Sono sconvolto da quanto hanno lavorato molti di questi studenti nel laboratorio di tecnologie didattiche a Scienze della Formazione Primaria, centrato su Logo ma senza farsi mancare una quantità di esplorazioni diverse, anche estemporanee. Per l’esame devono inviare un diario dove narrare il percorso, esponendo i successi ma anche le difficoltà e i momenti di sconforto – come dice M.:
Il professore ci ha chiesto di scrivere un diario su questo percorso laboratoriale; deve essere un diario che non rispetti il linguaggio accademico! Deve essere un diario spontaneo, in cui emergano le emozioni, le sensazioni vere, non le idee teoriche mai messe in pratica. Questa cosa mi emoziona. Credo che sia importante interrogarsi sempre sul senso delle attività che svolgiamo all’università. Questa mi comunica sicuramente qualcosa: fare per parlare di me e parlare di me per poi fare. Mi sento immersa nel compito.
Segue il diario di M.: 52 pagine piene zeppe di esperimenti con la descrizione minuziosa degli errori e la loro successiva correzione, con riferimenti a altre discipline e esperienze.
Così molti altri.
Morale? Troppi discorsi tecnici in giro. Forse anche troppi dibattiti. Specialmente intorno a tecnologie, coding, pensiero computazionale e via dicendo. Basta uno strumento molto semplice, approfondito e sperimentato bene in pochi suoi aspetti fondamentali. Il resto, diciamo l’80%, deve essere cura della comunità di apprendimento e cura del percorso dei singoli laddove necessario, sia nella difficoltà che nell’eccellenza.