Oggi non volevo scrivere niente

Sì, oggi non volevo scrivere niente perché volevo perdermi tutto il giorno fra le Hidden Connections di Fritjof Capra, un modo per prolungare i tre giorni offline che mi ero regalato per Pasqua.

Ma la rete è viva e travolge, è bastato un attimo, un’occhiatina e inciampo in un post di Gianni Marconato, Antonio Saccoccio e la crisi dell’apprendimento. Non mi resta che leggere, un po’ perché da qualche tempo Gianni è entrato prepotentemente nel mio “PLE” e un po’ perché quest’anno ho passato notevole tempo a ossessionare la gente con le magagne della “scolarizzazione” e il tema mi stuzzica alquanto.

E così vengo a conoscenza dell’esistenza di Antonio Saccoccio, insegnante net-futurista e del suo blog Liberi dalla Forma, dal quale riprende

…. Il problema è che la scuola stava entrando in crisi anche prima della rivoluzione neotecnologica (anzi, per me l’insegnamento non è mai stato di buon livello). I nuovi media non hanno fatto altro che accelerare la crisi. Ora certe metodologie davvero sono inaccettabili agli occhi di chiunque abbia un minimo di senso critico.

a proposito

… di crisi della scuola, di insegnamento che non è mai stato di buon livello, di metodologie didattiche inaccettabili.

Come allora non rammentarmi del post di Enrico, studente nel mio corso di Editing Multimediale presso la IUL, che era perplesso riguardo alla seguente citazione tratta da un testo che sta studiando …

“E se l’educazione è in crisi, questo è dovuto, in parte, anche alle frequenza dei nonluoghi nell’esperienza giovanile. “Lo spazio che il giovane abita è in gran parte costituito da nonluoghi, uno spazio che non gli offre alcuna identità e non gli pone particolare richieste situazionali ma solo prescrizioni astratte e impersonali, che non sono in grado di connetterlo ad uno spazio oggettivo e lo lasciano in balia della sua soggettività e di quelle a lui prossime”

… e di come avevo condiviso le sue perplessità sostenendo che

  1. L’educazione è sempre stata carente in quanto grossolana approssimazione di quello che dovrebbe essere un percorso formativo reale. La mia formazione è stata pessima se esco dal metro della mera istruzione, peraltro carente, rigida, spesso fine a se stessa. La formazione dei nostri padri, fra cui mio padre (laureato nel 53), ottimo medico, mi è sempre sembrata del tutto carente, estremamente parziale. Una mera semplificazione burocratica basata su di una concezione della conoscenza banalizzata. Oggi l’educazione appare ancora più carente perché l’evoluzione della società si è fatta impetuosa.
  2. I “luoghi” li abbiamo scippati noi ai nostri ragazzi ben prima che si rendessero loro accessibili i non luoghi. I luoghi son tali quando sono vissuti in autonomia come è capitato alla mia generazione in parte e del tutto per le precedenti, quando, dopo la scuola, fatti un po’ di compiti (una quantità sensata) si andava fuori a ruzzare con gli altri. La vita dei nostri figli che noi gestiamo è priva di luoghi: il tennis dove si “lavora sul rovescio”, la chitarra per il prossimo saggio, la preparazione per il torneo di calcio, lo studio di danza che costringe ad alimentarsi come un professionista e via dicendo non sono luoghi … i luoghi propri gli abbiamo eliminati noi adulti con la nostra mania di rendere competitivi i nostri figli!

Connessioni nascoste che si svelano.

Torno da Fritjof.

11 pensieri riguardo “Oggi non volevo scrivere niente”

  1. sicuramente,il problema della scolarizzazione o “descolarizzazione” come dicono certi non resiede nel come fare per cambiare secondo me ma CHE COSA BISOGNEREBBE CAMBIARE.Già secondo me:
    per primo il Programma:i diversi programmi dovrebbero essere universali in modo che chi abbia studiato in Africa,in America,in Asia o in Europa non si perda perchè passa di un programmo ad un altro.
    Per secondo i professori nel senso che uno non può venire a dare lezioni tutto triste (come se era colpa degli studenti) e avendo sempre fretta di finire un “percorso” ormai……..Il professore deve esser quella persona che ci fa innamorare della sua materia in modo che se uno non fosse bravo diventerebbe il migliore(come mi è successo con la matematica al liceo).In questo modo lo studente vuol fare figura al docente e cerca anche di più(perchè la passione ci fa sorpassare sempre i nostri”limiti”).Condivido così le idee presentate da Antonio e Danilo.
    Un saluto a tutti

  2. Spesso mi capita che preparo un possibile percorso da seguire nelle mie lezioni ma dopo un input iniziale “cambio rotta” in quanto la nuova conoscenza che desidero costruire con gli alunni attraversa nuove strade, arriva a luoghi-non che non avevo minimamente preventivato ma comunque carichi di significato da cui poter raggiungere gli stessi traguardi. Io penso che un insegnante non possa improvvisare la lezione, anzi deve ben sapere quale o quali obiettivi raggiungere; ciò che può “mettere in gioco” è il come raggiungerli che può essere completamente diverso da come pensava. Questo è, a mio avviso costruire la conoscenza, non trasmetterla bensì adattarla al modo più vicino a quelle che sono le esigenze e le caratteristiche di coloro che stanno imparando. Ho scritto nel mio blog (www.emarilu.blogspot.com) un post riguardo ai non luoghi e luoghi- non. E’ ancora un blog in fase di costruzione; ho ancora molto da imparare e spero di riuscire a tenere il passo (c’è sempre chi ha bisogno di più tempo). Grazie comunque perché comincio a capire di quanto le connessioni ti possano aiutare a crescere costantemente professionalmente e umanamente. Marina

  3. Ho letto con interesse i vari contributi e li condivido .
    A volte, pensando alla scuola, ho l’impressione che si realizzi un “gioco delle parti” che scontenta i più, ma su cui ci si adatta, perchè è meno “faticoso” , meno coinvolgente.
    I docenti si sentono frustrati, inascoltati , trasparenti , ma faticano a discostarsi dal rassicurante sentiero di un programma di lavoro percorso e ripercorso negli anni.
    D’altra parte, spesso mi sembra che gli studenti , persino quelli più piccoli , vengano a scuola, ma non portino niente di sè a scuola.
    Probabilmente stentiamo a realizzare ambienti di apprendimento significativi per loro. Sicuramente abbiamo cominciato noi, nel momento in cui non abbiamo raccolto o abbiamo lasciato cadere qualche loro intervento, perchè lo ritenevamo non “pertinente”.
    Maria Grazia parlava di “fatica fisica” ed io concordo: spesso intuiamo capacità , interessi e conoscenze che non riusciamo ad attivare , che sembra non vogliano mettere in gioco nel contesto scolastico.
    Costruire insieme la conoscenza è più stimolante e alla fine dei conti più gratificante, ma è più faticoso rispetto al sedersi dietro una cattedra a “spiegare” e dietro un banco ad ascoltare, in attesa che per entrambi il tempo passi e la vita riprenda dopo la campanella.

  4. Mi piacciono molto le riflessioni di Antonio, sono di un’attualità mai tramontata; le cose che dice lui sono le stesse affermazioni che da anni porto avanti. Vorrei commentare alcuni punti:
    – a proposito delle superiori, anche io ricordo quei “professoroni” che incutevano timore per la quantità di nozioni che “professavano, ma non son quelli che mi sono rimasti; ricordo invece un giovane professore supplente di latino che aveva saputo coinvolgerci per il suo modo di rapportarsi con noi e di farci appassionare alla materia; ricordo anche l’affermazione di una mia collega che ora lavora in progetti per il recupero dei soggetti con disagi sociali: “quello che resta in queste persone di tutto il percorso scolastico non sono le nozioni ‘bene o mal apprese’ ma la relazione che qualche insegnante ha saputo instaurare con loro”;
    – a proposito del modo univoco di insegnare: è vero i ragazzi che ci stanno davanti non sono realizzati con un unico stampo… sono unici e singolari e allora dove è finita la ‘ mente a più dimensioni’ di Bruner? Perchè non siamo capaci di rapportarci con loro attraverso strategie positive che riescano ad agganciarli, valorizzando le specificità di ciascuno, anzichè sommergerli di contenuti? Diamo loro delle abilità il più possibile organizzate e agganciate ai loro schemi mentali (che sono molto diversi dai nostri), i contenuti li recupereranno utilizzando queste abilità (nell’era del web2 non mi sembra così difficile esserre esposti alla conoscenza, il problema è di avere le capacità per discernere e selezionare);
    – entrare in classe e partire dalle esperienze quotidiane: non è una novità! Nella scuola primaria da illo tempore si è cercato di partire dal vissuto concreto dei bambini e valorizzarlo, non si potrebbe fare didattica slegata dal contesto esperienziale in questa fascia di età. Ricordo ancora intere unità didattiche (mesi di lavoro interdisciplinare) che presero il via da fatti di cronaca vicini o lontani e che consentirono di toccare tutti gli ambiti disciplinari.
    E` vero… i moduli, la valutazione, le tecnologie possono essere ingabbianti se applicati in modo rigido, senza tenere conto della specificità del contesto in cui si opera, oppure possono essere una risorsa se li sappiamo utilizzare in modo flessibile e aperto alle novità, ai bisogni, ma soprattutto nell’ottica di un rinnovamento del nostro modo di fare scuola, perchè la scuola la facciamo noi!

  5. Mah sai Antonio, il problema è immergersi nella stessa acqua, secondo me. Io, ad esempio, in cattedra non ci sto mai perché sono sempre in giro per banchi o per PC 🙂 Mi capita di starci seduta solo quando sono sola…
    E un po’ (o forse tanto) il problema dell’utilità dell’insegnante è collegato alla sua voglia di imparare: io delineo canovacci e non sequenze programmate di cui essere schiavi. E c’è sempre qualcosa che non so e di cui chiedo io di saperne di più. Questo mi rende una docente “viva” ma, soprattutto, mi rende parte di un processo “vivo”, curioso e arricchente.
    Ovviamente, soprattutto i ragazzi più grandi, abituati ad essere trainati, talvolta rimangono un po’ stupiti e con alcuni si fa proprio una fatica fisica… Però è il nostro mestiere. O no? Ciao 🙂 Ci rileggeremo sicuramente 😉

  6. Osservo con piacere che non sono l’unico a credere che l’insegnamento sia stato sempre approssimativo.

    Vi lascio giusto qualche riflessione, perchè sono rimasto colpito favorevolmente da queste discussioni che rimbalzano da blog a blog. Vero esempio di come la rete possa farsi pensiero collettivo e connettivo.

    Ricordo ancora che quando frequentavo da studente il liceo erano considerati bravi i professori che conoscevano bene le loro materie e non facevano altro che vomitarci addosso informazioni su informazioni (e a noi studenti spettava il compito solo di ripeterle). A me già allora quel modello di professore sembrava poco appassionante. Ma, si sa, da ragazzi non si riflette più di tanto.
    Ora, passato dall’altra parte (ma è davvero un’altra parte poi?), ho compreso come quel modello sia il più semplice da adottare, quello che crea meno problemi sicuramente.
    Ma adesso che i ragazzi non sono più tranquillamente seduti in silenzio come erano quasi tutti 20-30 anni fa, adesso come la mettiamo?
    Adesso che le informazioni i ragazzi le trovano un po’ ovunque e rapidamente, posso ancora insegnare in quel modo? Di che utilità sarei?
    Ovviamente tutto cambia e tutto cambierà ancora.
    Dobbiamo abituarci a concepire il nostro lavoro come un lavoro in perenne evoluzione. Non è possibile più pretendere di insegnare in un solo modo per l’intera nostra vita.
    L’approccio può essere forse simile, ma le modalità devono essere necessariamente più flessibili. Molto più flessibili rispetto al passato.
    Un’ultima osservazione: ma non avete pensato a quanto può essere più interessante e meno noioso il nostro lavoro se non ci limitassimo a seguire un programma dato una volta per tutte, ma a seguire percorsi molto più variegati e stimolati da esigenze quotidiane e momentanee?
    Insomma, entrare in classe, osservare i ragazzi, ascoltare 2 di loro che discutono e prendere da loro lo spunto per arrivare a parlare di Platone? di Dante? E’ così impensabile?
    Senza nessuna lezione prefabbricata.
    Non avrebbero così i ragazzi l’impressione che la scuola serve a qualcosa di concreto e parla della vita di tutti noi?
    Immediatezza, vitalità, freschezza, utilità, spontaneità, vivacità, passione, connessioni.
    Su questo dobbiamo puntare.
    Prima ancora delle LIM, degli ebook e degli oggetti digitali (!). Queste sono solo sciocchezze.
    A proposito, ricordate che 10 anni fa la didattica modulare doveva salvare la scuola???
    Mi viene da ridere a pensare a quei tempi. Io già da allora dicevo: se non cambia tutto il resto i moduli possono addirittura irrigidire ancora di più la didattica.
    C’è chi ha voluto adottare la religione dei moduli a tutti i costi e ne è finito prigioniero.
    Come chi si è innamorato delle griglie di valutazione diventandone schiavo.

    I problemi sono profondi e assai complessi. Chi ci mostra vie d’uscita semplicistiche merita solo l’appellativo di stupido o ciarlatano.

    L’unica speranza sono queste nostre riflessioni nate sul web sul web liberamente e senza alcun fine se non la passione.

    un saluto all’autore del blog e a tutti gli altri

    Antonio

  7. Anch’io non volevo scrivere niente oggi… E invece mi sono trovata aggrovigliata in un postone, che in teoria, avrei dovuto ulteriormente ampliare. Ma non ho molta voglia di farmi menate inutili, in questi giorni… Tanto ci ritroviamo a parlare di descolarizzare un sistema che della scuola non sa più che farsene perché ormai gli basta la televisione per creare i suoi soldatini. A che serve? Bleah… Sono nauseata.

  8. Il problema che stiamo toccando, secondo me, è il vero problema fondante sulla possibilità di cambiare e rendere efficace l’istituzione scolastica. Un modello pensato e concepito nell’ottocento non può essere ancora lo scenario attuale quando ogni aspetto della vita contemporanea ha assunto volti e modalità diversi. Infatti continuiamo, spero in buona fede, a voler agire miglioramenti sulla scuola aggiustando il sistema. Credo invece che il punto di forza sia investire sulla micro modifiche del quotidiano da parte dei singoli operatori. La scuola da istituzione deve porsi come agenzia, viva e vitale, in grado di gestire il cambiamento da dentro, farlo nascere da sè e non subuirlo. Anche le TIC hanno prootto allargamento del gap se proposte dal di fuori. Forse la chiave che stiamo repuperando da questo percorso ci fa intervenire dal di dentro…

  9. Condivido pienamente l’affermazione del collega Antonio Saccoccio in merito al fatto che le nuove tecnologie abbiano semplicemente accelerato la crisi della scuola.
    In effetti tutte le questioni e gli interrogativi posti dal mondo degli studiosi in merito all’influenza che i nuovi media possono avere sulla struttura mentale dei nostri figli, ha messo a nudo tutta l’inadeguatezza di certi metodi di tipo tradizionale e trasmissivo. La scoperta della rete, il pensiero connettivo non hanno nulla da spartire con il sistema unidirezionale che abbiamo conosciuto noi come studenti e che ancora oggi esiste nella maggior parte delle nostre scuole.
    A questo punto mi chiedo:
    che senso ha introdurre LIM o quant’altro se non si interviene anche a livello di schemi mentali del corpo docente?
    La qualità non passa prima attraverso il materiale “umano”?

  10. Leggo con attenzione le vostre parole che avviano una riflessione complessa e profonda.
    Anche a me capita di pensare ad un ruolo rinnovato per la scuola del futuro. Osservo le nuove generazioni, le modalità di relazione e di reazione agli eventi del quotidiano che questi giovani manifestano. Qualche volta questi ragazzi possono sembrare apatici, nell’accezione più propria del termine, ovvero privi di passioni, di emozioni.
    La scuola e più in generale il mondo dell’educazione, dovrebbe recuperare la funzione di educare all’emozionalità e anche all’emotività. Far leva sul cuore, perchè, come abbiamo ricordato in una recente chat , la didattica e l’apprendimento devono avere come base un’emozione, un legame affettivo. Dobbiamo riscoprire questa dimensione se vogliamo recuperare il rapporto docente-discente . Bisognerebbe, come stiamo un po’ sperimentando noi nella blogoclasse, insegnare anche ad emozionarsi e condividere con altri questi momenti.
    Se la scuola riuscisse a diventare sempre più luogo delle emozioni, della bellezza, delle passioni, forse potrebbe recuperare quel ruolo sociale che sta lentamente perdendo.

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