26 Novembre 11:24, completo questo post che avevo interrotto bruscamente ieri sera in preda al nervoso, per mancanza di tempo e per scarsa affinità con l’editore di articoli, (futuro) punto di forza del tema Annotum di wordpress. Tutto ciò che aggiungo oggi a questo post è scritto in verde.
L’ambiguo
- Dice Costantino
Forse un giorno bisognerà parlare un pochino di “fuzzy logic” rispetto alla progettazione funzionale dei tempi passati.
L’imparare per tentativi presuppone una certezza: non posso fare catastrofi.
I più maturi si ricordano ancora delle famigerate combinazioni di carattere che cancellavano un intero disco di informazioni.
Adesso anche il cellulare più economico non procede senza porre domande e senza farti cambiare almeno il dito che deve inviare il comando: in poche parole esiste sempre una possibilità di salvezza.
Quelli abituati a prodotti non rispettanti la Fuzzy logic [Monica ha proposto un link per fuzzy logic] non hanno questa fiducia e leggono, capendoci ben poco, le istruzioni nell’illusione di evitare disastri.
I ragazzi invece sanno che non sono possibili; la differenza di approccio è enorme e loro si permettono un apprendimento nel fare che in qualche modo è negato ai padri o nonni.
Vero. Tuttavia, io credo che la distinzione fra il prima e il dopo non sia così netta. È comune contrapporre nettamente questi due paradigmi: studiare come funziona e poi usare contro imparare come funziona usando. Credo che questi due paradigmi siano magari preferiti, l’uno o l’altro, da persone di indole diversa, questo sì. Ma se penso all’esperienza di tanti ricercatori che ho conosciuto, e di tante persone creative che ho conosciuto in rete, ma anche conosciute personalmente nel mondo dell’artigianato per esempio, il secondo paradigma prevale nettamente sul primo. Se dovessi provare a quantificare quanto viene imparato e prodotto con il primo e quanto con il secondo, azzarderei qualcosa come 20% contro 80%. È proprio questo uno dei fatti che volevo mettere in evidenza con il post sul codice mutante, con il quale ho cercato di descrivere un contesto in continuo mutamento “imparato” semplicemente vivendolo. Il post è autobiografico ma solo perché facevo prima a scriverlo. Farò un altro esempio in uno dei prossimi post – se riesco a riprendere il fiato fra i feedback 🙂 Costantino diceva del “fare disastri”. I disastri si fanno, è inevitabile farli quando si prova a fare qualcosa di nuovo. Ricordo di avere fatto tanti terribili disastri e non c’era il tasto undo. Ma l’apprendimento di qualsiasi attività “difficile” comporta uno “sciupo” fatto di disastri. Ciò non significa negare il valore della sistematizzazione delle materie e della riflessione precedente all’azione, bensì riconoscere la necessità di equilibrare i due paradigmi.
- Scrive Monica
Insegnare ad avere competenze, significa fornire ai ragazzi tutti i tool in nostro possesso conditi dalle nostre competenze ed esperienze, insegnare come si utilizzano per poi dar modo loro nella vita, di saper trovare le soluzioni ai più svariati problemi.
Ecco, sì, ma penso che significhi anche fornire i tool di cui noi non siamo in possesso, in primo luogo perché sempre più spesso non possiamo conoscere tutto ciò che potrebbe servire loro, ma anche perché molti di quelli che conosciamo non esisteranno più quando serviranno loro, mentre molti di quelli che loro dovranno usare non esistono ancora.
Ecco, dobbiamo insegnare ciò che non esiste. Questo significa, non tanto insegnare ad usare qualcosa, quanto insegnare ad imparare ad usare quella cosa, affinché quelle successive le imparino poi da soli.
- E poi Luca
Mi piacerebbe veramente imparare a gestire un blog di classe. ne ho aperto uno, presto ne voglio aprire un altro, ma NON CONOSCO le FUNZIONALITA’ e LA NOMENCLATURA. Aristotele direbbe che occorre prima di tutto una buona explicatio terminorum
Ma Aristotele quando ha affrontato il nuovo non aveva nessun manuale. Il mondo è ridondante rispetto a qualsiasi riduzione in termini e noi siamo animali evoluti per stare in tale mondo. Escogitiamo metodi e artifici per aiutarci a vicenda ma hanno tutti il valore di deboli semplificazioni, rispetto alla realtà. La creatività dei bambini e la loro prodigiosa capacità di apprendimento sono la manifestazione di questa capacità di adattamento al mondo, soverchiamente complesso e mutevole.
Io vedo queste tre osservazioni riunite in un argomento, che potrei chiamare il valore dell’ambiguo. L’ambiguo spaventa, imbarazza e mal si presta alle pianificazioni economiche. Ma poi, guarda un po’ che caso strano, la maggioranza delle pianificazioni di questo mondo falliscono – ricordo di avere letto sull’Economist degli articoli interessanti sul preoccupante rate di fallimento, totale o parziale, dei grandi progetti industriali di Information Technology. L’ambiguo scacciato dalla porta che rientra dalla finestra … tant’è, forse vale la pena di ingegnarsi a tenersela, una ragionevole quantità di ambiguo. Nella scuola, tutta, fino all’università ma anche oltre, nei tanti desolanti aggiornamenti professionali, l’ambiguo è tabù.
Editori editori editori …
Fecondi gli squarci aperti da Claude, ora esploratrice indomita, ora scolara afflitta … perché non ho osato chiedere … 😀 …
Fortunatamente, prevale molto in Claude la prima natura, e dopo avere dichiarato …
Grazie per l’ulteriore spiegazione su WYSIWYG / WYSIWYM, Andreas: veramente, prima credevo che “editore di testo” fosse la traduzione di “word processor”, ma siccome scrivi che sono diversi, ho letto le pagine relative di Wikipedia in italiano e in inglese e mi sembrava di aver capito.
… se ne va in esplorazione e torna rovesciando sul tavolo il suo sacco:
Però poi ho seguito il link verso Annotum in More spring cleaning out of season, dove Google dà l’ottima notizia della fine dei knol, ma dice che gli autori potranno trasferire i propri knol in blog WordPress con template Annotum, appunto.
Niente da temere: le release notes di Annotum su come impostarvi le collaborazioni sono abbastanza complesse da scoraggiare la maggior parte di coloro che hanno mandato il progetto knol – di per sé interessante – in vacca, copiandovi pari pari testi altrui o scrivendo altre scemenze (saranno una minoranza, però purtroppo parecchio knolifica).
Tornando a bomba: in queste note appare un ulteriore acronimo: “WYSIWYAATD (What-you-see-is-what-you-are-allowed-to-do)”. In un certo senso, è quel che già accade con blog collaborativi dove ci sono ruoli gerarchici, certo: non tutti vi possono fare le stesse cose. Però vederlo nominato ed addirittura acronimato fa impressione lo stesso. Cioè: che razza di editor / processor avranno a disposizione i vari ranghi? A poter fare ciò che intendono saranno soltanto i ranghi superiori?
Claude enfant terrible … allora, procediamo in disordine …
- Questione editore di testo <—> word processor
Gli editori di testo veri elaborano solo caratteri ASCII. Punto. I caratteri ASCII sono descritti da un byte ciascuno. Un byte è fatto di 8 bit e quindi ci si possono rappresentare 2 alla 8 cose= 256 cose, in questo caso 256 caratteri. ASCII vero e proprio, siccome se l’erano fatto gli americani usava solo 7 bit (128 possibili caratteri) ma a loro andava bene perché l’inglese non ha caratteri accentati. Con ASCII esteso, si usa anche l’ultimo bit, per poter rappresentare anche molti caratteri accentati. Poiché questo non basta neanche lontanamente per la maggior parte delle lingue del mondo, è nato UNICODE, che usa vari byte per carattere, ma per il momento ci fermiamo qui, altrimenti divaghiamo troppo.
Ora, se vogliamo che un carattere venga rappresentato in grassetto, con i soli caratteri ASCII non si può fare, non c’è posto per contenere questa informazione aggiuntiva. Infatti, con gli editori di testo puri, i caratteri si rappresentano e basta, senza nessun ornamento. I Word processor sono specializzati nel permettere la realizzazione degli ornamenti, insieme a tante altre cose, e la loro rappresentazione. Scrivete un file con dentro il testo “pippo” con Notepad e salvatelo con il nome pippo.txt. Poi scrivete lo stesso testo “pippo” in un word processor e salvate il file con il nome pippo.doc o pippo.odt o quello che volete, a seconda del word processor che usate. Guardando nella cartella che contiene tali file, confrontate la lunghezza. Io l’ho fatto in questo momento usando Vi (un editore di testo tipico di Unix) e OpenOffice Write: pippo.txt è venuto 6 byte e pippo.odt 8841 byte! Ebbene, in pippo.txt i byte sono 6 perché ci sono i 5 caratteri (un byte per carattere secondo la codifica ASCII) di “pippo” più un carattere finale che rappresenta la fine della riga. Invece il file pippo.odt è venuto 8841 caratteri perché i rimanenti 8835 caratteri servono per descrivere le caratteristiche grafiche del testo, anche se di fatto non le abbiamo usate.
Quando si deve editare un documento scritto con una qualche codifica di markup, tipo HTML, gli editori di testo sono ottimi perché tutto il codice HTML che si usa appunto per ornare, e non solo, il testo sono tutti rappresentabili in ASCII. Esistono anche word processor, per così dire, finalizzati alla scrittura di documenti HTML, ma come ci ha ricordato Gaetano, possono produrre “codice molto sporco”. Facilitano per certi versi il lavoro, ma per fare questo prendono molte decisioni per conto loro e se le nostre esigenze salgono, tali decisioni possono non piacerci più molto. Invece con un editore di testo e HTML (o LaTeX tanto per fare un altro esempio) si è padroni totali della propria opera! - Questione Annotum, WordPress.org, WordPress.com. Come molti di voi sanno, in sistemi come WordPress o Blogger si può scegliere un tema che rappresenta il layout grafico del blog. Per esempio, se andate in fondo a questa pagina vedete che io ho usato il tema Sandbox 1.6.2, un tema di WordPress fatto apposta per essere modificato facilmente. Annotum è appunto un altro tema che si può scegliere in WordPress ed è concepito per generare, oltre ai post tradizionali, veri e propri articoli strutturati secondo i canoni principali degli articoli accademici.
Qui tuttavia bisogna distinguere fra WordPress.com e WordPress.org. WordPress.com è un servizio web che si può usare per creare un blog, come ho fatto io e alcuni di voi. WordPress.org è invece un software, distribuito secondo il modello open source, che si può installare su un server gestito in proprio. Sono ambedue prodotti dalla stessa azienda e infatti blog pubblicati con i due sistemi sono molto simili. Con wordpress.org si è molto più liberi di modificare tutti gli aspetti del blog ma ci si deve sobbarcare la fatica di gestirlo e anche la soluzione di eventuali problemi. Con WordPress.com ci sono dei vincoli – magari ne parleremo – ma si deve solo pensare a scrivere. Le release notes citate da Claude si riferiscono alla versione del tema Annotum da inserire in un proprio blog in WordPress.org, e rispecchiano appunto il fatto che fare da se è più oneroso. Invece, il tema Annotum si può anche selezionare per un proprio blog in Worpress.com, come ho fatto stasera perché non ho resistito alla tentazione di provare. Ho quindi creato il blog, anzi ho rinomato uno vecchio con il nome “provare provare provare” e ci ho scritto un articolo per fare qualche esperimento di editing. Alcune osservazioni:
- L’espressione WYSIWYAATD (What-you-see-is-what-you-are-allowed-to-do) significa che l’editore cambia – insomma, un pochino eh … – i comandi possibili che ti offre in funzione della sezione che stai editando, non che siano previsti diversi livelli di autori-editori.
- È carino da usare, ma avendo molta esperienza di editing di articoli del genere, già intravedo limiti … e ogni tanto va in crash,
basta salvare spesso comunque. Eh no, non è sufficiente salvare spesso. Bisogna anche capire come funziona,e senza poter vedere il codice, che mi pare la peggior limitazione, per ora di questo editor. - Divertente inserire le voci bibliografiche: se sono citate in PubMed (motore di ricerca di riferimento per la letteratura biomedica e dintorni), basta inserire il codice PubMed dell’articolo e zac, tutto viene messo al suo posto. Inoltre genera automaticamente i link alla sezione “References”.
- Si possono introdurre formule e, udite udite, queste si devono editare in LaTeX! Fantastico … peccato che l’editore sia estremamente farraginoso e instabile … mi spazientisco e mostrerò domani, forse, il risultato … Stamani, a mente fredda ho recuperato i misfatti causati dall’editor, imbizzarrito dai miei frenetici click. Sì ma cose troppo lunghe e complesse non si possono fare, per ora, forse in futuro, se lo migliorano …
- Come si vede nell’intestazione dell’articolo, si può stampare, e quindi esportare in pdf. Viene prodotto così un documento abbastanza affine ai formati classici delle pubblicazioni accademiche.
- Sempre nella medesima intestazione, si trova il link per esportare l’articolo in formato XML, che ci servirà in seguito.
Ancora una volta, il feedback dalla blogoclasse offre ottimi spunti per i prossimi passi …
@Marvi e @Gaetano
Nel corso del tempo il codice HTLM si è trasformato in un linguaggio comprensibile,bhe… non proprio, comunque i siti non sono più scritti in questa modalità ma chiunque può parlare senza essere un programmataore. Si potrebbe dire che c’è stata una operazione di democratizzazione così chiumque può “fare” per “dire”. Ma non era “dal dire al fare” @Andreas?
sta a vedere che con la rete si sono rovesciate e mescolate le direzioni…
Ciao :M.antonella, il mio nome è Maria Vincenza, da quando però vivo a Milano mi chiamano tutti Marvi. All’inizio di questo percorso ho fatto fatica a collocarmi, prima postavo come anonima, poi pensando di dover far rifermento alla e.mali come mvcarelli e alla fine per non creare ancora più confusione ho lasciato l’ indirizzo della mia casella di posta elettronica….
a presto
mvcarelli alias marvi
Ascolta MVCarelli, non avere paura di sbagliare contenitore, qui non ci sono contenitori perché io aborro i contenitori.
Non importa che spalmi un tuo commento dappertutto, perché grazie al meccanismo dei feed io, e tutti gli altri (se stanno usando i feed 😉 ) lo vedono ovunque tu lo metta. Se lo ricopi tre volte allora lo rivediamo tre volte e questo non è utile.
Certo, devi decidere dove mettere il tuo commento, certo, ma questo non lo devi fare con la paura di sbagliare perché pensi che ci sia il contenitore giusto. Il contenitore giusto non c’è mai. Invece ci può essere il luogo al quale ti può sembrare che il tuo commento si addica di più, il post e la sequenza di commenti ai quali il tuo commento si “intona” di più.
Parlando di esplorazione e apprendimento, non c’è niente di più nocivo dei contenitori separati. Le idee nei contenitori non volano come non volano gli uccelli nelle gabbie, al più svolazzano.
il vero tema di questo percorso … mmm
Grazie, Mucarelli, (ma qual è il tuo nome… Marvi???),
per questo riassunto così chiaro e articolato di quanto è stato
fin qui detto dei codici e del codice HTML, dell’output, dei software WYSIWYG e di tutto il resto…
Mi è servito a liberarmi di alcuni dubbi, primo fra tutti quello sul vero tema di questo (per)corso… 😉
Grazie ancora e a presto
fisica non fisia
ultima cosa, sto leggendo il libro del prof Ferri, Nativi Digitali, nell’introduzione si parla di un alieno dalla vita millenaria. Quest’essere ritornato sulla terra nel 2000 dopo 500 anni di assenza, troverebbe irriconoscibili i laboratori scientifici, per esempio quelli di fisia, ma riconoscerebbe il luogo deputato alle assemblee politiche, la chiesa e l’aula scolastica. Non molto è cambiato da allora. La scuola siamo noi!
ecco che cosa vuol dire perdersi, ero qui che volevo pubblicare…..questo. Durante la giornata i vostri post mi fanno compagnia, grazie a google reader che ho scoperto da poco, mi leggo i vostri interventi, rifletto, mi informo, chiedo e scrivo. Ma perdonatemi a volte sbaglio contenitore. Il prof giustamente dice da un’altra parte che non bisogna catalogare, ma esplorare…io ci provo ma faccio fatica, mi sento fuoriluogo……
Se non ho capito male x poter fare un sito si deve programmare manualmente in HTML, o farci aiutare da un software WYSIWYG.
Alla fine un sito internet è fatto di codice (X)HTML.
Testo racchiuso da una serie di lettere fra parentesi angolate, che se programmati secondo una certa logica fanno apparire la pagina web correttamente. I siti internet erano fondamentalmente testo, liste, link, e qualche immagine giustificata a lato del testo. Col tempo le esigenze grafiche sono però aumentate, così come le nozioni di programmazione necessarie per poter creare un sito decente. E così venne fuori Dreamweaver (e a ruota decine di altri programmi simili: GoLive, Fireworks, FrontPage e altri ancora), per permettere a non-programmatori di creare pagine web. A prima impressione questi programmi, chiamati software WYSIWYG (What You See Is What You Get, quello che vedi è quello che ottieni), sono un dono piovuto dal cielo. Liberano i grafici dal fardello di dover imparare a programmare e danno libero sfogo alla creatività, senza alcuna limitazione. L’output è una pagina identica all’immagine che viene visualizzata nella finestra del programma, in HTML. Il programma genera il codice automaticamente, le modifiche vengono fatte direttamente sul layout, che viene impaginato automaticamente. Mi sembra di capire che sono degli svantaggi.
Controllo del codice. Uno dei problemi principali dei software WYSIWYG è che l’utente non ha controllo sul codice. Le ultime versioni dei principali programmi di impaginazione adesso offrono la possibilità di vedere il codice prodotto dal software, ed aggiungere codice manualmente.
Ovviamente poter controllare il codice fondamentale x poter ottimizzare il layout delle pagine e la funzionalità vera e propria. Che cosa fa il Codice browser, ogni volta che visitiamo una pagina? scarica il codice sorgente dietro le quinte. Lo interpreta, cercando di capire come presentare la pagina richiesta. Se tutto va bene, restituisce la versione della pagina che secondo lui è corretta. I software WYSIWYG scrivono il codice per noi. In un certo senso il processo, se paragonato a quello che succede in un browser, avviene al contrario. Voi specificate il layout del sito, trascinando i vari elementi della pagina nel punto giusto. Il software a questo punto prova ad indovinare quale codice potrebbe produrre il risultato desiderato.
Purtroppo, la soluzione scelta dal programma sarà tutt’altro che elegante, e certamente non efficiente. Lo scopo del programma è solo cercare di replicare il layout specificato dall’utente. Come viene ottenuto il risultato non importa.
Sì, Gaetano, tutta un’altra cosa 🙂
GranDiPepe, la materia di cui siamo fatti è straordinariamente plastica, molto spesso l’impossibile è a portata di mano. Ottima la metafora dll’ossidazione, concerne solo la superficie, una spazzolata e via …
Con Monica condivido il pensiero di Alessandra.
Tuttavia ora mi trovo ad operare con canali di comunicazione inusuali per me. Ma mi preme fare presente che nei rapporiti di comunicazione faccia a faccia tra le persone, i canali di comunicazione sono la voglia delle persone a comunicare reciprocamente. Cioè, mi verrebbe da dire, che c’è un canale di comunicazione là dove c’è una possibilità e una disponibilità reciproca a comunicare.é E’così come sta accadendo ora: i canali di comunicazione si sono intersecati e hanno dato origine a nodi e poi a una rete di comunicazione. Ritengo, tuttavia, che un ruolo importante lo gioca il feed-back, nel senso che favorisce la comunicazione autentica tra le persone, anche e soprattutto quando è un feed-back negativo perchè genera processi di adattamento, superando situazioni di cristallizzazione di posizioni .
Andreas, sul fatto che sono “diventata grande”, ho la consapevolezza di aver smesso di stupirmi… di fronte al mondo. Mi sono ossidata 😦
Riscrivo:
WYSIWIG – WSIWIGWYSIWYGspero questa volta correttamente. Non è mia intenzione inventare nuove parole e acronomi.
Cerco di fare il punto per verificare se ho capito bene quale filosofia c’è dentro il “cofano” che spinge un word processor WYSIWYG/WYSIWYM.
Quindi:
un programma WYSIWIG (What You See Is What You Get: ciò che vedi è quello che ottieni) mi consente di operare in un certo modo e fare delle scelte che qualcuno ha già programmato e progettato per me. In sostanza sono libero di fare tutto quello che un altro vuole. Ancora più esplicita l’espressione WYSIWYAATD (What-you-see-is-what-you-are-allowed-to-do: ciò che vedi è ciò che ti è permesso di fare), la nuova logica sottesa nelle ultime versioni di MS Word con i suoi menu a nastro, i Command Tabs.
Un programma WYSIWYM (What You See Is What You Mean: ciò che vedi è ciò che intendi) mi consente di operare liberamente e “costringe” la macchina ad adattarsi alle mie esigenze. Sono io che opero delle scelte e in questo caso “l’altro” mi aiuta a realizzarle.
Breve considerazione:
per noi comuni mortali un sistema WSIWIG ben progettato è bastevole. Mi ricordo ancora il passaggio da Wordstar4 a Word, anzi a Write incluso nella prima versione di Windows, scegliere il corsivo o il grassetto, il tipo di carattere e la sua dimensione, allineare a destra, sinistra o giustificato con un clic mi sembrava di essere entrato in un altro mondo. Così era in effetti.
Però essere in grado di controllare il processo è tutt’altra cosa 😉
Alessandra concordo pienamente in quello che dici. Noi tutti siamo reticolari come dice bene Andreas, purtroppo però le istituzioni dalle quali dipende tutto il sistema scolastico sono linearissime, viaggiano su binari unidirezionali e guai se per caso c’è un cambiamento. Quante parole si spendono nelle riunioni, nei congressi, nei seminari sul rinnovo tecnologico della scuola (non basta avere dei pc per essere tecnologici), ma se per prime le istituzioni non si allineano a ciò che dicono, allora ne avremo ancora tanta di strada da fare…
L’ambiguo ci impone senz’altro la necessità di ripensare al ruolo del docente che deve farsi facilitatore e mediatore di fronte a un sapere che ridefinisce se stesso in un immenso ipertesto dal quale i discenti dovranno esser messi in condizione di trarre informazioni attraverso legami, laddove la non linearità non è una novità perché la vita stessa non lo è. Certi aspetti del nostro lavoro sono dettati, di fatto, dalle regole di un sistema scolastico veramente rigido che “cristallizza” chi lo agisce in una linearità di fondo di pensiero e di metodo. Siamo ancora alle prese con equivoci pedagogici ancora tutti da scardinare e la vera difficoltà è proprio questa: riuscire a ribaltare la prospettiva. In effetti, mi rendo conto che è proprio questo il senso di quello che stiamo facendo qui e ora, ma la scuola del nostro Paese, però, non sembra proprio andare in questa direzione. Questo rende il tutto estremamente complesso…
Sono d’accordo con quanto scrivi; io parlavo dell’attitudine media delle persone di certi ambiti di età nei confronti delle nuove tecnologie.
E della difficoltà che provo a 60 anni ad impadronirmi dic erte scelte che capisco libere solo dopo aver vinto le mie resistenze alla complicazione di affari semplici.
Quando uso un programma da 4 o 5 mesi spesso mi sorprendo a chiedermi: ” ma come mai all’inizio hai avuto le difficoltà a caricarlo, perchè non hai capito immediatamente le configurazioni da fare, ecc. ecc …”
Mi ero dato come spiegazione, e riguarda me e qualche persona a me vicina che hanno questi tipi di comportamento.
Poi le strade per Roma sono tantissime e tutte portano li, chi prima e chi poi ; per cui anch’io pian pianino arrivo.
Più o meno reticolare, più o meno presente in rete; più o meno pubblicizzato e conosciuto.
Ciao
Costantino
Tu sei reticolare, grandipepe. Anche tu e tu e tu. Tutti siamo reticolari, ovvero tutti siamo capaci di pensiero non lineare, non ridotto a mere sequenze domanda->risposta. Tu sei reticolare perché sei stata bambina. Poi …
ogni tanto mi trovo nella situazione di grandipepe, alla deriva forse no ma come uno che ha appena cominciato a camminare e deve correre.
sono assolutamente d’accordo che si impara facendo ma purtroppo sono una di quelle che ha bisogno di dare senso alle informazioni, di organizzare le informazioni, insomma di interiorizzarle in qualche modo, altrimenti le perdo e mi perdo in mille rivoli. In poco tempo, ho aperto un blog(mi sono però accorta di non aver ancora dato il link e a breve correrò ai ripari..), mi sono iscritta a varie classi virtuali, mi sta piacendo HTML e lo dice una che per codice intendeva fino a poco tempo fa quello giustinianeo, ho utilizzato la fuzzy logic applicata al concetto di età… ma ho bisogno di tempo per riflettere altrimenti mi resta tutto in superficie!
Forse, caro Anonimo,
il primo passo per diventare reticolare potrebbe essere
quello di uscire dall’anonimato…
Che ne dici???
Scusami, ma non poter “guardare negli occhi”
chi frequenta questo ambiente mi crea disagio…
Alla deriva? Non direi Elena per ora stai solo consultando tante mappe cyberspaziali che ti condurrano in un luogo, oppure se preferiamo in un non-luogo visto che siamo nel cyberspazio. Ma ogni link è una strada, che ti porta ad aprire nuove strade, quando sei stanca ti puoi fermare ed esplorare il non-luogo aperto, oppure puoi aprire un altro non-luogo e cosi continuare il viaggio.
ecco uno dei miei disastri: commento in modo ironico, ma nessun contributo. Ri-leggendomi, trovo questo aspetto, o meglio, il mio non-ruolo in questo (per)corso. Sono spettatore, ma non costruttore. Ho apprezzato l’esortazione di Benedetta nell’aiutarla a rinnovare il suo blog, mi sono proposta con osservazioni ma era un semplice contributo su un valore che io ho saputo esprimere solo in termini estetici. Invece con tutti questi termini, con tutti questo link… no non riesco ad essere reticolare, ho assolutamente un pensiero lineare: domanda-> risposta. Mentre qui trovo informazioni, informazioni,informazioni, ma non riesco a “catalogarle” a costruire un MIO modo di discernere. Sono troppe? Forse sono informazioni che non conosco, e allora mi trovo ad andare a fondo dell’informazione proposta con un nuovo click e trovare nuove informazioni, che devo manipolare e quindi altro click. Più che reticolare, sono alla deriva. Non riesco a dare un orizzonte di senso a tutto questo. Non ancora, ma
questa è una “guerra” da combattere con armi non convenzionali 😉
Altro che “vincere facile” grandipepe 🙂 ho chiuso il post ieri sera con umore da perdente … nei confronti del malefico editore di Annotum, mi spiegherò in questo medesimo post che aggiornerò stamani …
Claude, sì, molto interessante e istruttivo, sì.
Grazie per le risposte “in disordine” ma chiarissime alla mia domanda semplicemente caotica, Andreas: ero consapevole che il fatto che la descrizione di Annotum perturbava il mio inizio di comprensione degli articoli di Wikipedia su editor e processor era illogico, che erano due cose diverse. Però ciononostante era così per me, c’era interferenza.
Allora proprio perché avevo avuto una fessa remora a chiedere quando non riuscivo a usare il tuo file OPML con Google Reader, ho deciso che stavolta potevo osare.
Cioè, come dice GrandiPepe, sto imparando ad essere reticolare.
Non è che non ricadrò nelle remore sceme. Però wow, quando osare esporre un’incomprensione illogica ti vale risposte come queste, vale la pena esporla.
Altro caso di incomprensione dall’esposizione fertile: Booger Bender ed io siamo tra i manager del team “Occupy Wall Street” di Universal Subtitles, dove i partecipanti radunano e sottotitolano video su “Occupy Wall Street protests in New York and Worldwide.” Ieri aggiungo “HAPPY BIRTHDAY, #OCCUPY MOVEMENT” – Projections Over the Brooklyn Bridge di Michael Moore ai video del team. Oggi Booger Bender vi aggiunge un commento chiedendomi di rispettare il “tutti diritti riservati” dell’avente diritto di Happy Birthday, per evitare grane di copyright a Universal Subtitles.
Questo commento aveva un peso particolare perché Booger Bender lavora per Universal Subtitles, mentre io sono solo un’utente. Ma l’ho frainteso alla grande perché non ho più pensato al fatto che è anche sordo: alludeva al copyright detenuto – e applicato con notoria ferocia – dalla Warner sulla canzone “Happy birthday” (“Tanti auguri a te”), mentre io, visto che quella canzone non c’è nel video, non ci ho pensato e ho creduto che alludesse al copyright di Moore sul video. Gli ho risposto che non capivo, perché se il copyright di Moore su quel video fosse stato un problema, lo stesso problema si presentava per tutti i video non solo usati su Universal Subtitles, ma anche inseriti via embed/streaming in altre pagine.
Lui ha chiarito nei commenti e ha addirittura iniziato una chat, scusandosi: era un po’ imbarazzato per quel fraintendimento esposto in commenti pubblici. Mi sono scusata io, dicendo che visto che era stata la mia non sordità ad impedirmi di capire correttamente, il caso era interessante ed istruttivo.
nel mio caso è facile fornirmi tool di cui noi non conosco. E la cosa che mi “spaventa” è la possibilità di offrire agli alunni strumenti che non solo non conosciamo, ma anche insegnare l’impossibile, ovvero: “Insegnare ciò che non esiste. Questo significa, non tanto insegnare ad usare qualcosa, quanto insegnare ad imparare ad usare quella cosa, affinché quelle successive le imparino poi da soli.”. Quindi è una questione di metodo, come approcciarsi, sembra di voler applicare la filosofia alla rete. “Io non conosco”, mi ricorda un pensatore… 😉
Però attenzione ai disastri! Ma “I disastri si fanno, è inevitabile farli quando si prova a fare qualcosa di nuovo”
al prossimo disastro… :p
Andreas, ti piace vincere facile…
ops, troppo disinvolto come commento? ogni tanto, forse troppo spesso, mi dimentico che “sono sotto esame”. Ma questa modalità fatta di incursioni… di link, mi portano a conoscere e ad imbattermi in pensieri non lineari. Forse, a causa della rete, sto imparando ad essere reticolare? speriamo!!