra un messaggio ricevuto attraverso una newsletter (notiziario online) da Stephen Downes, una figura di riferimento nel mondo delle tecnologie applicate alla formazione, padre del connettivismo, insieme a George Siemens.

Sotto ancora c’è la finestra di TTYtter, un client Twitter, ovvero un programma per leggere e scrivere su Twitter solo informazioni testuali. Niente icone quindi, gli utenti sono identificati dal loro nickname.

Nella colonna di destra, in alto, c’è un aggregatore di feed, Newsbeuter. Per chi non conosce gli aggregatori: si tratta di sistemi per tenere traccia facilmente degli aggiornamenti di un insieme di siti web – li vedremo con calma. Anche questo tipo di aggregatore ha la particolarità di funzionare solo attraverso caratteri.

Infine, in basso a destra, un browser che si chiama Lynx. Anche questo mostra solo caratteri, nessuna immagine! Sì, sembra assurdo oggi, per un’applicazione destinata a vedere pagine web! In realtà Lynx viene usato più di quello che si pensi, e non è l’unico nel suo genere… Io lo uso quando voglio concentrarmi sui testi, quando mi interessa la rapidità (le immagini rallentano), quando voglio verificare l’accessibilità di un sito – quello che si legge con Lynx è quello che offre un sintetizzatore vocale a un cieco. Per inciso, qui Lynx è aperto su una pagina di Tor, un sistema che serve ad anonimizzare la propria navigazione. Ma c’è di più: in realtà in questo esempio Lynx non gira nemmeno sul mio computer, bensì su di un computer che si trova molto lontano ma che io posso controllare. Questo esempio per dare una fugace idea del fatto che operazioni anche piuttosto sofisticate non hanno affatto bisogno di essere gestite attraverso brillanti interfacce grafiche.

Chiunque può usare questi strumenti. Sono tutti software liberi – per chi non sa cosa sia il software libero: lo vedremo – ma per usarli c’è molto da imparare; più fatica a fronte di maggior controllo di quello che succede, maggiore efficienza, maggiore indipendenza dal mercato del software. Fra i vostri studenti, anche piuttosto giovani, potrebbe esserci qualcuno che ha competenze del genere: maneggiare con cura… – ne riparleremo.


Bibliografia

Calvino I., Le città invisibili, Mondadori, Milano, 1993, cit. p. 26.

Cvetaeva M., Il diavolo, Editori Riuniti, Roma, 1981, cit. p. 52.

Dürrenmatt F., Giustizia in Romanzi e Racconti, Einaudi-Gallimard, Torino, 1993, cit. p. 247.

Ende M., Das Michael Ende Lesebuch, Deutscher Taschenbuch Verlag, München, 1989, cit. p. 39.

Papini G., Storia di Cristo, Vallecchi Editore, Firenze, 1921, cit. p. xxvi.

Sennet R., L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano, 2008, cit. pp. 29-35.

Ziccardi G., Hacker, Marsilio Editori, Venezia, 2011, cit. p. 13.


Grazie

No, non dico grazie a quel libraio che, avendogli chiesto se avesse dei titoli di Giovanni Papini, mi ha detto: – Ma è un fascista…

Grazie invece a quel libraio che pensoso mi ha corretto un titolo che avevo pronunciato male e poi mi ha messo diversi volumi sul tavolo, fra i quali la meravigliosa Storia di Cristo.

Grazie all’amico Francesco Cosi, che ogni tanto mi dà i libri che ha letto, pregandomi di farli poi girare. Questa volta Hacker, di Giovanni Ziccardi.

Grazie all’amico Tiziano Allodoli. A casa sua si trova sempre qualcosa di interessante. Questa volta Il diavolo di Marina Cvetaeva.

65 pensieri riguardo “A coloro che non sono sicuri di essere pronti #loptis”

  1. Buongiorno, sono una nuova iscritta Iul! Sono molto in ansia, non mi sento per niente pronta! Ho paura di non farcela con la scuola, la famiglia e lo studio. Quest’anno ho deciso di tentare, di riprendere gli studi lasciati a metà, di rimettermi in gioco. Un po’ per senso del dovere, un po’ per orgoglio personale ho voglia di arrivare in fondo a questa impresa. Ritengo che la scuola abbia bisogno di personale che si formi continuamente e anch’io mi imbatto con colleghe più anziane di me che non riescono ad accendere una Lim. Resto in silenzio quando mi dicono che è un semplificatore del ruolo del docente e che gli alunni prima erano molto più preparati di adesso. I nostri alunni sono disorientati, il loro mondo è diverso da quello in cui vorremmo farli vivere nelle aule scolastiche.
    Insegno alla primaria, in Sicilia. Nella mia scuola non tutte le classi sono provviste di Lim. Io ad esempio ho 6 classi quinte, il computer deve essere richiesto al collaboratore, che dopo un po’ lo porta lui stesso. Il tempo di accedere tutto e… devo andare.
    Ho voglia però di resistere, di imparare, di studiare…non so se ci riuscirò.
    Sono anch’io disorientata.

  2. #off-topic: spesso leggendo gli streaming di facebook o di twitter oppure i commenti agli articoli di qualche quotidiano on line, di fronte ad “cyberspazio imbarbarito”, mi torna in mente una strofa di una canzone di alcuni anni fa:
    “Safety in numbers
    Danger in a crowd
    You’re saying nothing
    But you’re saying it too loud”
    [David J, I Hear Only Silence Now, in Etiquette of Violence, 1983]

  3. Mammamia
    Ho appena finito di leggere “A coloro che non sono sicuri di essere pronti #loptis”

    Poi leggendo gli interventi dei miei “compagni di classe” quella che sembrava una possibile retromarcia si è dileguata

    Per adesso grazie

    1. Sono passati quasi due anni dalla prima pubblicazione di questo post e io ci sono “incappata” cercando di riprendere il filo di un percorso che ha avuto un inizio, una volta, perché nonostante le proposte di Andreas siano percorribili da qualsiasi punto e in qualsiasi direzione, rimane la mia abitudine di ancorarmi ad una cronologia che mi indichi il punto di partenza così da poter tracciare una strada e via via riflettere sugli stimoli raccolti qua e là. È quasi inquietante leggere a posteriori queste parole che raccontano di confini, di libertà, di apparenza, di superficialità, di usabilità e comodità e metterli in relazione alle tragedie che hanno caratterizzato questi ultimi due anni, conseguenza di una superficialità che ha allontanato l’umanità dalla sua stessa natura. C’è urgenza di educare alla profondità, alla critica, al pensiero divergente e ancor di più ad un’umanità perduta. Se ci fermiamo a riflettere su cosa hanno prodotto i confini e l’idea di sicurezza che ci hanno trasmesso insegnandoci a diffidare dell’altro e dell’altra a favore di una fidelizzazione per il “pronto e in tavola”, dovremmo riconoscere ed ammettere che siamo tutte/i vittime inconsapevoli di un sistema oscuro e prepotente. Non posso ignorare il fatto di conoscere personalmente Cristina e sorridere pensando alle ore consumate insieme riflettendo su come realizzare la nostra utopia umanista e mi riempie di gioia constatare che le nostre idee vengano concretizzate quando, ad esempio, incontriamo un Moocs e persone come Andreas che ci dimostano come non siano gli strumenti che devono essere demonizzati, piuttosto il sistema fatto di istituzioni sterili e inumane a produrre danni. Alla fine di questo insegnamento forse non sarò capace di produrre in autonomia pagine html e magari ricorrerò alle conodità che mi propongono i sistemi “confezionati” ma sarò stata io a sceglierlo. Grazie a tutte/i. Lisa

      1. E ti dirò, cara Lisa, che mi importa davvero poco che tu (tutti voi) impari a scrivere pagine HTML, perché non è quello l’intendimento nostro.

        Razzolare nel codice HTML è un modo economico, disponibile in tutti i sistemi, ubiquitario sotto la patina stucchevole delle “interfacce accattivanti”, che serve a capire in concreto che la Macchina Internet non è il regno del clicco-dove-clicco-tanto-qualcosa-sorte-fuori ma la Macchina della Precisione: tutto là fuori funziona in virtù di codici che devono essere maledettamente precisi, precisi all’antica, come quando si dovevano imparare gli svolazzi della calligrafia.

        Non importa a nessuno che voi imparate a fare siti web – c’è già troppa gente che lo fa – importa che recuperiamo, tutti quanti, urgentemente, la consapevolezza della natura di tale macchina e che nelle nostre rispettive missioni educative si riesca a introdurre questo ingrediente.

        Ed è certamente un po’ faticoso.
        P.S. Salutami Cristina, leggo il suo blog…
        P.P.S. Maledette contingenze che fecero saltare quel piatto di pastasciutta!

  4. Non sono pronta…. voglio scendere…. no, cioè se scendo mi perdo una opportunità… magari resto… tanto siamo un gruppo no? qualcuno mi darà una mano….però devo destrutturarmi un po’.. perchè io sono una da mouse e icone…
    Da giovane (secoli fa) nella soffitta del mio allora moroso ora marito, lo guardavo passare ore a digitare if… then… per vedere un puntino muoversi avanti o indietro sul piccolo texas…. per me era quasi un ufo, però cercavo di capire, anche se di metterci mano non se ne parlava….L’avvicinamento alla tecnologia è stato lento… finchè non è entrata in casa la stampante e allora sì che finalmemente il pc serviva a qualcosa…. un anno intero passato a fare schede usando solo excel (ma non come foglio di calcolo !!)… bè un po’ di strada da allora l’ho fatta ma il vuoto da riempire è sempre più grande…… e non si riempirà mai… però la fame di sapere è grande e non si può far tacere……
    resto.

  5. Ho appena finito di leggere il post “A coloro che non sono sicuri di essere pronti” devo dire che la mia prima sensazione è stata di puro smarrimento, in seguito con l’incalzare della lettura ho iniziato ad avvertire una sorta di risveglio a tante curiosità sopite… adesso non vedo l’ora di iniziare.

  6. Ho appena finito di leggere il post “A coloro che non sono sicuri di essere pronti” e mi sento un po’ come Alice nel paese delle meraviglie…impaurita per ciò che potrei non riuscire a fare ma anche curiosissima di ciò che, durante questo corso, potrò scoprire…davvero fantastico!:-):-)

  7. Ti ho già scritto che ti adoro?
    Èperché lavori con il cuore…

    Oggi che sono depressa sono tornata a scaldarmi il cuore…
    Ma ho per te una domanda: come realizzare una educazione sentimentale? Si può fare on line?

    1. Grazie 🙂
      Domandona. Per me il problema non è se si possa fare online, ma se si stia facendo in generale. La risposta è no. Il grande limite della formazione è avere ridotto tutto ad una faccenda di “ingegneria istruzionale”, o peggio ad una faccenda di burocrazia istruzionale, e di avere ridotto tutto a quantità e quantificazione. Un apparato che ha pochissimo a che vedere con il fenomeno dell’apprendimento. Un buon passo avanti sarebbe quello di de-enfatizzare la dicotomia virtuale-reale e di enfatizzare la dicotomia meccanico-vitale: finché trattiamo gli studenti (3 a 100) come pezzi da modellare in catena di montaggio la scuola (3-100) rimarrà un anello dell’ordinamento sociale destinato a produrre troppo poco a costi troppo elevati – gli uomini dotati continueranno a imparare nonostante la scuola, la massa riceverà briciole, che come ben si vede non bastano.

      1. Che bella domanda, e che altrettanto magnifica risposta. Reduce dai recenti esami di stato (la maturità è stata definitivamente abolita) e testimone dei più mnemonici e meccanici interventi orali mai visti, stavo quasi per demoralizzarmi del tutto. Legger questo post ha risvegliato in me l’idea fissa che negli ultimi anni, guida la mia azione didattica a scuola: “apprendimento significativo”. Non sono io che devo insegnare, sono gli studenti che devono apprendere. Per quanto riguarda l’educazione sentimentale se si aprisse un corso sarei il primo ad iscrivermi. Quando incontro un ex studente magari di qualche anno fa, mi chiedo sempre se sono riuscito a lasciare qualche segno emotivo e personale, piuttosto che se si ricorda quali nozioni gli ho potuto trasmettere. Il sorriso con il quale mi riconoscono e mi salutano, è la ricompensa più attesa.

  8. L’inizio del laboratorio mi ha colta di sorpresa dopo una giornata colma d’impegni.
    Una prima e fugace lettura del blog, mi ha spaventata, mi sono sentita esattamente come descritto dal professore in “ accogliendo nuovi studenti”, smarrita, persa…
    Poi ho parlato a me stessa, mi sono presa il “mio” tempo, la calma di cui avevo bisogno e …il resto sarà diario..
    Ho iniziato la lettura di questo blog aiutandomi anche con carta e penna per fermare parole, concetti, argomenti, e la lettura è divenuta appassionante come una pagina di romanzo, una ricchezza di mondi e pensieri che mi fa ancora una volta constatare quanto questa nostra professione d’insegnanti possa, debba e/o dovrebbe essere risorsa per il nostro Paese, ma questa è un’altra storia.
    Io sono cronologicamente una “migrante digitale”, frequento il cyberspazio solo per ragioni professionali( sono insegnante della primaria per metà orario e contamino da anni la didattica tradizionale con quella digitale, sono supervisore di tirocinio in università per l’altra metà d’orario e non posso fare a meno di usare il web per comunicare con le studentesse) per il resto la mia vita sta solo nel mondo “reale”, nel senso che non frequento social network, non ho in merito pregiudizi verso che li utilizza, ma uso già troppo la tastiera e il mio tempo libero desidero dedicarlo alle passeggiate, alle letture, allo studio, a stare in compagnia delle persone che amo. Il tempo è un elemento importnte nella vita “reale” e nel cyberspazio? Ho due figli ventenni che utilizzano computer e derivati , anzi mi sembra a volte che questi strumenti siano diventati il prolungamento del loro corpo, della loro mente… discutiamo molto in merito, abbiamo posizioni a volte distanti, ma il confronto con loro mi ha molto aiutata in questi anni a capire i bisogni anche dei miei alunni, anche se più piccini.
    Io non posso fare a meno della narrazione che è alla base dell’umanità: abbiamo bisogno di storie per capire e capirci, per cercare di affrontare insieme la complessità della vita. In fondo anche questo mio scrivere è un modo per placare la mia ansia del nuovo, per trovare un “interstizio” in cui mettere un po’ di me. L’assurdo del cyberspazio, almeno a volte così mi sembra è che ci dà la sensazione di essere tutti globalmente vicini nel “villaggio globale” e anche nelle culture e poi fuori di casa lo “straniero”, per dirlo alla Camus, ci infastidisce e in qualcuno scatena odi primitivi. C’è qualcosa che non torna…
    Vorrei chiudere con Calvino, uno dei miei autori preferiti, già citato nel blog:
    “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti:
    accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”
    Giusi

  9. Quest’anno ho una prima in cui ci sono più problemi che alunni, il collega di sostegno è un musicista che non ha mai insegnato in vita sua, venerdì mi è arrivato in classe un ragazzino senegalese che non parla l’italiano, l’Amministrazione Comunale non ci ha ancora comunicato quanto ci darà per il Diritto allo studio, il Fondo di Istituto basta appena per comprare la carta igienica, molti miei colleghi hanno sempre meno voglia di lavorare,…
    Però, io sto facendo il lavoro più bello del mondo e quando entro a scuola sono felice.
    I ragazzi ci “respirano”….si accorgono se viviamo la nostra presenza come una guerra continua….
    Io non so fare le belle riflessioni profonde che leggo qui, ma aiutiamoci l’un l’altro a tirar fuori la parte più bambina di noi…

  10. Grazie, è un complimento meraviglioso e me lo godo tutto, in questo inizio d’anno così triste e avvilente.
    Nulla va come dovrebbe, la mia clase 2.0 parte a rilento, fra il sarcasmo ostile e le critiche di principio dei colleghi a cui, alla fine, non interessa nulla della ricaduta didattica e dei ragazzi, ma solo che nessuno tocchi il loro piccolo regno faticosamente costruito e messo a punto in anni di onorato servizio. Perchè “così i ragazzi ne sapranno più di noi” è la paura grande che li attanaglia. L’esatto opposto della filosofia di questo corso e, a parer mio, di quella che dovrebbe essere la scuola, almeno oggi nel XXI secolo.
    Io ho fatto del cambiamento uno stile di vita, ma so che non devo rimproverare di non essere come me. Tuttavia quale altra visione della scuola ci può salvare se non questa? e soprattutto che aiuterà i nostri studenti se non lo facciamo noi che li abbiamo davanti ogni giorno, per tante ore ?
    Non lo so. Mi sento triste per me, per la “mia scuola” , per gli studenti e per questo paese.

  11. Ho capito. Ho deciso. Stamattina ho cominciato un mio personale registro delle “buone pratiche” (di quei piccoli gesti “creativi” che, di solito, vanno perduti nel fare quotidiano irriflessivo) e l’ho condiviso con alcuni colleghi “illuminati”, tramite piratepad, che è stata una delle poche cose che ho capito di poter utilizzare senza difficoltà grazie a questo blog-laboratorio . L’ho condiviso spiegando, a parole mie, cos’è e come funziona (e precisando che io stessa sto provando per la prima volta). Cosa ho capito? cosa ho deciso? che devo uscire dalla logica del tutto/nulla; secondo cui una cosa o serve o non serve, o si capisce alla perfezione o non si capisce per nulla. La rete, tutto quello che si dice in questo straordinario blog, l’e-learning etc.: non so tutto, non capisco tutto, non sono sicura di nulla (nemmeno se non abbiano persino ragione i colleghi classicisti più mummificati nella ripetizione dell’esistente); ma faccio una piccola cosa. Faccio le cose che per me sono più semplici; che ho capito un po’ meglio; che mi spaventano di meno. Non pretendo più di seguire sempre il laboratorio IAMARF – che è una valanga di stimoli che mi lascia atterrita; ho deciso che seguo quando ne ho voglia; che prendo quello che riesco. Solo così posso non lasciarmi sopraffare dall’angoscia di questa babele che è il web. Solo così posso fare quello che, da sempre, voglio e cerco di fare: rendere la scuola e l’insegnamento qualcosa di non avulso dalla vita.

      1. Che belle riflessioni, mi piace tanto quando dici che cerchi di rendere la scuola qualcosa di non avulso dalla vita.
        Anche io ci provo. ma mi accorgo spesso che è così faticoso che spesso i colleghi si tirano indietro, non ce la fanno o non vogliono farcela.
        Io ora ho deciso che lo faccio lo stesso, da sola. Faccio come dici tu le piccole cose, ci provo, anche se non padroneggio tutto, mi butto.
        Ma il prezzo da pagare è davvero alto, almeno per me (in termini di soddisfazione profesionale, intendo)
        Ma dove vi nascondete colleghi volenterosi e “illuminati” (come dici tu)?
        Non poter condividere un’idea, un percorso con nessuno è frustrante.

        Per ora vado avanti come riesco ma il fallimento del progetto “ci provo io, qualcuno mi segurà” è così lampante e avvilente che mi toglie la voglia di lavorare. L’ottimismo della volontà ha ceduto il posto al pessimismo della ragione.
        ciao
        sab

        1. Credo che tutti noi insegnanti ‘volenterosi’ viviamo questo clima di ‘disfatta culturale’. Chi più chi meno. Chi come me è stato più fortunato, e ha avuto il tempo non avendo mai cambiato scuola di costruirsi un ambiente meno scoraggiante, comunque ha imparato a convivere con questo clima che descrivi così bene. La risorsa più grande però che abbiao a disposizione sono i nostri studenti e solo in seconda battuta i nostri colleghi o i presidi. Dobbiamo pensare quindi che con la disponibilità dei mezzi di comunicazione telematici, non siamo più soli. La comunità che si sta costruendo attraverso esperienze come il cMooc o i blog, sono altrettanto o anche più reali ed efficaci di quelli fra persone che ci circondano fisicamente. E li che dobbiamo cercare l’ispirazione, e le conferme dell’importanza delle cose che stiamo facendo.

        2. Sabina, sono tempi duri. Apparteniamo ad una generazione di insegnanti che si trova con un piede nel vecchio e uno nel nuovo. Dove il nuovo lotta con il vecchio. E la guerra non ci fa bene. Ogni volta che tendo di dire qualcosa di nuovo, contro la mummificazione che paralizza allievi e docenti, mi dicono: sono i discorsi come i tuoi, che affossano il liceo classico…. quelli come te vogliono solo abbassare gli obiettivi etc. etc. etc. Ormai non mi sfiorano quasi più. E’ in corso una furibonda querelle des ancients et des modernes. La partita si gioca dentro un enorme edificio che sta crollando a pezzi, che è la scuola pubblica italiana. MA: fare rete, conoscere, anche solo virtualmente, una, due, cento persone che sono aperte al cambiamento, che desiderano ragionare insieme, questo non è poco, ti assicuro. Grazie del riscontro (nella mia enorme asinità mi veniva il dubbio di non essere riuscita a postare sul blog, che il blog fosse “scaduto” etc. etc.)

          1. E’ in corso una furibonda querelle des ancients et des modernes!
            Bellissima definizione.

            Grazie per il coraggio che ci metti.
            Buon lavoro

            1. Interessante. Ammirazione per chi lotta – nella scuola deve essere davvero difficile. Il solo pensiero di tutta quell’inerzia angoscia terribilmente.

              Oh quanto sono schierato! Ma mica tanto con i modernes quanto contro gli ancients, che in realtà più che ancients sono o imbucati che temono per l’amato salottino o sordidi detentori di poteri, piccoli e grandi.

              Perché il passato che tanti ipocriti dicono di venerare è stato costruito tutto da modernes, che dico, da folli scatenati! Quasi tutta gente che ha mal sopportato lo status quo, che è fuggita da scuola, che si è scontrata con l’establishment culturale, rimettendoci anche la vita, talvolta.

              P.S.: Ho ragazzi ci sono eh… sto lavorando per voi e comunque leggo tutto 🙂

              P.P.S. Ah, aggiungo a posteriori una citazione che ho letto in un vagone del treno ieri:

              Wer die Zukunft als Gegenwind empfindet, geht in die falsche Richtung. – Chi sente il futuro come un vento contrario, sta andando nella direzione sbagliata. Willi Ritschard

              Come il cacio sui maccheroni.

            2. Io sono molto ancients per età ma quando devo discutere con qualche collega che mi dice che il livello si abbassa sempre di più e che gli allievi non sanno più… fare questo e quest’altro, invece a tempi nostri….. io gli chiedo di inserire il suo numero di cellulare sul mio.
              Normalmente non lo sanno fare, ” scusa ma non conosco il tuo cellulare.
              Poi aspetto che passi il primo allievo non all’altezza e gli chiedo di fare la stessa cosa.
              Quando mi dice che questa non è una competenza alla quale prepararsi allora ( avendo più di sessant’anni sto diventando crudele ) gli chiedo che se ha realizzato che il mondo non è più quello di quando andavamo a scuola (studiando più o meno; anche noi non eravamo tutti studenti modello) ma che dai primi anni 90 sono iniziate due rivoluzioni una per i telefoni e una per i computer; se ha realizzato che siamo ormai alla quinta generazione di cellulari e che le prossime integreranno tante tecnologie: telefono, videoconferenza, messaggeria , tv e tantissimi altri servizi ce anora non conosciamo, hai mai sentito parlare di APP o pensi sia una parolaccia!.
              Normalmente si girano e non mi parlano più per qualche giorno; poi alcuni ricominciamo. Per gli altri non ci penserò io.
              Mi preoccupo per i loro allievi.
              Ciao

              1. @soudaz : ben fatto! adotterò lo stesso sistema, la prossima volta! però la cosa è ben più drammatica: purtroppo, i più ingessati nella custodia del passato (insegno in un classico) SONO PROPRIO I GIOVANI! quelli che vanno in giro con tablet e I-phone; quelli che ce l’hanno fatta ad entrare, grintosi, determinati, preparatissimi filologi ma….. spesso più conservatori degli anziani, più rigidi, più esigenti…. fanno scontare, forse, agli altri quello che hanno dovuto subire; come se augurare agli altri quello che per te è stato mortale fosse un bene… o forse non si accorgono di non essere più vivi, blindati nei loro bunker filologici, nel loro serafico colare a picco. Perché, poi, di questo si tratta: a dispetto di ogni querelle, il passato è destinato… a passare! e la scuola vecchia deve, necessariamente, lasciare il posto ad altro, piaccia o non piaccia, indipendentemente dagli schieramenti… Sono custodi di sepolcri vuoti. Lo sanno? non lo sanno? fanno finta di niente? a volte la maggiore difficoltà, il maggior dolore, deriva dal non capire perché facciano così…. Se è un anziano a comportarsi da conservatore, è anche giusto e comprensibile; invecchiando, è difficile cambiare le coordinate, non tutti ce la fanno. Io stessa faccio fatica a “stare” nel cambiamento tecnologico. Ma il difficile è capire i giovani insegnanti che si comportano da mummie. E’ questo mi fa più male di tutto.

                1. Quando ero più giovane esistevano già i giovani-vecchi ( quando lo vedo adesso sembrano aver l’età dei genitori ) ma anche con loro non è che puoi fare tanto.
                  Si può imparare se si capisce il problema, la mia esperienza è la somma dei miei errori, se questi due fattori non sono ancora interamente digeriti allora ci sono le certezze errate che, giovani o vecchi, fanno fare grossi errori.
                  MA NON PUOI INSEGNARE A CHI CON CAPISCE, non puoi neanche discuterci; devi solo aspettare che finisca il processo di crescita; ti accorgerai che certi non lo finiranno mai e continueranno ad insegnare con le loro certezze.
                  Parla con gli altri; quando sono stato in India non ho capito granché della loro società ma ho capito che NON bisogna prendere tutti i problemi sulle nostre spalle e cercare di risolverli tutti: tanti li potremo risolvere (dipende da noi), tanti altri non ci riusciremo (dipende da noi e da altri) altri saranno grossi fallimenti (e bisogna avere la certezza di aver fatto il massimo) e non dovranno farci intristire troppo.
                  Mio figlio direbbe già ” basta papà, hai ragione ma troppo rompe”, per cui smetto
                  Ciao
                  Costantino

  12. bentrovati a tutti in questa sorta di ossimoro vivente che é il cyberspazio! sono tra i tanti che per vari motivi si era data alla latitanza ma ha deciso di ritornare indietro di riprendere il cammino. Non posso che concordare con Andreas e con le sue parole….. A presto Ros

  13. Evviva lo slow-learning!
    Un neverending ‘Grazie!’ ad Andreas e a tutti i cyber-dubitabondi con cui potersi maneggiare-con-cura.
    Mi ero persa l’anno scorso, avendo maneggiato con poca cura i miei polsi (sindrome di De Quervaine da stress da mouse).
    La cura dei nostri giovani passa attraverso la cura degli adulti, in queste stanze è più possibile che altrove confrontarsi sul come.

  14. Salve PROF,
    le confesso che , per vari motivi ,avevo il timore di non essere capace ad affrontare questa nuove esperienza , ma le sue parole sono state davvero stimolanti e rassicuranti, cosi come la voglia di crescere e di arricchirsi cercando sempre di dare il dare il massimo anche a coloro che come educatori abbiamo la responsabilità di formare nel modo migliore ,aiutandoli ad aprire quel varco che consenta loro , di utilizzare in maniera consona i nuovi strumenti di comunicazione.

  15. Ci sono anch’io, pronta a ricominciare!
    Non riesco a commentare questo post così denso di significati e di sollecitazioni, mi limito ad un paio di cose.
    Un ringraziamento:
    “il business del nulla è diventato possibile: gli ideali della società si riducono sempre al profitto”
    Non sapevo come introdurre “economia” in una classe prima e queste parole mi hanno fornito le chiavi per capire come volevo trattare l’argomento; ci sto ancora lavorando…
    Un’attesa:
    quella dell’intuizione che ti sta frullando in testa; sono curiosa circa il mondo e l’atmosfera degli hacker. Ho letto, dopo il tuo intervento a Milano, Codice Libero (Free as in Freedom)- R. Stallmann e la crociata per il software libero- di S. Williams, e quell’aria l’ho un po’intravista. Aspetto di capire meglio e, per ora, con la complicità di qualche collega, provo a pasticciare un pochino.
    Per ora torno a meditare e magari a seguire qualche consiglio di lettura.

  16. Spesso ho l’impressione di non avere niente di nuovo da dire. Cerco rifugio dalla banalità e dall’appiattimento che ci travolge. Voglio fuggire dai recinti in cui, più o meno inconsapevolmente, sono stata rinchiusa e vado alla ricerca di altri luoghi a me consoni. “Solo la narrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria cultura” ci ricorda Bruner e “Gioco, idee, ribellione, competenze, creatività, curiosità, volontà; necessità di pensare al di fuori dagli schemi” sono gli imperativi che ci suggerisce Andreas. Avevamo bisogno di questo post: per ripartire. La pausa estiva ci ha dato la possibilità di approfondire, leggere, cercare, rivedere, tornare indietro, trovare cose vecchie travestite da idee nuove, disperarci per quanto avviene in questo povero e ricco paese in cui sembra davvero difficile “scavalcare il recinto”. Ma ora siamo qui e siamo pronti.Per ricominciare.

  17. Grazie.

    Il silenzio parla, aiuta a focalizzare, come per esempio le reazioni di taluni che si definiscono in vario modo “dispersi” e che sono tutto contento di vedere riapparire.

    A chi chiede – Quando si comincia?

    Ci si rifà daccapo, per i nuovi arrivati e per i dispersi, lentamente, aggiungendo e variando a seconda delle circostanze, accogliendo poi una classe di Editing Multimediale della IUL, e impastando il tutto.

  18. Riprende la scuola e siamo di nuovo in prima linea, per cercare di combattere una dura battaglia. Le parole di questo suo ultimo post risvegliano il desiderio di spiccare il volo, con il proprio bagaglio di esperienze, idee, desideri. Catalizzano pensieri che rischiavano di scomparire inghiottiti dalle sabbie mobili del mondo consumista nel quale siamo immersi. Ci ricordano che non siamo soli e che siamo tutti pronti. Lo spazio in fondo è plasmato da chi lo occupa, i commenti a questo post, tutti estremamente intensi, sono la miglior dimostrazione di quanto efficace e istruttivo sia stato l’ultimo ‘viaggio’ insieme.
    Possiamo romperli questi recinti culturali, nei quali sono state confinate masse di consumatori di applicazioni del ‘nulla’. Almeno quelli nei quali sono rinchiusi i nostri studenti. Lo possiamo fare tutti insieme, condividendo non solo nozioni, ma modi di essere.
    Grazie

  19. Aaahh, bentornata vita, pensiero, dubbio, certezza e IDEA. bentornato Andreas. Ho aperto la porta, aperto di nuovo le finestre e respiro. Aria e pensiero. Bentornato Andreas; ci sono.

  20. Grazie per questo bello stimolo alla ripresa e alla riflessione. L’ho postato ai miei amici insegnanti. Spesso l’ho fatto, lo scorso anno; e, se pure non so fare molte delle cose che avrei dovuto imparare; seguire il corso, come ho potuto, è stato un fecondo elemento di discussione a scuola. L’anno scorso ho lasciato: troppe cose da elaborare, ritmo troppo serrato, ansiogeno; ma non ho lasciato certo l’argomento, e mi è stato molto utile frequentare queste pagine. Mi piace moltissimo il modo in cui parla e agisce il prof Formiconi, che ha il grande e rarissimo dono di non essere mai dogmatico, mai scontato, mai banale. Resto in contatto, come posso, come so. Forse i semi, in certi casi, hanno bisogno di riposare parecchio sotto terra prima di diventare qualcosa di riconoscibile

  21. Dice bene Sabina quando parla della necessità di meditare sulle tante e corpose riflessioni dipanate dal prof…qualcuno ha anche riportato che il suo silenzio si stava facendo insostenibile. Per certi versi, è stato così anche per me, io le valigie delle vacanze le ho già riposte da un bel po’ e sono state prontamente sostituite da quelle ricche, stimolanti, ma talvolta anche arruffate ed imprevedibili dell’inizio d’anno scolastico – per me inaugurato l’ultima settimana di agosto -. Per cui, il tourbillon nel quale mi sono ritrovata, mi ha reso spettatrice, attiva nella lettura e nelle riflessione, che però è stata solo individuale, non condivisa perché i tempi si son già fatti affannosi.
    Ritrovarsi col prof imprime una spinta poderosa: quella di cui necessitano coloro come me che ancora hanno bisogno di una “guida”, e non intendo di un guru spirituale come invece qualche volta viene dipinto il prof…o forse è solo una mia impressione. Una guida che fa della cultura umanista la sua stella polare che illumina il suo pensiero ed il suo agire. Fin dall’inizio di ltis13 fu chiaro che questa guida voleva condurci fuori dai recinti sistemici, non solo angusti, ma pericolosi perché lesivi della creatività e della libertà di pensiero che ci caratterizza come specie. Lo slancio per ripartire viene ancora dal ribadire questo insieme ad altre considerazioni che come educatori/educatrici non possiamo che accogliere con emozione: i pericoli della frammentazione, perdere di vista i processi a tutto vantaggio dei prodotti, smarrendo quell’unitarietà che deriva dall’essere individui tutti interi, parte di una stessa specie che abita uno stesso pianeta….

  22. Le riflessioni che stimolano le parole di Andreas sono davvero tante e per certi versi mettono ansia perché non capisci,in questo quadro, la tua presenza dove si colloca e che influenze avrà in questa società; poi in classe diventa tutto più facile. Riesci a scegliere con e per loro, per il loro ben-essere e ti senti pronta a decidere con responsabilità nonostante le “regole” dettate dall’alto. Non si tratta di essere sempre e comunque contro, di vestire i panni dell’alternativo a tutti i costi, ma di agire responsabilmente nel rispetto di se stessi e dell’altro difendendo i principi nei quali uno crede. Mio nonno è stato sempre molto burbero e non ho di lui ricordi dolci, ma alcune semplici frasi sulle quali ho fondato il mio modo di essere nel mondo. Una diceva: “male non fare paura non avere” ed è così che agisco ogni giorno: prendendomi le mie responsabilità e con il coraggio necessario a dimostrare le mie scelte, rimanendo me stessa anche nel cyberspazio. Credo che il maggior contributo che una persona possa dare alla comunità, che sia in presenza oppure virtuale, sia quello di rimanere se stessi, con i propri tempi, nello spazio necessario, con i propri saperi e con la propria capacità di aspettare…un grazie a tutti coloro che hanno fatto da stimolo in questi spazi con le loro singole identità e un augurio di buon lavoro nella scuola e fuori dalla scuola. W LA SCUOLA PUBBLICA e chi la abita quotidianamente con coraggio.

    1. Valotto: sei in strepitosa forma!!!
      Tutti (compresa me) ad affannarsi per cercare qualcosa di sagace, non ripetitivo, profondo, creativo, giocosomanontroppo, bellomaancorapiùbello da dire e tu…
      😀
      Sì, Prof., mi sa che non saremo mai certi, ma abbiamo lo spirito giusto per ricominciare ad affrontare il caos e ascoltarti mentre ci racconti così bene quello che, in fondo, in fondo, potremmo saper fare.

      1. Che vuoi farci?!
        Ho dovuto fare molto potenziamento sulla sintesi in questo periodo: non è mai stata il mio forte…. Oppure non ho parole. O ancora: quando stai correndo come un matto, dedicare ampio spazio alla comunicazione non essenziale (e complimentarmi con Andreas è si importante, ma nulla aggiungerebbe al merito del discorso che lui ha trattato magistralmente), diviene un lusso che non puoi sempre permetterti…
        Scegli tu: per parte mia opto per “sei in strepitosa forma!!!” che mi consola del tempo che fugge 😉

  23. Salve prof,
    io strada facendo ha lasciato il corso…non ce l’ho fatta a mantenere il ritmo. La lettura di oggi del suo post mi ha ridato la voglia. Spero di essere pronta!

  24. Prof sono qui che mi sto arrovellando per cercare un modo per imparare ad imparare, “possedere” e “non lasciarmi possedere”:la fatica, i tempi lunghi e molto altro. Un po’ come un hacker forse. Così vorrei far scuola…ma davanti a istituzioni che chiedono performance, rispetto dei tempi, genitori che fanno confronti (quella maestra lì rimane indietro con il programma…) non so se sono pronta…a saltare. Grazie per questo post, perchè so che altri lo vedono così l’apprendimento, anzi la competenza e sono sempre più convinta che bisogna proprio farlo questo salto. Mentre leggevo qualche anno fa “La storia di Cristo” di Papini, mi sentivo incantata da riflessioni così composite, ricche, che di primo acchito mi sembravano un po’ prolisse, esageratamente ridondanti; in realtà ora credo fossero veramente dilatate in ogni loro sfumatura. E’ così che dobbiamo fare?

  25. Bentornato, Prof!
    Il vuoto cominciava a farsi tangibile….
    Lasciati i bagagli delle vacanze, stiamo caricando quelli che ci serviranno per affrontare un nuovo anno. E come al solito ci hai regalato la valigia piú importante!
    Grazie!

  26. Ho letto con avidità il suo post e … da un po’ di tempo a questa parte mi accorgo che più mi sembra di andare avanti, più mi ritrovo in fondo a cercare il senso delle cose!

  27. Mi rivedo nelle parole del Prof.Andreas. Riesce ad “agitare” acque apparentemente tranquille. Risveglia la curiosita’, fa rivivere le emozioni di Linf 12. Ho vissuto e voglio continuare a sentirmi viva. Grazie , Prof!

  28. Quando ricominciamo?
    Tutto questo splendido scritto che vorrei commentare riga per riga ha risvegliato la mia sete di conoscenza…
    Non amo l’appiattimento e l’abbruttimento che il cyberspazio sta cercando di diffondere. Adoro i libri. Di carta, anche se il calcolatore mi ha sempre affascinato e incuriosito. Mi sento un’enorme ignorante in materia, ma non mi manca la curiosità…
    Prof, a quando le prossime indicazioni? 🙂

  29. Riflessione imponente! Bisogna tenere vivo questo spirito, perché c’è una specie di sperdimento collettivo e la gente ha fame e sete di significato.
    Poi ci sono le persone che per ritrovare il senso guardano all’indietro cercando le vecchie sicurezze. Cerco di appellarmi allo “spirito bambino” e alla curiosità dei mie colleghi della nuovissima “Classe 2.0”, e cosa succede? Che la prima cosa che fanno è decidere di non disporre più gli studenti in gruppi ma di risistemare i banchi in rigide file, “così vedono meglio la lavagna”…
    Quando parlo di “costruire comunità”, mi guardano profondamente sconcertati.
    Mi/ci aspettano lunghe battaglie. Tuttavia non sono sicura di voler “battagliare”. In realtà speravo di “incantare”, e invece…
    Tornerò a leggere questo post per non perdermi neppure io.

  30. E PER CONTINUARE CON I RINGRAZIAMENTI
    Un gioioso grazie alla vigilia della ripresa della scuola per le riflessioni piene di senso e di vita che ho letto

  31. Mi viene da piangere per la commozione.
    Non sa prof come ne avevo bisogno e come lei riesca a parlare al cuore proprio con quelle parole che si agitano dentro ma non riescono ad uscire.
    Avrei voluto da tempo che qualcuno mi dicesse queste cose e che qualcuno le dicesse proprio con quelle parole lì.

    Come quando nella lettura di quel romanzo che ti tiene appesa alla pagina esclami:” E’ proprio quello che volevo dire io e lui ci è riuscito!”

    Ora mi prendo un tempo per meditare, ce n’è davvero tanta di roba su cui riflettere.

    grazie prof, davvero.

      1. Grazie, è un complimento meraviglioso e me lo godo tutto, in questo inizio d’anno così triste e avvilente.
        Nulla va come dovrebbe, la mia clase 2.0 parte a rilento, fra il sarcasmo ostile e le critiche di principio dei colleghi a cui, alla fine, non interessa nulla della ricaduta didattica e dei ragazzi, ma solo che nessuno tocchi il loro piccolo regno faticosamente costruito e messo a punto in anni di onorato servizio. Perchè “così i ragazzi ne sapranno più di noi” è la paura grande che li attanaglia. L’esatto opposto della filosofia di questo corso e, a parer mio, di quella che dovrebbe essere la scuola, almeno oggi nel XXI secolo.
        Io ho fatto del cambiamento uno stile di vita, ma so che non devo rimproverare di non essere come me. Tuttavia quale altra visione della scuola ci può salvare se non questa? e soprattutto che aiuterà i nostri studenti se non lo facciamo noi che li abbiamo davanti ogni giorno, per tante ore ?
        Non lo so. Mi sento triste per me, per la “mia scuola” , per gli studenti e per questo paese.

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