Il 14 luglio scorso ho partecipato alla Summer School 2021 di MED Media Education. Insieme ad Alexis Kauffmann abbiamo contribuito al tema “colonialismi digitali”. Il mio (Neocolonialismi digitali: note critiche sull’uso delle piattaforme a scuola e all’università) è stato un discorso generale, Alexis (Colonizzazioni digitali – Case study: i nostri vicini francesi come fanno?) ha riferito sulla realtà del suo paese, dove le istituzioni hanno reagito con maggiore fermezza al dilagare delle piattaforme preconfezionate delle companies americane, seppur con molte difficoltà. Qui riporto la traccia della mia presentazione.
Il 2 giugno 1988 i senatori Ventre, Coviello, Pinto, Tagliamonte, Murmura, Lombardi, Grassi Bertazzi e Salerno presentano un disegno di legge recante norme concernenti l’allevamento dei colombi viaggiatori per l’impiego sportivo:
“…Se le trasmissioni teleradio costituiscono certamente il mezzo più rapido, si deve tenere presente che possono facilmente essere intercettate, mentre il colombo viaggiatore conserva un elevatissimo coefficiente di segretezza superiore a qualsiasi altro mezzo di trasmissione…”
Disegno di Legge N. 1077 2 giugno 1988
I senatori intendevano mantenere la legge, scritta in origine come Regio Decreto nel 1929, che poneva sotto il controllo del Ministero della Guerra l’allevamento dei colombi viaggiatori. I “regnicoli” che volevano creare una colombaia dovevano richiedere l’autorizzazione alla prefettura.
Non più Regno ma Stato, non più regnicoli ma cittadini, non più Ministero della Guerra ma Ministero della Difesa. Per il resto le disposizioni erano le stesse e tali rimasero sino all’abrogazione del 2008.

Nella mia vecchia tessera di colombofilo si legge che la Federazione Colombofila Italiana era un “ente morale sotto la vigilanza del ministero della difesa e dell’esercito”. Insomma, negli anni ’80 lo stato nazionale si faceva ancora sentire, con un’attenzione scrupolosa a tutto ciò che riguardava le comunicazione. Anche quelle realizzate con i colombi viaggiatori. L’abrogazione definitiva di questa normativa si è avuta solo nel 2008, in piena esplosione internettiana.
Ma la terra non è più tonda, come ce la figuravamo guardando le carte geopolitiche novecentesche, dove erano gli stati nazionali e le loro reciproche relazioni a contare. Ora siamo migrati nei frattali della noosfera, che si estende in mille dimensioni al di fuori della superficie bidimensionale degli stati nazionali — viene in mente Flatland di Abbott — nativi digitali e non, stati, istituzioni, companies e tutto il resto, ammassati alla rinfusa — largo ai più furbi e ai più potenti. Altro che dichiarazione di indipendenza del cyberspazio.
Ci avevo creduto anche io a quella dichiarazione, povero ingenuo, alla Declaration of the Independence of Cyberspace letta da John Perry Barlow l’8 febbraio 1996 al Forum di Davos:
Governments of the Industrial World, you weary giants of flesh and steel, I come from Cyberspace, the new home of Mind. On behalf of the future, I ask you of the past to leave us alone. You are not welcome among us. You have no sovereignty where we gather.
…
We will create a civilization of the Mind in Cyberspace. May it be more humane and fair than the world your governments have made before.
Durata poco davvero l’euforia degli ingenui: nel 1999 l’avvocato Lawrence Lessig se ne esce con Code: And Other Laws of Cyberspace , seguito nel 2006 da Code: And Other Laws of Cyberspace, Version 2.0. L’intuizione fondamentale l’ha avuta lui, Lessig, e si è rivelata tragicamente giusta:
Code is law
Le leggi nei nuovi territori da colonizzare le fanno i primi che arrivano. Le regolamentazioni istituzionali arrivano dopo. Ma oggi il mondo corre veloce, le istituzioni infinitamente meno. E poi gli attori sono grossi, troppo. Confrontando le capitalizzazioni delle maggiori companies hi-tech con il PIL degli stati nazionali in una partita di Risiko, Apple e Microsoft avrebbero già vinto.
Perché l’università delle piattaforme è la fine dell’università. Scrive Domenico Fiormonte:
Scuole e università italiane nell’emergenza COVID si sono affidate a a piattaforme e strumenti proprietari perlopiù della galassia GAFAM: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft.
In effetti su 68 atenei italiani, per la gestione della posta elettronica, 31 hanno scelto Google, 17 Microsoft e i rimanenti 20 una soluzione interna. Ancora più schiacciante la differenza per quanto riguarda la gestione delle videolezioni, dove pare che solo il Politecnico di Torino abbia sviluppato una soluzione completamente interna. Scrive Angelo Raffaele Meo:
“Ad esempio nell’arco di pochi giorni alcuni tecnici del Politecnico di Torino hanno realizzato, utilizzando una piattaforma libera, l’intero sistema di videolezioni che trasmette ogni giorno oltre 600 lezioni a 10.000 studenti”.
Quindi è possibile… Il sistema in questione si chiama Free Architecture for Remote Education.
E avremmo anche delle importanti risorse organizzative. Esiste infatti il GARR: Gruppo per l’Armonizzazione delle Reti della Ricerca, i cui soci sono enti come il Consiglio nazionale delle Ricerche (CNR), l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e tutte le università italiane rappresentate dalla Fondazione Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Ma fioccano gli accordi con Microsoft e Google ecc.
Teledidattica: proprietaria e privata o libera e pubblica? Scrive Maria Chiara Pievatolo:
“La questione ha un lato tecnico che qui ho cercato di ridurre al minimo, ma il suo cuore è filosofico, politico e culturale: in un mondo che
l’emergenza pandemica ha reso ancor più digitalizzato, la rinuncia a determinare i propri sistemi senza delegarli a un tutore neppure disinteressato rischia di produrre non solo un ritardo tecnologico e economico, ma, post-democraticamente, una condizione di minorità non soltanto digitale. È, in altre parole, una cosa troppo seria per lasciarla decidere agli amministratori.”
“La questione va però al di là del diritto alla privatezza nostra e dei nostri studenti. Nella rinnovata emergenza COVID sappiamo che vi sono enormi interessi economici in ballo e che le piattaforme digitali, che in questi mesi hanno moltiplicato i loro fatturati, hanno la forza e il potere per plasmare il futuro dell’educazione in tutto il mondo. Un esempio è quello che sta accadendo nella scuola con il progetto nazionale “Smart Class”, finanziato con fondi UE dal Ministero dell’Istruzione. Si tratta di un pacchetto preconfezionato di “didattica integrata” dove i contenuti (di tutte le materie) li mette Pearson, il software Google e l’hardware è Acer-Chrome Book.”
Cloud, perché serve un’infrastruttura digitale pubblica per scuola e università. Enrico Nardelli:
“Una comunità pubblica che non sviluppa e controlla una propria infrastruttura di gestione e scambio di dati e competenze pagherà un prezzo enorme in termini di possibilità di scegliere la sua direzione di sviluppo perché sarà sempre più dipendente da sistemi e conoscenze che non le appartengono, soggetta alla sorveglianza di chi controlla le infrastrutture usate.”
You are not a Gadget. Jaron Lanier:
“Costruiamo estensioni per il vostro essere, come occhi e orecchi remoti (web-cam e telefoni cellulari) e memorie espanse (la massa di minuzie che si può cercare online). Esse diventano le strutture con cui vi connettete al mondo e agli altri. Queste strutture, a loro volta, possono cambiare il modo in cui concepite voi stessi e il mondo. Smanettiamo con la vostra filosofia manipolando direttamente la vostra esperienza cognitiva, non indirettamente, tramite l’argomentazione. Basta un minuscolo gruppo di ingegneri per creare una tecnologia in grado di dar forma, a incredibile velocità, a tutto il futuro dell’esperienza umana. Perciò sviluppatori e utenti dovrebbero fare le discussioni fondamentali sulla relazione umana con la tecnologia prima di progettare tali manipolazioni (You are not a Gadget, cap. I).”
Jaron Lanier lo potete sentire nel docufilm Netflix The social dilemma.
Il 16 luglio 2020 la Corte di Giustizia Europea ha emanato una sentenza molto importante, dove, in sintesi, si afferma che le imprese statunitensi non garantiscono la privacy degli utenti secondo il regolamento europeo sulla protezioni dei dati, conosciuto come GDPR (General Data Protection Regulation). Dunque allo stato tutti i trasferimenti di dati da UE a Stati Uniti devono essere considerati non conformi alla direttiva europea e perciò illegittimi.
La Corte ha ritenuto che i requisiti del diritto interno degli Stati Uniti, e in particolare determinati programmi che consentono alle autorità pubbliche degli Stati Uniti di accedere ai dati personali trasferiti dall’UE agli Stati Uniti ai fini della sicurezza nazionale, comportino limitazioni alla protezione dei dati personali che non sono configurate in modo da soddisfare requisiti sostanzialmente equivalenti a quelli previsti dal diritto dell’UE e che tale legislazione non accordi ai soggetti interessati diritti azionabili in sede giudiziaria nei confronti delle autorità statunitensi.
Dobbiamo rifare un passo indietro, ripartendo dal discorso fatto da Piero Calamandrei, padre costituente, il 26 gennaio 1955 agli studenti:
“Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.”
E che dice la Costituzione in proposito?
Articolo 34
La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Che si inquadra nell’articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
C’è bisogno d’altro?
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