Ho provato tenerezza, e anche un irragionevole timore a porre il diario ultracentenario della mia nonna fra le fauci dello scanner da 49 Euro: mica me lo mangerà? Il sostituibile che si mangia l’insostituibile … È andata bene per fortuna, me l’ha reso.
Sembra un post, no? È come un post, scritto sul diario di mia nonna, Anna Vogt, da una sua compagna di classe, Anny Aberle, il 17 marzo 1907 a Basilea. Sì perché pare che vigesse questa abitudine: ognuno, o forse ognuna, teneva un diario destinato a raccogliere pensieri, poesie e disegni “regalati” dai propri compagni di scuola.
Visto che si legge così chiaramente provo a tradurre, incespicando sul mio misero tedesco.
Due sono le vie,
Per le quali l’uomo
Si innalza alla virtù,
Dove una ti si chiude,
ti si apre l’altra.
Operando la ottieni se sei fortunato,
Sopportando se sei sofferente.
Beato colui che benevole destino
conduce su entrambe!
(Schiller)
Per ricordare una tua compagna di scuola
Anny Aberle
Basilea, 17 marzo 1907
Sono affascinanti le pagine di questo diario. Ogni pagina è un lavoro completo: ricerca di un contenuto significativo, scelta e esecuzione di un disegno, talvolta un acquerello o una china, impostazione accurata della pagina, testo come disegnato nel progetto generale. Tutto questo per un’amica! E non è questione di eccentricità o talento di uno, perché ogni pagina è disegnata da una compagna diversa.
Un’altra epoca, forse il residuo di un mondo dove si era naturalmente anche autori e non solo spettatori – per i pochi che potevano istruirsi con agio, si intende. Torneremo successivamente, in un altro contesto, sull’idea del 900 come secolo delle masse consumatrici, ormai passive. Qui mi piace evidenziare l’autore che pensa al testo e alla forma, determinando entrambe. Certo, a scrivere una poesia di quattro righe ci vuole meno di un minuto, ma a confezionare una pagina così, senza il tasto di “undo”, ci vuole un pomeriggio, oltre che delle abilità in più.
Una volta lessi un articolo di Giorgio Bocca sul fatto che la videoscrittura, alla quale prontamente si era adeguato, creasse in lui piacere e sconforto allo stesso tempo. Era certamente un gran vantaggio dover pensare solo al testo, ai meri caratteri da rovesciare nella pagina, per un giornalista obbligato a quantità e tempi determinati. Ma c’era anche una sensazione di perdita di un qualche tipo di controllo. Il fatto che la macchina provvedesse automaticamente a piazzare adeguatamente i caratteri nello spazio del foglio era una grande comodità ma induceva anche ad una maggiore frettolosità del pensiero, alla fine ad una costruzione più abborracciata del medesimo.
Oggi Word, e i vari suoi cugini, hanno occupato completamente questi spazi, arrivando a metterti le maiuscole magari anche dove non vorresti e prendendo autonomamente una grande quantità di decisioni. L’autore può finire malamente strapazzato da questi automatismi. Un esempio? La miriade di studenti che, dopo avere scritto una tesi con grande fatica e affannosa corsa contro il tempo, arrivando a stamparla attraverso un altro computer, se la ritrovano tutta sconvolta! È vero che Word si è incaricato di aggiustare i vostri periodi in un certo ordine e che vi ha consentito di determinare l’impaginazione, la collocazione delle figure e via dicendo, con un minimo numero di click, ma con il prezzo che tante decisioni finali le prende lui, convinto di fare bene. E se cambiate stampante, decide lui come riaggiustare le cose al meglio. Peccato che magari per voi tali decisioni possono non andare affatto bene.
Torniamo ora alla nostra paginetta in HTML, che nel frattempo mi sono divertito a sfrucugnare un po’. Anzi, riguardatela di nuovo, così sfrucugnata, ora che sapete vederci dentro – tasto destro del mouse e Pagina sorgente o HTML 😉
Domani se ne riparla.
Piccola nota tecnica. A qualcuno di voi potrebbe venire il desiderio di saperne di più su qualche comando HTML. Tim Berners Lee è il direttore del World Wide Web Consortium (W3C), che offre, fra l’altro un’ottima scuola online di HTML e molto altro. Supponiamo che siate incuriositi dai comandi dove compaiono le parole span color… Ebbene, in Google molto semplicemente cercate “w3c span color”. Cliccate al prima voce … leggete e poi provate il link “Try it yourself >>” …
La pagina di diario della nonna e i vostri tanti commenti mi hanno fatto ricordare la bambina che sono stata con i suoi segreti custoditi gelosamente nelle pagine del diario.
Mi è venuto alla mente anche il mio rapporto col diario quando ero una ragazzina e la cura con cui lo sottrevo alle attenzioni di mia mamma…..
Oggi riempio l’agenda di note e di riflessioni e le condivido con le persone che mi stanno accanto.La proposta di un blog nel quale condividere in modo più allargato i miei interessi e la possibilità di arricchirci scambievolmente mi incuriosisce molto…proviamo!
Già fatto! 😉
http://www.lascuolachefunziona.it/forum/topics/e-se-lo-dicessimo-con-una?page=19&commentId=2034217%3AComment%3A86186&x=1#2034217Comment86186
Certamente M.Antonella, puoi portare Nonna Speranza dove vuoi … 🙂
ma poichè sono profondamente, intimamente avversa dal mettere on-line i miei più reconditi pensieri… perchè sono MIEI; poichè ero gelosissima del mio diario dei segreti, segreti, appunto! Non che non abbia superato la fase dell’IO PENSANTE-IO ESISTENTE -IO IL MONDO, semplicemente, con tutto e tutti che ti possono tracciare, profilare, categorizzare, almeno per quello che è il mio più profondo “essere” esercito liberamente la mia privacy, e niente fino ad ora mi ha convinta dell’opportunità di mettere i miei pensieri on-line. Si, potrei condividere la conoscenza, e allora lo ritrovo veramente un punto di forza. Se penso ai tanti post on-line come tante “veline”, ovvero “dispacci della mente” allora trovo veramente esponenziale l’opportunità della rete. E come dice la rappresentazione grafica della funzione esponenziale, prima inizia lentamente, è quasi impercettibile la crescita, ma poi “esplode”. Sta a vedere che tra un po’ leggere di GranDiPepe ovunque… 😉
Stefano, anch’io non ho mai tenuto un diario da…ragazze,
ho però sempre continuato a prendere appunti un pò ovunque e le mie agende scolastiche fanno concorrenza a quelle dei miei alunni!
Crescendo ho preferito per praticità e … fascino i moleskine e ora? continuo con gli stessi (anche lì è possibile organizzare scritture collettive)e cerco di aggiornare la mia scrittura con queste diavolerie moderne!
Posso inserire, Andreas, la poesia dell’amica
di “Nonna Speranza” * 😉 nel mio blog sulla poesia
e nella ScheF???
_______________________
* Sì lo so che tua nonna non si chiamava “Speranza”…
ma questo nome beneaugurante ci serve,
mentre ci addentriamo in un corso che facile non è,
e che vedo e prevedo ci complicherà non poco la vita! 😉
Forse il diario sarà anche una forma di esibizionismo, ma io lo vedo come un dialogo intimo con se stessi. Quindi metterei l’accento sull’aspetto terapeutico del diario, il fatto che oggi la scrittura di in diario coinvolga anche altri soggetti può diventare una forma di terapia collettiva. Non sei solo davanti alla pagina bianca, non sei l’unico autore-fruitore del messaggio scritto, ma scrivi perché altri possano condividere le tue esperienze e arricchirle con le loro. Forse in tutto questo si perde quell’elemento di segretezza, di riservatezza che il diario personale aveva, snaturando per forza di cose la finalità ultima di un dialogo solo ed esclusivamente con se stessi.
Forse il diario sarà anche una forma di esibizionismo, ma io lo vedo come un dialogo intimo con se stessi. Quindi metterei l’accento sull’aspetto terapeutico del diario, il fatto che oggi la scrittura di in diario coinvolga anche altri soggetti può diventare una forma di terapia collettiva. Non sei solo davanti alla pagina bianca, non sei l’unico autore-fruitore del messaggio scritto, ma scrivi perché altri possano condividere le tue esperienze e arricchirle con le loro. Forse in tutto questo si perde quell’elemento di segretezza, di riservatezza che il diario personale aveva, snaturando per forza di cose la finalità ultima di un dialogo solo ed esclusivamente con se stessi.
Una domanda:
come si fa a riscrivere sul commento inviato? Volevo toglere gli errori ma non riesco a farlo! Devo imparare a rileggere prima di inviare 😦
Da piccolo non ho mai tenuto un diario, lo consideravamo, io e i miei compagni maschietti, una cosa da ragazze.
Anche ora che sono grande, quasi “anziano”, i diari non mi piacciono, li considero un esercizio un po’ esibizionistico. Preferisco invece ricordare le cose che ho fatto e riviverle nella mente. Sono molto nostalgico e vivo soprattutto di ricordi, nel senso che… una volta sì che si stava bene.
Questo ovviamente finché la memoria non mi abbandonerà.
Avevo tenuto un elenco delle scalate che facevo, ero un discreto Alpinista, con relative descrizioni e sensazioni. Dopo una brutta esperienza ho buttato via tutto perché tanto mi sarei ricordato … Invece… forse era meglio che avessi tenuto anch’io un bel diario!
Comunque mi interessa di più l’ultima parte del discorso di Maurizia sul passaggio dalla scrittura individuale alla scrittura collaborativa. Ora sta avendo molto successo, ricordo per tutti il gruppo Wu Ming: scrittura collaborativa assieme alla condivisione della conoscenza, la conoscenza come bene comune.
Mi sembra questo un discorso che possa entrare a pieno titolo in questo corso.
Alla prossima
Anch’io , da piccola, come molte mie compagne di classe, ho utilizzato un diario che di solito veniva regalato in occasione della prima comunione. Era chiuso da un piccolo lucchetto, la cui chiave era gelosamente conservata dalla proprietaria. Era un bene prezioso che, quasi di nascosto, passava di mano in mano e in cui ognuno di noi scriveva per la compagna o frasi che suggellavano l’amicizia o produceva disegni di fate e paesaggi incantati. Erano belle paginette, direi perfette, ma ricordo ancora quanti pianti mi sono fatta perché avevo scritto una parola sbagliata e non sapendo come correggerla, mi vergognavo di fronte alla compagna.
Quello che si scriveva restava sulla pagina e difficilmente poteva essere modificato, pena un bel buco o macchia.
Con l’avvento delle nuove tecnologie, abbiamo sperimentato “il prova e modifica quando vuoi e quanto vuoi” che, a mio avvivo, ha permesso di superare la paura del foglio bianco. Io, che non sono una nativa digitale, amo scrivere direttamente a computer, come ha detto anche Deborah, e riorganizzare il mio pensiero successivamente anche grazie ai contributi di altri che permettono di spostarsi dal proprio punto di vista attraverso un lavoro di riflessione e rielaborazione.
“Credo che le nuove tecnologie di comunicazione aprano prospettive completamente nuove.. …. ” Pierre Lévy
Il valore aggiunto? Si è passati da una scrittura individuale a una collaborativa , espressione di quella che l’autore sopra citato chiama intelligenza collettiva che è la messa in comune delle capacità mentali, dell’immaginazione, delle competenze che permettono alla gente di collaborare, di lavorare e di apprendere insieme.
Ci sono cose che per una persona come me (del tutto anacronistica rispetto a troppe cose) prevalgono fino a far perdere il filo necessario per riavvolgere l’arcolaio dei pensieri: ad esempio i fiori di pesco disegnati con cura e sfumati al chiaroscuro (però mi viene il dubbio che siano fiori di mela, osservando bene il rametto che li sorregge), la scrittura regolare, ordinata, educata e, insieme, il testo di Schiller, alto e moraleggiante ma affettuosamente dedicato.
L’impatto col diario della nonna è forte e rispettoso; va molto al di la di una correlazione antico/moderno che non riesco a istituire. Penso al diario scolastico della mia nipotina di quasi nove anni, così fortemente connotato all’origine dal “fabbricante”. Penso che lei lo sceglie perché condizionata dalle tendenze, ma che poi ha la sua furia di piccola manipolatrice di colori e pensieri e lo personalizza vandalicamente (*). Penso che lei usa il pc per disegnare, ma poi dice “coi colori mi viene meglio”. Insomma le associazioni si incrociano e non riesco a leggere subito tutto il post. Lo leggerò dopo aver fissato queste confuse.
Parlando della piccola vandala sentimentale (nipotina) mi trovo a pensare che non la chiamerei “nativa digitale” se non sotto tortura; ogni schema è limitante.
Cosa sappiamo fare di più rispetto alla nonna meravigliosa di Andrea?
Io penso molto poco.
Anche noi citiamo, lasciamo tracce, scambiamo. Per fortuna.
Scusa prof la mia divagazione, ma prometto che poi leggo tutto.
E sono anche in ritardo. Non so se sono ancora in tempo per la blogoclasse.
I nipotini adesso sono due.
E il secondo mi ha fatto perdere ancora di più la testa.
(*): “vandalicamente” non piace al sistema di scrittura, e me lo segna rosso… ahahaha! non sa, i sapiente sistema, che il barbaro vandalo potrebbe aversene a male 🙂
Ho vissuto in Svizzera(Kreuzlingen) fino all’età di otto anni e ho anch’io un diario con le dediche delle compagne e dei maestri.
Trasferitami in Italia ho cercato di continuare quella tradizione, ma non ha attecchito.
Rosaria
Ho vissuto in Svizzera (KREUZLINGEN) fino all’età di otto anni e anch’io ho un diario con le dediche delle mie compagne, e dei miei insegnanti, accompagnate da disegni o applicazioni incoolate con varie tecniche.
Rosaria
Per noi che non siamo nativi digitali ma mutanti, alcune emozioni,legate forse ai ricordi, ce le possono dare solo cose come la pagina di diario, il disco in vinile ormai introvabile o vecchie fotografie ma …sic transit, diceva qualcuno; è comunque vero che la tecnologia ha offerto opportunità incredibili in campi importantissimi della nostra vita, pensiamo solo alla scienza e alla medicina.
D’altronde, nostalgie e dolci ricordi devono convivere con l’oggi perchè… “per operare nel mondo (anzichè essere da questo manipolati) occorre conoscere come il mondo opera” dice Bauman, e oggi è fondamentale non essere manipolati, aggiungo io.
Il diario della nonna quale fonte d’ispirazione per iniziare il mio “quaderno”…
Bellissimo tutto. Tutto molto diverso e distante da come si vive adesso (la scrittura, l’amicizia, il regalo, il ricordo)
Grazie Mariella, cara ex-IUL-ina!!!
Claude, ecco la risposta alla tua nota (1) nel tuo commento #19: paginetta risfrucugnata
scusa l’anonimo…sono Mariella
Andreas…sempre eccezionale!
Prima la passeggiata nel bosco, adesso la pagina di diario della nonna mangiata dallo scanner, e domani?
Sai sempre far emozionare e viaggiare con la mente ed i sentimenti tra presente e passato, cogliendo degli stessi tutto quel che cè di buono , per far riaffiorare l’uomano che è in noi!
A volte mi sembra quasi di rivivere i momenti di Marcel Proust nel suo “À la recherche du temps perdu”.
Io invece sono l’esatto opposto Monica! Senza la mia paginetta word mi sento perduta…
Quando avevo 9 anni mi divertivo un sacco (e sottolineo sacco 🙂 ) a battere sui tasti della macchina da scrivere. Però mi arrabbiavo con me stessa tutte le volte che sbagliavo. Poi, quando è arrivato il pc, la mia gioia è esplosa! Che bello, mi son detta, adesso posso battere le mie dita sui tasti e sbagliare e cancellare e tagliare e incollare…
E poi… e poi… è arrivato il mondo! E ci siamo un po’ persi. Ma ci ritroveremo! 😉
Grazie per la spilla e il consiglio, Andreas.
Su scrivere a mano o col computer: mio marito ed io avevamo comprato il primo computer nel 1984, per fare un’antologia. Non è che scrivevamo a mano prima: battevamo a macchina, prima su Olivetti 22 che lui regolarmente scassava perché picchiava forte con sole due ditta, poi macchine elettriche, poi elettroniche che ti mostravano 5 parole che potevi correggere prima che lei le stampasse.
Lui era critico letterario allora, con un numero di battute fisse per ogni pezzo, e carta con le battute segnate con trattini in cima che funzionava male, perché le macchine da scrivere avevano spaziature diverse tra i caratteri. Ma la lunghezza ce l’aveva in testa. Passando al computer, però, all’inizio sbagliava regolarmente, cioè scriveva troppo. Forse perché non c’era più bisogno di rimandare indietro il carrello? Comunque, dopo un po’ si è adattato, poi sono arrivati i programmi che contavano le battute.
Ci siamo sempre riletti i nostri testi a vicenda, fino alla sua morte nel 2001. Però anche dopo l’acquisto del computer, sullo stampato, perché gli errori ci sfuggivano sullo schermo.
Nostra figlia aveva 5 anni quando è arrivato quel primo computer, quindi lei è cresciuta bi-scrivente, a mano e col computer. E con l’idea che il co-editing era un – se non il – modo normale di scrivere. Infatti da quando ne aveva 16, ha partecipato anche lei a diversi nostri lavori. Con lei ho incominciato a scoprire che i programmi di scrittura offrivano cose utili rispetto alla macchina da scrivere, tipo le correzioni visibili, i commenti marginali, gli stili di paragrafo.
Stili di paragrafi: la paginetta sfrucugnata di Andreas comprende una riga in stile H1 (titolo 1), una in stile H2 (titolo 2), una in stile P (paragrafo normale), e una in stile “p style=”color:red”, cioè di paragrafo normale ma definito per apparire in rosso in quel caso (1).
La cosa comoda con gli stili di paragrafi è che ne puoi definire l’apparenza per tutto il documento: dimensione e tipo di caratteri, grassetto e/o corsivo o normale, allineato a sinistra, a destra o centrato ecc: ogni volta che tu lo utilizzi, il testo appare con la stessa grafica. Poi se lo condividi con qualcun altro che vuole un’altra veste grafica, lui cambia semplicemente la definizione degli stili, senza dover andare ad impazzire a cambiare il testo passo per passo con i pulsanti che definiscono l’apparenza di caso in caso nella barra degli strumenti.
Ed è lì che differisco da te, Andreas, a proposito dei casini creati dai programmi di scrittura con le loro decisioni sull’impaginazione. A comandare siamo noi, mica il programma. Se scrivi usando soltanto stili di paragrafi che definisci per avere il risultato desiderato, funziona bene la stampa, di solito; e se ci sono discrepanze, sono molto più facili da aggiustare ridefinendo gli stili. Se invece utilizzi quei pulsanti di apparenza locale della barra degli strumenti per modificare interi paragrafi, non è sorprendente che nascano casini: non sono concepiti per questo, ma soltanto per modificare singole parole (come il grassetto per HTML nella tua pagina sfrucugnata) o al massimo poche parole (ad es. mettere lo stile di un libro in corsivo).
(1) Quello non l’ho capito, Andreas, visto che la riga è fatta tutta di un link che comunque appare blu.
http://www.repubblica.it/scuola/2011/11/17/news/cuore_2012_concorso_video-24997134/?ref=HREC2-8
una proposta per un libro “Cuore a immagini”: dal diario di classe alle immagini della scuola, che è cambiata.
Cosa ne pensate se partecipiamo anche noi al progetto come studenti? 🙂
Partendo dal punto che anche io negli anni ’80 alle elementari usavo far scrivere delle frasi ai compagni sul diario segreto( che segreto a sto punto non era), forse devo averlo ancora ingiro a casa dei miei, se lo trovo lo posto.
Comunque ritornando al discorso scrittura, io quando devo scrivere qualcosa di importante al PC con word prima, lo scrivo a mano su un foglio di carta poi lo trascrivo e modifico sul PC è un lavoro lungo, ma, direttamente a pc non riesco a trovare la vena creativa. 🙂
E’ meraviglioso…
Ah caro vecchio compagno di scuola! Ma che avventura nello Utah, eh?
Nel mio caso la pluridecennale pratica della scrittura al computer ha causato una situazione che non esito a definire come molto prossima a vera e propria disgrafia. Ma non solo: l’impossibilità di riorganizzare facilmente il testo e quindi la necessità di pianificare con grande attenzione la struttura del documento mi angosciano ma nello stesso tempo mi rassicurano. Ah, tutto questo pensando ai prossimi scritti per il concorso a dir.scolastico. Otto ore ognuno e solo scrittura a mano… Brrrr
“Videoscrittura… una sensazione di perdita di un qualche tipo di controllo”. […] “Oggi Word, e i vari suoi cugini, hanno occupato completamente questi spazi, arrivando a metterti le maiuscole magari anche dove non vorresti e prendendo autonomamente una grande quantità di decisioni.”
Sì, sono d’accordo: talvolta Word & Company sono un po’ troppo invadenti e intervengono a sproposito!
Quando mi capita di dover scrivere delle battute in dialetto,
è una lotta corpo a corpo con il PC che non riconoscendo la
lingua, prima cerca di correggere, poi, se io insisto, prende la
matita rossoblù e sottolinea nervosamente tutto… 😉
Penso anch’io di no, rimanendo nell’ambito della forma grafica, statica. ma si aprono altri grandi territori, se includi le forme dinamiche, elementi sensibili anche al solo passaggio del mouse o ad altri eventi, sequenze video, e anche la formidabile potenzialità degli hyperlink. Però il diario della nonna mi piace tantissimo …
Riflettendo….l’avvento della videoscrittura ha cambiato il nostro modo di esprimerci, e anche pensare la parola scritta. Possiamo permetterci di esprimere un pensiero più indefinito che può essere rivisto e corretto in qualsiasi momento. Trovo inoltre che la scrittura a mano oltre ad essere espressione di contenuto sia anche comunicazione non verbale. Oggi nonostante i software di grafica non si riesce a raggiungere lo stesso livello di armonia tra contenuto e forma grafica.
Devi piazzare questo nel commento
<img class="aligncenter" width="96" height="70" alt="Spilla da balia" src="http://farm7.static.flickr.com/6227/6355125099_3a1af24d96_m.jpg" title="Safety pin by Haragayato – da http://it.wiktionary.org/wiki/spilla_da_balia. Sotto una licenza Creative Commons BY-SA"/>
Che puoi piluccare puntando con il mouse la tua spilla da balia, poi tasto destro e poi Inspect element (in Firefox)
😀 Allora nei commenti WordPress non si può fare le stesse cose con l’html che si possono fare nei post: infatti avevo barato, preparando il commento in http://almansi.wordpress.com/2000/11/17/spilla-da-baglia/ poi copiando la sorgente, per poter ridimensionare la spilla + facilmente.
Così imparo.
Ehi, negli anni 50, anche noi (beh, soprattutto le bambine) avevamo diari come quello di tua nonna. A volte avevano anche una striscetta di cuoio con una serratura che però potevi aprire con una
(anche qui c’è una somiglianza con Word).
Anch’io ho il mio diario dei ricordi!!! Quello fatto girare tra i compagni delle elementari come un rituale: tutti ne avevamo uno e non volevamo essere inferiori a nessuno per numero di dediche e disegni da raccogliere.Hai ragione Andreas, quanto tempo ci voleva! C’è anche la pagina di uno di loro che è morto , purtroppo,da molti anni e mi fa molta tenerezza rileggerlo . E’ vero che tempi e mezzi sono decisamente cambiati, quelle di oggi sono opportunità enormi, ma bisogna restare vigili e non farsi sopraffare … sono come i venti atlantici di Cristoforo Colombo:una forza enorme che può portarti fino all’altro capo del mondo o distruggerti in un attimo, dipende solo dall’uso che vuoi farne.
Ps: Mi incuriosiva sapere cosa fosse il W3C e l’ho cercato = The World Wide Web Consortium is the main international standards organization for the World Wide Web (abbreviated WWW or W3).
Founded and headed by Tim Berners-Lee,[2] the consortium is made up of member organizations which maintain full-time staff for the purpose of working together in the development of standards for the World Wide Web. As of 10 July 2011, the World Wide Web Consortium (W3C) has 317 members.[1]
W3C also engages in education and outreach, develops software and serves as an open forum for discussion about the Web.
Samantha
a me piace molto lo “stile” della pagina della Nonna… calma riflessività, personalizzazione, anima e cuore. Tra un click e l’altro invece mi trovo a inseguire il mio pensiero: il pensiero corre più forte del linguaggio, anche delle mie 10 dita che scorrono indipendenti sulla tastiera, ma… tutti questi click sono uno specchio delle euristiche e del ragionamento controfattuale che prendono corpo di link in link: forse esemplificazione della mia razionalità limitata a dispetto di una razionalità olimpica. Però tutti questi tecno-strumenti sono anche dei validi supporti alla memoria, estroflettiamo e poniamo in una sequenza di bit anche i nostri ricordi, evitando di consegnarle alle fauci dell’oblio (scanner permettendo…)
aaaaaaaaaaaargh sono la mafa!!!
macché anonimo sono mafalda…
macché anonimo, sono mafalda…
splendida abitudine e splendido ricordo.
basilea vanta la più importante e migliore accademia di musica antica d’europa, forse del mondo. non è che tanto tanto è una città che raccoglie anime poco poco illuminate?
nello stesso periodo non credo che i miei bisnonni, di livello culturale inferiore probabilmente, avessero un’attitudine così carina verso i propri pari e gusto verso la parola scritta, ma l’alluvione del ’66 non ha permesso di avere nessun chiarimento in merito oggi.
Un brivido di paura all’esortazione a fare click… dove mai mi porterà? 🙂