Quando in classe compare “’nu cecate”… e tu sei disperatamente impreparato!

Dove scopro che se non imparo a vedere come vede lui non posso insegnare nulla.

È stato possibile scrivere questo articolo grazie all’eccezionale collaborazione di Francesco Savanelli, il protagonista, e al contributo spontaneo di una sua collega, Barbara Veneruso.


Qui c’è una bella foto di Francesco dove, sulla terrazza di Unisob sembra assaporare beatamente la meravigliosa atmosfera del Golfo di Napoli con il Vesuvio alle spalle e un gabbiano che vola alto.

Il primo preconcetto: perché Francesco è qui?

Nel caos degli accomodamenti di una settantina di studenti, laggiù in fondo all’aula si aggira un giovane che si muove in modo differente, mi rendo conto che non vede: avrà sbagliato aula, sarà di un altro corso di laurea… Dimentico, travolto dalla quantità di cose da fare e da dire nel primo incontro del laboratorio. Ma alla fine rieccolo, accompagnato da una collega. Si presenta: è un mio studente. Non molto dopo gliel’ho detto chiaramente:

— Francesco, appena mi sono reso conto che sei un mio studente m’è preso il panico!

Insomma, pur tirandomela in lungo e in largo con l’importanza dell’inclusione, a declinare questo tipo di laboratorio per un non vedente non avevo mai pensato. Cosa posso fare per includere Francesco in un laboratorio immaginato per programmare figure geometriche vedendole o per costruire circuiti con LED che si accendono e si spengono? Come fare tutto questo all’impronta? Andava ripensato tutto, all’improvviso, così alla prima, e non avevo la più pallida idea di come fare. Sarebbe stato difficile anche se si fosse trattato solo questo, ma c’era da occuparsi anche di tutti gli altri. Appunto. Panico.

Però c’era Francesco, con il suo carattere eccezionale. Nessun edulcoramento politicamente corretto. I problemi sono problemi, o’ cecate è o’ cecate, guai a piangersi addosso, i problemi si affrontano all’attacco. Più che le parole possono servire i video che Francesco pubblica su TikTok, per apprezzare il suo spirito.

Francesco Savanelli è un personaggio pubblico con oltre 10k follower. Ciò nonostante ho ovviamente chiesto il suo permesso per pubblicare qui il suo video.

Cone sfruttare l’energia di Francesco?

— Francesco, qui bisogna mettersi in testa una cosa, dobbiamo invertire i ruoli: tu sei l’insegnante e io lo studente. Perché se io non capisco come tu vedi il mondo, come tu hai imparato a vederlo da piccolo, io non ho modo di plasmare le attività del laboratorio. Quindi mi devi dire tutto. Che strumenti e metodi hai dovuto usare a scuola, fin da piccolo? Come hai appreso ad esempio la geometria? Com’è che hai deciso di seguire questo corso di laurea, lungo e non facile? Come pensi di spendere in futuro le competenze che hai acquisito in questo percorso? Anzi, ora non mi dire nulla, scrivimi con calma un bel racconto dove mi dici tutte queste cose.

Il giorno dopo ho già il testo di Francesco. Studio e vengo a conoscenza di piani gommati e figure geometriche tattili, di software screen reader che leggono i testi presenti sullo schermo, di software di riconoscimento vocale, di Be My Eyes, un’app che consente di ricevere assistenza visiva a distanza e varie altre cose. Ma soprattutto, ora so perchè Francesco è qui:

Ho scelto di intraprendere il percorso di studi in Scienze
della Formazione Primaria in seguito a un’esperienza di
volontariato presso La Casa sulla Roccia, situata a
Villaricca, in provincia di Napoli. Durante tale esperienza
ho avuto modo di affiancare bambini provenienti da
contesti socioeconomici difficili e quartieri degradati.
Oltre alle consuete attività didattiche, ho proposto ai
bambini esercizi basati sull’utilizzo dei sensi, in
particolare dell’udito e del tatto. Tra questi, ad esempio,
la distinzione tra suoni forti e deboli, oppure il
riconoscimento della composizione, del materiale e della
forma di diversi oggetti attraverso il tatto.
Con il progredire del mio percorso universitario, questa
esperienza si è progressivamente consolidata grazie alle
attività di tirocinio e ai laboratori. In tali contesti, mi sono
dedicato con particolare interesse alla creazione di giochi
sonori, utilizzando materiali semplici come le mollette,
che riproducevano il suono delle corde di una chitarra.
Oltre ai giochi sonori, ho realizzato anche attività ludico-
didattiche di geometria, impiegando stuzzicadenti per
costruire figure come triangoli e altre forme geometriche.
Nel progettare, realizzare e presentare queste attività, ho
voluto dare centralità al senso del tatto, con l’intento di
offrire ai partecipanti la possibilità di sperimentare una
percezione simile a quella che una persona non vedente,
come me, vive quotidianamente. Tale prospettiva ha
guidato e continua a guidare il mio percorso formativo e
professionale nell’ambito dell’educazione.

Capisco un fatto importante: una persona come lui può giocare un ruolo fondamentale nell’insegnamento con bambini non vedenti. Sarà un fatto banale per chi si occupa di tali contesti, per me è una rivelazione.

Il secondo preconcetto: come fa Francesco a vedere la tartaruga?

Il laboratorio di tecnologie didattiche, che ho tenuto dal 2016 per otto anni a Firenze e dal 2020 ad oggi a Napoli, prevede una serie di attività, la più importante delle quali consiste nella produzione di artefatti grafici mediante un particolare versione del linguaggio Logo che si chiama LibreLogo. Si tratta di un’implementazione geniale perché consente di programmare direttamente in un semplice word processor (LibreOffice) vedendo immediatamente i risultati sotto forma di grafica sul medesimo documento su cui vengono scritte le righe di programma. La grafica viene tracciata da una tartaruga virtuale che obbedisce ad una serie di comandi intuitivi per un bambino.

Figura dove a sinistra si vede il codice Logo del quadrato e a destra il disegno del quadrato.

È il miglior sistema che abbia conosciuto per avviare gli studenti di formazione primaria ad una vera comprensione del pensiero computazionale, ben al di là del solito livello descrittivo. Una buona metà del laboratorio viene quindi spesa su queste attività, condotte in modo collaborativo con circa un computer ogni quattro-cinque persone, condividendo e discutendo ogni codice con tutta la classe.

Ma appunto, si diceva, “vedendo immediatamente i risultati”. Ci dobbiamo allora rassegnare a considerare questa attività completamente inaccessibile ad una persona che non vede? Come improvvisare qualcosa di alternativo nel tempo che avrei impiegato a lavorare con Logo insieme al resto della classe? I giorni a disposizione erano pochi e l’impasse sembrava irrisolvibile quando, all’improvviso, arriva la rivelazione.

Come spesso succede, se prima il problema sembra insormontabile, dopo la soluzione pare banale. Perché qui la questione era semplicemente quella di considerare il concetto sotto una prospettiva diversa. Infatti pensando e ripensando a quel semplice frammento di codice, alla fine mi sono reso conto che proprio quello, il frammento di codice, per Francesco era la figura, senza vederne la rappresentazione spaziale.

Perché poi l’ironia è che io questa cosa la insegno ai vedenti:

— Leggi il codice e, prima di far muovere la tartaruga prova ad immaginare cosa dice quella sequenza di istruzioni: la figura la devi “vedere” con la mente prima ancora di farla disegnare.

Ma questo è quello che Francesco fa automaticamente! Come dire: il problema lo hanno i vedenti, che si devono sforzare per vedere la figura prima di disegnarla!

Tanto più che nel testo matematico di riferimento della geometria della tartaruga — Turtle Geometry – The Computer as a Medium for Exploring Mathematicsi frammenti di codice sono le figure. Ad esempio questo…

FORWARD 100
RIGHT 90
FORWARD 100
RIGHT 90
FORWARD 100
RIGHT 90
FORWARD 100
RIGHT 90

è il quadrato.

Con tutto ciò, come ho fatto a non rendermene conto subito? Mi ci è voluto tempo a causa della forza del preconcetto, una gabbia invisibile che impedisce di accedere alla soluzione anche quando questa è a portata di mano.

La bellezza del testo…

Superato il primo scoglio, iniziamo a lavorare scambiandoci codici anziché immagini. E meno male che in questo laboratorio non lavoriamo con Scratch, il sistema di coding basato su blocchi che possono essere combinati fra loro spostandoli con il mouse. Molto bello, ma in questo caso sarebbe inutilizzabile. Invece, scambiarsi testo è facilissimo, economico e… super inclusivo! Sì, perché oggi piacciono molto le interfacce cool ma per chi non vede le interazioni drag-and-drop sono completamente inutili. Quindi con Francesco ragioniamo di coding geometrico via email, molto semplicemente. Poi successivamente, per le comunicazioni più discorsive siamo passati ai vocali WhatsApp.

In generale i messaggi vocali possono essere fastidiosi, soprattutto quando il mittente premette che così fa prima per poi inchiodarti all’ascolto con pause e frasi circonvolute. Ma qui è diverso. Vero è che, grazie alla tecnologie, oggi una persona non vedente può tranquillamente gestire testi sia in produzione che in lettura ma la pronuncia di un sintetizzatore vocale è priva di tutte le ricche sfumature del parlato umano. I particolari possono fare la differenza.

Attento alla presunzione pedagogica…

Può sempre succedere di innamorarsi un po’ delle proprie piccole conquiste. Un po’ come quando si impara a guidare la motocicletta: i pericoli arrivano quando si inizia ad avere confidenza, molto più di quando, agli inizi, procediamo impacciati. Qui il pericolo è quello di compiacersi, spostando l’attenzione su se stesso: addio inclusione ma anche addio insegnamento!

Perché poi il prossimo ostacolo arriva molto presto. Cercando di disegnare figure geometriche con Logo capita facilmente di dover distinguere fra l’angolo della prossima deviazione da impartire alla tartaruga e l’angolo interno alla figura che vogliamo realizzare: ci vuole il concetto di angolo supplementare. Qui mi sono paralizzato un’altra volta: ma cos’è per lui un angolo? Io so che il concetto gli è noto, con le varie tipologie di angoli e tutto il resto, ma come lo vede realmente? Come lo esperisce? Come l’ha imparato da piccolo? Come introdurlo a un bambino che non vede? Se io non vedo come vede lui come posso sperare di spiegarmi? Sono nuovamente fermo e dobbiamo rovesciare nuovemente i ruoli:

— Francesco spiegami tu come fa una persona non vedente a conoscere l’angolo…

Quindi, inversione dei ruoli ma poi, conseguentemente, visto il tempo a disposizione limitato, biforcazione: mentre gli altri proseguono nelle esplorazioni geometriche con la tartaruga noi organizziamo un approfondimento, creando un video dove Francesco ci spiega come affrontare il problema:

Il video è stato fatto alla prima, nel caos del laboratorio. Ci siamo resi conto che potremmo migliorarlo ma abbiamo concordato che per ora è perfettamente adeguato per illustrare il metodo. Poiché ogni incontro (circa 3 ore) del laboratorio viene replicato tre volte per gruppi di circa 70 persone, il video è stato proiettato negli incontri successivi agli altri due gruppi, in modo da mostrarlo anche a tutti gli studenti che non si trovavano nel gruppo di Francesco.

Mani in pasta… ma come?

Il tempo corre, arriviamo così in un baleno all’ultimo incontro, “Mani in pasta”, dove armati di pile, cavetti, LED, pasta di sale, motorini, nastro isolante, carta, forbici, e materiali di recupero vari si esplorano i rudimenti dei circuiti elettrici e si costruiscono pseudo robot e marchingegni vari. Sono le attività che abbiamo ereditato da Maria Grazia Fiore, ma tutte sempre immaginate per fare vedendo.

Eccoci di nuovo fermi, proprio sulla prima attività, che si basa sulla realizzazione di circuiti elettrici dove il successo si esprime attraverso l’accensione di un LED. Panico! Che fare?

Questa parte del laboratorio è strutturata in un’introduzione iniziale teorica dove si richiamano pochi concetti fisici attinenti alla realizzazione di circuiti elettrici — carica elettrica, corrente, potenziale — facendo largo uso di metafore — centrali idroelettriche, cascatelle d’acqua nel presepe… — seguita da una descrizione sommaria dei primi esperimenti da realizzare. Fin qui nessun problema.

Successivamente si dà inizio alle attività partendo da una sorta di self-service di componenti eletronici disposti sulla cattedra: LED, pile di vario voltaggio, cavi con morsetti a coccodrillo ecc. Le persone che nel frattempo si sono organizzate spontaneamente in gruppi, tornano a posto con questa dotazione per cercare di realizzare gli esperimenti. La strategia didattica è quella di fornire a priori il minimo possibile di informazioni su come raggiungere l’obiettivo in modo da poter trarre il massimo vantaggio dalla gestione degli errori nel processo che deve essere di scoperta. Quindi una grande confusione, discussioni incrociate, invocazioni di aiuto, giubili quando, dopo vari tentativi, le cose funzionano.

Se, dunque, la parola chiave è “scoperta” così dev’essere anche per Francesco. E se da un lato abbiamo trasformato una parte della cattedra in un banco del mercato, dall’altro lato abbiamo lasciato uno spazio libero con campioni di ciascun tipo di oggetti usati nella sperimentazione: pile, un LED, un motorino elettrico, un’elica, due fili con coccodrilli, una pallina di pasta di sale, senza descrivere nulla. Francesco, mentre i compagni depredano il banco deve scoprire cosa sono quegli oggetti, formulando ipotesi e discutendone insieme.

Poi siamo passati alla realizzazione di un circuito, ma come, se i LED non li potevamo usare? Ci voleva un’idea… ma intanto Barbara si è unita per aiutarci e così siamo diventati un mini gruppo anche noi. E infine l’idea: sostituire il vento alla luce… perché il vento non si vede ma si sente sulla pelle! Per ottenere questo, al LED abbiamo sostituito un motorino elettrico equipaggiato con l’elica che abbiamo piantato verticalmente in una base fatta con la pasta di sale. Per il resto il circuito rimane lo stesso, composto da pila, fili o eventuali filamenti fatti di pasta di sale. Se il tutto è montato perbene e se non si sono creati cortocircuiti, il motorino si accende generando la corrente d’aria sul viso di chi ci sta lavorando.

I materiali poveri di Emma Castelnuovo

Nel laboratorio il daffare non manca ma alla fine rimane del tempo per lavorare ad un’altra attività con Francesco. Questa è un’idea che è venuta pensando ai laboratori di matematica di Emma Castelnuovo fatti con oggetti comuni.

Nell’immagine di sinistra qui sotto utilizzo un metodo ripreso da Emma Castelnuovo. Con due bacchette di legno e due cordini si illustrano alcune proprietà di una famiglia di parallelogrammi, uno dei quali è un quadrato. Nella figura a sinistra abbiamo un quadrato i cui lati orizzontali sono costituiti dalle bacchette e quelli verticali dai cordini. A destra, ho spostato un lato orizzontale parallelamente rispetto all’altro, generando un parallelogramma. Giocando in questo modo ci si rende conto di come in tale famiglia di parallelogrammi il perimetro rimanga costante mentre l’area diventa sempre più piccola via via che i parallelogrammi sono sempre più schiacciati.

Ma poi un’altra idea: il meccano! Il buon vecchio meccano, ormai forse sconosciuto. È perfetto in questo caso, perché con quattro elementi del meccano collegati liberamente agli estremi possiamo realizzare la stessa famiglia di parallelogrammi, con il vantaggio che i fori praticati sugli elementi consentono di misurarne la lunghezza con il tatto.

Anche qui abbiamo fatto un video al volo. Il rumore del laboratorio era veramente forte ma è stato possibile filtrarlo discretamente a posteriori, durante il montaggio:

Ci siamo resi conto che con gli elementi del meccano si possono fare molti esperimenti geometrici. Ad esempio ci siamo accorti che una famiglia di triangoli isoperimetrici non si può fare:

Dimostrazione della rigidità del triangolo mediante i pezzi del Meccano.
Il triangolo è rigido!
En passant, dietro si vedono le “vecchie” bacchette di Emma Castelnuovo.

Da qui si capisce l’importanza strutturale del triangolo in qualsiasi costruzione.

Chi ha imparato di più?

Bella domanda! Francesco ed io siamo stati ambedue novizi in quest’avventura, completamente impreparati e costretti a giocare tutto al volo, o quasi. Quando si fa qualcosa di nuovo si impara sempre qualcosa, ma chi, fra noi due avrà imparato di più?

Temo io.

4 pensieri riguardo “Quando in classe compare “’nu cecate”… e tu sei disperatamente impreparato!”

  1. Spesso ho avuto la percezione dell’affinitâ tra il lavoro dell’insegnante e quello dell’attore quando, ricevuto il copione, deve studiarlo per “calarsi nel personaggio” scegliere le movenze, intonazione della voce, posizione del corpo nello spazio…
    A scuola si addottano soluzioni standard, ma all’improvviso arriva… e allora, come racconta Andreas, la ricerca di mille soluzioni possibili. È la bellezza di questa professione e la diversità la rende appassionante.

  2. Fantastico! Ricordo di aver provato qualcosa di simile una decina di anni fa: vendevo un mio sistema di e.learning per le aziende e in un ente pubblico mi hanno chiesto di verificarlo ed eventualmente metterlo a punto per non vedenti. Il sistema era già allineato alle impostazioni standard per l’accessibilità, ma ho lavorato un’intera giornata con un dipendente non vedente, seduto al suo fianco, mentre lui mi diceva cosa percepiva, quali difficoltà trovava e mi suggeriva come migliorare le cose. E’ stata una giornata eccezionale e per la mia piattaforma (e la mia coscienza) un guadagno enorme

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