Vado ad un convegno per cercare di capire perché non vado ai convegni, in un certo senso.
Si tratta del BarCamp di VeneziaCamp, una costellazione di eventi spalmata su tre giorni presso l’Arsenale di Venezia. I BarCamp sono convegni sbarazzini in salsa Web 2.0. Cito dal wiki dell’evento:
Il barcamp è una conferenza generata dai partecipanti: nessuno è spettatore e tutti contribuiscono alla riuscita dell’evento portando un progetto, un idea, preparando una presentazione, partecipando alla discussione o aiutando nell’organizzazione. Insomma, non è la classica conferenza in cui esiste un tema prefissato e una rigida scaletta degli interventi e degli argomenti da trattare.
Anche se pare che molti BarCamp finiscono con l’essere dei convegni normali riverniciati questo forse sarà buono.
Ho partecipato e contribuito a tanti covegni in passato, all’inizio per forza, poi perché si faceva così e infine non ci sono andato più, da diverso tempo. I convegni costano un mare di soldi e non servono quasi a nulla. Non certo in tale quantità e frequenza.
Nel mio molto multidisciplinare vagabondaggio mi son trovato a partecipare ai convegni del momento della disciplina che mi occorreva di percorrere. Essendo tuttavia, appunto, un vagabondo prima o poi mi capitava di ficcare il naso in qualche altra parte di mondo e quindi la partecipazione ai congressi precedenti si rivelava inutile, sempre più inutile.
Infatti, ai congressi si va soprattutto per sviluppare e consolidare le proprie posizioni accademiche o di categoria, non certo per l’aggiornamento scientifico: sequenze interminabili di presentazioni lampo (8-10 minuti) ognuna di queste cocktail letale di quantità esorbitante di informazioni scarsamente rilevanti ed ancor meno rilevanti risultati preliminari, di sterile tecnica espositiva standardizzata sulle famigerate slide powerpoint, di onerosa digestione di cibi da catering dozzinale. La morte della comunicazione.
Comunque, in buona parte ho smesso di andare ai congressi perché non ho niente da consolidare, e questo perché, in sostanza, sono un vagabondo.
Ecco, vado invece al VeneziaCamp2009 perché ci potrei trovare lumi su tale natura di vagabondo e forse potrei trovare conferma che non si tratta di una stranezza del sottoscritto bensì di un fenomeno di ben più vaste proporzioni.
E come ho fatto a scoprire che forse proprio a quel convegno, fra i tanti che ci sono, potrei trovare simili spiegazioni? L’ho scoperto per una sequenza di circostanze fortuite che si sono concretizzate nella pubblicazione di un testo, che molti miei studenti conoscono bene, Coltivare le connessioni. Come “stare online”, in un libro, Cittadinanzadigitale, curato da Luisanna Fiorini.
Tralascio i particolari per dire solo che oggi un testo che tu hai scritto per un motivo preciso, in questo caso per spiegare qualcosa ai tuoi studenti, se lo affidi alla rete se ne va galleggiando e magari finisce con l’approdare in un luogo straniero. E tu incuriosito gli vai dietro domandandoti chi siano gli abitanti di quel luogo.
Vengo quindi a conoscenza di personaggi misteriosi che parlano lingue difficili ma che dicono cose che sembrano interessanti. Qualcosa capisco e qualcosa intuisco, molto mi è oscuro ma tutto ciò genera curiosità. Abbranco frammenti, parole nelle quali intravedo concetti soffusi che tuttavia risuonano piacevolmente. Mi sembra di intravedere scenari famigliari ma in prospettive nuove, mi pare addirittura di poter illuminare le forze che hanno determinato sin qui il mio tortuoso cammino.
Poiché al BarCamp di VeneziaCamp verrà presentato questo libro ci andrò con grande curiosità. So benissimo che al contatto con la realtà quest’aura potrà rivelarsi illusoria ma vale la pena di provare.
😀
Ad Andreas i post lunghi un kilometro piacciono un sacco… 😀
ah
risposta del menga
potevi risparmiarti il post incuriosente lungo un kilometro 😀
non c’è male
allora, com’è andata?!
ma ciao 🙂
Mannaggia! Ho l’influenza, sono chiusa in casa e voi siete qui a Venezia a due passi! Uffa!
I vagabondi si incontrano in piazza, da sempre …
La cosa divertente è che anche quando non facciamo le cose insieme, andiamo in parallelo e – virtualmente – ci ritroviamo a incrociare le stesse persone… 🙂
Ciao Andreas